#ReaCT2020: Una fotografia del terrorismo in Europa
di Claudio Bertolotti, Direttore START InSight, Direttore esecutivo Osservatorio ReaCT
Scarica #ReaCT2020, il 1° rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa
Alla fine di giugno del 2019, in ottemperanza alla misura cautelare in carcere emessa dal Gip di Brescia per il reato di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo, la Polizia di Brescia, coordinata dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione e con il supporto dell’Fbi statunitense, ha arrestato il foreign terrorist fighters Samir Bougana: un 25enne italo marocchino che nel 2013, partendo dalla Germania per la Siria, è accusato di essersi unito prima alle milizie associate ad al-Qa’ida e poi allo Stato Islamico. Bougana era stato catturato dalle milizie curde in Siria il 27 agosto 2018.
Un caso, tra i tanti, che mantiene i riflettori accesi sulla minaccia del terrorismo jihadista associato allo Stato islamico, a conferma della strategia post-territoriale di ciò che fu l’Isis. Ora le cellule nascoste, i singoli “combattenti”, l’effetto emulativo, l’aumento della propaganda e il reclutamento in tutto il mondo, sono le principali armi su cui il gruppo terrorista sta concentrando gli sforzi, nonostante la morte del suo leader carismatico conosciuto come il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi (al tempo Ibrāhīm ʿAwed Ibrāhīm ʿAlī al-Badrī al-Sāmarrāʾī) ucciso dalle forze speciali statunitensi in Siria, nel governatorato di Idlib, il 26 ottobre 2019.
Il terrorismo di matrice jihadista, da solo responsabile del 96% delle morti per terrorismo in Europa, come dimostrato dagli attacchi di Utrecht, Londra e Lione, che hanno portato alla morte di dieci persone
Degli oltre 5mila foreign terrorist fighters “europei” partiti per combattere in Medio Oriente (di cui il 14 percento donne), mille sarebbero caduti in Siria e Iraq. Almeno un terzo è sopravvissuto; un altro terzo sarebbe tornato nel proprio Paese, altri 2500 avrebbero trovato rifugio in Paesi terzi unendosi ai gruppi jihadisti locali (dall’Afghanistan alla Libia, dall’Africa all’Asia centrale). Circa 800 al momento sono detenuti nelle carceri curde in Iraq: molte le donne e i bambini. Una condizione di “prigionia” che ha sollevato ampi e legittimi dibattiti in Europa e negli Stati Uniti sull’opportunità di limitare loro la possibilità di rientro nei Paesi di origine, a cui ha fatto seguito la decisione di molti Paesi europei di togliere loro la nazionalità così da non permetterne il ritorno.
Un problema di sicurezza collettiva che, seppur limitato nei numeri e interessante principalmente quattro paesi (Francia, Regno Unito, Germania e Belgio da cui sono partiti circa 3mila e 700 dei 5000 combattenti), si muove su due binari paralleli che hanno portato al bipolarismo dello jihadismo globale, diviso tra due principali attori in competizione: da un lato al-Qa’ida, dall’altro l’evoluzione dello Stato islamico.
Le reti jihadiste ispirate ad al-Qa’ida hanno costituito la base dell’emigrazione jihadista dall’Europa alla Siria e all’Iraq sino a tutto il 2015: le reti europee collegate al movimento Sharia4 hanno rappresentato il punto di riferimento per i gruppi radicali europei impegnati nell’inviare combattenti e supporto finanziario in Siria e Iraq. L’ascesa al potere dello Stato islamico a partire dalla fine del 2014, è poi riuscita a far (temporaneamente) eclissare al-Qa’ida dal panorama jihadista, almeno quello comunicativo.
Ma se lo Stato islamico ha perso, insieme alla sua natura territoriale, anche parte della spinta mediatica e comunicativa, la maggior parte dei social network e dei leader di al-Qa’ida in Europa è riuscita a sopravvivere allo Stato islamico, dando inizio alla nuova battaglia per “i cuori e le menti”, che è appena all’inizio.
I principali modelli organizzativi dell’attività del terrorismo islamista – in termini di struttura, reclutamento e formazione – non sono dunque cambiati in modo significativo, ma si sono evoluti in maniera efficace.
