Ucraina: l’evoluzione sul campo e le munizioni all’uranio impoverito
di Claudio Bertolotti
dal commento di Claudio Bertolotti a “In un’ora” – RaiNews 24 del 22 marzo 2023
La situazione sul campo: iniziativa ancora in mano russa
Le operazioni terrestri in Ucraina, e più in
generale l’intero andamento del conflitto, hanno ormai assunto il carattere di
una lotta d’attrito e logoramento, relegando la manovra militare a poche azioni
tattiche a vantaggio della Russia (Riggi). Di fatto ciò che prevale è la
capacità di mettere forze in campo e disporre di munizionamenti ed
equipaggiamenti. Anche qui la Russia è in una posizione di vantaggio in termini
di quantità. Chi tra i due contendenti riuscirà e avrà la forza di condurre
azioni offensive dovrà tenere conto della sostenibilità sul medio periodo.
Insomma sembra difficile prevedere l’azzardo di una manovra di sfondamento su
tutto il fronte, mentre appare più probabile una pressione costante attraverso
azioni tattiche ripetute e progressive. Non molto diverso da ciò che è accaduto
su quello stesso fronte durante la seconda guerra mondiale.
Le forze russe continuarono limitate operazioni offensive lungo la linea Kupyansk-Svatove-Kreminna e non hanno fatto ottenuto vantaggi nell’area di Bakhmut; continuano le operazioni offensive lungo la periferia della città di Donetsk.
La questione dei
proiettili all’uranio impoverito che arriveranno dalla Gran Bretagna
Sull’uso del munizionamento all’uranio impoverito direi che
è un tema ricorrente in ogni guerra combattuta dagli anni ’70 in poi e al
centro del dibattito pubblico dagli anni ’90, con la Guerra del Golfo di Bosnia
e del Kossovo, dove l’utilizzo è stato ampio. Tutti i paesi usano
munizionamento DU, cosiddetto uranio impoverito: Stati Uniti, Gran Bretagna,
Francia, Russia. E il suo ampio utilizzo che, per quanto dibattuto, è legittimo,
è conseguenza degli indubbi vantaggi operativi: è efficace, perfora con maggiore
efficacia le corazzature dei carrarmati e il cemento armato dei bunker e in più
costa poco (essendo prodotto di scarto degli impianti nucleari). Tra gli
svantaggi certamente quello della contaminazione del terreno, per periodi
brevi, e i rischi per i soggetti, militari e civili, che dovessero inalarne il
particolato in prossimità dell’esplosione.
Cresce la tensione
tra Stati uniti e la Russia. Due le due ragioni fondamentali
La prima è che la Russia dopo un anno di guerra ha
dimostrato di essere in grado, pur a costo di enormi sacrifici, di tenere le
posizioni del fronte in una guerra pressocchè statica, di attrito e logoramento,
che potrebbe durare ancora molto, con il sostegno della Cina e dei suoi alleati
minori e sostenuta attraverso una progressiva mobilitazione degli scaglioni di
coscritti, certo sempre meno preparati alla guerra ma in quantità sufficiente
per mantenere l’iniziativa.
La seconda è che il tempo che ha la Russia è molto più di
quello che hanno a disposizione gli Stati Uniti. Così come in tutte le guerre –
dall’Iraq all’Afghanistan – gli appuntamenti elettorali hanno imposto i tempi e
i modi della guerra. L’imminente avvio della campagna elettorale per le
presidenziali sarà determinante per le prossime scelte strategiche, anche
tenuto conto del fatto che il contribuente-elettore statunitense non è
particolarmente entusiasta dei costi crescenti di questa guerra che, ad oggi
avrebbe visto impegnati oltre 40miliardi di dollari: agli oppositori
repubblicani potrebbero così aggiungersi anche i democratici che non rispondono
al Presidente, bensì ai loro elettori.
Xi incontra Putin a Mosca: il peso della parola “amicizia”
di Claudio Bertolotti
Vladimir Putin ha incontrato il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping
Il messaggio di questa visita: Xi “caro amico di Putin” o più Xi “negoziatore”?
L’evento è la testimonianza concreta di un’amicizia
illimitata tra Pechino e Mosca, per la Cina, in particolare, è un passo avanti
nell’arena internazionale all’interno della quale intende imporsi come antagonista
agli Stati Uniti partendo dal Pacifico, che Washington ritiene essere il
pilastro primario della supremazia statunitense, all’Africa e all’Europa dove
oggi si sta combattendo una guerra convenzionale.
Vi è poi un aspetto interessante in cui alla visione strategica della Cina si sommano alcuni fattori personali. Interessante notare come il presidente Xi Jinping abbia definito Putin “caro amico”, il che significa dal punto di vista cinese, comunanza di visione politica del mondo, e non certo amicizia personale con Putin; a questo elemento dobbiamo aggiungere il radicato legame famigliare e affettivo di Xi Jinping con una Russia che ha avuto modo di conoscere grazie all’esperienza politica del padre e sua personale. Un risultato che fa del presidente cinese un leader con una visione strategica di lungo periodo.
La Cina sostiene sempre una politica estera indipendente. Consolidare e sviluppare bene le relazioni Cina-Russia è una scelta strategica che la Cina ha fatto sulla base dei propri interessi fondamentali e delle tendenze prevalenti del mondo.
Xi Jinping
Rischio o opportunità per gli Usa e per l’Ucraina?
La Cina sta tentando, in parte riuscendoci, di giocare con la Russia il ruolo che Washington gioca a favore dell’Ucraina senza però esporsi perchè non vuole essere coinvolta in uno scontro diretto, ma al tempo stesso non può permettere che la leadership di Putin venga danneggiata o peggio sostituita da una nuova classe politica che potrebbe avvicinare Mosca all’Occidente. Questo sarebbe lo scenario peggiore per la Cina, che perderebbe un alleato fondamentale.
La Cina ha pubblicato un documento sulla sua posizione sulla crisi ucraina, sostenendo la soluzione politica della crisi e rifiutando la mentalità della Guerra Fredda e le sanzioni unilaterali.
Xi Jinping
Al contempo la Cina continua a mantenere un atteggiamento ambiguo a fronte del quale si colloca la necessaria opportunità del presidente Joe Biden di concludere in qualche modo il conflitto prima dell’avvio della campagna elettorale che, negli Stati Uniti, si rivolge a quei contribuenti-elettori che mal volentieri guardano agli importanti aiuti dell’ordine di 40miliardi stanziati da Washington per l’Ucraina.
la Russia apprezza la Cina per aver costantemente sostenuto una posizione imparziale, obiettiva ed equilibrata e per aver sostenuto equità e giustizia sulle principali questioni internazionali. La Russia ha studiato attentamente il documento di posizione della Cina sulla soluzione politica della questione ucraina ed è aperta ai colloqui per la pace. La Russia accoglie con favore la Cina per svolgere un ruolo costruttivo in questo senso.
Vladimir Putin
La visita di Xi Jinping a Mosca ha innervosito Washington, e
questo è già un risultato importante. La dimostrazione è nell’immediata
risposta politica statunitense che non si è fatta attendere poichè concomitantemente
con l’arrivo del presidente cinese a Mosca, la Casa Bianca ha annunciato un
nuovo e importante pacchetto di aiuti militari.
E in tutto questo, Mosca e Kiev sembrano dipendere sempre
più da quelle che saranno le decisioni politiche dei loro rispettivi alleati.
Vent’anni fa la guerra in Iraq. L’anniversario scomodo di una guerra dalle conseguenze irreversibili per l’ordine internazionale
20 anni dall’invasione dell’Iraq: è un anniversario scomodo per l’Occidente e, se sì, perché?
