Elezioni USA: lo stato dell’Unione, dal 1948 al 2024.
di Melissa de Teffè.
“È inutile preoccuparsi troppo per la riduzione delle tasse, finché non avremo raggiunto alcuni degli obiettivi che dobbiamo raggiungere. Dirò loro (la gente ai comizi ndt) che la nazione più ricca del mondo è un fallimento se non è anche la più sana del mondo. Questo significa la migliore assistenza medica per le fasce di reddito più basse… E dirò loro che il sogno americano non è fare soldi. È il benessere e la libertà dell’individuo in tutto il mondo, dalla Patagonia a Detroit… E dirò loro che esiste un solo governo capace di gestire il controllo atomico, il disarmo mondiale, l’occupazione globale, la pace mondiale, e questo è un governo mondiale. Gli abitanti di 13 stati fondarono gli Stati Uniti d’America. Bene, penso che ora i cittadini di altrettante nazioni siano pronti a fondare gli Stati Uniti del Mondo, e intendo veramente gli Stati Uniti del Mondo, con una carta dei diritti, una legge internazionale, una moneta internazionale, una cittadinanza internazionale, e dirò loro che la fratellanza umana non è solo un sogno idealistico, ma una necessità pratica se l’umanità vuole sopravvivere.”
Questa, una parte del dialogo di Grant Matthews, impersonato da Spencer Tracy nel film di Frank Capra, un milionario americano reclutato forzatamente nel 1948 come candidato presidenziale repubblicano contro Truman ( potete vederlo qui in originale su Youtube).
Non è cambiato nulla da allora ad oggi. Nonostante tutti dicano che queste sono le elezioni più epocali del secolo, facendo i calcoli di Elon Musk, guardiamo a quella che è stato una delle tematiche scottanti nelle elezioni precedenti: la frode dei voti.
Venerdì scorso, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha presentato una causa contro i funzionari elettorali della Virginia, accusando lo Stato di rimuovere nomi dagli elenchi degli elettori in violazione della legge elettorale federale.
La denuncia, depositata presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti ad Alexandria, Virginia, sostiene che un ordine esecutivo emesso ad agosto dal governatore repubblicano Glenn Youngkin, il quale pretende aggiornamenti quotidiani delle liste elettorali per rimuovere elettori non idonei, violi la legge federale. Secondo il National Voter Registration Act è necessario un “periodo di silenzio” di 90 giorni prima delle elezioni per gestire gli elenchi elettorali.
“Il Congresso ha inserito un periodo di silenzio nel National Voter Registration Act per evitare azioni dell’ultimo minuto, che possano privare ingiustamente il diritto di voto agli elettori qualificati,” ha dichiarato Kristen Clarke, Assistente del Procuratore Generale degli Stati Uniti. “Il diritto di voto è il fondamento della nostra democrazia, e il Dipartimento di Giustizia continuerà a garantire la protezione dei diritti degli elettori qualificati.” Il 22 ottobre, la Corte Suprema della Georgia ha confermato la decisione di un tribunale inferiore di bloccare l’entrata in vigore di nuove regole di voto—come l’obbligo di conteggio manuale delle schede elettorali e altre disposizioni che, secondo i Democratici, avrebbero potuto ritardare la certificazione dei risultati elettorali—il che significa che, mentre il contenzioso continuerà, le regole non saranno in vigore durante le elezioni generali.
Il 21 ottobre, giudici in Michigan e nella Carolina del Nord hanno respinto le cause legali presentate dal Comitato Nazionale Repubblicano (RNC) contro quegli elettori all’estero che votano come residenti di questi stati anche se non sono mai stati residenti, ma ci abitano i genitori, o il coniuge. Il giudice del Michigan ha definito l’azione un “tentativo dell’ultimo minuto per privare quegli elettori del diritto al voto.”
Mentre entrambe le parti si muovono su diversi fronti – da un lato organizzando comizi negli Stati incerti, i cosiddetti “swing States”, dall’altro avviando cause legali per ottenere situazioni il più favorevoli possibile – emergono due importanti novità. La prima, sorprendente per molti, è che il Los Angeles Times e il Washington Post hanno scelto di non appoggiare ufficialmente nessuno dei due partiti, recuperando un’imparzialità che la stampa avrebbe sempre dovuto mantenere, ma che era stata abbandonata ormai da decenni. In risposta a questa decisione da parte della proprietà, il direttore del Los Angeles Times ha rassegnato le dimissioni, insieme ad altri giornalisti come Greene. Robert Greene e altri, hanno annunciato le loro dimissioni giovedì, il giorno dopo che Mariel Garza, direttore editorialista, si è dimessa in protesta alla decisione della proprietà, il Dr. Patrick Soon-Shiong, di non sostenere alcun candidato.
