Italia, riforma dell’intelligence: “lavorare sul funzionamento, non sulla struttura”
Nel 2023 il governo
italiano ha avviato una riflessione attorno a una riforma dell’Intelligence che
dovrebbe vedere la luce il prossimo anno.
In cosa consiste questo cambiamento, quali sono le ragioni, come funziona il sistema informativo ma soprattutto, come e dove bisognerebbe intervenire? Ecco le risposte del nostro esperto sul tema, il Senior Research Fellow Niccolò Petrelli, docente di Studi Strategici all’Università Roma Tre.
Perché riformare il
sistema informativo italiano?
Il nostro sistema informativo soffre di problemi di funzionamento, come sottolineato in diverse occasioni da addetti ai lavori, la sua efficacia è minata dalla persistente frammentazione tra le tre componenti, il DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza), l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) e l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), un qualche tipo di intervento per correggere il problema è necessario.
l’efficacia del sistema informativo è minata dalla persistente frammentazione tra le tre componenti, il DIS, l’AISE e l’AISI
La creazione di un
servizio unico, ovvero la centralizzazione del sistema, è una soluzione
praticabile?
Certamente, ma ci sono ostacoli burocratici non da poco, nonché timori e resistenze che, sulla scorta della travagliata storia degli apparati informativi nell’Italia repubblicana, la proposta di creare un servizio informazioni unificato potrebbe generare in parte della classe politica e dell’opinione pubblica. Modificare l’architettura organizzativa del sistema di intelligence inoltre non è l’unica opzione per risolvere il problema della frammentazione e migliorarne la performance. Una soluzione alternativa potrebbe essere lavorare sul funzionamento del sistema, invece che sulla sua struttura.
La letteratura sulla progettazione organizzativa mostra chiaramente che l’elemento chiave per rendere un’organizzazione efficace è allineare i suoi processi di lavoro con la funzione da essa espletata e, soprattutto, con l’ambiente in cui l’organizzazione opera. Chiaramente sia un assetto centralizzato che uno decentralizzato hanno i propri vantaggi e svantaggi, tuttavia una serie di fattori sembrano rendere quest’ultimo più appropriato per il nostro sistema di intelligence oggi.
Infatti, in primo luogo è noto che un assetto decentralizzato risulta adatto per organizzazioni che, come i servizi informativi, operano oggi a beneficio di vari “clienti”; in secondo luogo, una struttura decentralizzata come quella attuale, promuovendo flessibilità, appare più in linea con la natura instabile e cangiante del contesto in cui il sistema informativo italiano si trova oggi ad operare; terzo ed ultimo, i problemi di coordinamento che inevitabilmente sono associati ad una struttura decentralizzata possono essere oggi meglio gestiti grazie alla disponibilità di sistemi e tecnologie digitali che favoriscono comunicazione, pianificazione e monitoraggio delle attività quasi in tempo reale.
una soluzione alternativa potrebbe essere lavorare sul funzionamento del sistema, invece che sulla sua struttura
Come procedere dunque?
Il costrutto-guida teorico
più adatto credo sia il concetto di “integrazione” (Jointness). Nella
teoria dell’intelligence con “integrazione” si fa riferimento ad un
livello di interazione tra le varie componenti del sistema più avanzato
rispetto a forme di collaborazione occasionali, che
sono piuttosto frequenti, come la condivisione di strutture (sistemi,
database), e prodotti (rapporti, analisi) o la formazione di gruppi di lavoro ad
hoc. L’“integrazione” si riferisce infatti alla creazione di nuove capacità
sistemiche attraverso la fusione delle risorse e delle competenze delle varie
componenti dello stesso. Tre sono le linee di riforma ritenute essenziali per
la creazione di tali capacità sistemiche: ridondanza, riordino dei processi di
lavoro, autonomia. La ridondanza si riferisce alla generazione all’interno
delle varie componenti del sistema di surplus di competenze analoghe rispetto
alle rispettive esigenze, sia per quanto concerne metodologie di raccolta delle
informazioni sia in relazione a tecniche analitiche.
