Elezioni USA. Trump-Harris: Un dibattito al ritmo di colpi e contraccolpi.
di Melissa de Teffè.
Finito il dibattito il primo commento che balza alla mente è che la Harris è stata per Trump pruriginosa. Dopo una breve introduzione in cui racconta d’essere cresciuta con solo la mamma divorziata che l’ha mantenuta fino alla fine degli studi, si è subito lanciata nel suo “programma” politico incentrato nel voler sollevare la classe media, la stessa di sua provenienza, dalle pressanti difficoltà economiche in cui versa. La strategia della squadra Harris è stata quella di irritare il più possibile Trump, obbligandolo di fatto a stare sulla difensiva. Non c’è stato un momento in cui Trump non sia stato in qualche modo denigrato o preso in giro, come quando gli è stato detto che durante la sua presidenza si scambiava lettere d’amore con il presidente Kim della Corea del Nord, o che la guerra tra Russia e Ucraina finirebbe per i suoi interessi compiacenti con Putin. Oppure ancora che molti capi di Stato lo considerano un personaggio “vergognoso”. Queste solo alcune delle critiche, farcite per altro da evidenti gesti continui con la testa, di disapprovazione, di sfottò e di presa in giro.
Trump dal canto suo ha dimostrato, confrontando altri momenti di suoi exploit, molto controllato, ma sempre sulla difensiva. Insomma, tanti colpi bassi, tante denigrazioni, ma pochissima sostanza.
Partirei quindi dalle conclusioni di ambo i candidati che danno una chiara visione di questa battaglia politica in stallo.
Harris: “Quindi, penso che questa sera abbiate sentito due visioni molto diverse per il nostro Paese: una concentrata sul futuro, e l’altra concentrata sul passato e su un tentativo di riportarci indietro.
Ma noi non torneremo indietro, e credo davvero che il popolo americano sappia che abbiamo molto più in comune di quanto ci divida, e possiamo tracciare una nuova strada in avanti, una visione che includa avere un piano, il capire le aspirazioni, i sogni, le speranze e le ambizioni del popolo americano.
Ecco perché intendo creare un’economia di opportunità, investendo nelle piccole imprese, nelle nuove famiglie, e in ciò che possiamo fare per proteggere gli anziani, ciò che possiamo fare per dare sollievo a chi lavora duramente e ridurre il costo della vita. Credo in ciò che possiamo fare insieme per sostenere la posizione dell’America nel mondo e garantire il rispetto che meritiamo, incluso il rispetto per il nostro esercito e l’assicurazione di avere l’esercito più letale al mondo.
Sarò un presidente che proteggerà i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali, incluso il diritto di una donna di prendere decisioni sul proprio corpo senza che il governo le dica cosa fare.
Vi dico che ho iniziato la mia carriera come procuratrice. Sono stata procuratrice distrettuale, procuratrice generale, senatrice degli Stati Uniti e ora vicepresidente.
Ho avuto solo un cliente: il popolo. E vi dico, come procuratrice, non ho mai chiesto a una vittima o a un testimone: ‘Sei repubblicano o democratico?’ L’unica cosa che ho mai chiesto è stata: ‘Stai bene?’ E questo è il tipo di presidente di cui abbiamo bisogno in questo momento, qualcuno che si preoccupi di voi e che non metta sé stesso al primo posto.
Intendo essere un presidente per tutti gli americani e concentrarmi su ciò che possiamo fare nei prossimi 10 e 20 anni per ricostruire il nostro Paese, investendo ora in voi, il popolo americano.”
Trump: “Ha appena iniziato dicendo che farà questo, farà quello. Farà tutte queste cose meravigliose. Perché non le ha fatte? È lì da tre anni e mezzo.
Hanno avuto tre anni e mezzo per sistemare il confine. Hanno avuto tre anni e mezzo per creare posti di lavoro e fare tutte le cose di cui abbiamo parlato. Perché non le ha fatte?