La guerra in Iraq è una delle guerre più controverse e disastrose degli ultimi decenni; una guerra in cui gli effetti negativi hanno superato di gran lunga qualsiasi possibile risultato positivo.
Parte dell’opinione pubblica di allora ha oggi allontanato
le emozioni e i sentimenti provati e vissuti vent’anni fa in occasione della
guerra in Iraq che seguì, di poco, quella maggiormente coinvolgente in
Afghanistan. Un’altra parte dell’attuale opinione pubblica, per ragioni
generazionali, non ha vissuto quei momenti e colloca l’evento in un momento
storico privato della sua componente emotiva. Detto questo, credo che la
risposta sia: “sì, l’anniversario dell’invasione dell’Iraq del 20 marzo 2003 è
scomodo per l’Occidente, e lo è per diverse ragioni”.
La prima di queste ragioni è la consapevolezza di una
ricercata manipolazione dell’opinione pubblica volta a convincerla della
necessità e della bontà dell’intervento militare: ricordiamo tutti l’imbarazzo
del segretario di Stato Colin Powel davanti al Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite mostrare una provetta contenente borotalco, asserendo si
trattasse di antrace per
giustificare l’emergenza di un intervento militare Guerra basata su informazioni
sbagliate. L’invio delle truppe statunitensi in Iraq si basava principalmente
su informazioni errate o addirittura inventate sulle armi di distruzione di
massa (WMD) possedute dal regime di Saddam Hussein. Quando si scoprì che queste
informazioni erano false, molti accusarono l’amministrazione Bush di aver
manipolato l’opinione pubblica per giustificare la guerra.
Un’altra ragione sono i costi della guerra. L’invasione
dell’Iraq ha comportato un costo enorme in termini di vite umane e risorse
finanziarie. Secondo alcune stime, la guerra ha causato la morte di oltre
100.000 civili iracheni e più di 4.400 militari americani, oltre a un costo
stimato di 1,7 trilioni di dollari.
Una terza ragione è l’avvio di un periodo (ancora in corso)
di instabilità regionale. L’invasione dell’Iraq ha destabilizzato l’intera
regione del Medio Oriente, creando un vuoto di potere che ha permesso la
nascita di gruppi estremisti come lo Stato islamico (ISIS) Creando al contempo tensioni
tra i paesi dell’Occidente e quelli musulmani, alimentando il sentimento
anti-occidentale in molte parti del mondo.
Una quarta ragione, infine, è data dai dubbi sulla
legittimità dell’azione militare. La guerra in Iraq ha diviso l’opinione
pubblica sia negli Stati Uniti che in Europa. L’assenza di un mandato del
Consiglio di sicurezza dell’ONU e la mancanza di una minaccia imminente alla
sicurezza nazionale degli Stati Uniti hanno portato molti a chiedere il perché dell’avvio
della guerra.
E ancora oggi, per fortuna, la guerra in Iraq continua a
suscitare dibattiti sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo e sulla
giustificazione delle azioni militari unilaterali.
Le conseguenze della guerra in Iraq continuano ad avere ripercussioni sul Medioriente?
La guerra in Iraq, iniziata vent’anni fa, è un punto di
rottura sul piano delle relazioni internazionali e una svolta su quello degli
equilibri geopolitici a livello regionale e globale. Un fatto storico che ha
determinato l’impossibilità di ritorno all’ordine internazionale precedente,
come quello della Guerra Fredda o del primo periodo post-Guerra Fredda.
Parliamo di cambiamenti irreversibili tanto da determinare
ancora oggi i ritmi della politica regionale e le scelte in campo
internazionale in cui giocano ora tre attori determinanti: Stati Uniti,
Russia e Cina che determinano e sono condizionati dalla conflittualità competitiva
tra Arabia Saudita e Iran e dalle
dinamiche di allineamento degli altri attori minori che , a cui altri attori
sono obbligati ad adattarsi; e nelle sue istituzioni regionali, che mostrano
tutti marcati cambiamenti e nuovi orientamenti. Al contempo non dobbiamo
dimenticare il ruolo di influenza, non marginale, che la guerra in Iraq ha
avuto sui fenomeni rivoluzionari e insurrezionali delle cosiddette Primavere arabe
che si sarebbero sviluppati dopo pochi anni.
L’invasione dell’Iraq ha rappresentato un punto di rottura nell’ordine internazionale e ha portato a rapidi cambiamenti negli equilibri di potere regionali, che hanno costretto alla diversificazione delle alleanze e dei quadri istituzionali. Ciò è stato dimostrato dagli eventi più recenti, come la dipendenza dalla Cina e dalla Russia per le forniture di vaccini durante la pandemia di COVID-19 e l’emergere di nuove relazioni internazionali, come quella tra Iran e Russia e quella tra gli stati arabi e Israele riflessa negli accordi di Abramo del 2020. La guerra in Ucraina ha dimostrato come gli stati arabi filo-occidentali si siano astenuti dal criticare l’invasione russa, mentre altri stati si sono avvicinati a Mosca.
Qual è oggi la situazione dell’Iraq, sia a livello politico che di sicurezza?
L’Iraq è un paese in difficoltà, ma ci sono anche segnali di
progresso. La situazione politica e di sicurezza rimane instabile, ma ci sono
sforzi in corso per migliorare la situazione.
L’instabilità politica e di sicurezza evidenzia il permanere
di numerosi problemi da affrontare e risolvere. Sul piano politico, il paese ha
affrontato numerose crisi, compresa la recente crisi costituzionale del
2019-2020, caratterizzata da proteste popolari e dimissioni di funzionari
governativi. Inoltre, la situazione è complicata dalla divisione tra le fazioni
politiche e le tensioni etniche e religiose.
Dal punto di vista della sicurezza, l’Iraq si trova ancora
sotto la minaccia del terrorismo e delle milizie armate. Sebbene lo Stato
Islamico sia stato sconfitto in gran parte del paese, ancora perpetrano
attacchi terroristici. Inoltre, le milizie armate filo-iraniane ancora presenti,
rappresentano una minaccia per la stabilità del paese.
L’Iraq ha anche affrontato una serie di sfide economiche e
sociali, inclusa la carenza di servizi essenziali, la disoccupazione e la
corruzione. Tuttavia, il paese ha anche fatto progressi in alcuni settori, come
l’energia, e sta cercando di attirare investimenti stranieri per stimolare la
crescita economica.
In tale contesto non dobbiamo sottovalutare l’assertività di
tre importanti attori: Russia, Cina e Iran, che cercando di aumentare la loro
influenza in Iraq attraverso diverse azioni.
In primo luogo, la Russia sta cercando di espandere la sua
presenza economica in Iraq, soprattutto nel settore energetico. Mosca ha
stretto accordi con il governo iracheno per l’estrazione di petrolio e gas, e
ha fornito assistenza militare sotto forma di armi e consiglieri militari.
Anche la Cina sta cercando di espandere la propria influenza
economica e commerciale, offrendo investimenti e assistenza tecnica in diversi
settori. Pechino ha inoltre stretto accordi energetici con l’Iraq, e ha
recentemente firmato un accordo per costruire una linea ferroviaria ad alta
velocità tra Baghdad e Basra.
L’Iran, invece, ha mantenuto una forte presenza politica,
economica e militare, e ha sostenuto attivamente il governo iracheno nella
lotta contro l’ISIS poi evoluto nel fenomeno “Stato islamico” dal 2014. Teheran
ha inoltre stretto accordi commerciali e di sicurezza con il governo iracheno,
e ha supportato diverse milizie sciite in Iraq.