Greene, vincitore del Premio Pulitzer per alcuni dei suoi editoriali, scrive nel Columbia Journalism Review di essere “profondamente deluso” dalla decisione di non appoggiare la Harris. – “Riconosco che spetta alla proprietà prendere questa decisione,” – ha scritto. “Ma è stato particolarmente doloroso perché Donald Trump, ha dimostrato ostilità verso i princìpi fondamentali del giornalismo — il rispetto per la verità e riverenza per la democrazia.”
Anche altri giornalisti del Washington Post hanno dato le dimissioni dopo l’annuncio di Jeff Bezos di allinearsi alla scelta del Times. “Il nostro compito al Washington Post è fornire attraverso la redazione notizie imparziali per tutti gli americani e opinioni stimolanti, basate su reportage, dal nostro team editoriale per aiutare i lettori a formarsi un’opinione,” ha dichiarato William Lewis, editore e CEO del giornale. Durante la corsa presidenziale del 2016, Jeff Bezos, proprietario del Washington Post, avrebbe impartito al direttivo del giornale l’ordine di cercare qualsiasi notizia in grado di danneggiare Donald Trump e di esaltare Hillary Clinton. Oggi, la domanda che molti si pongono è se Bezos si sia ravveduto o se questa mossa sia dettata dalla necessità di tutelare i propri interessi economici, in risposta a potenziali ritorsioni. È importante notare che tali ritorsioni si sono già manifestate: numerosi lettori hanno infatti deciso di annullare il proprio abbonamento.
Da un’osservazione esterna, emerge che il giornalismo investigativo sembra oggi relegato a pochi professionisti che hanno abbandonato le sicurezze offerte dai grandi gruppi mediatici, sia nel settore della stampa che della televisione, per avviare iniziative indipendenti. Questi giornalisti, attraverso piattaforme come YouTube o canali televisivi privati, cercano di fornire un’informazione alternativa a quella predominante. Tra di loro, Candace Owens ha intrapreso un’indagine approfondita sulle origini della vice presidente Kamala Harris. Owens sostiene di aver scoperto che Harris, contrariamente a quanto affermato, è nata in una famiglia molto benestante e non ha alcuna provenienza genealogica con la comunità di colore. Per cui rileggendo le affermazioni di Green viene spontaneo chiedersi perchè queste informazioni non sono state condivise da questa stampa preparata e privilegiata, ma solo una persona in tutto il paese, sembra essersi dedicata a fare ricerca?
Concludo condividendo alcuni fatti vissuti durante un lungo viaggio attraverso vari stati del West degli Stati Uniti. Ho osservato da vicino l’ampia presenza di senzatetto e il profondo senso di sofferenza che caratterizza le strade. La disparità economica tra ricchi e poveri è palpabile: da un lato ci sono famiglie che possiedono tre o quattro ville, spesso utilizzate solo in occasioni speciali o lasciate vuote, mentre dall’altro lato molti vivono in condizioni precarie, con difficoltà non solo ad acquistare beni di prima necessità a causa dei prezzi elevati, ma anche a fronteggiare stipendi che non coprono il costo della vita.
Le spese per elettricità, carburante e alimentari sono in aumento, e le difficoltà economiche si avvertono tanto in America come in Europa. Nelle città, i senzatetto sono veramente tanti,si muovono come ombre, avvolti in felpe che nascondono volutamente i loro volti, privandosi visivamente di identità e descrizione. Tanti vagano con le loro borse in spalla e molti altri si trovano ai semafori con pezzi di cartone su cui chiedono aiuto.
Sebbene non esista una soluzione semplice a questa crisi, è chiaro che un approccio meno spietato nella ricerca del profitto potrebbe contribuire a un miglioramento generale per tutti. Come gocce d’acqua che formano un mare, così piccoli cambiamenti nella mentalità potrebbero fare la differenza. Meno avidità e più generosità farebbero miracoli.