Il secondo elemento, il
riordino dei processi lavorativi, contempla invece che all’interno delle varie
componenti del sistema, accanto ai classici processi lineari, paralleli e
funzionalmente segmentati, si sviluppino anche in pari misura processi “di
rete” che eliminino la tradizionale separazione tra la raccolta e
l’elaborazione delle informazioni, ad esempio attraverso l’istituzionalizzazione
di gruppi di lavoro che, in ambiti specifici, operino congiuntamente lungo l’intero
“ciclo dell’intelligence” su base permanente.
Infine, per quanto riguarda l’autonomia, ci si riferisce al trasferimento di autorità pratica dai capi reparto ai sottoposti in un modello analogo al “mission command” da tempo in uso nelle forze armate di molti paesi occidentali, in cui i componenti di ogni unità godono della massima autonomia nella gestione dei compiti affidati dai vertici che si limitano, da parte loro, a operare come facilitatori, “abilitatori” e “sintetizzatori” dei prodotti finali.
La teoria fa apparire le
cose sempre semplici e lineari, ma come e dove bisognerebbe intervenire? Che
cosa ci dice di rilevante in merito la storia del sistema informativo italiano?
Storicamente il sistema di intelligence della Repubblica italiana ha mostrato una più che buona predisposizione all’integrazione orizzontale, sia all’interno delle singole agenzie, sia nelle interazioni esterne tra le stesse. Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna ricordare che già il primo apparato informativo militare della repubblica, il Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), era strutturato in due branche principali, una offensiva e l’altra difensiva ognuna delle quali deputata alla gestione di entrambe le funzioni principali, raccolta e analisi delle informazioni, nei rispettivi ambiti di competenza. I successori del SIFAR, il Servizio Informazioni Difesa (SID), il Servizio Informazioni e Sicurezza Miliare (SISMI), così come poi il Servizio Informazioni e Sicurezza Democratica (SISDE) pur sviluppando strutture più articolate, hanno sempre mantenuto assetti organizzativi di tipo ibrido in cui le funzioni di raccolta e analisi erano compartimentate in alcuni ambiti e fuse in altri.
storicamente il sistema di intelligence della Repubblica italiana ha mostrato una più che buona predisposizione all’integrazione orizzontale
Per
quanto riguarda le interazioni tra le varie agenzie, dalla storia del sistema
informativo italiano emerge chiaramente come, anche in situazioni di accesa
rivalità, le varie componenti abbiano dimostrato eccellenti capacità sia di
coordinamento che di cooperazione. Tra il 1951 ed il 1954 SIFAR e la Divisione
Affari Riservati (DAR) del Ministero dell’Interno collaborarono efficacemente
attraverso tavoli di lavoro a scadenza regolare per coordinare le penetrazioni
della rete informativa Los Angeles, impiantata dall’intelligence
militare USA nell’Italia nordorientale (sfruttando ex-ufficiali nazisti ed i
loro collaboratori) e tentare di appropriarsene.
Anche la documentazione disponibile sul caso del rapimento di Aldo Moro mostra una notevole attitudine all’integrazione orizzontale da parte dell’apparato informativo. Infatti, in una condizione di gravissima crisi, il Comitato Esecutivo per le Informazioni e la Sicurezza – CESIS, il Servizio Informazioni e Sicurezza Militare – SISMI, ed il Servizio Informazioni e Sicurezza Democratica – SISDE, in diverse sedi (i noti “Comitati” istituiti dall’allora Ministro dell’Interno Cossiga) cooperarono abbattendo de facto le barriere tra raccolta ed analisi, condividendo non solo informazioni, ma in molti casi comunicandone le fonti, e conducendo analisi congiunte di specifici eventi, così come dell’evoluzione generale della situazione. Nonostante la mancanza di risultati rispetto all’obiettivo primario di fornire informazioni rilevanti per la liberazione dell’ostaggio, la collaborazione tra le componenti del sistema informativo che ebbe luogo durante i quasi due mesi del sequestro Moro si sarebbe rivelata di notevole importanza nel periodo immediatamente successivo, non solo come “esperimento organizzativo” utile a definire percorsi di cooperazione, ma anche per sviluppare il quadro informativo alla base delle operazioni anti-terrorismo condotte sotto il comando del Generale Dalla Chiesa.
la documentazione d’archivio disponibile evidenzia importanti lacune in relazione alla dimensione verticale dell’integrazione
Al contrario, la documentazione d’archivio disponibile evidenzia importanti lacune in relazione alla dimensione verticale dell’integrazione. Il principale organo di coordinamento e sintesi informativa creato dalla legge 801/1977, ovvero il CESIS, nel corso degli anni ha svolto un ruolo sempre più incisivo, i suoi poteri tuttavia sono de facto rimasti più circoscritti rispetto a quanto effettivamente previsto nella disciplina di legge. Ciò, a sua volta, ha fatto sì che in ultimo l’efficacia del CESIS sia storicamente rimasta molto legata alle capacità individuali del Segretario Generale.