In generale, i tre paesi cercano di aumentare la loro influenza nel paese attraverso investimenti, aiuti economici e militari, e accordi commerciali. Tuttavia, la presenza e l’influenza degli Stati Uniti in Iraq rimane forte, e gli sforzi di Russia, Cina e Iran potrebbero essere ostacolati da una crescente opposizione irachena alle ingerenze straniere.
Timeline della guerra in Iraq (CNN)
CNN (original article) — Here’s a look at the Iraq War which was known as Operation Iraqi Freedom until September 2010, when it was renamed Operation New Dawn. In December 2011, the last US troops in Iraq crossed the border into Kuwait, marking the end of the almost-nine year war.
November 8, 2002 – The UN Security Council adopts Resolution 1441, giving Iraq a final chance to comply with its “disarmament obligations” and outlining strict new weapons inspections with the goal of completing the disarmament process. The resolution threatens “serious consequences” as a result of Iraq’s “continued violations of its obligations.”
February 14, 2003 – UN Chief Weapons Inspector Hans Blix reports to the UN Security Council that his team has found no weapons of mass destruction in Iraq.
March 17, 2003 – Bush issues an ultimatum to Hussein and his family – leave Iraq within 48 hours or face military action.
March 19, 2003 – Bush announces US and coalition forces have begun military action against Iraq.
March 20, 2003 – Hussein speaks on Iraqi TV, calling the coalition’s attacks “shameful crimes against Iraq and humanity.”
April 9, 2003 – Coalition forces take Baghdad. A large statue of Hussein is toppled in Firdos Square. The White House declares “the regime is gone.”
May 1, 2003 – Speaking on the USS Abraham Lincoln, Bush declares “major combat operations” over, although some fighting continues.
May 22, 2003 – The UN Security Council approves a resolution acknowledging the US and Great Britain’s right to occupy Iraq.
July 22, 2003 – Hussein’s sons, Uday and Qusay, are killed by US forces.
December 13, 2003 – Hussein is captured in Tikrit.
June 28, 2004 – The handover of sovereignty to the interim Iraqi government takes place two days before the June 30 deadline previously announced by the US-led coalition.
June 30, 2004 – The coalition turns over legal control of Hussein and 11 other former top Iraqi officials to the interim Iraqi government. The United States retains physical custody of the men.
September 6, 2004 – The number of US troops killed in Iraq reaches 1,000.
November 2004 – US and Iraqi forces battle insurgents in Falluja. About 2,000 insurgents are killed. On November 14, Falluja is declared to be liberated.
October 25, 2005 – The number of US troops killed in Iraq reaches 2,000.
November 5, 2006 – The Iraqi High Tribunal reaches a verdict in the 1982 Dujail massacre case. Hussein is found guilty and sentenced to death by hanging, pending appeal.
December 30, 2006 – Hussein is hanged.
December 30, 2006 – The number of US troops killed in Iraq reaches 3,000.
January 10, 2007 – A troop surge begins, eventually increasing US troop levels to more than 150,000.
September 3, 2007 – Basra is turned over to local authorities after British troops withdraw from their last military base in Iraq to an airport outside the city.
March 22, 2008 – The number of US troops killed in Iraq reaches 4,000.
July 16, 2008 – The surge officially ends, and troop levels are reduced.
December 4, 2008 – The Iraqi Presidential Council approves a security agreement that paves the way for the United States to withdraw completely from Iraq by 2011.
January 1, 2009 – The US military hands over control of Baghdad’s Green Zone to Iraqi authorities.
February 27, 2009 –US President Barack Obama announces a date for the end of US combat operations in Iraq: August 31, 2010.
June 30, 2009 – US troops pull back from Iraqi cities and towns and Iraqi troops take over responsibility for security operations.
August 19, 2010 – The last US combat brigade leaves Iraq. A total of 52,000 US troops remain in the country.
September 1, 2010 – Operation Iraqi Freedom is renamed Operation New Dawn to reflect the reduced role US troops will play in securing the country.
May 22, 2011 – The last British military forces in Iraq, 81 Royal Navy sailors patrolling in the Persian Gulf, withdraw from the country. A total of 179 British troops died during the country’s eight-year mission in Iraq.
October 17, 2011 – A senior US military official tells CNN that the United States and Iraq have been unable to come to an agreement regarding legal immunity for US troops who would remain in Iraq after the end of the year, effectively ending discussion of maintaining an American force presence after the end of 2011.
October 21, 2011 – Obama announces that virtually all US troops will come home from Iraq by the end of the year. According to a US official, about 150 of the 39,000 troops currently in Iraq will remain to assist in arms sales. The rest will be out of Iraq by December 31.
December 15, 2011 – American troops lower the flag of command that flies over Baghdad, officially ending the US military mission in Iraq.
December 18, 2011 – The last US troops in Iraq cross the border into Kuwait.
Dallo stallo ai due possibili schemi di manovra offensiva russa.
Analisi del primo anno di guerra e la prospettiva della Storia militare
Dopo un ciclo operativo sostanzialmente favorevole ai russi, che si era concretizzato nel periodo maggio-luglio 2022 (battaglia del Donbas), con la conquista da parte delle forze di Mosca della città portuale di Mariupol (con la quale la Russia si è assicurata il controllo di tutta la costa settentrionale del Mar d’Azov) Severodonetsk e Lysichansk, l’offensiva di Mosca ha raggiunto il suo punto culmine. Le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del conflitto, avrebbero ormai assunto il carattere di una lotta basata sull’attrito, molto più che sulla manovra. Una vera “Materialschlacht”, ossia una “battaglia di materiali”, come questa veniva definita dalla classica terminologia militare tedesca, dove la forza del numero e dell’acciaio hanno un ruolo preminente.
Key Takeaways:
La capacità offensiva russa ha raggiunto il culmine
(maggio-luglio);
Il momentum
ucraino: la svolta grazie al sistema HIMARS (agosto-novembre);
L’esaurimento ucraino e la ripresa russa alla fine del
2022;
L’attesa dell’offensiva russa: la manovra dei 300.000
prima della “Rasputitsa”;
La guerra di manovra della Nato: dalla “difesa attiva”
alla dottrina Air-Land Battle;
Gli insegnamenti della Storia
militare per comprendere la “manovra” russa;
La prima lezione appresa: campo
di battaglia trasparente e importanza del livello tattico;
La capacità offensiva russa ha
raggiunto il culmine (maggio-luglio)
La guerra in
Ucraina è entrata nel suo primo anno, e oltre ad alcune annotazioni relative
all’andamento attuale delle operazioni è oggi possibile formulare
considerazioni e ipotesi di carattere generale, frutto delle informazioni e del
materiale attualmente disponibili. Ciò con la pur sempre doverosa avvertenza
che praticamente nulla può ancora essere ritenuto consolidato e definitivo,
nella considerazione che l’oggetto di studio è un conflitto ancora in pieno
svolgimento e dall’esito incerto.
Dopo un ciclo
operativo sostanzialmente favorevole ai russi, che si era concretizzato nel
periodo maggio-luglio 2022 (battaglia del Donbas), con la conquista da parte
delle forze di Mosca della città portuale di Mariupol (con la quale la Russia
si è assicurata il controllo di tutta la costa settentrionale del Mar d’Azov)
Severodonetsk e Lysichansk, l’offensiva di Mosca ha raggiunto il suo punto
culmine. A proposito di quest’ultima definizione, giova ricordare come essa sia
dottrinalmente definita come il momento di un’operazione in cui le capacità
operative di chi la conduce non consentono più l’assolvimento della missione, o
nel caso specifico di un’offensiva, quando quella dell’attaccante tende a
equivalersi con quella del difensore, andando a rallentare, fino ad arrestarla,
la sua progressione. A causa di ciò, le forze russe non sono riuscite nemmeno a
intaccare la successiva linea fortificata ucraina della regione del Donbas,
quella corrispondente all’allineamento Sloviansk-Kramatorsk.
