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L’attacco di Israele a Hezbollah: tra politica e strategia militare

di Claudio Bertolotti.

Sul piano politico-strategico Israele persegue l’obiettivo di distruggere l’asse della resistenza, che è la prima minaccia che incombe su Israele (forse non più). Una scelta che determinerà, in primis, una ridefinizione degli equilibri in Medioriente, con una progressiva erosione della minaccia attraverso l’indebolimento o la disarticolazione irreversibile dei suoi attori di prossimità (Hamas, Hezbollah, Ansar-Allah yemeniti, milizie sciite irachene, Siria). Aspetto prioritario rimane il proseguimento del processo di normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi avviato con gli “Accordi di Abramo”, sponsorizzato dagli Stati Uniti che, sebbene rallentato dal conflitto in atto, rimane la priorità condivisa da Washington, Gerusalemme e Riad.

Sul piano strategico-militare l’azione contro Hezbollah ha un intento preventivo a un’eventuale minaccia simultanea da parte del cd. “Asse della Resistenza” guidato da Teheran che metterebbe in crisi il sistema contraereo Iron Dome israeliano in conseguenza della saturazione della capacità di risposta (più attacchi rispetto alla capacità di reazione israeliana). Questo coerentemente con la visione israeliana che percepisce la minaccia iraniana come esistenziale e adotta un approccio preventivo.

Scelte, quella politica e quella militare, che concretizzano l’approccio teorico e di prontezza operativa definito nei documenti di “Strategia per la sicurezza nazionale” e la “Dottrina strategica militare”.

Con la serie di azioni a danno di Hezbollah, Israele è riuscito a scardinare non tanto la sostanza di un’alleanza, ma la sua illusione di potenza e deterrenza. L’Iran ormai è nudo, è debole, e i suoi alleati pregiati, da Hamas e Hezbollah sono stati drasticamente ridimensionati sia sul piano politico (uccisioni targeting) sia militare. Hamas è ormai ridotto ai minimi termini militarmente parlando, Hezbollah è privo di capacita di comando, controllo e comunicazione, e questo dimostra come la retorica iraniana sia ormai stata smentita dai fatti.

E la preoccupazione di Teheran aumenta con l’avvicinarsi delle elezioni statunitensi. Oggi gli Stati Uniti sostengono senza sé e senza ma Gerusalemme. E se è comprensibile una certa ritrosia dell’amministrazione democratica a un’intensificazione dello scontro regionale (a cui Washington non farebbe comunque mancare il proprio appoggio), un’eventuale vittoria repubblicana di fatto rafforzerebbe la linea politica israeliana già consolidata.


Nasrallah morto nei raid israeliani. Intervista a C. Bertolotti

SkyTG24 del 28 settembre 2024.
L’intervista al Direttore di START InSight a partire dal minuto 11.21


‘Gaza Underground’, la presentazione del libro alla Camera dei Deputati, Roma

È in programma mercoledì 18 settembre, alle ore 10, a Roma, a Palazzo San Macuto, Sala del refettorio, il convegno “Nuovi Conflitti: il ruolo dell’intelligenza Artificiale e la guerra cognitiva” durante il quale viene presentato il volume del Direttore di START InSight Claudio Bertolotti intitolato

Gaza Underground. La guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas
(ed. START InSight, 2024)

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“Nel cuore della terra, sotto il confine turbolento tra Israele e Gaza, si è sviluppata una guerra invisibile, tanto silenziosa quanto pericolosa. Questa è la storia della guerra sotterranea combattuta da Israele contro Hamas. La lotta contro l’uso strategico dei tunnel da parte dei miliziani rappresenta un capitolo oscuro e complesso del conflitto israelo-palestinese, un fronte di battaglia che si estende ben al di là della vista e della percezione pubblica.”


Elezioni USA. Trump-Harris: Un dibattito al ritmo di colpi e contraccolpi.

di Melissa de Teffè.