Il caos come arma. Esplorare l’accelerazionismo militante, dall’estrema sinistra all’estrema destra
di Andrea Molle, Chapman University, Professore Associato
Abstract L’accelerazionismo militante è definito dall’Accelerationism Research Consortium come un insieme di strategie volte a esacerbare le divisioni sociali per accelerare il collasso della società, attraverso mezzi spesso violenti. Questo fenomeno non è limitato a un’unica ideologia politica, essendo presente sia nell’estrema destra che nell’estrema sinistra, sebbene con manifestazioni differenti. L’accelerazionismo di estrema destra si oppone principalmente all’uguaglianza, vista come una minaccia all’ordine sociale naturale, e cerca di precipitare il crollo delle democrazie liberali, utilizzando la polarizzazione e la violenza politica. Dal punto di vista geopolitico, nazioni come Russia e Cina potrebbero sostenere tali movimenti per destabilizzare l’Occidente e minare la legittimità del modello democratico liberale, rafforzando le proprie posizioni autoritarie. L’accelerazionismo di estrema sinistra, invece, trae origine dal marxismo, con l’obiettivo di accelerare la caduta del capitalismo per innescare una rivoluzione proletaria. Queste dinamiche rappresentano una minaccia crescente per la sicurezza internazionale, poiché sfruttano le tensioni interne e le divisioni sociali per promuovere l’instabilità globale.
L ’Accelerationism Research Consortium, un’iniziativa di ricerca specializzata nello studio dell’accelerazionismo militante, lo definisce come un insieme di tattiche e strategie volte a intensificare le divisioni sociali latenti, spesso attraverso mezzi violenti, al fine di accelerare il collasso della società. L’accelerazionismo non si allinea necessariamente con una specifica ideologia politica e può essere osservato sia nell’estrema sinistra che nell’estrema destra dello spettro politico, tuttavia, l’uno e l’altro si presentano con aspetti differenti. L’accelerazionismo militante di estrema destra non si preoccupa di criticare ad esempio il post-colonialismo, ma si concentra piuttosto sul contrastare il tema dell’uguaglianza, che è percepito come una manifestazione del decadimento sociale e una minaccia all’ordine sociale basato sulla disuguaglianza, che si considera invece ispirata all’ordine naturale. Per salvaguardare o ripristinare questo “ordine naturale”, l’accelerazionismo militante di estrema destra cerca pertanto di creare condizioni che facilitino il crollo del sistema liberale e democratico esistente. Ad esempio, lo scontro razziale viene usato come piattaforma per l’azione politica, con l’obiettivo di accelerare la caduta delle società liberali e capitaliste. La sua strategia principale prevede la diffusione di ideologie politiche contraddittorie e problematiche attraverso vari mezzi, come la promozione della polarizzazione o l’impegno nella violenza politica per creare emergenze e crisi sociali, con l’obiettivo di impedire il funzionamento delle istituzioni sociali.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali e degli studi sulla sicurezza, è evidente che questo obiettivo è in linea con gli obiettivi di nazioni ostili. Si ritiene, per esempio, che Russia e Cina siano interessate per motivi strategici a sostenere l’accelerazionismo militante, indipendentemente dal suo allineamento ideologico o politico. In primo luogo, favorire il caos e la divisione all’interno delle nazioni occidentali serve a minarne la stabilità e l’influenza globale, rafforzando così potenzialmente la posizione di Russia e Cina sulla scena mondiale. Esacerbando le tensioni sociali e le polarizzazioni esistenti, questi paesi possono creare distrazioni per i governi occidentali, distogliendo la loro attenzione e le loro risorse da questioni globali come l’Ucraina o Taiwan. In secondo luogo, sostenere i gruppi accelerazionisti è in linea con l’obiettivo più ampio di contrastare il modello democratico liberale occidentale. Promuovendo ideologie estremiste che rifiutano le norme e le istituzioni democratiche, questi paesi cercano di delegittimare i valori occidentali e indebolire l’attrattiva della democrazia come sistema politico e sociale. Questa strategia può contribuire a rafforzare la legittimità dei regimi autoritari, presentandoli come una solida alternativa alle democrazie occidentali. Inoltre, favorire il conflitto interno nei paesi occidentali può fungere da forma di ritorsione o deterrenza contro la percepita interferenza occidentale negli affari interni di Russia e Cina. Sostenendo l’accelerazionismo militante, questi paesi possono reagire contro le sanzioni occidentali, le critiche agli abusi dei diritti umani, o il sostegno ai movimenti di opposizione. Inoltre, evidenziando le divisioni interne e i disordini sociali nelle nazioni occidentali, Russia e Cina possono dissuadere i governi occidentali dall’intervenire nei loro affari interni o dal perseguire politiche estere aggressive contro di loro.