Il momentum ucraino: la svolta grazie al sistema HIMARS
(agosto-novembre)
In seguito, nel
prosieguo delle settimane estive, si è assistito a un sostanziale stallo delle
operazioni, situazione caratterizzata però da una crescente intensità delle
azioni di fuoco di interdizione in profondità condotte dall’artiglieria
ucraina. Queste si sono svolte in particolare grazie alle forniture di uno
specifico sistema: il lanciarazzi multiplo statunitense HIMARS (High
Mobility Artillery Rocket System), che con le sue munizioni guidate (razzi
M-30/M-31 con gittata di 70 Km) ha rappresentato un “fattore” nel colpire tutta
una serie di obiettivi nella “zona arretrata” delle forze russe. Anche grazie
all’efficacia di queste attività, dalla fine di agosto si è materializzata una
massiccia controffensiva ucraina, sviluppatasi dapprima contro la testa di
ponte di Kherson, nel settore meridionale, poi, a partire dal 6 settembre, in
quello orientale, a sud di Kharkiv. L’attacco su Kherson, condotto con ingenti
forze e su tre direttrici, ha subito incontrato una forte resistenza e
nonostante alcuni progressi iniziali è stato in seguito sostanzialmente
contenuto da un dispositivo difensivo predisposto in precedenza e articolato in
profondità su tre linee difensive. Le operazioni ucraine nel quadrante est, al
contrario, hanno avuto subito un travolgente successo, che nel volgere di poche
settimane ha costretto le forze russe ad abbandonare non solo le importanti
posizioni di Kupiansk, Izium e Lyman, ma anche a ripiegare dall’intero oblast
di Kharkiv.
Nel prosieguo delle
settimane autunnali l’iniziativa è rimasta saldamente nelle mani delle forze di
Kiev, che ad est, dopo aver attraversato il fiume Oskil, hanno continuato a
spingere verso la linea Svatove-Kremmina. A sud gli ucraini hanno mantenuto una
costante pressione sulla testa di ponte di Kherson, spingendo alla fine i russi
ad abbandonarla – ripiegamento condotto peraltro in buon ordine e riducendo al
minimo le perdite – completandone l’evacuazione entro l’11 novembre per
attestarsi sulla riva sinistra del Dnepr, dove hanno proseguito i lavori di
rafforzamento delle posizioni difensive. In seguito però l’intensità e il ritmo
delle operazioni offensive ucraine sono venuti meno, e in poco tempo il loro “momentum” è scemato fino a spegnersi del
tutto; quest’ultimo concetto, in particolare, è un preciso parametro operativo
definito oggi dottrinalmente come la combinazione tra la velocità di
progressione di un’offensiva e il mantenimento dell’iniziativa. A tale
riguardo, comunque, altri autori classici nello studio dell’arte militare
contemporanea avevano in precedenza coniato diverse definizioni del concetto di
momentum, come ha fatto il brigadiere
Richard E. Simpkin, un ufficiale dell’esercito britannico, nel suo libro
pubblicato negli anni ’80 dello scorso secolo, “Race to the Swift”, il
quale lo ha descritto come il prodotto di velocità, massa di forze impegnate e
risultante celerità con la quale viene assolta una missione assegnata. Si
tratta di una teoria che, ripresa e ampliata da un altro ufficiale, lo
statunitense Robert Leonhard nel suo “The art of Maneuver”, applica alle
operazioni militari terrestri (specie quelle offensive) termini e definizioni
mutuati da quella branca della fisica che è la meccanica, associando in qualche
modo lo studio dei movimenti e delle azioni degli eserciti a quello dei corpi
materiali. In questo modo, dopo questi studi ci si è azzardati a parlare della
teorizzazione di una sorta di “phisics of
war”. Accade così, ad esempio, che una formazione lanciata all’attacco vede
quello che è tradizionalmente chiamato “impeto” assimilato al concetto fisico
di inerzia.
L’esaurimento ucraino e la ripresa
russa alla fine del 2022
All’inizio di
dicembre gli sforzi ucraini volti a scardinare la linea Svatove-Kremmina, a est
del fiume Oskil, dove la difesa russa si era alla fine irrigidita dopo una
serie di ripiegamenti, non hanno avuto esito e i tentativi di riconquistare
queste due stesse località sono gradualmente stati fermati. Nello stesso mese,
quasi con la stessa gradualità, l’iniziativa in quasi tutti i settori è
nuovamente passata dalla parte russa, dapprima con una serie di contrattacchi
volti ad arrestare definitivamente l’azione avversaria, poi con operazioni
sempre più autonome e ad ampio respiro. Come noto, l’epicentro della lotta si è
concentrato nel settore di Bakhmut, insediamento situato 30 Km a sud-est di
Kramatorsk. A proposito di quest’ultima località, dove una violenta e
sanguinosa battaglia è in corso da quasi due mesi, inizialmente diversi
commentatori si sono affrettati a definirla “priva di significato” e di valore
“puramente simbolico”. In realtà, con un’analisi più approfondita dal punto di
vista tattico, si può rilevare come si tratti di un centro urbano di non
trascurabili dimensioni, e come tale rappresenta un ostacolo per l’attaccante e
specularmente un’opportunità per il difensore, caratteristiche che lo rendono
intrinsecamente importante. Inoltre, Bakhmut si trova in posizione baricentrica
rispetto a un sistema di strade che si diramano verso tutte le direzioni, la
principale delle quali è l’autostrada M-03, che puntando a nord-ovest, passando
per Sloviansk, collega la regione del Donbas con il resto dell’Ucraina e la
capitale Kiev. La conquista di Bakhmut consentirebbe dunque ai russi di
assumere il controllo di un importante snodo di comunicazioni, e di quello che
rappresenta il bastione e l’ancoraggio meridionale della linea difensiva
fortificata Sloviansk-Kramatorsk. Pertanto, con Bakhmut le forze russe
potrebbero disporre di una valida base di partenza per approcciare questa linea
difensiva da sud-est. Alla luce di ciò, si può comprendere dunque bene il
perché, a loro volta, le unità ucraine stiano conducendo una tenacissima
battaglia difensiva per scongiurare questa eventualità. In effetti, anche la
caparbia difesa di Severodonetsk, la scorsa estate, pur essendosi conclusa alla
fine con la ritirata dalla città, potrebbe aver inflitto agli attaccanti un
attrito tale da rendere impossibile la prosecuzione di ulteriori operazioni
verso ovest.
L’attesa dell’offensiva russa: la
manovra dei 300.000 prima della “Rasputitsa”
Al di là di quella
che è la sommaria descrizione degli ultimi sviluppi operativi del conflitto,
dopo mesi di guerra alcuni importanti risvolti di carattere generale stanno
emergendo e, soprattutto, stanno facendo scaturire interrogativi che sono al
momento oggetto di discussione sulle fonti più autorevoli e qualificate nel
campo degli studi strategico-militari. I mass
media si sono concentrati nelle ultime settimane sulla “grande offensiva”
russa, che starebbe per abbattersi sulle forze ucraine con i nuovi rinforzi
giunti sul fronte grazie alla mobilitazione iniziata lo scorso settembre. Di
certo, se l’apparato militare di Mosca riuscirà a trasformare in effettivo potenziale
di combattimento i 300.000 uomini mobilitati (secondo alcune fonti sarebbero in
realtà quasi 500.000), questo potrebbe avere un impatto decisivo a suo favore.