L’evoluzione del terrorismo di matrice jihadista in Europa si inserisce all’interno di un più ampio fenomeno sociale di natura ideologica, politica e religiosa, che continua a colpire i cittadini europei, provocando vittime e danni rilevanti, sia sul piano sociale che economico. Un calcolo, quello degli effetti del terrorismo, che deve tenere in considerazione l’entità dei fenomeni terroristici, certamente limitati in rapporto alla popolazione europea, ma che sono in grado di provocare rilevanti ripercussioni in termini di sicurezza, reale e percepita, tali da influire sulle politiche e sulle strategie di sicurezza nazionale e internazionale, così come sui processi elettorali.
L’analisi dei numeri relativi agli eventi terroristici avvenuti un Europa è uno strumento essenziale per riuscire a definire un fenomeno le cui manifestazioni di violenza hanno il potere di influire in maniera significativa, e spesso distorta, sulla percezione dell’opinione pubblica a cui contribuisce in parte il ruolo dei media tradizionali e, in particolare, dei social-network.
L’evoluzione del terrorismo jihadista si inserisce all’interno di un più ampio fenomeno sociale di natura ideologica, politica e religiosa, che provoca vittime e danni rilevanti, sia sul piano sociale che economico.
Nello specifico, è bene evidenziare come, pur a fronte di una particolare attenzione mediatica nei confronti del “terrorismo jihadista” e di quello cosiddetto di “estrema destra”, queste due manifestazioni rappresentano solamente una minima parte degli eventi violenti registrati all’interno dei Paesi europei: i dati del 2018 ci mostrano che la minaccia più significativa in termini di azioni violente è rappresentata dal terrorismo etno-nazionalista, con 84 casi registrati in Europa; seguono gli attacchi terroristi di matrice jihadista – 24 azioni, che hanno provocato 13 morti; al terzo posto gli attacchi terroristici perpetrati da gruppi di estrema sinistra e anarco-insurrezionalisti – per un totale di 19 eventi, di cui 13 in Italia; all’ultimo posto gli attacchi terroristici attribuiti all’estrema destra, con un singolo evento.
Numeri che, nel complesso, indicano una flessione nell’intensità della violenza terrorista in termini assoluti rispetto agli anni precedenti, sebbene in maniera differente in base all’ideologia di riferimento e a giustificazione degli atti di violenza. Nel panorama europeo si impone la sostanziale scarsa rilevanza degli attacchi di fatto portati a compimento da gruppi di estrema destra, storicamente marginali nelle statistiche del terrorismo in Europa: un solo evento nel 2018, a fronte dei cinque registrati nel 2017. Diminuiscono anche gli attacchi terroristici dell’estrema sinistra e dei gruppi anarco-insurrezionalisti: 19 eventi nel 2018 rispetto ai 24 del 2017.
Le azioni maggiormente rilevanti rimangono quelle riconducibili ai gruppi etno-nazionalisti: 84 contro le 137 del 2017; sebbene quelle più pericolose in termini di danni e vittime rimangano le azioni terroristiche associate allo jihadismo: 24 eventi nel 2018 contro i 33 del 2017.
Il Regno Unito è il paese più interessato dalle azioni violente del terrorismo indipendentista, in particolare da parte dei Dissident Republican (seguito da Francia e Spagna – Euskadi ta Askatasuna e Resistencia Galega); la Francia è invece il Paese nel mirino del terrorismo jihadista, seguita dal Regno Unito.
L’Italia, nella graduatoria europea, è il Paese più colpito da attacchi di estrema sinistra: il 70 percento di tutti gli attacchi in Europa. Nel nostro Paese, questi gruppi terroristici hanno confermato la propria volontà violenta, l’intensità e il modus operandi rilevati negli ultimi cinque anni. La Federazione Anarchica Informale / Fronte Rivoluzionario Internazionale (FAI/FRI) è considerato il gruppo più pericoloso. È tristemente noto per le sue campagne contro bersagli italiani e stranieri, attraverso l’impiego di IED (ordigni esplosivi improvvisati) o pacchi bomba. Altri gruppi terroristici anarchici hanno preso di mira obiettivi fisici, quali sedi di partiti, e gruppi di estrema destra.