1. Accelerazionismo militante di estrema sinistra Il concetto di accelerazionismo ha origine in seno al marxismo, nella convinzione che intensificando le forze distruttive del sistema capitalistico si possa ottenerne la distruzione finale e la successiva liberazione, attraverso la rivoluzione proletaria. Il terrorismo di sinistra che si avvale di un impianto ideologico accelerazionista, prescrive l’uso o la minaccia della violenza da parte di entità subnazionali che si oppongono al capitalismo, all’imperialismo e al colonialismo. Questa tendenza si manifesta anche nei movimenti di difesa dei diritti ambientali o degli animali, o ancora in quelli che sostengono sistemi sociali e politici decentralizzati, come l’anarchismo. In termini di incidenti, il numero di incidenti mortali attribuiti a ideologie di estrema sinistra varia nel tempo. Il picco globale della violenza rivoluzionaria accelerazionista di sinistra si è verificato durante gli anni ’60 e ’70. Tuttavia, fino al 2012, il numero degli eventi terroristici di estrema sinistra è di circa quattro volte quello degli eventi di estrema destra. Negli ultimi anni, in particolare nel 2019 e nel 2020, il numero di incidenti di estrema destra e di estrema sinistra è stato più o meno uguale. In tempi più recenti, la situazione ha iniziato a differire tra Europa e Stati Uniti. In Europa gli attacchi dell’estrema sinistra hanno ripreso ad essere più diffusi, e in particolare quelli mirati ad attaccare organizzazioni di destra. Ad esempio, le organizzazioni tedesche come Engel – Guntermann e Hammerbande si concentrano chiaramente nel prendere di mira gli estremisti di destra, o individui percepiti come tali. Tuttavia, c’è un notevole cambiamento nel loro approccio, poiché sono sempre più impegnati in attività che vanno oltre i conflitti locali con l’ambiente estremista di destra. Gli analisti suggeriscono anche un aumento dei legami con gruppi esterni. Questa interconnessione tra le reti estremiste di sinistra in Europa ha il potenziale per influenzare le loro strategie e gli obiettivi specifici che scelgono.
Negli Stati Uniti, secondo l’Anti-Defamation League, solo il 6% delle 443 vittime di estremisti registrate tra il 2012 e il 2021 erano motivate ideologie di estrema sinistra. In confronto, il 75% era connesso a convinzioni di estrema destra e il 20% a convinzioni islamiste. È importante notare che tutte le vittime delle ideologie di estrema sinistra negli Stati Uniti erano motivate dal nazionalismo nero, che l’ADL classifica come estremismo di sinistra. Nel complesso, la minaccia violenta rappresentata dagli estremisti di sinistra negli Stati Uniti rimane relativamente piccola, mentre in Europa è in aumento. La tendenza è stata confermata da diverse autorità. Ad esempio, il Terrorism Situation and Trend Report (TE-SAT) riporta che l’80% degli attacchi eseguiti con successo nel 2022 sono stati compiuti da gruppi terroristici di sinistra e anarchici.
A livello globale, i movimenti affiliati alle ideologie di estrema sinistra includono gruppi Antifa, nonché gruppi che si occupano di questioni ambientali. Ci sono anche vari media alternativi di estrema sinistra, come The Grayzone o Breakthrough News, e organizzazioni come il Partito per il Socialismo e la Liberazione o il Partito Mondiale dei Lavoratori. Queste entità possono occasionalmente esprimere simpatia per regimi autoritari percepiti come ostili all’Occidente e abbracciare teorie del complotto. Anche se queste piattaforme potrebbero non sostenere apertamente la violenza, i loro contenuti e le loro campagne sostengono attivamente ideologie autoritarie all’interno del pubblico mainstream, erodendo così la credibilità dei difensori dei diritti umani e della democrazia e promuovendo la polarizzazione. The Grayzone, un media di estrema sinistra, esemplifica questa tendenza preoccupante. Fondata nel 2015 dal giornalista Max Blumenthal poco dopo un viaggio a Mosca, questa piattaforma mediatica adotta costantemente una posizione apparentemente antimperialista, difendendo spesso il presidente siriano Bashar al-Assad, Vladimir Putin e il venezuelano Maduro per la loro presunta resistenza contro il dominio degli Stati Uniti. Inoltre, si nega il genocidio uiguro e gli attacchi con gas chimici in Siria. Lo stesso Blumenthal ha partecipato a manifestazioni anti-lockdown e antivaccini e attualmente svolge un ruolo molto attivo nel movimento pro-Hamas/pro-palestinese, che rappresenta una nuova sfida significativa e allarmante per la sicurezza nazionale.