A tale riguardo, probabilmente, è stato proprio l’arrivo delle prime aliquote
di personale richiamato con questo provvedimento a consentire ai comandi russi
di stabilizzare la difficile situazione venutasi a creare in autunno e poi
riguadagnare l’iniziativa in tutti i settori del fronte. In caso contrario,
sarà molto difficile, se non impossibile, per la Russia poter sperare di
raggiungere i propri obiettivi nel conflitto, anche nel medio-lungo termine.
Secondo vari
commentatori, non senza qualche ragione, questa grande offensiva di Mosca
sarebbe già virtualmente iniziata, quantomeno nelle sue fasi preliminari, pur
tenendo conto del fatto che tra non molto, almeno teoricamente, il
sopraggiungere della stagione primaverile e della conseguente “Rasputitsa” farà riapparire il fango
provocato dal disgelo, il quale tornerà nuovamente a ostacolare le operazioni,
in particolare quelle delle forze mobili. Vi sono anche diverse ipotesi riguardo
alle possibili direttrici d’attacco principali, il concetto di operazione, e
gli obiettivi finali.
Tuttavia, non è
detto che questi sforzi offensivi possano sfociare in una fase
“manovrata” vera e propria. In verità, proprio questo è un aspetto
che merita un particolare ragionamento e, in qualche modo, un certo sforzo di
contestualizzazione. Occorre infatti notare che, soprattutto in occidente, ci
si è abituati, in particolare dalla seconda guerra mondiale in poi, a vedere
operazioni terrestri nelle quali la manovra – definita come il movimento di
forze e concentramento del fuoco finalizzate ad acquisire una posizione di
relativo vantaggio sull’avversario ai fini del conseguimento dell’obiettivo –
ha molto spesso, se non quasi sempre, avuto un ruolo rilevante e decisivo.
Dalla “primavera di vittorie” del 1940, con la quale la “blitzkrieg” condotta dalla Wehrmacht
schiacciò la Francia e il corpo di spedizione britannico che aveva preso parte
alla sua difesa, alle “corse” della Terza Armata americana del generale Patton
in Europa Occidentale nel 1944, fino alle grandi offensive dell’Armata Rossa
nelle fasi finali del conflitto, il secondo conflitto mondiale ha sancito come
sia da attribuire la massima importanza alla guerra di manovra quale modalità
decisiva per la vittoria. Anche nel secondo dopoguerra l’attenzione di militari
e studiosi si è concentrata sugli altri significativi eventi bellici nei quali
questa modalità di impiego delle forze terrestri si è rivelata determinante. Ciò
è avvenuto in particolare riguardo le guerre che si sono svolte in Medio
Oriente tra Israele e gli stati arabi (nel 1967 e nel 1973), dove proprio le
fulminee operazioni offensive israeliane, condotte secondo i tipici dettami
dell’approccio manovriero, furono decisive per l’esito finale di questi
conflitti.
La guerra di manovra della Nato: dalla
“difesa attiva” alla dottrina Air-Land
Battle
In realtà, con
particolare riferimento agli esempi citati, è sicuramente più corretto definire
questa tipologia di operazioni come “aero-terrestri”, poiché è stato proprio il
binomio forze corazzate-aviazione tattica la formula vincente, tanto nella Blitzkrieg
tedesca delle fasi iniziali della seconda guerra mondiale, quanto nelle
offensive condotte dalle forze armate di Israele nei vari conflitti che le
videro contrapposte a quelle arabe. In particolare, all’indomani della guerra
del Kippur del 1973, le “lezioni apprese” in campo dottrinale furono
attentamente studiate in occidente, sulla base dell’esigenza della NATO di
trovare una formula tattica per fronteggiare quelle che sarebbero state le
forze del Patto di Varsavia, preponderanti dal punto di vista numerico, sul
fronte centrale europeo. In questo caso, il problema si presentava pressoché
identico a quello che gli israeliani dovettero risolvere durante il conflitto
del 1973, in particolare sul fronte del Golan. A onor del vero, la dottrina
tattica che scaturì da quella analisi, sancita dal Field Manual 100-5
del 1976 dell’esercito statunitense, prevedeva lo sviluppo di un sistematico e
reiterato volume di fuoco da posizioni di combattimento preparate, con
l’esecuzione di contrattacchi al solo fine di neutralizzare le eventuali
penetrazioni avversarie nel dispositivo difensivo. Questo concetto operativo fu
recepito dalla NATO con la cosiddetta “difesa attiva”, che effettivamente non
poteva dirsi esattamente orientata sui canoni della guerra di manovra, quanto
piuttosto sull’idea di imporre all’avversario (attaccante) un tasso di attrito
tale da esaurirne il potenziale di combattimento e spezzarne così il “momentum”. Ma quasi subito la “difesa
attiva” si attirò le critiche di chi la considerava troppo “statica” e
sostanzialmente passiva, pertanto non idonea a ottenere una vittoria decisiva
che gli immutabili principi dell’arte della guerra, frutto di millenni di
esperienza bellica, hanno indicato come ottenibile solo con la salda
acquisizione e il mantenimento dell’iniziativa e la conseguente condotta di
operazioni offensive.
Non passò dunque
molto tempo prima dell’affermarsi di un ulteriore e importante evoluzione
dottrinale, quella che sancì l’affermazione della cosiddetta “Air-Land
Battle”. Questa, con la sua enfasi posta sull’impiego di mezzi di
erogazione del fuoco a lunga gittata – impieganti munizionamento guidato di
precisione – e delle forze aerotattiche per colpire le retrovie e le unità in
secondo scaglione dell’esercito sovietico (considerate il Centro di Gravità
delle formazioni Sovietiche in attacco), poneva le premesse per indicare poi
come imprescindibile la vigorosa ripresa dell’iniziativa e l’esecuzione di
controffensive ad ampio raggio e in profondità con l’impiego delle forze
mobili, sempre ampiamente supportate dal fuoco aereo. In buona sostanza, si
trattò di un ritorno a pieno titolo della concezione occidentale delle
operazioni terrestri sotto la forma della guerra di manovra. Questa è stata
definita con precisione nel quadro del noto concetto di “approccio indiretto”,
già teorizzato da illustri pensatori militari della prima metà del XX secolo,
come il celebre ufficiale britannico B.H. Liddel Hart (passato alla storia come
“il capitano che insegnò la guerra ai generali”), ma che a ben guardare
affondava le sue lontanissime origini anche nell’opera di colui che fu
probabilmente il primo vero teorico dell’arte bellica di cui abbiamo memoria:
il cinese Sun Zu. L’approccio indiretto prescrive l’ottenimento della vittoria
non (o meglio non principalmente) attraverso la distruzione fisica delle forze
dell’avversario, bensì attraverso la sopraffazione della sua volontà e della
sua tenuta morale per mezzo di astute e attente manovre volte a neutralizzarne,
fino ad azzerarlo del tutto, la capacità e/o volontà di operare. Andando a
recepire questi precetti senza tempo, oggi il corpus dottrinale occidentale e NATO definisce il potenziale di
combattimento (“combat power”) di una forza militare come composto da
tre componenti fondamentali: fisica, cognitiva e morale. Il cosiddetto
approccio manovriero, che rappresenta uno dei cardini fondamentali della nostra
concezione delle operazioni militari terrestri, preconizza la compromissione
delle componenti cognitiva e morale (ossia quelle “immateriali” per
definizione, rappresentate dai processi decisionali, dalle informazioni
disponibili, dalla consapevolezza della situazione e dalla volontà di
combattere) del potenziale di combattimento nemico attraverso operazioni
offensive rapide e risolutive, e subito dopo, in modo “indiretto”, anche di
quella fisica, che cadrebbe così come un frutto maturo nella mani del vincitore.