Dovrebbe uscire di qui e andare subito in quella bellissima Casa Bianca, andare al Campidoglio, radunare tutti e fare le cose che vuole fare. Ma non l’ha fatto, e non lo farà perché crede in cose in cui il popolo americano non crede.
Crede in cose come ‘non trivelleremo, non utilizzeremo i combustibili fossili, non faremo cose che ci renderanno forti’, che vi piaccia o no. La Germania lo ha fatto, e nel giro di un anno sono tornati a costruire centrali energetiche tradizionali… Non possiamo sacrificare il nostro Paese per una visione sbagliata.
Ma faccio solo una semplice domanda: perché non lo ha fatto? Siamo una nazione in declino. Siamo una nazione che sta vivendo un grave declino.
Ci deridono in tutto il mondo, in tutto il mondo. Ridono di noi. Conosco molto bene i leader. Vengono a trovarmi. Mi chiamano. Ci deridono in tutto il mondo. Non capiscono cosa ci sia successo, come nazione, non siamo più leader, non abbiamo idea di cosa ci stia succedendo.
Abbiamo guerre in corso in Medio Oriente, abbiamo guerre in corso tra Russia e Ucraina. Finiremo in una Terza Guerra Mondiale, e sarà una guerra come nessun’altra, a causa delle armi nucleari, della potenza bellica.
Io ho ricostruito tutto il nostro esercito. Lei ne ha regalato una gran parte ai talebani. L’ha dato all’Afghanistan. Quello che queste persone (Biden-Harris ndt), hanno fatto al nostro Paese, e forse la cosa più difficile di tutte, è permettere a milioni di persone di entrare nel nostro Paese.
Molti di loro sono criminali e stanno distruggendo il nostro Paese. Il peggior presidente, la peggiore vicepresidente nella storia del nostro Paese.”
In queste due chiusure si riassume una visione e un’idea di ciascun candidato. Rimane sicuramente il rammarico dal punto di vista giornalistico dove gli interessi politici personali hanno preso il sopravvento e ambo candidati non sono stati intervistati dai moderatori su fatti e programmi in dettaglio per capire come porterebbero l’America di oggi fuori dall’inflazione, come cercherebbero di arginare il problema migratorio illegale, e come infine si porrebbero di fronte a due guerre che non vedono al momento soluzione alcuna. Infatti, se da un lato abbiamo tutti avuto la possibilità di vedere Trump al lavoro con i Talebani, i Cinesi, le due Coree, in termini non solo economici ma anche di equilibri internazionali, ad oggi l’amministrazione Biden-Harris non è riuscita a portare a casa alcun successo diplomatico e Harris avendo detto con enfasi, diverse volte, che lei non è Biden, discostandosi quindi da quella politica più a sinistra, non ci è ancora chiaro come si confronterebbe con le complessità interne ed internazionali che dovrebbe affrontare nell’eventualità di una vittoria. I moderatori hanno quindi fallito nel non farci raccontare attraverso domande argute e puntuali, quali strade i candidati percorrerebbero per soddisfare le richieste di un paese che è disperatamente alla ricerca di un leader.
Quindi per concludere non sembrano esserci né vinti né vincitori: i Trumpiani speravano in un Trump più brillante, gli Harris gioiscono per aver fatto una buona figura, date le premesse, e a distanza di qualche ora dal fatidico 11 settembre, nessuno se n’è appropriato. Una svista?
Iron Swords: le nuove sfide dell’offensiva terrestre nella guerra Israele-Hamas.
di Claudio Bertolotti.