Finito il dibattito il primo commento che balza alla mente è che la Harris è stata per Trump pruriginosa. Dopo una breve introduzione in cui racconta d’essere cresciuta con solo la mamma divorziata che l’ha mantenuta fino alla fine degli studi, si è subito lanciata nel suo “programma” politico incentrato nel voler sollevare la classe media, la stessa di sua provenienza, dalle pressanti difficoltà economiche in cui versa. La strategia della squadra Harris è stata quella di irritare il più possibile Trump, obbligandolo di fatto a stare sulla difensiva. Non c’è stato un momento in cui Trump non sia stato in qualche modo denigrato o preso in giro, come quando gli è stato detto che durante la sua presidenza si scambiava lettere d’amore con il presidente Kim della Corea del Nord, o che la guerra tra Russia e Ucraina finirebbe per i suoi interessi compiacenti con Putin. Oppure ancora che molti capi di Stato lo considerano un personaggio “vergognoso”.  Queste solo alcune delle critiche, farcite per altro da evidenti gesti continui con la testa, di disapprovazione, di sfottò e di presa in giro.

Trump dal canto suo ha dimostrato, confrontando altri momenti di suoi exploit, molto controllato, ma sempre sulla difensiva. Insomma, tanti colpi bassi, tante denigrazioni, ma pochissima sostanza. 

Partirei quindi dalle conclusioni di ambo i candidati che danno una chiara visione di questa battaglia politica in stallo. 

Harris: “Quindi, penso che questa sera abbiate sentito due visioni molto diverse per il nostro Paese: una concentrata sul futuro, e l’altra concentrata sul passato e su un tentativo di riportarci indietro. 

Ma noi non torneremo indietro, e credo davvero che il popolo americano sappia che abbiamo molto più in comune di quanto ci divida, e possiamo tracciare una nuova strada in avanti, una visione che includa avere un piano, il capire le aspirazioni, i sogni, le speranze e le ambizioni del popolo americano. 

Ecco perché intendo creare un’economia di opportunità, investendo nelle piccole imprese, nelle nuove famiglie, e in ciò che possiamo fare per proteggere gli anziani, ciò che possiamo fare per dare sollievo a chi lavora duramente e ridurre il costo della vita. Credo in ciò che possiamo fare insieme per sostenere la posizione dell’America nel mondo e garantire il rispetto che meritiamo, incluso il rispetto per il nostro esercito e l’assicurazione di avere l’esercito più letale al mondo.

Sarò un presidente che proteggerà i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali, incluso il diritto di una donna di prendere decisioni sul proprio corpo senza che il governo le dica cosa fare.

 Vi dico che ho iniziato la mia carriera come procuratrice. Sono stata procuratrice distrettuale, procuratrice generale, senatrice degli Stati Uniti e ora vicepresidente. 

 Ho avuto solo un cliente: il popolo. E vi dico, come procuratrice, non ho mai chiesto a una vittima o a un testimone: ‘Sei repubblicano o democratico?’ L’unica cosa che ho mai chiesto è stata: ‘Stai bene?’ E questo è il tipo di presidente di cui abbiamo bisogno in questo momento, qualcuno che si preoccupi di voi e che non metta sé stesso al primo posto. 

Intendo essere un presidente per tutti gli americani e concentrarmi su ciò che possiamo fare nei prossimi 10 e 20 anni per ricostruire il nostro Paese, investendo ora in voi, il popolo americano.”

Trump: “Ha appena iniziato dicendo che farà questo, farà quello. Farà tutte queste cose meravigliose.  Perché non le ha fatte? È lì da tre anni e mezzo. 

Hanno avuto tre anni e mezzo per sistemare il confine. Hanno avuto tre anni e mezzo per creare posti di lavoro e fare tutte le cose di cui abbiamo parlato. Perché non le ha fatte?

Dovrebbe uscire di qui e andare subito in quella bellissima Casa Bianca, andare al Campidoglio, radunare tutti e fare le cose che vuole fare.  Ma non l’ha fatto, e non lo farà perché crede in cose in cui il popolo americano non crede. 

