A partire da mercoledì 31 maggio, a scadenza settimanale, START InSight propone una serie di LIVE streamings con gli autori dei diversi contributi su terrorismo, radicalizzazione e prevenzione, pubblicati nel Rapporto #ReaCT2023. Le dirette, trasmesse sui profili social, saranno in seguito disponibili su questa pagina. Buona visione!
mercoledì 31 maggio Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT L’evoluzione del terrorismo in Europa Antonio Giustozzi, Senior Research Fellow, RUSI (London) Il jihadismo in eterna trasformazione
mercoledì 7 giugno Paolo Pizzolo, Università Jagellonica di Cracovia e CEMAS, Roma Jihad nei Balcani: una miccia mai spenta nella ‘polveriera d’Europa’
mercoledì 14 giugno Chiara Sulmoni, START InSight Estremismo violento e radicalizzazione, scenari più complessi Luca Guglielminetti, Ass. Leon Battista Alberti e RAN (Radicalisation Awareness Network) Il ruolo della società civile nella prevenzione e nel contrasto all’estremismo violento
mercoledì 21 giugno Andrea Molle, Associate Professor alla Chapman University (California) e Senior Research Fellow, START InSight Il movimento dei sovereign citizens
mercoledì 28 giugno Patrick Trancu, consulente in gestione di crisi La gestione di crisi nel XXI secolo
mercoledì 12 luglio Elena Maculan, Prof. di Diritto Penale presso l’UNED (Madrid) L’esecuzione delle pene per reati di terrorismo in Spagna
mercoledì 19 luglio Francesco Rossi, giurista, ricercatore presso l’Universidad Carlos III (Madrid) Il contrasto al terrorismo internazionale nelle fonti penali
giovedì 27 luglio Marco Lombardi, Prof. di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Direttore del centro di ricerca ITSTIME Tre argomentazioni per una Nuova Agenda del Terrorismo 2023 Barbara Lucini, docente alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ricercatrice di ITSTIME Le pratiche di vetting nei processi di radicalizzazione di estrema destra
#Afghanistan Oppio e narcotraffico: tra insurrezione e problema sociale
Prima del disimpegno militare degli Stati Uniti, l’economia afghana dipendeva, quasi esclusivamente, da due fonti di reddito: gli aiuti concessi dalla comunità internazionale e il traffico dell’oppio. Con la presa del potere da parte dei Talebani sono stati sospesi gli aiuti internazionali
Il Rapporto annuale sul terrorismo e il radicalismo in Europa (4° edizione) a cura dell’Osservatorio ReaCT è disponibile in Pdf e su Amazon dal 23 maggio
LIBRO SIMTERRORISM – Modeling Religious Terrorism in Populations impacted by Climate Change
This volume examines the combined effects of risk propensity, relative deprivation, and social learning of deviance on the collective grievance within a religious population under the assumption of civil unrest caused by extreme climatic events. We designed an agent-based model to demonstrate how greater or lesser amounts of grievance towards political authority are likely to create an ideal en-vironment for organized violence to emerge when resources are threatened by climate change.
Scholars have tried to formulate a generally accepted definition of religious terrorism for almost four decades, but its investigation is still controversial, especially in the context of the emerging study of the political and social consequences of climatic events. This particular form of terrorism is nevertheless highly diffuse and observed to be coming from smaller clubs of radicalized individuals instead of main-stream religious groups. However, we find that doctrinal explanations appear irrelevant in explaining how terrorist cells emerge and organize themselves.
#ReaCT2023, n. 4: Pubblicato il rapporto annuale sui radicalismi e i terrorismi in Europa
Il rapporto rappresenta la combinazione unica di rivista scientifica e volume collettivo, con contributi di vari autori, ricercatori e collaboratori che hanno dedicato il loro tempo, la loro esperienza e le loro conoscenze. Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutti loro per il prezioso contributo e i loro sforzi instancabili. Voglio, altresì, ringraziare il Ministero della Difesa italiano per aver confermato la stima e la fiducia nell’Osservatorio che dirigo concedendo il patrocinio all’evento di presentazione del rapporto, e il prestigioso Centro Alti Studi per la Difesa per la disponibilità dimostrata. Gratitudine che si estende al Ministero dell’Interno italiano che, attraverso il contributo della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, ha permesso di completare il nostro sforzo per la comprensione e la definizione della contemporanea minaccia rappresentata dai radicalismi ideologici e dai terrorismi violenti.