Una fotografia della violenza che descrive come il terrorismo continui a costituire una grave minaccia per la sicurezza degli Stati europei. In tale quadro si impone, anche nel 2019, il terrorismo di matrice jihadista – da solo responsabile del 96 percento delle morti per terrorismo in Europa – come dimostrato dagli attacchi di Utrecht, Londra e Lione: un‘evoluzione della forma di violenza terroristica che tende a imporsi sempre più come un mezzo di confronto e competizione politica. I terroristi si impongono come soggetti che non solo mirano a uccidere e ferire, ma anche a dividere le nostre società e diffondere odio e intolleranza.
Terrorismo jihadista e violenza di matrice islamista
Nel 2019 sono stati portati a termine 17 attacchi terroristici ed episodi di violenza di matrice jihadista: 9 in Francia, 2 in Italia, 2 nei Paesi Bassi, 2 in Norvegia, 1 in Svezia e 1 nel Regno Unito. Un totale di 10 persone sono state uccise e 46 feriti in attacchi jihadisti nel 2019: le vittime includono 8 agenti di polizia, tre dei quali sono rimasti uccisi. Francia, Paesi Bassi e Regno Unito sono stati colpiti da azioni a più elevata intensità di violenza.
La maggior parte delle azioni è stata portata a compimento attraverso l’utilizzo di coltelli (76 percento) e armi da fuoco (18 percento); solamente in un caso (Lione, 24 maggio 2019) è stato fatto uso di esplosivi.
Gli attaccanti che hanno colpito nel 2019 sono tutti di sesso maschile, con un’età mediana di 32 anni; superiore a quella del periodo 2014-2019 che è di 27 anni.
Il 70 percento dei terroristi europei sono nati negli anni Ottanta e Novanta, dunque relativamente giovani, sebbene un 20 percento sia costituito da soggetti nati prima del 1980.
Jihadisti europei
Il 70 percento dei terroristi europei sono nati negli anni Ottanta e Novanta, dunque relativamente giovani, sebbene un 20 percento sia costituito da soggetti nati prima del 1980: un elemento interessante poiché pone in evidenza la presenza di una quota importante di uomini di “mezza età” al fianco della massa più giovane.
Le donne hanno svolto e svolgono un ruolo molto più attivo di quanto non sia stato posto in evidenza, e rappresentano una minaccia crescente; delle circa 650 partite dall’Europa per il fronte siriano e iracheno, 21 hanno fatto rientro in Belgio e 28 in Francia.
I bambini al di sotto dei dieci anni rappresentano un problema estremamente serio e una potenziale minaccia alla sicurezza europea per il futuro. Delle centinaia di bambini che avrebbero lasciato l’Europa, 16 sono rientrati in Belgio e 68 in Francia; gli altri sono detenuti in Iraq e Siria, altri trasferiti in paesi terzi con almeno uno dei genitori, ma della maggior parte non si sa nulla.
Se da un lato i convertiti radicalizzati pongono seri problemi in termini securitari, ma anche culturali e sociali, va posta una particolare attenzione alle carceri che continuano a svolgere un ruolo importante sia nell’attivazione che nel rafforzamento del processo di radicalizzazione.
L’origine etnica e geografica dei terroristi jihadisti si impone come importante elemento e strumento di analisi e nel monitoraggio delle reti e delle cellule jihadiste. I gruppi principalmente afflitti dall’adesione al modello jihadista sono quelli marocchini (in Belgio, Spagna e Italia), algerini (in Francia), turchi (in Germania e Paesi Bassi).
Infine, una considerazione sulla questione che si concentra sul possibile collegamento tra immigrati e terrorismo: dal gennaio 2014, 44 rifugiati o richiedenti asilo sono stati coinvolti in 32 complotti jihadisti in Europa. Sebbene la maggior parte di questi soggetti si sia radicalizzata prima dell’ingresso in uno dei Paesi europei, tuttavia i processi di radicalizzazione avviati dopo l’arrivo in Europa sono divenuti più comuni a partire dall’autunno del 2016. Nel complesso, il periodo di latenza tra l’arrivo in Europa e la partecipazione a un’azione terrorista in genere associata allo Stato islamico (di successo o sventata) è di 26 mesi.
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