Articolo tratto dal libro: C. Bertolotti (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight Lugano (Link: https://www.amazon.it/dp/8832294230)
Introduzione all’evoluzione urbana del
conflitto
Nessun ambiente è più
sfidante per le forze militari di una città. Nessuna forma di combattimento è
intrinsecamente più distruttiva della guerra urbana. Eppure, troppo spesso, le
forze militari sono sia impreparate di fronte alle sfide imposte dai campi di
battaglia ad alta densità di popolazione, sia incapaci di evitare di essere
trascinate in brutali combattimenti urbani. Nel libro Understanding urban warfare, gli Autori Liam Collins e John Spencer
pongono l’attenzione sulla prospettiva della guerra urbana in termini di sfide
uniche: dagli effetti limitanti del terreno tridimensionale su molti sistemi
d’arma, alla molteplicità di punti di fuoco nemici all’interno delle vie di
comunicazione urbane (strade, vicoli, viali), alla necessità fondamentale di
minimizzare le vittime civili, proteggere le infrastrutture critiche e il
patrimonio culturale (Collins, Spencer, 2022). Città, intese come terreno di
scontro, che offrono opzioni di manovra differenti – e spesso con una limitata
prevedibilità – a seconda della tipologia di area urbana (megalopoli, città
metropolitane, città periferiche, conurbazioni e persino smart city), le cui caratteristiche peculiari sono in grado di
influenzare le operazioni militari nel loro complesso.
Come ho avuto modo di
evidenziare nel mio ultimo volume sulla guerra urbana nel conflitto
Israele-Hamas, Gaza Underground: la
guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche,
guerra cognitiva e intelligenza artificiale, molte le battaglie urbane più
recenti – dalla Battaglia di Mogadiscio del 1993 alla Seconda Battaglia di
Falluja in Iraq nel 2004, alla Battaglia di Shusha nel 2020 nella Seconda
Guerra del Nagorno-Karabakh, e, ancora, Mariupol nel 2022 e Bakhmut nel 2023
nella guerra russo-ucraina – ci consegnano tendenze e lezioni apprese per
comprendere meglio la guerra urbana poiché in un mondo sempre più urbanizzato,
il futuro carattere del conflitto sarà anch’esso sempre più urbano.
L’approccio
israeliano al combattimento urbano: la lezione di Gaza
Sul
piano tattico, i soldati israeliani hanno combattuto l’ultima grande battaglia
terrestre nel 2014, quando Israele schierò le proprie truppe all’interno di
Gaza; dal punto di vista strategico, lo stato maggiore della Difesa israeliana
da allora si è invece concentrato nell’opera di contrasto delle potenziali
minacce dall’Iran, piuttosto che dal nemico della porta accanto. Un quadro
complessivo che ha di fatto distratto le forze armate israeliane da una
minaccia sostanziale, ma di natura diversa.
Al
contrario, rispetto alle origini, Hamas si è rafforzato militarmente rispetto
al 2008/2009, quando dovette affrontare per la prima volta un assalto di terra
da parte israeliana. Allora l’ala militare di Hamas, la brigata Izz ad-Din
al-Qassam, consisteva in 16.000 miliziani e circa 2.000 truppe
“specializzate” nel combattimento. Situazione ben diversa quella alla vigilia
dell’offensiva del 2023, momento in cui, secondo le Idf, Hamas poté contare su
una forza di ben 40.000 combattenti d’élite, un arsenale di droni e circa 30.000 razzi, una quantità che, il 7 ottobre 2023, mise
in difficoltà gli intercettori del sistema Iron
Dome, portato a saturazione di capacità (maggior numero di razzi sparati da
Hamas rispetto alla capacità del sistema di difesa israeliano), al punto da
indurre gli Stati Uniti ad inviare rifornimenti con estrema urgenza
(Bertolotti, 2024).
Con
l’avvio dell’offensiva terrestre dell’operazione Iron Swords, le forze di difesa israeliane impegnate nell’area
urbana di Gaza, la parte più densamente popolata della Striscia, diedero avvio
a una nuova fase del conflitto incentrata principalmente sulla guerra urbana,
una parte della quale nel sottosuolo, in cui le unità del genio sono state
impegnate in operazioni di apertura di varchi per l’accesso ai tunnel,
consentendo alle unità specializzate nel combattimento sotterraneo di
sopraffare il nemico (Schalit, 2023).
