La guerra in Ucraina arriva fino in Africa. Il commento di M. Cochi a RaiNews24

Mosca ha costruito nel tempo una rete di relazioni economiche e politiche con molti paesi del continente africano che non prendono posizione contro l’aggressione russa

Il servizio originale di RaiNews24 del 20 agosto 2022

https://youtu.be/NMKFP4BsmkQ

Se l’Occidente si è apertamente schierato contro l’invasione russa, nel continente africano Mosca continua a raccogliere consensi, rafforza i legami economici e politici e costruisce una strategia di pressione anche verso l’Europa. Ne abbiamo ripercorso le tappe e le ragioni con Marco Cochi, giornalista esperto di Africa. Insieme ad Andrea Segré, docente di Politiche Agrarie Internazionali all’Università di Bologna abbiamo spiegato come il cibo – i cereali, in questo caso – possa essere utilizzato come un’arma geopolitica e cercato di capire se le istituzioni sovranazionali hanno il potere di invertire la rotta. Leila Belhadj Mohamed, che si occupa di geopolitica per Life Gate, ha analizzato il ruolo della Turchia e l’importanza, per questi temi, di Paesi come il Mali e il Sudan. Conduce Veronica Fernandes


Afghanistan, l’esperto: “Rischio diventi trampolino jihadismo globale” (ADNKRONOS)

di Alessia Virdis, ADNKRONOS

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Bertolotti (Ispi): “Il paradosso di al-Qaeda in parte rappresentata all’interno del governo talebani. Vede i Talebani come modello di riferimento per gruppi insurrezionali, jihadisti e radicali dall’Africa subsahariana al Sudest asiatico”.

‘Ruolo chiave al-Qaeda che considera i Talebani come modello di riferimento per gruppi insurrezionali, jihadisti e radicali dall’Africa subsahariana al Sudest asiatico’

Passato un anno dal ritiro delle forze internazionali e dal ritorno al potere dei Talebani, l’Afghanistan è “di fatto una terra in cui vi è assenza di comando e controllo da parte dell’autorità centrale”, che “addirittura tollera, quando non sostiene direttamente, la presenza di gruppi jihadisti radicali che potrebbero trasformare” il Paese “in un trampolino del jihadismo globale”. Risponde così Claudio Bertolotti, ricercatore associato Ispi e direttore di Start InSight, se gli si chiede quali siano i rischi per un Paese martoriato da decenni di guerre e di nuovo in mano ai Talebani.

Con un passato di missioni in terra afghana, quando “tra il 2003 e il 2008 era a capo della sezione contro-intelligence e sicurezza della Nato”, è stato “uno dei 500 italiani che ha fatto parte dell’operazione Usa ‘Enduring Freedom'” e oggi in un’intervista all’Adnkronos sottolinea la “presenza, non solo indisturbata ma addirittura come ospite formale di Sirajuddin Haqqani, in Afghanistan di Aymar Al-Zawahiri“, il numero uno di al-Qaeda la cui uccisione a Kabul è stata annunciata nei giorni scorsi dagli Usa. Quel Sirajuddin, comandante della ‘rete Haqqani’, vicina ad al-Qaeda, figlio del defunto Jalaluddin Haqqani e da un anno ministro degli Interni del governo talebano.

Bertolotti parla del “ruolo chiave attribuito” ad al-Qaeda in questo Afghanistan, della “presenza nel Paese di un gruppo terroristico con una visione globale”, un gruppo che “nelle parole di Al-Zawahiri ha definito i Talebani come i portatori dell’interpretazione corretta della sharia, che dovrebbe essere applicata a livello globale”, quindi “indicando i Talebani come modello di riferimento per tutti quei gruppi insurrezionali, jihadisti e radicali che dall’Africa subsahariana fino al Sudest asiatico si stanno diffondendo e addirittura consolidando”.