L’uso di Internet da parte dell’accelerazionismo militante di estrema sinistra L’esplorazione della cultura online di estrema sinistra è un argomento spesso trascurato. Questa particolare fazione, che esiste ai margini della sinistra più ampia, si posiziona contro varie ideologie e gruppi come l’alt-right, la correttezza politica, i social justice warriors e le posizioni centriste e liberal-democratiche. Nonostante le sue radici ideologiche e la tendenza della sinistra a disprezzare la cultura popolare online, impiega tattiche simili a quelle dell’alt-right online, compreso l’uso dell’umorismo, dei meme, del trolling su Twitter e dell’aperta ostilità. Tuttavia, rimane saldamente radicato nell’ideologia progressista di sinistra. Indicato con vari nomi come “alt-left”, “volgar left” o “Dirtbag Left”, l’origine di questo movimento è attribuita ad Amber Frost, scrittrice, podcaster e attivista con sede a Brooklyn. Il suo podcast Chapo Trap House, strettamente associato a questo movimento, utilizza comicità e ironia in uno stile da atleta shock, criticando allo stesso tempo sia il partito democratico che quello repubblicano. Altri media e individui collegati alla sinistra sporca includono TrueAnon e Red Scare, anch’essi vagamente associati al movimento BlueAnon, una controparte di sinistra del noto fenomeno QAnon.
2. Accelerazionismo militante di estrema destra Inizialmente, l’accelerazionismo militante non era principalmente associato all’estremismo di estrema destra. Tuttavia, si è fatto strada gradualmente in questo ambiente attraverso due vie significative. In primo luogo, negli anni ’90, il filosofo britannico Nick Land sviluppò una versione libertaria dell’accelerazionismo di destra dopo aver studiato i lavori di Gilles Deleuze e Félix Guattari sull’accelerazionismo di sinistra e incorporando la sua interpretazione dell’analisi del capitalismo di Marx. Due decenni dopo, all’inizio degli anni 2010, le idee di Land hanno guadagnato terreno nel movimento emergente dell’“alt-right”, che si è profondamente interessato al suo concetto antiegualitario e antidemocratico di “neo-reazione”. Il secondo e più influente percorso attraverso il quale l’accelerazionismo si è infiltrato nell’estrema destra è stata la pubblicazione del libro Siege, che raccoglieva post di newsletter scritti dal neonazista americano James Mason, un ammiratore di Charles Manson. Mason era coinvolto in varie organizzazioni naziste negli Stati Uniti già dalla fine degli anni ’60, aveva legami personali con importanti leader di estrema destra, tra cui George Lincoln Rockwell, il leader del Partito nazista americano, e William Pierce, l’autore del romanzo The Turner Diaries, che ha ispirato l’attacco terroristico del 1995 a Oklahoma City. Mason fu influenzato anche da Joseph Tommasi, il leader del Fronte di Liberazione Nazionale Socialista, un gruppo ispirato dalle organizzazioni di sinistra e dalla guerriglia urbana che sosteneva la creazione del caos attraverso il terrorismo come mezzo per destabilizzare l’ordine politico negli Stati Uniti.