Come
parte del loro piano di difesa, i genieri di Hamas ebbero a disposizione
un’enorme serie di tunnel tattici; alcuni interconnessi, altri isolati. Molti,
come abbiamo argomentato in precedenza, scavati a una profondità di sicurezza
dall’azione di bombardamento aereo, altri posti vicini alla superficie per
consentire l’accesso o l’uscita dei miliziani. E ancora, tunnel e “buchi di
topo” furono predisposti da Hamas per consentire ai propri combattenti di
muoversi in maniera occulta tra gli edifici e per attaccare i soldati
israeliani per poi scomparire di nuovo (Schalit, 2023). Oltre a godere di
questi vantaggi tattici per muovere le proprie truppe, i genieri palestinesi allestirono
e predisposero anche dispositivi esplosivi improvvisati (Ied) – alcuni nascosti nei muri per esplodere al passaggio dei
veicoli corazzati, altri più grandi sepolti sotto il manto stradale o i cumuli
di macerie; altri casi, ancora, videro la presenza di tunnel con trappole per
attirare e colpire i soldati israeliani impegnati nella ricerca e recupero di
ostaggi.
La guerra urbana è estremamente lenta
La guerra
ha affrontato una fase critica con l’ingresso delle unità all’interno del
perimetro urbano di Gaza, dove l’esercito israeliano, dotato di competenze di
primo livello in ambito di combattimento urbano, fronteggiò un nemico
determinato a lottare fino all’ultimo che si era preparato per anni per quello
scontro. Una battaglia che si svolse in un contesto favorevole al difensore (Schalit,
2023).
Le
esperienze di combattimento in aree urbane, come quelle vissute a Mosul in Iraq
e Marawi nelle Filippine tra il 2016 e il 2017, offrono importanti
insegnamenti. A Mosul, un contingente iracheno di 100.000 unità sostenuto dagli
Stati Uniti impiegò nove mesi per neutralizzare un gruppo di militanti del
gruppo Stato islamico in una città fortificata, subendo la perdita di 8.000
uomini e di numerose attrezzature militari a causa di esplosivi improvvisati.
Analogamente, a Marawi, le forze filippine impiegarono cinque mesi per superare
i militanti dello Stato islamico-Maute,
affrontando la difficile realtà di poter prendere il controllo di un solo
edificio al giorno, dato il costante rischio di imboscate e la presenza di
esplosivi nascosti. Questi scenari testimoniano le complesse sfide del
combattimento urbano e la resilienza necessaria per affrontarle.
I tre livelli di sfida della guerra
urbana
Come
abbiamo detto, la guerra urbana è una delle sfide più complesse e multiformi
che un esercito possa affrontare. Questo tipo di conflitto si distingue per la
sua intensità e per le implicazioni profonde non solo dal punto di vista
tattico, ma anche percettivo ed etico-morale.
A
livello percettivo, la guerra urbana mette in luce un contrasto marcato tra le
aspettative di una società incline alla moderazione e alla ricerca di una
condotta eticamente accettabile nel conflitto, e la realtà brutale dei
combattimenti urbani, dove i costi in termini di vite umane, distruzione
materiale e perdita di legittimità internazionale possono essere devastanti.
Questa discrepanza crea una sorta di dissonanza cognitiva, rendendo difficile
per gli eserciti moderni, ancorati ai valori delle società liberali, prepararsi
adeguatamente alla brutalità intrinseca di questo tipo di combattimento.
Dal
punto di vista tattico, gli scenari di guerra urbana presentano una serie di
difficoltà uniche, che abbiamo in parte già illustrato. Il combattimento in
ambienti densamente costruiti comporta il rischio di attacchi a distanza
tramite droni o dispositivi esplosivi
improvvisati, aumentando significativamente il pericolo per le forze sul campo.
L’ambiente urbano facilita poi la possibilità per gli avversari di nascondersi
e tendere agguati, creando un clima di incertezza costante. Le truppe in
manovra si trovano esposte a rischi elevati, con il loro potere di fuoco
diluito dalla necessità di disperdersi tra gli edifici, spesso con visibilità
ridotta. A ciò si aggiunge il problema del degrado delle capacità dei sensori e
dei sistemi di comunicazione, fondamentali per la coordinazione delle
operazioni.