Quali risultati ci consegna la ricerca dell’Osservatorio?
Negli ultimi tre anni, dal punto di vista quantitativo, la frequenza degli attacchi terroristici è rimasta lineare. L’Europa è classificata come la terza regione maggiormente colpita dai terrorismi, seguendo la Russia e l’Eurasia, e l’America centrale e i Caraibi. I Paesi dell’Unione europea, il Regno Unito e la Svizzera sono stati afflitti nel 2022 da 50 attacchi terroristici di varia natura, una significativa flessione rispetto ai 73 del 2021. Sul piano qualitativo, guardando in particolare al mai sopito dell’islamismo violento, il rapporto evidenzia la natura in continua evoluzione del jihadismo, che ha subito molteplici trasformazioni fin dalle sue origini in Afghanistan negli anni ’80, diffondendosi e radicalizzandosi. Al Qa’ida è stata l’incarnazione del movimento globalizzato e radicalizzato fino a quando il gruppo terroristico Stato islamico è emerso nel 2014, proponendo un approccio ancora più estremo. La sconfitta dello Stato islamico in Iraq e Siria nel 2017-18 ha segnato la prima sconfitta tangibile del movimento jihadista. I movimenti jihadisti nazionali, per lo più nutriti dai soggetti globali, sono ora di nuovo di moda, e la regione del Sahel il centro del jihadismo riemergente. Da Sud a Est, il rapporto evidenzia il pericolo del terrorismo jihadista nella regione balcanica, che rimane una minaccia per la sicurezza italiana ed europea. L’Italia ha attuato e confermato varie iniziative per contrastare questa minaccia, in particolare confermando il proprio impegno a livello di missioni internazionali di mantenimento della pace.
Il rapporto approfondisce poi il tema della minaccia dell’estremismo di destra, della disinformazione, delle teorie del complotto, del suprematismo bianco e del crescente fenomeno dell’anarco-insurrezionalismo.
Alla luce del mondo in continua evoluzione e del conflitto che ora ha raggiunto l’Europa, è essenziale adattare i nostri paradigmi interpretativi della minaccia e mettere in discussione la definizione di terrorismo, l’approccio al contrasto al processo di radicalizzazione e la ricollocazione del terrorismo stesso nel nuovo scenario di conflitto.
Inoltre, in un quadro sempre più complesso e dinamico, la gestione delle crisi nel XXI secolo presenta sfide uniche a causa del contesto interconnesso e interdipendente, rendendo difficile la previsione. Il rapporto #ReaCT2023 ha dato ampio spazio anche a questo aspetto.
Infine, abbiamo voluto porre l’attenzione sulla recente pubblicazione del progetto di ricerca spagnolo sul contrasto al terrorismo internazionale all’interno delle fonti criminali multilivello e sull’analisi critica delle questioni di diritto penitenziario, giurisprudenza e pratica applicata alle sentenze per gli autori di atti terroristici. Il progetto di ricerca qui illustrato offre proposte costruttive per combinare le sfide poste da questo fenomeno criminale con la garanzia dei diritti umani fondamentali ed esplora il potenziale della giustizia riparativa.
In conclusione, il contributo di quest’anno è una testimonianza della forza e della dedizione della nostra comunità di studiosi e operatori nella lotta in corso contro i radicalismi e i terrorismi. Auspico che le idee contenute in questo rapporto contribuiscano a una migliore comprensione dell’evoluzione della minaccia dei terrorismi in Europa e servano come appello all’azione per tutti i soggetti interessati a lavorare insieme per prevenire e contrastare l’estremismo violento.