Attualmente, nell’Alleanza
Atlantica e in ambito nazionale, si è dunque giunti a ritenere la “manoeuver
warfare“, e i suoi corollari quali il comando decentralizzato e il
processo di apprendimento e adattamento, come la via migliore e la più efficace
da perseguire: e questo per numerosi buoni motivi. Come dimostrato dalle
esperienze belliche del passato, con la sua applicazione si può ragionevolmente
sperare di vincere in modo rapido, e quindi “economico” in termini di materiali
e, soprattutto, di vite umane. Non è un caso, infatti, se lo stesso Liddel
Hart, memore ed egli stesso vittima del carnaio del primo conflitto mondiale
(era rimasto ferito e debilitato permanentemente a seguito di un attacco
condotto con l’uso di gas tossici), aveva elaborato le sue idee anche e soprattutto
allo scopo di evitare il tragico ripetersi di una sanguinosa guerra di
posizione come quella che aveva vissuto personalmente sul fronte occidentale
nel 1914-18.
Gli insegnamenti della Storia
militare per comprendere la “manovra” russa
Tuttavia, nella
lunga e articolata storia dell’arte militare non è stato sempre così. Per lungo
tempo vi è stata una differente scuola di pensiero strategico, riguardante
invece la “guerra di usura” e il cosiddetto “approccio diretto”.
Molti hanno visto nello stesso Clausewitz l’antesignano e uno dei massimi
esponenti di questa posizione, esemplificata dal Vernichtungprinzip, contenuto nella fondamentale opera del celebre
prussiano, il Vom Kriege, e in tale ottica questo termine è stato
tradotto in “principio di annientamento”. A tal proposito, lo stesso Liddel
Hart aveva mosso una critica al pensiero di Clausewitz definendolo come il
“Mahdi della massa”.
La dicotomia (ma
anche le relazioni) tra i concetti di “guerra di attrito” e “guerra di
manovra”, e quelli rispettivamente correlati di “approccio diretto” e
“approccio indiretto”, sono stati presi in esame e descritti compiutamente
negli anni ‘80 dello scorso secolo proprio da Simpkin in “Race to the Swift”. In esso l’autore menziona anche
un’interpretazione alternativa del Vernichtungprinzip clausewitziano, derivante
dalla sua diversa traduzione in termini di “disarticolazione” o
“disorganizzazione”, piuttosto che distruzione fisica del nemico,
riconducendolo così ai canoni più aderenti alla teoria della manovra. Tra
l’ultimo scorcio del XX e l’inizio del XXI secolo, effettivamente, questa è
parsa conoscere la sua definitiva affermazione tra le sabbie del Medio Oriente,
rispettivamente con le operazioni “Desert
Storm”, del 1991, e “Iraqi Freedom”
del 2003. Nel primo caso, le forze statunitensi hanno applicato con successo i
dettami della Air Land Battle,
risolvendo il conflitto con una fulminea e risolutiva offensiva terrestre
passata alla storia come “la guerra delle 100 ore”. Nel secondo, un altrettanto
rapida vittoria è stata ottenuta seguendo un concetto derivante da un ulteriore
evoluzione in chiave contemporanea dell’approccio indiretto: quella denominata
“Shock and Awe” (“colpisci e
terrorizza”) e “Rapid Dominance”, in
questo caso declinata a partire dai livelli strategico e operativo.
Nondimeno, secondo
alcuni qualificati osservatori un anno di operazioni nel conflitto ucraino
stanno mettendo, almeno in parte, in discussione la valenza e soprattutto
l’effettiva applicabilità dell’approccio manovriero negli ambienti operativi
contemporanei. Tra questi, il professor Anthony King, titolare della cattedra
di studi militari dell’università di Warwick, in Inghilterra, ha sollevato il
dibattito, a più riprese, e soprattutto in un articolo dal titolo “Is Manoeuvre Alive?” apparso
sull’autorevole sito inglese “The Wavell
Room”. Le obiezioni sollevate da King hanno avuto una replica da parte del
maggiore dell’esercito britannico Steve Maguire, il quale in un altro articolo,
pubblicato sullo stesso sito, “Yes
Manoeuvre is Alive. Ukraine Prove it”, ha citato come esempio per
supportare la sua tesi – secondo la quale le operazioni basate sulla manovra
mantengono la loro piena validità – la vittoriosa controffensiva ucraina di
Kharkiv. Questa è stata effettivamente condotta con rapide penetrazioni in
profondità di forze mobili, compresi distaccamenti motorizzati leggeri (“Kraken Units”), i quali rinunciando
scientemente alla protezione fornita da veicoli corazzati pesanti hanno operato
sfruttando la grande mobilità assicurata da quelli ruotati leggeri. A tal
proposito però, ora si può aggiungere come la fase manovrata della
controffensiva ucraina di Kharkiv abbia avuto una durata limitata a non più di
un mese, e dopo la riconquista di Lyman, avvenuta il 1° ottobre, il
ripiegamento delle forze di Mosca ha assunto la forma di un frenaggio che
progressivamente – forse in ossequio alla dottrina tattica difensiva russa, che
privilegia la cosiddetta “manovra difensiva” rispetto alla difesa statica,
privilegiando ogniqualvolta possibile lo “scambio” dello spazio al fine di
guadagnare tempo e preservare le forze – ha finito per assorbire e smorzare
l’impeto di quelle ucraine, fino al definitivo irrigidimento sulla linea
Svatove-Kremmina.
I due fattori che condizioneranno
gli sviluppi operativi: densità delle forze e natura del terreno
Alla luce di tutto
ciò, i possibili sviluppi delle operazioni nel conflitto ucraino possono essere
ipotizzati tenendo conto di questi importanti aspetti generali. Appaiono ormai
chiari i diversi aspetti limitanti che producono un attrito significativo nei
confronti di qualsiasi operazione offensiva manovrata. Innanzitutto, la
“densità” delle forze contrapposte, che al momento non consentono a entrambi i
contendenti il raggiungimento di un’adeguata superiorità sull’avversario, come
invece pare essere avvenuto per gli ucraini a Kharkiv. Al momento, le forze di
ambedue le parti in lotta stanno gravitando soprattutto nel quadrante orientale
del Donbas, dove i due gruppi operativi russi che vi sono schierati, quello di
“Voronezh” e quello di “Rostov”, allineano rispettivamente l’equivalente di 54
e 67 battaglioni, o gruppi tattici di livello battaglione, anche se appare
sempre più chiaro l’abbandono da parte dei russi di questa articolazione
tattica a favore di un ritorno alla tradizionale struttura
reggimento/divisione. A essi, lungo i circa 250 km di fronte che vanno dal
settore a sud-est di Kharkiv a quello subito a ovest di Donetsk, si
contrappongono circa 30 brigate ucraine, inquadrate nei comandi operativi nord,
est e sud, tra le quali figurano la maggior parte di quelle pesanti (meccanizzate
e corazzate) disponibili.
Tenendo conto che
nell’organico di queste ultime figurano mediamente quattro battaglioni di
manovra, cui si aggiungono altri reparti di supporto al combattimento di
artiglieria (per quanto riguarda questa fondamentale componente in misura quasi
doppia rispetto agli standard occidentali), genio, controaerei e delle trasmissioni,
ne consegue che, quantomeno dal punto di vista delle unità di manovra, al
momento le forze russe non dispongono della superiorità necessaria per
realizzare una vera “rottura” del fronte. Inoltre, le numerose unità ucraine
(ivi comprese quelle della Viiska
Terytorialnoi oborony (VTO) la difesa territoriale, e della Natsionalna hvardiia Ukrainy, la Guardia
Nazionale, che coadiuvano con una certa efficacia le operazioni di quelle
regolari) presidiano tutti i settori del lungo fronte con dispositivi difensivi
fortemente organizzati e fortificati, negando così lo spazio di manovra
necessario per la condotta di una qualsiasi operazione ad ampio raggio basata
sulla penetrazione e sulla mobilità.