Crede in cose come ‘non trivelleremo, non utilizzeremo i combustibili fossili, non faremo cose che ci renderanno forti’, che vi piaccia o no. La Germania lo ha fatto, e nel giro di un anno sono tornati a costruire centrali energetiche tradizionali… Non possiamo sacrificare il nostro Paese per una visione sbagliata.

Ma faccio solo una semplice domanda: perché non lo ha fatto?  Siamo una nazione in declino. Siamo una nazione che sta vivendo un grave declino.

Ci deridono in tutto il mondo, in tutto il mondo. Ridono di noi. Conosco molto bene i leader. Vengono a trovarmi. Mi chiamano. Ci deridono in tutto il mondo. Non capiscono cosa ci sia successo, come nazione, non siamo più leader, non abbiamo idea di cosa ci stia succedendo.

Abbiamo guerre in corso in Medio Oriente, abbiamo guerre in corso tra Russia e Ucraina. Finiremo in una Terza Guerra Mondiale, e sarà una guerra come nessun’altra, a causa delle armi nucleari, della potenza bellica.   

Io ho ricostruito tutto il nostro esercito. Lei ne ha regalato una gran parte ai talebani. L’ha dato all’Afghanistan.  Quello che queste persone (Biden-Harris ndt), hanno fatto al nostro Paese, e forse la cosa più difficile di tutte, è permettere a milioni di persone di entrare nel nostro Paese. 

Molti di loro sono criminali e stanno distruggendo il nostro Paese. Il peggior presidente, la peggiore vicepresidente nella storia del nostro Paese.”

In queste due chiusure si riassume una visione e un’idea di ciascun candidato. Rimane sicuramente il rammarico dal punto di vista giornalistico dove gli interessi politici personali hanno preso il sopravvento e ambo candidati non sono stati intervistati dai moderatori su fatti e programmi in dettaglio per capire come porterebbero l’America di oggi fuori dall’inflazione, come cercherebbero di arginare il problema migratorio illegale, e come infine si porrebbero di fronte a due guerre che non vedono al momento soluzione alcuna. Infatti, se da un lato abbiamo tutti avuto la possibilità di vedere Trump al lavoro con i Talebani, i Cinesi, le due Coree, in termini non solo economici ma anche di equilibri internazionali, ad oggi l’amministrazione Biden-Harris non è riuscita a portare a casa alcun successo diplomatico e Harris avendo detto con enfasi, diverse volte, che lei non è Biden, discostandosi quindi da quella politica più a sinistra, non ci è ancora chiaro come si confronterebbe con le complessità interne ed internazionali che dovrebbe affrontare nell’eventualità di una vittoria. I moderatori hanno quindi fallito nel non farci raccontare attraverso domande argute e puntuali, quali strade i candidati percorrerebbero per soddisfare le richieste di un paese che è disperatamente alla ricerca di un leader.

Quindi per concludere non sembrano esserci né vinti né vincitori: i Trumpiani speravano in un Trump più brillante, gli Harris gioiscono per aver fatto una buona figura, date le premesse, e a distanza di qualche ora dal fatidico 11 settembre, nessuno se n’è appropriato. Una svista?   


Radicalizzati a 11 anni. È possibile?

Dopo la segnalazione di un caso nella Svizzera francese, il Presidente di START InSight Chiara Sulmoni ha parlato del tema con i servizi info della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana.

Intervista a cura della giornalista Francesca Calcagno, SEIDISERA, 6 settembre 2024 (approfondimento radio)

LEGGI QUI LA TRASCRIZIONE DELL’INTERVISTA

Intervista a cura della giornalista Alessia Caldelari, TG RSI, 6 settembre 2024 (TV)


Iron Swords: le nuove sfide dell’offensiva terrestre nella guerra Israele-Hamas.

di Claudio Bertolotti.