Sul
piano etico e morale, la presenza di civili nel teatro di guerra urbano
introduce dilemmi di grande rilevanza. I civili subiscono le conseguenze del
conflitto in maniera sproporzionata, sia direttamente, come vittime degli
scontri, sia indirettamente, a causa degli sfollamenti e delle epidemie
derivanti dalla distruzione delle infrastrutture urbane. I comandanti militari
si trovano di fronte al delicato dilemma della proporzionalità, dovendo
bilanciare la necessità di agire per la sicurezza dei propri soldati con la
responsabilità di evitare danni ai civili, in conformità con il diritto
internazionale umanitario (Diu). Questo equilibrio è complicato ulteriormente
dalla presenza di civili che possono usare dispositivi elettronici e social media, da coloro che si mostrano
ostili o resistono in maniera non armata, e dal peso psicologico e politico che
tali decisioni impongono sui comandanti, potenzialmente influenzando il loro
giudizio e le loro scelte.
Lo sviluppo delle capacità tecniche e
tattiche delle forze israeliane
Le
forze armate israeliane hanno storicamente affrontato numerose sfide nel
contesto urbano di Gaza, soprattutto dopo il ritiro del 2005, con le operazioni
militari del 2008 e le successive del 2014; momenti diversi in cui le forze
israeliane hanno appreso preziose lezioni. Dal punto di vista politico,
Gerusalemme ha riconosciuto l’importanza cruciale di guadagnarsi il favore
dell’opinione pubblica, sia a livello internazionale che nazionale. Sul fronte
militare, si è reso evidente che la potenza aerea da sola non è mai sufficiente,
inducendo a ridefinire le capacità e l’organizzazione delle forze terrestri, in
particolare per quanto riguarda l’acquisizione e l’impiego di robusti veicoli
corazzati e l’applicazione di tecniche, tattiche e procedure innovative
finalizzate a gestire la minaccia proveniente dal sottosuolo.
Come
diretta conseguenza di queste lezioni, le Idf si è equipaggiato con alcune
delle migliori tecnologie per le operazioni urbane; tra queste, spiccano carri
armati e veicoli blindati per il trasporto truppe, considerati tra i più sicuri
al mondo. L’arsenale israeliano comprende anche i bulldozer corazzati tipo “Doobi”
D9 della Caterpillar, progettati per abbattere edifici e creare percorsi sicuri
in ambienti potenzialmente minati, così riducendo il rischio di imboscate e
attacchi con ordigni esplosivi improvvisati (Ied). Questi potenti mezzi, che
possono essere anche comandati a distanza, sono stati oggetto di controversie
per il loro uso nella demolizione di abitazioni, interpretato da alcuni come
misura punitiva.
Ma l’impiego
operativo dei D9, contrariamente alle critiche che si inseriscono nel più ampio
panorama di opposizione strumentale, prevede di aprire vie sicure attraverso
aree rischiose, creare percorsi alternativi distruggendo parzialmente gli
edifici, e costruire barriere protettive intorno a zone strategiche per
consolidare le conquiste territoriali delle unità militari. Questo approccio
riflette una combinazione di forza e ingegnosità, segnando la continua
evoluzione delle strategie militari israeliane di fronte alle sfide uniche
della guerra urbana.
L’esercito israeliano, nel suo vasto arsenale
di veicoli specialistici, dispone poi di un veicolo particolare, il “Puma”, dedicato alla neutralizzazione
dei campi minati e nel contrasto agli ordigni improvvisati. Dotato di un
elaborato sistema di sgombero mine chiamato “Ied Carpet”,[1]
il “Puma” ha la capacità di far
detonare o neutralizzare dispositivi esplosivi nascosti tramite esplosioni
controllate con razzi. Oltre a questa tecnologia di punta, gli stessi veicoli
in dotazione alle unità del genio militare sono equipaggiati con dispositivi in
grado di disturbare i circuiti o le trasmissioni utilizzate per l’attivazione
controllata degli Ied, alcuni dei
quali includono il sistema “Thor” che
utilizza laser di precisione per innescare gli ordigni a distanza (Schalit,
2023).