Anche l’effettiva
superiorità delle artiglierie russe, pur imponendo quello che deve essere molto
probabilmente un attrito non trascurabile ai difensori, viene in parte mitigato
dalla protezione fornita dalle postazioni difensive e fortificazioni campali di
cui possono usufruire questi ultimi. Nello stesso modo, la stessa “densità”
delle unità ucraine per la difesa controaerei, in special modo quelle
maggiormente mobili – e per questo relativamente meno vulnerabili alle missioni
di Suppression Enemy Air Defences
(SEAD) avversarie – rende ugualmente, al momento, troppo rischiosa anche la
“manovra nella terza dimensione”, impedendo qualsiasi tentativo di “aggiramento
verticale” condotto da forze aviotrasportate o aeromobili, e questo almeno fino
a quando le prime potranno rimanere sufficientemente operative dal punto di
vista del munizionamento (in primo luogo missilistico) e del mantenimento in
efficienza dei sistemi d’arma.
Il secondo fattore
che sembra stia rendendo estremamente difficoltoso, se non impossibile,
l’esecuzione di operazioni manovrate in Ucraina è quello relativo al terreno, e
in modo particolare l’importante presenza di numerosi e relativamente estesi
centri abitati, soprattutto nella regione del Donbas. In effetti, proprio la
sempre maggiore urbanizzazione di aree sempre più vaste del pianeta è uno dei
principali temi sulla base dei quali il professor King ha basato la sua
“provocazione” dialettica sulla presunta “morte” dell’approccio manovriero. Il
conflitto ucraino sembrerebbe avvalorare questa tendenza, con tutta una serie
di importanti battaglie, da quella di Mariupol, a quelle di Severodonetsk,
Lysichansk e Bakhmut, che si sono svolte o sono in corso nei centri abitati.
L’elevato ostacolo rappresentato da questo tipo di terreno rende
particolarmente difficile lo sviluppo di rapide manovre offensive, un elemento
che a ben guardare era stato già osservato nel precedente confronto del
2014-15. In quel caso, i prolungati scontri svoltisi per il possesso di aree
urbane o infrastrutture quali l’aeroporto di Donetsk (dove i paracadutisti
ucraini resistettero ostinatamente per non meno di sette mesi ai reiterati
attacchi dei separatisti) o della cittadina di Debaltsevo, hanno spinto alcuni
attenti osservatori, come il maggiore dell’esercito statunitense Amos C. Fox,
nel suo studio specificamente dedicato alla battaglia di Debaltsevo dal titolo
“Battle
of Debal’tseve: the Conventional Line of Effort in Russia’s Hybrid War in
Ukraine”, a parlare esplicitamente di un ritorno alla “guerra di
assedio”.
La prima lezione appresa: campo di
battaglia trasparente e importanza del livello tattico
Nel conflitto oggi
in corso, dopo la prima fase altamente dinamica del febbraio-marzo 2022
caratterizzata dalle prime, effettivamente rapide, penetrazioni e puntate
offensive delle forze russe, anche queste sono poi giunte al loro “punto
culmine” anche e soprattutto per la presenza di tutta una serie di centri urbani
che venivano sistematicamente aggirati, ma nei quali i difensori ucraini
continuavano, seppur isolati, a resistere. Il terzo fattore che agisce contro
la manovra in Ucraina è quella che è stata già riconosciuta come una delle
prime fondamentali “lezioni apprese” di questo conflitto, ossia quella relativa
al cosiddetto “campo di battaglia trasparente”. In essa viene riconosciuto come
la massiccia e pervasiva presenza di tutta una vasta panoplia di assetti di Intelligence, Surveillance e Reconnaissance
(ISR) – dai satelliti di sorveglianza agli UAV da ricognizione distribuiti fino
ai minimi livelli ordinativi – rende estremamente difficile la realizzazione
della sorpresa a tutti i livelli: strategico, operativo e tattico. Questo
perché qualsiasi importante concentrazione di forze, in modo particolare
terrestri, in un determinato settore, viene prontamente rilevata e analizzata,
consentendo al difensore (in modo particolare quando si tratta degli ucraini)
di reagire con prontezza, ad esempio con il fuoco o con il rischieramento di
riserve e rinforzi. Essendo proprio la sorpresa non solo uno dei riconosciuti e
fondamentali principi dell’arte militare, ma anche uno dei principali
“moltiplicatori di potenza” di qualsiasi operazione offensiva, è chiaro come la
sua assenza determini un’estrema difficoltà nella condotta con ragionevole
successo di queste ultime.
In tale quadro, a
mantenere la situazione in equilibrio vi è anche l’impossibilità da parte russa
di far valere la superiorità numerica e qualitativa delle proprie forze aeree,
a causa delle numerose unità controaerei mobili ucraine, esattamente come già
riferito a proposito della non fattibilità di operazioni avioportate o
aeromobili . In esito a ciò, tra le sue peculiari caratteristiche questo pare
essere il primo conflitto da diversi decenni a questa parte in cui il potere
aereo non ha costituito, fino ad ora, un fattore davvero rilevante, almeno per
quanto riguarda le piattaforme pilotate (un discorso a parte va fatto
certamente per gli UAV e i sistemi missilistici per l’attacco a lungo raggio).
A tutti gli
effetti, questa apparente superiorità dei mezzi e delle capacità della difesa
sull’attacco ricorda quanto era avvenuto nel secolo scorso durante le prime
fasi del primo conflitto mondiale, a dispetto dei primi chiari segnali in
questo senso emersi in alcuni importanti eventi bellici precedenti, quali la
guerra anglo-boera, quella russo-giapponese, e i conflitti balcanici, aspetti
cruciali che non furono raccolti dai vertici dei principali eserciti dell’epoca.
D’altronde, non sono mancati da più parti i tentativi di tracciare un parallelo
storico in questo senso, con diversi commentatori che hanno voluto assimilare
la battaglia di Bakhmut, ad esempio, a una “nuova Verdun”. Questa precisa
tendenza era stata peraltro già chiaramente illustrata ancora prima
dell’invasione russa dell’Ucraina da alcuni perspicaci commentatori, quali il
professor Thomas Hammes, ricercatore dell’Institute
for National Strategic Studies americano,
il quale in un articolo dal titolo: “the
tactical defense becomes dominant again” – sotto molti aspetti davvero
profetico rispetto a quanto si sta verificando oggi – aveva già illustrato con
dovizia di particolari tutti questi elementi.
Due futuri possibili schemi di
manovra russa
In questo momento,
le offensive russe in atto nel Donbas sembrano prefigurare due schemi di manovra
in atto sotto la forma di altrettanti “doppi avvolgimenti”.
Il primo è in corso
sulla cintura di villaggi a nord e sud di Bakhmut, volto a tagliare le
principali vie d’accesso alla città e costringere così i caparbi difensori
della città ad abbandonarla, pena il completo accerchiamento. Il secondo,
partendo dall’area di Yakovlivka, a nord-est della stessa Bakhmut, vede le
forze del 2° corpo d’armata (rappresentato dalle forze della repubblica
separatista di Luhansk, ora ufficialmente integrate in quelle della federazione
russa) spingere verso nord, in direzione di Siversk, con almeno quattro brigate
fucilieri motorizzati in concomitanza di una seconda direttrice, che dall’area
di Kreminna, con forze della 144a divisione e 30a brigata
fucilieri motorizzati, spinge verso sud-ovest al fine di minacciare il tergo
delle otto brigate ucraine che difendono la linea a ovest di Lysychansk.