Articolo tratto dal libro: C. Bertolotti (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight Lugano (Link: https://www.amazon.it/dp/8832294230)

Introduzione all’evoluzione urbana del conflitto

Nessun ambiente è più sfidante per le forze militari di una città. Nessuna forma di combattimento è intrinsecamente più distruttiva della guerra urbana. Eppure, troppo spesso, le forze militari sono sia impreparate di fronte alle sfide imposte dai campi di battaglia ad alta densità di popolazione, sia incapaci di evitare di essere trascinate in brutali combattimenti urbani. Nel libro Understanding urban warfare, gli Autori Liam Collins e John Spencer pongono l’attenzione sulla prospettiva della guerra urbana in termini di sfide uniche: dagli effetti limitanti del terreno tridimensionale su molti sistemi d’arma, alla molteplicità di punti di fuoco nemici all’interno delle vie di comunicazione urbane (strade, vicoli, viali), alla necessità fondamentale di minimizzare le vittime civili, proteggere le infrastrutture critiche e il patrimonio culturale (Collins, Spencer, 2022). Città, intese come terreno di scontro, che offrono opzioni di manovra differenti – e spesso con una limitata prevedibilità – a seconda della tipologia di area urbana (megalopoli, città metropolitane, città periferiche, conurbazioni e persino smart city), le cui caratteristiche peculiari sono in grado di influenzare le operazioni militari nel loro complesso.

Come ho avuto modo di evidenziare nel mio ultimo volume sulla guerra urbana nel conflitto Israele-Hamas, Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, molte le battaglie urbane più recenti – dalla Battaglia di Mogadiscio del 1993 alla Seconda Battaglia di Falluja in Iraq nel 2004, alla Battaglia di Shusha nel 2020 nella Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh, e, ancora, Mariupol nel 2022 e Bakhmut nel 2023 nella guerra russo-ucraina – ci consegnano tendenze e lezioni apprese per comprendere meglio la guerra urbana poiché in un mondo sempre più urbanizzato, il futuro carattere del conflitto sarà anch’esso sempre più urbano.

L’approccio israeliano al combattimento urbano: la lezione di Gaza

Sul piano tattico, i soldati israeliani hanno combattuto l’ultima grande battaglia terrestre nel 2014, quando Israele schierò le proprie truppe all’interno di Gaza; dal punto di vista strategico, lo stato maggiore della Difesa israeliana da allora si è invece concentrato nell’opera di contrasto delle potenziali minacce dall’Iran, piuttosto che dal nemico della porta accanto. Un quadro complessivo che ha di fatto distratto le forze armate israeliane da una minaccia sostanziale, ma di natura diversa.

Al contrario, rispetto alle origini, Hamas si è rafforzato militarmente rispetto al 2008/2009, quando dovette affrontare per la prima volta un assalto di terra da parte israeliana. Allora l’ala militare di Hamas, la brigata Izz ad-Din al-Qassam, consisteva in 16.000 miliziani e circa 2.000 truppe “specializzate” nel combattimento. Situazione ben diversa quella alla vigilia dell’offensiva del 2023, momento in cui, secondo le Idf, Hamas poté contare su una forza di ben 40.000 combattenti d’élite,  un arsenale di droni e circa 30.000 razzi, una quantità che, il 7 ottobre 2023, mise in difficoltà gli intercettori del sistema Iron Dome, portato a saturazione di capacità (maggior numero di razzi sparati da Hamas rispetto alla capacità del sistema di difesa israeliano), al punto da indurre gli Stati Uniti ad inviare rifornimenti con estrema urgenza (Bertolotti, 2024).

Con l’avvio dell’offensiva terrestre dell’operazione Iron Swords, le forze di difesa israeliane impegnate nell’area urbana di Gaza, la parte più densamente popolata della Striscia, diedero avvio a una nuova fase del conflitto incentrata principalmente sulla guerra urbana, una parte della quale nel sottosuolo, in cui le unità del genio sono state impegnate in operazioni di apertura di varchi per l’accesso ai tunnel, consentendo alle unità specializzate nel combattimento sotterraneo di sopraffare il nemico (Schalit, 2023).