Da
quanto ha detto sembra si possa concludere che gli interventi da attuarsi
sull’apparato informativo dovrebbero capitalizzare sul buon livello di
integrazione orizzontale esistente e, al contempo, correggere lo scarso livello
di integrazione verticale, è così?
Si. Non possiamo
ovviamente essere sicuri che l’attuale sistema d’intelligence italiano
sia ancora caratterizzato da alti livelli di integrazione orizzontale di cui
abbiamo parlato prima. L’ipotesi più plausibile, tuttavia, è la situazione non
sia cambiata molto da quel punto di vista, e che la creazione del Dipartimento
delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) in luogo del CESIS, abbia solo in
parte sanato le carenze in materia di integrazione verticale. Gli interventi
sul sistema di intelligence dovrebbero dunque mirare a: espandere lo
spazio di interazione delle due agenzie operative al fine di rafforzare
ulteriormente l’integrazione orizzontale, e consentire al DIS di perseguire quelle che
potremmo chiamare forme di “integrazione verticale a monte” sul
processo di produzione dell’intelligence.
Come visto in precedenza nella cultura organizzativa di entrambe le agenzie operative esiste una forte attitudine alla fusione di raccolta e analisi, così come, a mettere in pratica sia all’interno che all’esterno, processi di lavoro congiunti e non funzionalmente segmentati. Al fine di sfruttare questo vantaggio comparato, la riforma del sistema dovrebbe puntare sull’incrementare l’autonomia, spingendola quanto meno a livello di aree (introdurre ridondanza è più semplice e può essere fatto attraverso il reclutamento). Ciò rafforzerebbe ulteriormente l’integrazione orizzontale creando dei potenziali spazi di lavoro congiunti tra le agenzie operative da attivarsi in base alle necessità.
la riforma del sistema dovrebbe puntare sull’incrementare l’autonomia, spingendola quanto meno a livello di aree
Per quanto riguarda l’integrazione verticale, in cui invece come si è visto il sistema è relativamente debole, una soluzione potrebbe essere rappresentata dal consentire al DIS di integrare all’interno delle proprie attività un maggior numero di “passaggi intermedi” nel processo di produzione dell’intelligence. In altre parole dovrebbe essere consentito al Dipartimento di esercitare un ruolo di coordinamento (operando di fatto come “abilitatore”/”facilitatore”) sulle attività congiunte delle agenzie operative fino al livello più basso a cui si intende spingere l’integrazione orizzontale. Solo in tal modo sembra possibile lasciarsi definitivamente alle spalle le lacune croniche di integrazione verticale di cui il sistema sembra soffrire dal 1977.
Da ultimo, vale la pena ribadire che, come più volte sottolineato, essenziale per il rafforzamento dell’integrazione e la creazione di un surplus capacitivo è il reintegro del Reparto Informazioni per la Sicurezza (RIS) nel Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica. Ciò alla luce del fatto che il RIS dispone di una serie di risorse per la raccolta tecnica la cui condivisione in un sistema d’intelligence relativamente piccolo come quello italiano potrebbe essere di fondamentale importanza.
la soluzione al problema della frammentazione non passa dalla centralizzazione del processo di produzione dell’intelligence ma dalla centralizzazione della conoscenza
In sintesi, dunque, la soluzione qui prospettata potrebbe risolvere il problema della frammentazione non attraverso la centralizzazione del processo di produzione dell’intelligence, come avverrebbe con la creazione di servizio unico, ma mediante la centralizzazione del suo output, ovvero della conoscenza.
Niccolò Petrelli è
Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma
Tre, dove insegna Studi Strategici, e Senior Research Fellow per Start InSight.