‘minaccia crescente Stato islamico Khorasan, aumenta conflittualità all’interno della compagine talebana’

Al-Qaeda, rileva, “è il principale attore a cui si associa il suo competitor per eccellenza, lo Stato islamico Khorasan”, la “variante” nella regione dello Stato islamico, uno “Stato islamico regionale che si è consolidato territorialmente, compete con il governo talebano e si è trasformato in una minaccia concreta, crescente alla sicurezza stessa dell’Afghanistan inteso come Emirato islamico e ma anche dei suoi cittadini”. La componente sciita in particolare. Quella che, sottolinea, lo “Stato islamico Khorasan ha indicato come principale obiettivo insieme ai Talebani”, considerati dal gruppo “come apostati, corrotti, come coloro che hanno accettato un compromesso con l’Occidente”. E’ in questo ‘quadro’ che si inserisce la notizia della morte in un attacco di un attentatore suicida a Kabul, rivendicato dall’Is-K, di Rahimullah Haqqani, figura influente che sosteneva il governo talebano e si era pronunciato a favore del diritto all’istruzione delle donne.

E, prosegue, “la solidità di questo trampolino del jihad globale accresce col tempo a mano a mano che aumenta la conflittualità all’interno della stessa compagine talebana”. Perché, osserva Bertolotti, “il rischio è che le correnti all’interno del movimento talebano possano trasformare questa competizione per il potere in un confronto armato”. E all’interno di questo possibile confronto armato si inserirebbero “tre variabili”, che l’esperto indica nello Stato islamico Khorasan, nella “galassia di gruppi più o meno piccoli di jihadisti che in Afghanistan si stanno consolidando” e nella “cosiddetta resistenza afghana” – quella identificata con il Panjshir che è diventata il ‘Fronte nazionale di resistenza’ e che è guidata da Ahmad Massoud, il figlio del ‘Leone del Panjshir’ – che “si inserisce in un contesto conflittuale amplificandolo”, pur “non avendo la capacità di poter sconfiggere i Talebani”.

Quello della resistenza afghana, sottolinea Bertolotti, è un “elemento importante, non numericamente, ma da un punto vista politico” in un Afghanistan in cui i “Talebani hanno preso il potere, hanno posto un governo di fatto che però nel concreto non è in grado gestire la cosa pubblica afghana né di garantire quella minima cornice di sicurezza fisica ma anche economica di cui la popolazione ha bisogno”. A questo si aggiunge, rimarca, l’elemento di “‘esclusività” del governo talebano “in contrapposizione all’auspicata inclusività”. Di fatto, osserva, “si è assistito a una presa e consolidamento del potere da parte della forte componente della Shura di Quetta”, la storica leadership talebana “che si è di fatto trasformata in forza di governo esclusiva dell’Emirato islamico dell’Afghanistan”.

‘il paradosso di al-Qaeda in parte rappresentata all’interno del governo talebano’

Escluse dalla spartizione del potere, sottolinea, “le molteplici e variegate realtà talebane che nel corso degli anni e in particolar modo nell’ultimo periodo si sono coalizzate attorno al principale e storico nucleo talebano”. Esclusi in particolare “i Talebani del nord e dell’ovest, la componente uzbeka”. Un governo quello talebano, dice Bertolotti, che “non risponde in toto a quelle che erano le premesse dell’Accordo di Doha” del febbraio 2020 tra i Talebani e gli Usa e che “prevedeva tra i punti i principali l’esclusione dell’influenza ma anche della presenza fisica di associati ad al-Qaeda in territorio afghano”. Il raid Usa contro al-Zawahiri nel centro di Kabul.

E oggi siamo con il “paradosso” di “vedere al-Qaeda in parte rappresentata all’interno” del governo talebano e “con un ruolo di consulenza e confronto, in particolar modo con l’ala più oltranzista legata alla rete Haqqani, alla figura di Sirajuddin Haqqani”, che “si contrappone, un po’ anche in competizione interna, all’altra ala più ‘pragmatica’” quella del malawi Yaqoob – figlio del mullah Omar, il fondatore dei Talebani, e oggi ministro della Difesa dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, fresco di ‘promozione’ da mullah a malawi – e degli “associati” al mullah Baradar, vice premier del governo talebano e di fatto con un’autorità ridimensionata dopo essere stato il protagonista degli Accordi di Doha. E, conclude, “Sirajuddin e Yaqoob sono di fatto i due uomini di fiducia del malawi Haibatullah Akhundzada“, leader supremo dei Talebani.