Come parte del loro piano di difesa, i genieri di Hamas ebbero a disposizione un’enorme serie di tunnel tattici; alcuni interconnessi, altri isolati. Molti, come abbiamo argomentato in precedenza, scavati a una profondità di sicurezza dall’azione di bombardamento aereo, altri posti vicini alla superficie per consentire l’accesso o l’uscita dei miliziani. E ancora, tunnel e “buchi di topo” furono predisposti da Hamas per consentire ai propri combattenti di muoversi in maniera occulta tra gli edifici e per attaccare i soldati israeliani per poi scomparire di nuovo (Schalit, 2023). Oltre a godere di questi vantaggi tattici per muovere le proprie truppe, i genieri palestinesi allestirono e predisposero anche dispositivi esplosivi improvvisati (Ied) – alcuni nascosti nei muri per esplodere al passaggio dei veicoli corazzati, altri più grandi sepolti sotto il manto stradale o i cumuli di macerie; altri casi, ancora, videro la presenza di tunnel con trappole per attirare e colpire i soldati israeliani impegnati nella ricerca e recupero di ostaggi.

La guerra urbana è estremamente lenta

La guerra ha affrontato una fase critica con l’ingresso delle unità all’interno del perimetro urbano di Gaza, dove l’esercito israeliano, dotato di competenze di primo livello in ambito di combattimento urbano, fronteggiò un nemico determinato a lottare fino all’ultimo che si era preparato per anni per quello scontro. Una battaglia che si svolse in un contesto favorevole al difensore (Schalit, 2023).

Le esperienze di combattimento in aree urbane, come quelle vissute a Mosul in Iraq e Marawi nelle Filippine tra il 2016 e il 2017, offrono importanti insegnamenti. A Mosul, un contingente iracheno di 100.000 unità sostenuto dagli Stati Uniti impiegò nove mesi per neutralizzare un gruppo di militanti del gruppo Stato islamico in una città fortificata, subendo la perdita di 8.000 uomini e di numerose attrezzature militari a causa di esplosivi improvvisati. Analogamente, a Marawi, le forze filippine impiegarono cinque mesi per superare i militanti dello Stato islamico-Maute, affrontando la difficile realtà di poter prendere il controllo di un solo edificio al giorno, dato il costante rischio di imboscate e la presenza di esplosivi nascosti. Questi scenari testimoniano le complesse sfide del combattimento urbano e la resilienza necessaria per affrontarle.

I tre livelli di sfida della guerra urbana

Come abbiamo detto, la guerra urbana è una delle sfide più complesse e multiformi che un esercito possa affrontare. Questo tipo di conflitto si distingue per la sua intensità e per le implicazioni profonde non solo dal punto di vista tattico, ma anche percettivo ed etico-morale.

A livello percettivo, la guerra urbana mette in luce un contrasto marcato tra le aspettative di una società incline alla moderazione e alla ricerca di una condotta eticamente accettabile nel conflitto, e la realtà brutale dei combattimenti urbani, dove i costi in termini di vite umane, distruzione materiale e perdita di legittimità internazionale possono essere devastanti. Questa discrepanza crea una sorta di dissonanza cognitiva, rendendo difficile per gli eserciti moderni, ancorati ai valori delle società liberali, prepararsi adeguatamente alla brutalità intrinseca di questo tipo di combattimento.

Dal punto di vista tattico, gli scenari di guerra urbana presentano una serie di difficoltà uniche, che abbiamo in parte già illustrato. Il combattimento in ambienti densamente costruiti comporta il rischio di attacchi a distanza tramite droni o dispositivi esplosivi improvvisati, aumentando significativamente il pericolo per le forze sul campo. L’ambiente urbano facilita poi la possibilità per gli avversari di nascondersi e tendere agguati, creando un clima di incertezza costante. Le truppe in manovra si trovano esposte a rischi elevati, con il loro potere di fuoco diluito dalla necessità di disperdersi tra gli edifici, spesso con visibilità ridotta. A ciò si aggiunge il problema del degrado delle capacità dei sensori e dei sistemi di comunicazione, fondamentali per la coordinazione delle operazioni.

