#ReaCT2020 – Radicalizzazione jihadista: il “tempo di attivazione” dei radicalizzati (F. Pettinari)
di Francesco Pettinari
Scarica #ReaCT2020, il 1° rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa
Nel corso degli ultimi due decenni, la radicalizzazione jihadista in Europa ha iniziato ad assumere i tratti di una minaccia endogena alla sicurezza dei Paesi europei. Infatti, si è registrato un aumento esponenziale nel numero di individui nati e cresciuti (o, perlomeno, residenti) in Paesi europei che, dopo aver intrapreso un percorso di radicalizzazione, ha deciso di mettere in pratica la propria adesione all’ideologia violenta del Jihad.
I processi di radicalizzazione seguiti da individui europei sono principalmente riconducibili a due tipologie: quelli “faccia-a-faccia” e quelli di “auto-radicalizzazione”. Mentre i primi si basano su un contatto diretto tra il soggetto e un mentore, l’”auto-radicalizzazione” avviene principalmente tramite il consumo di materiale propagandistico reperito online, senza la necessità di contatti personali tra l’individuo e altri radicalizzati.
Alla luce dell’accresciuta rilevanza del fenomeno in vari Paesi europei, risulta particolarmente importante investigare sul “tempo di attivazione” degli individui radicalizzati. Per “tempo di attivazione” si intende il lasso di tempo che intercorre tra l’inizio del processo di radicalizzazione dei singoli individui e il compimento della prima azione che segna l’inequivocabile adesione all’ideologia violenta del Jihad. Tali azioni possono essere sia la conduzione di un attacco terroristico che il tentativo di partenza (di successo o meno) per agire come foreign terrorist fighters.
L’analisi qui presentata si basa su una popolazione di 46 soggetti che hanno condotto attacchi terroristici in Europa tra il 2014 e il 2017, 22 dei quali avevano precedentemente tentato di recarsi in aree extra-europee. Per ognuno di essi si è individuata la tipologia del processo di radicalizzazione e definito il tempo di attivazione. 29 individui si sono radicalizzati tramite il contatto diretto con altri soggetti mentre 17 hanno seguito un percorso di “auto-radicalizzazione”.
Tramite analisi statistiche, si è ricavata la probabilità di attivazione dei soggetti in corrispondenza di vari intervalli di tempo, suddivisi in anni. Prendendo in considerazione solo i picchi massimi di probabilità, a cui corrispondono i più elevati livelli di minaccia portata dagli individui radicalizzati, risultano evidenti le differenze negli effetti indotti dai due diversi processi di radicalizzazione.
Come si evince dal grafico, per coloro i quali si radicalizzano tramite processi “faccia a faccia” esiste un periodo di incubazione che, salvo casi sporadici, dura circa 2 anni. Solo in seguito a tale periodo questa categoria di soggetti entra nella sua finestra di massima probabilità di passaggio all’azione. Per contro, l’”auto-radicalizzazione” porta immediatamente gli individui a rappresentare una minaccia diretta per la sicurezza. Si nota, infatti, come la massima probabilità per l’attivazione degli “auto-radicalizzati” sia totalmente compresa all’interno dei primi 12 mesi dal primo contatto con l’ideologia violenta del Jihad. Data l’estrema reattività di questi soggetti, è stato possibile risalire al numero di mesi impiegati dai soggetti per compiere la loro prima azione. In ben 8 casi su 17 l’attivazione è avvenuta entro i primi 6 mesi dall’inizio del processo di radicalizzazione, motivo per il quale il picco massimo di probabilità di attivazione di tale categoria si colloca in corrispondenza di questo momento.
Dunque, appare chiaro che il percorso seguito per abbracciare pienamente l’ideologia violenta del Jihad influenzi il “tempo di attivazione” degli individui radicalizzati, e che tenere in considerazione questo elemento sia necessario per stimare il momento in cui questi soggetti trasporranno in azioni violente la loro adesione all’ideologia. Infatti, è possibile identificare trend e schemi ricorrenti per le due diverse categorie, mentre i risultati trovati studiando l’intera popolazione descrivono un quadro parziale che non fornisce alcuna informazione o suggerimento utile per l’attuazione di misure volte a prevenire il passaggio all’azione degli individui radicalizzati.
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