Tuttavia, si tratta
di attacchi con una progressione lenta, che pare metodica e sempre sostenuta da
un nutrito fuoco di artiglieria. In particolare, le ultime analisi
indicherebbero un adattamento dei procedimenti tattici russi; tra questi,
citando un esempio tra i più rilevanti, vi sarebbe la creazione di un nuovo
tipo di formazione, denominata “Shturmovoy
otryad” (distaccamento d’assalto), di livello compagnia rinforzata,
costituita integrando fanteria (dotata di lanciarazzi impieganti munizioni con
testata termobarica, efficaci nell’impiego contro edifici), carri, una sezione
di artiglieria/mortai semoventi, e un’aliquota logistica. Sarebbe questa,
dunque, una delle soluzioni che gli attaccanti, in questa fase, stanno
adottando per fronteggiare la situazione che emerge dal campo di battaglia.
La prevalenza dell’attrito sulla manovra
In ultima analisi,
le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del
conflitto, avrebbero ormai assunto il carattere di una lotta basata
sull’attrito, molto più che sulla manovra. Una vera “Materialschlacht”,
ossia una “battaglia di materiali”, come questa veniva definita dalla classica
terminologia militare tedesca, dove la forza del numero e dell’acciaio hanno un
ruolo preminente. Effettivamente, i riflessi sul livello strategico sono ormai
accertati, con tutta una serie di analisi che parlano sempre più distintamente
di ritorno alla dimensione industriale della guerra. Questo era già stato
evidenziato in alcuni articoli pubblicati lo scorso anno, uno dei più noti dei
quali apparso nel giugno 2022 sul sito del Royal United Service Institute
dal titolo “The return of industrial warfare”. A tal proposito, le
preoccupazioni manifestate da più parti sulla capacità da parte dei paesi NATO
(e altri del mondo occidentale) di continuare a sostenere le forze armate di
Kiev, soprattutto per quanto riguarda il munizionamento d’artiglieria, sono
molto indicative. Nello stesso modo, sono diverse e articolate le valutazioni
sulla reale efficacia delle sanzioni economiche sull’industria bellica russa,
già mobilitata al massimo per sostenere lo sforzo bellico. Se questa tendenza
andrà a confermarsi, è molto improbabile che la tanto pubblicizzata “grande
offensiva” russa possa sfociare in una fase dinamica e manovrata, ammesso e non
concesso che, preso atto della situazione contingente, questo possa essere il
reale intento dei comandi russi. Essa potrebbe invece assumere i lineamenti di
una pressione costante, su ampio fronte, secondo i dettami di un approccio
basato su attacchi sistematici e massiccio ricorso al fuoco di artiglieria, e
in esito a ciò progredire lentamente, ma inesorabilmente, con sfondamenti
limitati, seguiti da successivi consolidamenti, così come è stato durante la
battaglia del Donbas di maggio-luglio 2022. La stessa cosa, specularmente,
potrebbe accadere nel caso di un nuovo passaggio dell’iniziativa dalla parte
ucraina, con l’avvio di nuove controffensive per la riconquista dei territori
occupati. Su questo versante, in ogni caso, dopo l’annosa vicenda della
fornitura dei carri Leopard 2, è opportuno sottolineare come l’arrivo di questi
mezzi – a meno che non avvenga in numeri davvero importanti che comunque non
sembrano molto probabili – non potrà avere un impatto decisivo sull’andamento e
soprattutto l’esito delle operazioni.
Questo, comunque,
potrebbe drasticamente cambiare nel caso di un cedimento drastico e rilevante
di uno dei due contendenti in uno o più settori sufficientemente ampi del
fronte, cosa che al momento non sta avvenendo, ma che è pur sempre possibile.
Se la “guerra di manovra” potrà prendersi una sua clamorosa rivincita (come è
accaduto a Kharkiv lo scorso settembre), o se cederà definitivamente il passo a
una lunga, logorante e metodica “guerra di usura”, verrà sancito solamente
dalla consueta, inappellabile e dirimente sentenza di quel giudice definitivo
che è il campo di battaglia.
Bakhmut: perché i russi la vogliono a tutti i costi?
di Claudio Bertolotti
Dalle interviste a Radio Capital del 28 febbraio – 1 marzo 2023
La conquista di Bakhmut ha due obiettivi: uno primario, sul piano strategico e comunicativo, l’altro secondario, sul piano operativo e logistico.
Bakhmut ha un valore militarmente limitato ma strategicamente, è importante sia tenerla sia occuparla. Rientra tra gli obiettivi simbolici di Mosca, perché una vittoria darebbe un’ulteriore spinta alla sua narrazione, più degli effetti sul piano militare. I russi otterrebbero poi un vantaggio operativo in termini di capacità di manovra e la conquista consentirebbe loro di consolidare la linea del fronte. Se la conquista di Soledar, piccola cittadina del Donetsk, è stata presentata da Mosca come conferma di importanti progressi militari (pur a fronte di perdite elevatissime), la cattura di Bakhmut segnerebbe una vittoria che la propaganda amplificherebbe in maniera strumentale.
Una vittoria che garantirebbe un sostegno popolare maggiore
di quanto non lo sia ora, che già non è basso poichè la propaganda sta
lavorando molto bene. Ma una conquista della città rappresenterebbe un
caposaldo forte a cui aggrapparsi. Da lì, potrebbe essere presentato uno scenario
di uscita dignitosa, quasi gloriosa, in virtù di una vittoria.
Dal punto di vista operativo
e logistico l’obiettivo militare della Russia è quello di creare le condizioni
per ulteriori progressi, almeno fino ai confini della regione di Donetsk. Bakhmut
si trova su un’autostrada strategicamente importante ed è vicina ad alcuni
importanti collegamenti ferroviari, e prenderla potrebbe garantire alle forze
russe importanti basi di partenza per la conquista delle più grandi città
vicine a Donetsk come Slovyansk e Kramatorsk.
Per l’Ucraina, la battaglia è diventata una lotta simbolica e politicamente significativa, prova della volontà del paese di fare enormi sacrifici per difendere il suo territorio e rappresenta, inoltre, un’opportunità di consumare le truppe russe, mandate al massacro contro le posizioni ucraine, e per concentrare il massimo sforzo alleggerendo gli altri settori del fronte. Nonché è una conferma dell’incapacità di Putin di raggiungere i suoi obiettivi di vittoria. Un vantaggio rilevante è dato dalla concentrazione dei rifornimenti e del fuoco di artiglieria che, rivolto principalmente all’obiettivo Bakhmut, ha imposto una riduzione del 75% dei bombardamenti di artiglieria nei restanti settori del fronte. Ma in questo gioco di logoramento va ricordato che la Russia parte sempre avvantaggiata, potendo disporre di numeri ben più rilevanti in termini di uomini e materiali.
Guardando in prospettiva, e in particolare dal punto di
vista russo, l’incapacità delle forze armate
ucraine di tenere Bakhmut di fatto sancisce l’impossibilità per Kiev di
condurre operazioni contro-offensive nel breve-medio periodo. E questo per
la limitata capacità militare dovuta a numeri di uomini ed armi decisamente
inferiori a quelli messi in campo dalla Russia.
Va infine rilevato che Bakhmut, da un punto di vista dottrinale,
entrerà nei manuali di storia militare
come esempio di sovrapposizione tra applicazione delle tecnologie avanzate della
guerra moderna nei centri urbani, associata alla guerra comunicativa, con le brutalità
delle guerre di logoramento novecentesche. Un aspetto che sarà uno stimolo
nella revisione delle dottrine militari che per forza di cose la guerra
russo-ucraina è riuscita a imporre.
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