Sul piano etico e morale, la presenza di civili nel teatro di guerra urbano introduce dilemmi di grande rilevanza. I civili subiscono le conseguenze del conflitto in maniera sproporzionata, sia direttamente, come vittime degli scontri, sia indirettamente, a causa degli sfollamenti e delle epidemie derivanti dalla distruzione delle infrastrutture urbane. I comandanti militari si trovano di fronte al delicato dilemma della proporzionalità, dovendo bilanciare la necessità di agire per la sicurezza dei propri soldati con la responsabilità di evitare danni ai civili, in conformità con il diritto internazionale umanitario (Diu). Questo equilibrio è complicato ulteriormente dalla presenza di civili che possono usare dispositivi elettronici e social media, da coloro che si mostrano ostili o resistono in maniera non armata, e dal peso psicologico e politico che tali decisioni impongono sui comandanti, potenzialmente influenzando il loro giudizio e le loro scelte.

Lo sviluppo delle capacità tecniche e tattiche delle forze israeliane

Le forze armate israeliane hanno storicamente affrontato numerose sfide nel contesto urbano di Gaza, soprattutto dopo il ritiro del 2005, con le operazioni militari del 2008 e le successive del 2014; momenti diversi in cui le forze israeliane hanno appreso preziose lezioni. Dal punto di vista politico, Gerusalemme ha riconosciuto l’importanza cruciale di guadagnarsi il favore dell’opinione pubblica, sia a livello internazionale che nazionale. Sul fronte militare, si è reso evidente che la potenza aerea da sola non è mai sufficiente, inducendo a ridefinire le capacità e l’organizzazione delle forze terrestri, in particolare per quanto riguarda l’acquisizione e l’impiego di robusti veicoli corazzati e l’applicazione di tecniche, tattiche e procedure innovative finalizzate a gestire la minaccia proveniente dal sottosuolo.

Come diretta conseguenza di queste lezioni, le Idf si è equipaggiato con alcune delle migliori tecnologie per le operazioni urbane; tra queste, spiccano carri armati e veicoli blindati per il trasporto truppe, considerati tra i più sicuri al mondo. L’arsenale israeliano comprende anche i bulldozer corazzati tipo “Doobi” D9 della Caterpillar, progettati per abbattere edifici e creare percorsi sicuri in ambienti potenzialmente minati, così riducendo il rischio di imboscate e attacchi con ordigni esplosivi improvvisati (Ied). Questi potenti mezzi, che possono essere anche comandati a distanza, sono stati oggetto di controversie per il loro uso nella demolizione di abitazioni, interpretato da alcuni come misura punitiva.

Ma l’impiego operativo dei D9, contrariamente alle critiche che si inseriscono nel più ampio panorama di opposizione strumentale, prevede di aprire vie sicure attraverso aree rischiose, creare percorsi alternativi distruggendo parzialmente gli edifici, e costruire barriere protettive intorno a zone strategiche per consolidare le conquiste territoriali delle unità militari. Questo approccio riflette una combinazione di forza e ingegnosità, segnando la continua evoluzione delle strategie militari israeliane di fronte alle sfide uniche della guerra urbana.

L’esercito israeliano, nel suo vasto arsenale di veicoli specialistici, dispone poi di un veicolo particolare, il “Puma”, dedicato alla neutralizzazione dei campi minati e nel contrasto agli ordigni improvvisati. Dotato di un elaborato sistema di sgombero mine chiamato “Ied Carpet”,[1] il “Puma” ha la capacità di far detonare o neutralizzare dispositivi esplosivi nascosti tramite esplosioni controllate con razzi. Oltre a questa tecnologia di punta, gli stessi veicoli in dotazione alle unità del genio militare sono equipaggiati con dispositivi in grado di disturbare i circuiti o le trasmissioni utilizzate per l’attivazione controllata degli Ied, alcuni dei quali includono il sistema “Thor” che utilizza laser di precisione per innescare gli ordigni a distanza (Schalit, 2023).