Grazie a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2023. Un ringraziamento speciale per il sostegno va anche alla Chapman University con sede ad Orange, California,all’Università della Svizzera Italiana – USI a Lugano e alla Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento (Repubblica e Cantone Ticino). Infine, come sempre, a START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale.
Controffensiva ucraina: cosa possiamo aspettarci? Quale il miglior risultato ottenibile per Kiev?
Intesa come controffensiva in grado di ricacciare indietro i russi imponendo l’abbandono del fronte, quella ucraina rimane un miraggio perché il potenziale militare ucraino è adeguato per una guerra difensiva, tuttalpiù per azioni offensive limitate, contrattacchi, ma difficilmente potrebbe sostenere un’azione in profondità su tutto il fronte. E questo perché una controffensiva risolutiva richiede un numero di carri armati, pezzi di artiglieria e potere aereo che, in questo momento l’Ucraina non ha.
In secondo luogo dobbiamo chiederci se all’Ucraina convenga avviare un’azione offensiva che sarebbe molto onerosa in termini di risorse materiali e umane: ricordiamo che chi attacca deve mettere in campo almeno il triplo delle risorse schierate da chi invece si difende. Quel che è certo è che se una controffensiva ucraina dovesse essere condotta questa avverrà prima realizzando un piano d’inganno, ossia un attacco simulato per distrarre le difese russe, e contemporaneamente concentrando un attacco massiccio in un preciso punto del fronte, su più direttrici d’attacco, senza disperdere le forze già molto limitate. Ma è difficile riuscire a immaginare che una tale situazione possa poi essere gestita dalle forze ucraine che ancora non hanno una capacità militare tale da riuscire a contenere la scontata azione controffensiva russa.
Il fattore tempo gioca a favore di Russia o Ucraina?
Il fattore tempo gioca a favore di chi ha il maggior numero
di pedine da mettere in campo e un sistema produttivo in grado di sostenerlo.
L’Ucraina ha la possibilità di sostenere lo sforzo militare grazie quasi
esclusivamente al sostegno statunitense, a cui si unisce quello inferiore ma
non marginale dei paesi dell’Unione europea. Ma è un sostegno a termine, che
difficilmente potrà essere garantito sul lungo periodo vista la crescente
diffidenza di un Congresso statunitense che chiede conto dei soldi dei
contribuenti spesi in una guerra che dura ormai da troppo tempo.
Al contrario, la Russia ha uomini e materiali, associati a
un sistema produttivo e militare sostanzialmente intaccato. È indubbio che sia
Mosca a mantenere una posizione di primazia sul campo, se non altro in termini
di quantità di risorse sacrificabili
Cosa rappresenta Bakhmut?
È un simbolo per entrambi i contendenti ed è, al contempo,
strategicamente importante sia tenerla sia occuparla perché è un obiettivo che
diverrà il perno di manovra di possibili azioni offensive russe. Per questo
motivo Kiev si ostina a mantenere la posizione. Ora lo stallo è totale, ma si
apre la prospettiva di un’offensiva russa o contrattacchi ucraini. Bakhmut
rientra tra gli emblemi russi, perché una vittoria darebbe un’ulteriore spinta
alla sua narrazione, oltre ad avere effetti significativi sul piano militare. I
russi avrebbero una grande capacità di manovra e la conquista gli consentirebbe
di consolidare la linea del fronte, offrendogli un vantaggio tattico e
operativo nell’area. Sul fronte opposto, la tenuta di Bakmut garantisce all’Ucraina
l’accesso di vie di comunicazione e logistiche, stradali e ferroviarie
necessarie a sostenere lo sforzo militare al fronte. Perdere la città, aspetto
che Kiev ha di fatto già accettato, ha imposto una riorganizzazione del
retrofronte in relazione a un abbandono delle posizioni strenuamente tenute in
questi mesi.
Un 9 maggio sotto tono in Russia, droni sul Cremlino, attentati, effetto Prigozhin… Una Russia meno solida?