Mason creò la newsletter Siege, pubblicata dal 1980 al 1986, come piattaforma per esprimere la sua disapprovazione per la posizione assunta dall’estremismo di estrema destra americano. Nelle pagine della sua pubblicazione, incorporò elementi di teorie cospirative antisemite e razziste, concentrandosi in particolare su una “cospirazione mondiale ebraica” che mirava a eseguire un “genocidio bianco”. Questo concetto, ora etichettato come “Grande Sostituzione”, ha contribuito allo sviluppo del mito del Deep State, generando il cliché bipartisan di un “governo occulto sionista” in America. Nel suo libro, Mason sosteneva anche che l’ordine sociale prevalente era diventato così profondamente corrotto che organizzazioni consolidate come il Partito nazista americano, con i loro metodi convenzionali di impegno politico, erano diventate inefficaci nel perseguimento della liberazione della “razza bianca”. Secondo Mason, il progresso poteva essere raggiunto solo attraverso mezzi rivoluzionari e violenti messi in atto da individui e l’instaurazione di un “Nuovo Ordine” nazionalsocialista avrebbe richiesto la distruzione della società. L’accelerazionismo militante di estrema destra, come sottotipo del terrorismo apocalittico, si ispira fortemente ai luoghi comuni antisemiti, inclusi concetti come il “genocidio bianco” e la “teoria della grande sostituzione”. Inoltre, sfrutta la conoscenza tradizionale percepita e i codici culturali per razionalizzare le loro convinzioni antimoderne e prendere di mira gli individui che ritengono responsabili del decadimento sociale. Di conseguenza, l’accelerazionismo può essere visto quasi al pari di una religione, come evidenziato dalle sue somiglianze e dalla sua mescolanza con gruppi come i Branch Davidians, la cui escatologia rispecchia dinamiche simili.
L’uso di Internet da parte dell’accelerazionismo militante di estrema destra Negli Stati Uniti, gli aderenti alle ideologie di estrema destra hanno riconosciuto il potenziale di Internet già negli anni ’80. Hanno capito che le piattaforme online offrivano un’opportunità senza precedenti per diffondere il loro messaggio a un pubblico più ampio senza i vincoli imposti dai media tradizionali. In particolare, David Duke, una figura di spicco del movimento estremista di estrema destra statunitense ed ex leader del Ku Klux Klan, ha lodato Internet come piattaforma ideale per una “rivoluzione bianca”. L’avvento della comunicazione online ha giocato un ruolo significativo nell’ascesa di Siege, in particolare durante la metà degli anni 2010, quando l’ “alt-right” ha guadagnato importanza. Questo movimento ha abbracciato strategie di azione militante, che sono state ulteriormente amplificate in seguito alla manifestazione “Unite the Right” a Charlottesville, negli Stati Uniti, nell’agosto 2017. Gli eventi circostanti la manifestazione, inclusa la tragica uccisione della contro-manifestante Heather Heyer, hanno scatenato intense dibattiti all’interno della comunità estremista di estrema destra americana. La critica di Mason alle manifestazioni e la sua difesa dell’accelerazionismo militante hanno avuto ampia risonanza in queste discussioni. Di conseguenza, in seguito agli eventi di Charlottesville, l’hashtag #ReadSiege ha guadagnato terreno sia a livello nazionale che all’interno del discorso online transnazionale di estrema destra.
Come oggi, il rischio associato all’accelerazionismo militante è monitorato principalmente in Nord America, con solo un numero limitato di analisti europei che tengono attivamente sotto controllo le sue attività. La globalizzazione dell’accelerazionismo militante di estrema destra durante gli anni 2010 ha dato origine a varie traiettorie, tutte strettamente intrecciate con gli spazi digitali, che dovrebbero sollevare preoccupazioni. Una piattaforma importante per l’accelerazionismo militante di estrema destra è stata la Iron March, in lingua inglese, che ha operato dal 2011 al 2017 ed è servita da terreno fertile per i gruppi accelerazionisti. Questo forum ha attirato una vasta gamma di militanti estremisti di estrema destra che si sentivano emarginati da altri forum Internet come Stormfront, fondato nel 1996, o erano insoddisfatti delle offerte delle organizzazioni di estrema destra esistenti rivolte ai giovani. All’interno del forum Iron March, i membri coltivavano la propria sottocultura di accelerazionismo militante di estrema destra, caratterizzata da testi chiave e un’estetica distinta con loghi ispirati ai simboli delle Waffen SS e maschere di teschi in bianco e nero. Gli amministratori di Iron March hanno incoraggiato attivamente la comunicazione online transnazionale e facilitato il networking regionale e locale tra i membri oltre i confini del regno digitale. In particolare, tra gli utenti di Iron March è emersa una rete terroristica estremista di estrema destra, che rimane attiva anche a tutt’oggi. L’influenza di Iron March, ponendo un’enfasi significativa sull’azione, si è estesa oltre lo sviluppo della sua sottocultura estremista di estrema destra. Di conseguenza, diversi gruppi accelerazionisti, tra cui National Action (Regno Unito), Feuerkrieg Division (USA) e Antipodean Resistance (2016), sono stati istituiti come propaggini di questo forum. È anche importante riconoscere che Iron March segnò semplicemente l’inizio di questo fenomeno.