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Alex Jones e il mondo del cospirazionismo. Focus a cura di Andrea Molle

La parabola del conduttore radiofonico Alex Jones, fondatore del sito Infowars.

La video-analisi con Andrea Molle


Ucciso Al-Zawahiri: cosa accadrà ad al-Qa’ida? Rispondono Bertolotti e Vidino (Adnkronos)

Per analisti al-Qaeda forte dopo al-Zawahiri, successore dall’Africa?

di Melissa Bertolotti, ADNKRONOS

Intervista originale pubblicata su ADNKRONOS

Per Bertolotti dell’Ispi è ”verosimile aspettarsi una reazione contro gli Usa”. Vidino vede tra i possibili successori l’egiziano Saif al-Adel o Abdal-Rahman al-Maghrebi, ma anche leader di gruppi in Africa dove il jihad si sta espandendo.

”Per al-Qaeda non cambia nulla” con l’uccisione del suo leader, l’ideologo egiziano Ayman al-Zawahiri, ”non è che la morte di un vecchio leader carismatico”. Perché ”oggi finisce la guerra al terrore, ma non finisce il terrore”, e a livello politico ”si chiude un’epoca storica, un capitolo importante già chiuso con il ritiro fallimentare dall’Afghanistan”. Ma sul terreno ”al-Qaeda è più forte che mai”, perché abbandonato ”l’idealismo e la visione globale di Osama Bin Laden” si è trasformata in ”una realtà regionale più concreta sul campo proprio grazie a Zawahiri”. Ne è convinto Claudio Bertolotti, analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), che con l’Adnkronos riflette invece su come l’uccisione di al-Zawhiri ”cambi le cose per Biden. Tra tre mesi ci sono le elezioni e i democratici hanno bisogno di avere un presidente che abbia ottenuto dei risultati”.

Al contrario, la morte del successore di Osama Bin Laden ”non avrà un impatto diretto sulle capacità di al-Qaeda”. Anzi, ”ogni volta che un leader del movimento jihadista viene colpito, la reazione non si fa attendere”, così come non tarda ad arrivare ”un nuovo capo che in genere cerca di imporsi con la pianificazione nuovi attentati”. E’ quindi è ”verosimile aspettarsi una reazione di al-Qaeda contro gli Stati Uniti”, afferma Bertolotti, che ricorda come al-Zawahiri considerasse ”controproducente il jihad globale e idealista voluto da Bin Laden, criticava la sua volontà di colpire il Grande Satana, gli Stati Uniti, ovunque, anche in casa sua. Perché ogni azione provoca una reazione”.

La ”rivoluzione” che al-Zawahiri attua dal 2014 porta al-Qaeda a legarsi sempre più a gruppi di opposizione armata, ricorda Bertolotti, citando gli al-Shabab in Somalia e al-Qaeda nel Maghreb islamico nel Nord Africa, la presenza della Rete nell’Africa Sub sahariana e quella nel continente indiano. ”Tutte realtà che si rafforzano e fondano le loro radici con le istanze locali”, creando ”generazioni di combattenti che daranno il via in un futuro ipotetico alla nuova al-Qaeda”, spiega.

Su chi prenderà il posto di Zawahiri alla guida di al-Qaeda, l’analista esclude che possa essere l’attuale ministro degli Interni del governo dei Talebani, Sirajuddin Haqqani, che ospitava il leader terroristico nella sua casa in centro a Kabul dove è stato ucciso. ”Troppo furbo per prendere il posto di al-Zawahiri – spiega Bertolotti – Resterà leader dell’Haqqani network, organizzazione interna ai Talebani, ma autonoma. Non ha alcun interesse a diventare il nuovo capo al-Qaeda”.

Piuttosto, a succedere ad al-Zawahiri potrebbe essere un ”suo amico fraterno, l’ex colonnello egiziano Saif al-Adel”. Oppure Abdal-Rahman ”al-Maghrebi, capo della comunicazione mediatica di al-Qaeda” e genero di al-Zawahiri. In ogni caso si parla di ”un nuovo ideologo, di qualcuno che tenga viva l’al-Qaeda idealista e che non si occupi di far operare le truppe sul territorio”.