Direi una Russia sospesa e rassegnata a condurre una guerra
di logoramento nel lungo periodo e con una leadership presidenziale ben salda
al potere, forte della capacità di propaganda con cui riesce a consolidare il
sostegno, o comunque la mancata opposizione dell’opinione pubblica interna,
alle decisioni governative.
La leadership sa che il costo di questa guerra è
immensamente più grande rispetto alla peggiore delle previsioni che il governo
russo valutò prima di dare il via alla cosiddetta “operazione militare
speciale”. Ciò nonostante non ha alternative: la guerra continuerà ancora fino
a quando non verrà dichiarata una qualche forma di vittoria. Non importa se
vera o no, quel che possiamo valutare è che la forma e il metodo con cui questa
vittoria verrà annunciata sarà in grado di far accettare l’esito all’opinione
pubblica interna. In questo quadro si conferma come pienamente efficace
l’azione di propaganda e controllo dell’informazione in Russia.
Quale il ruolo della Cina?
La Cina potrebbe imporsi come interlocutore primario dal
punto di vista pragmatico perché ha la capacità di influenzare le decisioni
russe anche in termini di supporto indiretto alla guerra stessa. In questo caso
sarà necessario capire quanto gli Stati Uniti saranno disposti a concedere alla
Cina e sebbene la Russia sia in questo momento in cima alle preoccupazioni
delle Cancellerie occidentali, l’attore primario è la Cina. E il confronto non
è tra Russia e Stati Uniti o tra Russia e Nato, ma tra Stati Uniti e Cina.
Credo si debba guardare alla guerra in Ucraina in prospettiva cercando di
trovare alcune dinamiche comuni in quello che potrebbe essere il dossier Taiwan
nel prossimo futuro.
Attacco al Cremlino: cosa è successo? Intervista a C. Bertolotti a SkyTG24
L’intervento di C. Bertolotti a SkyTG24 Mondo (puntata del 5 maggio 2023)
Attacco con droni al
Cremlino: Mosca accusa Washington
L’accusa di Mosca a Washington è un qualcosa che ci
aspettavamo. Tanto scontata quanto banale ormai, così come lo sono state le
accuse mosse dal Cremlino alla Casa Bianca in occasione di tutti gli attacchi
di successo ai danni della Russia. Non tanto per attaccare gli Stati Uniti sul
piano diplomatico, quanto per ribadire un concetto all’opinione pubblica
interna alla Russia, ossia che l’Ucraina resiste perché a sostenerla,
armandola, sono gli Stati Uniti. Riconoscere una capacità e volontà propria all’Ucraina
vorrebbe dire sminuire gli sforzi e i sacrifici russi impegnati nella
cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina. Dare la responsabilità, o
parte della responsabilità alla più grande potenza mondiale rafforza Putin agli
occhi dei cittadini russi.
E non dimentichiamo che Washington, oltre alla volontà di
sostenere l’Ucraina non ha intenzione di umiliare la Russia con una cocente
sconfitta militare, bensì la vuole indebolire progressivamente affinchè desista
dai suoi piani originari.
L’attacco drone
potrebbe essere una false flag pro
mobilitazione?
A premessa va detto che questo evento non avrà conseguenza
alcuna sull’andamento della guerra o sullo spostamento del fronte. È ininfluente.
La possibilità di una False Flag, apre all’ipotesi di una messinscena organizzata dagli stessi Russi al fine di condizionare l’opinione pubblica interna, spaventandola da un lato (con l’attacco) ma rassicurandola al tempo stesso, con il potere della comunicazione che presenta l’evento come un qualcosa di pericoloso ma controllato, contrastato in extremis dal sistema difensivo russo. È una teoria, che presenta dei punti critici, in primo luogo la manifesta incapacità di bloccare un attacco sino al raggiungimento dell’obiettivo, ma certamente è in grado di agire sull’opinione pubblica come leva a favore del governo. E dunque sì, con il sostegno dell’opinione pubblica, Putin guarderebbe al rafforzamento del consenso a fronte di una mobilitazione di lungo periodo. Tanto più che un attacco militare diretto, deliberato allo Stato russo apre formalmente alla possibilità di utilizzo degli arsenali nucleari. Il cui utilizzo rimane comunque assai remoto ma è una carta che sul piano diplomatico si impone con forza.