La globalizzazione dell’accelerazionismo militante di estrema destra La vera ascesa della rete globale di accelerazionismo militante di destra può essere fatta risalire al periodo tra il 2018 e il 2019, che ha visto eventi significativi come l’attacco alla Sinagoga Tree of Life a Pittsburgh (USA) e l’attacco a Christchurch, in Nuova Zelanda. Questi incidenti hanno mostrato un elevato livello di sofisticazione nel modo in cui gli autori hanno pubblicizzato le loro azioni. Un esempio ha riguardato la diffusione di un ampio manifesto online e lo streaming live dell’attacco, stabilendo un nuovo punto di riferimento per la violenza di estrema destra. Ne è seguita, naturalmente, un’ondata di attacchi imitativi, inclusi ma non limitati a Poway ed El Paso negli Stati Uniti, a Oslo e Halle in Europa. Durante questo periodo, la piattaforma digitale 8chan è servita come hub online preferito per l’accelerazionismo militante, facilitando la diffusione della sua propaganda. Tuttavia, la crescente pressione da parte del pubblico e delle istituzioni alla fine ha portato alla chiusura di 8chan nell’agosto 2019. Inizialmente, questa chiusura ha avuto un effetto frenante sulla diffusione della propaganda, ma alla fine i gruppi accelerazionisti si sono ripresi. Tuttavia, quando la piattaforma è riemersa come 8kun nel novembre 2019, molti ex utenti erano già migrati su Telegram. Telegram, fondata da Pavel e Nikolai Durov nel 2013, mirava inizialmente a fornire un mezzo per la comunicazione online che sarebbe stato più difficile da monitorare per stati autoritari come la Russia. Tuttavia, nel giro di pochi anni, ha sviluppato funzionalità aggiuntive che lo hanno trasformato in una piattaforma di social media. In particolare, la capacità di crittografare i messaggi nella comunicazione uno a uno lo rendeva particolarmente attraente per i gruppi di estrema destra e jihadisti per diffondere propaganda e reclutare nuovi membri. Per individui e gruppi di estrema destra i cui account erano stati bloccati o cancellati su piattaforme di social media più tradizionali, Telegram ha offerto un’alternativa sicura per raggiungere un pubblico più ampio. Di conseguenza, alcune nicchie di Telegram sono diventate note come “Terrorgram”, a causa del funzionamento indisturbato dei gruppi terroristici e della glorificazione dei terroristi e delle loro azioni sulla piattaforma. La frammentazione tra le due piattaforme ha comportato una diminuzione della dimensione percepita del pubblico dell’accelerazionismo militante di estrema destra. È interessante notare che questa divisione ha anche stabilito una gerarchia, con gli utenti di Telegram che si consideravano i leader, o “generali”, del movimento, cercando attivamente di reclutare le masse, o “soldati di fanteria”, per la loro causa. L’8kun, recentemente ristabilito, è emerso come una piattaforma ideale per reclutare la fanteria, poiché molti tentativi di attacco sono stati effettuati da membri attivi di questo imageboard.