Nell’ambito del combattimento sotterraneo, l’esercito israeliano vanta poi unità specializzate, come gli elementi del Sarayet Yahalom, addestrati nell’individuazione, nella manovra e nella distruzione di tunnel. Queste forze speciali fanno uso di cariche esplosive speciali, droni e robot sotterranei per condurre le loro operazioni, con ciò confermando quanto Israele sia all’avanguardia nella ricerca di tecnologie di rilevamento sotterraneo, impiegando un ampio ventaglio di strumentazioni che spaziano dall’ambito geo-spaziale a quelli acustico, sismico, tomografico a resistività elettrica (Ert), fino al radar a penetrazione del suolo, in grado di mappare tunnel fino a venti metri di profondità.

L’approccio delle Idf nei confronti dei tunnel è volto prevalentemente alla loro distruzione dalla superficie, evitando ove possibile l’ingresso e la messa in pericolo degli operatori militari. Tuttavia, per missioni specifiche come il recupero di ostaggi, sono state addestrate unità speciali, incluse squadre di ricognizione Yahalom e l’unità cinofila Oketz, dotate di attrezzature specifiche per operazioni sotterranee. La possibilità di dover effettuare ricognizioni dirette mediante l’impiego di soldati all’interno di questa vasta rete di tunnel suggerisce l’impiego di tecniche operative altamente specializzate, potenzialmente affidate alle unità di élite Mista’arvim, capaci di operare sotto copertura e mimetizzarsi tra i combattenti avversari.

In questo scenario di confronto tecnologico e tattico, entrambi gli schieramenti potrebbero riservarsi sorprese impreviste e devastanti. Se da un lato le Idf dispongono della superiorità tecnologica e militare necessaria a prevalere, dall’altro l’esito della battaglia e le sue ripercussioni umane e geopolitiche rimangono avvolte in un velo di incertezza, testimoniando la complessità e l’imprevedibilità del conflitto moderno (Schalit, 2023).

Bibliografia

Bertolotti C. (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, ed. START InSight, Lugano, pp. 325.

Collins L, Spencer J. (2022), Understanding Urban Warfare, Howgate Publishing Limited, pp. 392.

Schalit A. (2023), Hidden tunnels, ambushes and explosives in walls: the Israel-Hamas war enters a precarious new phase, The Conversation, 23 novembre 2023, in https://theconversation.com/hidden-tunnels-ambushes-and-explosives-in-walls-the-israel-hamas-war-enters-a-precarious-new-phase-216830.


[1] Sgombero Campi Minati e Neutralizzazione Ied: il Carpet è un sistema moderno di sgombero campi minati e neutralizzazione Ied, prodotto dall’israeliana Rafael, che può aprire un percorso di cento metri in un campo minato con alta efficienza di bonifica e può neutralizzare tutti i tipi di Ied. Per raggiungere la massima sopravvivenza dell’equipaggio, il sistema è operato da due soldati all’interno del veicolo. Il sistema Carpet consiste in un lanciatore che contiene venti razzi dotati di testate Fae (Fuel-Air Explosive). Il lanciatore è un kit aggiuntivo autonomo che può essere assemblato facilmente e rapidamente sul campo su qualsiasi veicolo. Il Carpet è il sistema più efficiente per lo sgombero di campi minati e la neutralizzazione/detonazione di Ied in qualsiasi terreno e in tutte le condizioni atmosferiche, mantenendo al contempo la sicurezza dell’equipaggio.

Articolo tratto dal libro: C. Bertolotti (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight Lugano (Link: https://www.amazon.it/dp/8832294230)