Che cosa può essere
successo davvero?
Non possiamo che limitarci a valutare le ipotesi più verosimili.
Abbiamo parlato di False flag, e
questa secondo me è l’ipotesi più vantaggiosa per il Cremlino, perché consoliderebbe
il sostegno dell’opinione pubblica.
L’altra ipotesi, ammettendo invece che si tratti di un
deliberato attacco nemico (interno o esterno poco importa) è relativa alla presa
di posizione russa dal punto di vista comunicativo, perfettamente coerente con
la propaganda di governo. E lo è in questo momento particolare poiché l’evento
in sé mette in evidenza una vulnerabilità che sorprende tutti: l’attacco con i
droni, indipendentemente dal risultato, ha penetrato le linee difensive russe
di quello che è l’obiettivo primario e maggiormente presidiato di tutta la Russia.
E proprio a Mosca e a difesa del Cremlino erano stati recentemente schierati i
sistemi di difesa contraerea dell’esercito. Non è il danno materiale, ma d’immagine
e, dunque di credibilità. Ed è anche vero che i danni limitati e la distruzione
dei droni sopra il Cremlino sono stati presentati come capacità di successo
delle linee difensive, ma questo è un messaggio rivolto all’opinione pubblica
interna, che ha bisogno di essere rassicurata.
Nessuna delle due ipotesi può però essere confermata, al
momento, e dunque rimaniamo ad osservare quelli che saranno gli effetti
indiretti di questo evento.
C’è attesa per la controffensiva
ucraina che ancora non si è concretizzata. Quando avverrà e su quale
direttrice?
Difficile, molto difficile dirlo. In primo luogo va tenuto
in considerazione il potenziale militare Ucraino che può essere considerato
adeguato per una guerra difensiva, per la tenuta del fronte, tuttalpiù per
azioni offensive limitate, contrattacchi, ma difficilmente potrebbe sostenere
un’azione in profondità su tutto il fronte. Una controffensiva risolutiva
richiede un numero di carri armati, pezzi di artiglieria e potere aereo che, in
questo momento l’Ucraina non ha. E gli Stati Uniti non hanno intenzione di
fornire gli equipaggiamenti necessari per vincere la guerra in breve tempo perché
non intendono umiliare la Russia. Quel che è certo è che se una controffensiva
ukraina dovesse essere condotta questa avverrà prima avviando un piano d’inganno,
ossia un attacco simulato per distrarre le difese russe, e contemporaneamente concentrando
un attacco massiccio in un preciso punto del fronte, senza disperdere le forze,
già molto limitate, su più direttrici d’attacco. Non sarebbe sostenibile per
Kiev.
Missione estera di Zelensky.
Non è la prima. Disegna mappa alleanze? Cosa si legge?
Il presidente Zelensky, al pari delle brigate ucraine che
conducono una strenua resistenza sul campo di battaglia, conduce la guerra sul
piano diplomatico, cercando in tutti i modi di tenere alta l’attenzione sull’invasione
russa in Ucraina, in modo che le opinioni pubbliche del mondo occidentale
continuino a sostenere le scelte dei loro governi a favore di Kiev.
E i due aspetti su cui ha insistito Zelensky in occasione
dei suoi viaggi più recenti sono la necessità di uno stato d’accusa per i
crimini di guerra attribuiti a Putin e alle forze armate russe e, dall’altro,
la necessità di ottenere aiuti militari consistenti che possano garantire la
condotta di una controffensiva che, al momento attuale, non può essere condotta
su vasta scala, su tutto il fronte, ma solamente in punti del fronte limitati e
senza la possibilità di ricacciare i Russi oltre il confine che hanno superato
a febbraio dello scorso anno.
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