”Il futuro di al-Qaeda potrebbe essere in Africa”. E’ lì che si sta rafforzando ed è da lì, probabilmente, che arriverà il nuovo leader dopo l’uccisione di Ayman al-Zawahiri. Anche perché la rete fondata da Osama Bin Laden ”ha perso molto valore sullo scenario globale”, anche se ”ne ha guadagnato con l’ascesa dei Talebani in Afghanistan”. E ”il fatto che Zawahiri sia stato ucciso in centro a Kabul in una casa di proprietà del braccio destro del ministro degli Interni del governo dei Talebani lo dimostra, dimostra che al-Qaeda può operare liberamente nel Paese e ha un suo santuario in Afghanistan”. E’ quanto spiega all’Adnkronos Lorenzo Vidino, direttore del Program on Extremism della George Washington University. ‘

‘Il luogo dove Zawahiri è stato ucciso dimostra che sono veri i timori legati al fatto che il governo dei Talebani avrebbe fatto operare liberamente al-Qaeda”, afferma Vidino, notando ”le implicazioni di policy che questo comporta” anche per il fatto che ”i Talebani vogliamo ricevere fondi dalla comunità internazionale…”.

Insomma, è ”un deja vu, come era successo undici anni fa con Bin Laden ucciso in una villa a poche centinaia di metri da una caserma dell’esercito pachistano”. Ma è anche ”una prova schiacciante, ma non sconvolgente” della protezione che i Talebani forniscono ad al-Qaeda. E’ una ”chiara violazione degli accordi di Doha” perché la casa in cui viveva Zawahiri era di proprietà della rete Haqqani ”che fa da trait d’union tra i Talebani e al-Qaeda”. Ora ”bisognerà vedere questo cosa comporterà, anche se la situazione non cambia. A comandare sono i Talebani e se bisogna interagire con loro alla fine bisogna farlo”, al di là delle ”evidenze di supporto al terrorismo o delle violazioni dei diritti umani e delle donne”.

Sul ”toto candidati per la leadership” di al-Qaeda Vidino vede ”varie possibilità” a partire da ”un paio di candidati interni, il numero 2 Saif al Adel e il numero tre al-Maghrebi, genero di Zawahiri, entrambi pare siano in Iran”. Ma Vidino sottolinea anche che ”negli ultimi anni c’è stato un trend di crescita potenziale di alcuni affiliati, come gli al-Shabab in Somalia, e una perdita di valore di al-Qaeda globale”. Quindi ”potrebbe anche essere possibile che il nuovo leader del gruppo venga dalle affiliazioni”, considerato anche ”il riposizionamento jihadista globale sullo scenario africano”. L’analista spiega come ”il mondo jihadista e al-Qaeda stiano guadagnando terreno in Africa e meno sugli scenari classici come il Medio Oriente”. In ogni caso occorre ”in tempi rapidi trovare un successore” per dimostrare che ”il colpo inferto non sia letale” e ”lo spin che daranno è lo stesso del post morte Bin Laden, ovvero che la scomparsa di un leader non cambia nulla nell’importanza del concetto di Jihad, perché quello che conta sono gli obiettivi e non le persone”.

Comunque sia, al-Qaeda perde ”un suo personaggio importante, leader per 11 anni nonché uno dei fondatori”. Notizia accolta positivamente anche in Arabia Saudita, dove Vidino si trova. ”Nel Golfo, a livello governativo, è cambiato molto rispetto a 20 anni – spiega – Quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e del Golfo non hanno più le ambiguità forti del passato per quanto riguarda il jihadismo. Anche se sicuramente esistono sacche di simpatia”. A fare eccezione è ”il Qatar, non a caso è un tramite con i Talebani e gli accordi sono stati firmati a a Doha”. Ma in Arabia Saudita ”la notizia della morte di Zawahiri è stata data dai telegiornali, come notizia di un giorno e nulla di eclatante”.

Vai all’intervista originale su ADNKRONOS