Nell’ambito del combattimento sotterraneo, l’esercito
israeliano vanta poi unità specializzate, come gli elementi del Sarayet Yahalom, addestrati
nell’individuazione, nella manovra e nella distruzione di tunnel. Queste forze
speciali fanno uso di cariche esplosive speciali, droni e robot sotterranei
per condurre le loro operazioni, con ciò confermando quanto Israele sia
all’avanguardia nella ricerca di tecnologie di rilevamento sotterraneo,
impiegando un ampio ventaglio di strumentazioni che spaziano dall’ambito
geo-spaziale a quelli acustico, sismico, tomografico a resistività elettrica
(Ert), fino al radar a penetrazione del suolo, in grado di mappare tunnel fino
a venti metri di profondità.
L’approccio delle Idf nei confronti dei tunnel è volto
prevalentemente alla loro distruzione dalla superficie, evitando ove possibile
l’ingresso e la messa in pericolo degli operatori militari. Tuttavia, per
missioni specifiche come il recupero di ostaggi, sono state addestrate unità
speciali, incluse squadre di ricognizione Yahalom
e l’unità cinofila Oketz, dotate di
attrezzature specifiche per operazioni sotterranee. La possibilità di dover
effettuare ricognizioni dirette mediante l’impiego di soldati all’interno di
questa vasta rete di tunnel suggerisce l’impiego di tecniche operative
altamente specializzate, potenzialmente affidate alle unità di élite Mista’arvim, capaci di operare sotto copertura e mimetizzarsi tra i
combattenti avversari.
In questo scenario di confronto tecnologico e tattico,
entrambi gli schieramenti potrebbero riservarsi sorprese impreviste e
devastanti. Se da un lato le Idf dispongono della superiorità tecnologica e
militare necessaria a prevalere, dall’altro l’esito della battaglia e le sue
ripercussioni umane e geopolitiche rimangono avvolte in un velo di incertezza,
testimoniando la complessità e l’imprevedibilità del conflitto moderno (Schalit, 2023).
Bibliografia
Bertolotti C. (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e
urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e
intelligenza artificiale, ed. START InSight, Lugano, pp. 325.
Collins L, Spencer J. (2022), Understanding Urban Warfare, Howgate
Publishing Limited, pp. 392.
Schalit A. (2023), Hidden tunnels, ambushes and explosives in
walls: the Israel-Hamas war enters a precarious new phase, The
Conversation, 23 novembre 2023, in
https://theconversation.com/hidden-tunnels-ambushes-and-explosives-in-walls-the-israel-hamas-war-enters-a-precarious-new-phase-216830.
[1] Sgombero Campi Minati
e Neutralizzazione Ied: il Carpet è
un sistema moderno di sgombero campi minati e neutralizzazione Ied, prodotto dall’israeliana Rafael,
che può aprire un percorso di cento metri in un campo minato con alta
efficienza di bonifica e può neutralizzare tutti i tipi di Ied. Per raggiungere la massima sopravvivenza dell’equipaggio, il
sistema è operato da due soldati all’interno del veicolo. Il sistema Carpet
consiste in un lanciatore che contiene venti razzi dotati di testate Fae (Fuel-Air Explosive). Il lanciatore è un
kit aggiuntivo autonomo che può essere assemblato facilmente e rapidamente sul
campo su qualsiasi veicolo. Il Carpet è il sistema più efficiente per lo
sgombero di campi minati e la neutralizzazione/detonazione di Ied in qualsiasi
terreno e in tutte le condizioni atmosferiche, mantenendo al contempo la
sicurezza dell’equipaggio.
Articolo tratto dal libro: C. Bertolotti (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight Lugano (Link: https://www.amazon.it/dp/8832294230)