3. La manosfera Nonostante un calo generale delle attività pubbliche tra i militanti accelerazionisti di estrema destra durante la pandemia di COVID-19, i loro sforzi digitali sono aumentati in modo significativo dalla primavera del 2022. Di conseguenza, è aumentato anche il numero di attacchi sventati. Le tendenze primarie che hanno avuto origine all’interno di queste comunità online strettamente unite durante gli anni ’80, ’90 e 2000 rimangono rilevanti all’interno del social network globale in cui si sono evolute. In particolare, emergono continuamente nuovi spazi online, che spesso hanno poca somiglianza con le tradizionali organizzazioni estremiste di estrema destra. Queste reti decentralizzate, organizzate in cellule, promuovono sottoculture definite dai loro codici culturali, come i meme, e si adattano costantemente per aumentare la loro rilevanza nella sfera pubblica. Ora hanno permeato altri regni online, comprese le piattaforme di gioco, e fanno affidamento sulla più ampia cultura dei troll su Internet. Si propagano attraverso la manosfera, un insieme di comunità incentrate sull’antifemminismo radicale e sull’ambiente della teoria della cospirazione, dove gli individui cercano “la verità” o abbracciano l’ideologia della “pillola rossa”. Queste reti prosperano in forum “politicamente scorretti” formando una sottocultura transnazionale che ruota attorno a contenuti estremisti di estrema destra, misogini, antisemiti e misantropici, sia ironici che seri. Di particolare interesse è la manosfera, che ha attirato l’attenzione degli accelerazionisti a causa della sua rapida crescita e del potenziale di esplosioni violente nel mondo reale.
Nonostante venga definita un nome collettivo, la manosfera comprende quattro sottoculture distinte: attivisti per i diritti degli uomini che vedono le politiche femministe come dannose per i diritti dei maschi, incel (celibi involontari) che ritengono le donne responsabili della loro mancanza di opportunità e status sociale, separatisti che credono in una cospirazione femminista per smantellare la mascolinità e sostenere la completa segregazione tra i generi, e il tipo seducente che oggettiva le donne e promuove l’accettazione della cultura dello stupro. Queste sottoculture emergenti si allineano anche con le culture dell’odio digitale esistenti che hanno già stabilito la loro presenza su varie piattaforme, rafforzando così i loro sforzi di reclutamento.
4. Quando destra e sinistra uniscono le forze È importante riconoscere che i gruppi accelerazionisti agiscono principalmente come opportunisti e colgono ogni opportunità per infiltrarsi in un movimento popolare. Ciò è stato evidente in vari casi nel corso della storia. Ad esempio, nel 2020, il movimento antigovernativo di estrema destra Boogaloo ha tentato di associarsi al movimento Black Lives Matter rivendicando obiettivi condivisi. Allo stesso modo, negli anni 2000, i Black Bloc di estrema sinistra hanno sfruttato con successo le proteste popolari contro i leader del G8. Durante la pandemia, sia i gruppi di estrema sinistra che quelli di estrema destra si sono uniti contro le misure di blocco. In questi contesti è emersa anche la violenza stocastica, che si manifesta come atti sporadici di aggressione, intimidazione o distruzione di proprietà. Sebbene tali incontri si schierassero apparentemente contro gli obblighi di vaccinazione e percepissero violazioni delle libertà personali, spesso attiravano individui con inclinazioni estremiste provenienti sia dall’estremismo di sinistra che da quello di destra dello spettro politico. Nel mezzo del trambusto di questi eventi, attori solitari o piccole fazioni si sono impegnati in atti di violenza casuale (stocastica), che vanno dalle molestie verbali alla violenza fisica, volti a seminare il caos e instillare paura. Gli estremisti di estrema destra hanno sfruttato queste manifestazioni per propagare sentimenti antigovernativi e amplificare la sfiducia nelle istituzioni sanitarie pubbliche, mentre l’estrema sinistra le ha viste come opportunità per sfidare gli interessi aziendali e in particolare le grandi aziende farmaceutiche. La natura imprevedibile della violenza stocastica in questo contesto non solo pone preoccupazioni immediate per la sicurezza, ma sottolinea anche la più ampia polarizzazione sociale e radicalizzazione che alimenta tali eventi.
Nell’attuale contesto politico, questi gruppi si stanno ora allineando con il movimento filo-palestinese. Il movimento filo-palestinese ha ottenuto un sostegno significativo negli ultimi mesi, con numerosi manifestanti scesi in piazza in tutto il mondo per chiedere un cessate il fuoco a Gaza. Sfortunatamente, questa ondata di sostegno ha anche creato un ambiente in cui vari gruppi, tra cui accelerazionisti di estrema sinistra, estrema destra e organizzazioni antisemite, tentano di associarsi al movimento filo-palestinese tradizionale. Ciò ha provocato una rete confusa di affermazioni e una diffusa diffusione di disinformazione. Un modo in cui questi gruppi sfruttano il movimento filo-palestinese è adottandone il linguaggio per criticare le azioni del governo israeliano a Gaza, tuttavia, utilizzano la piattaforma per promuovere teorie e stereotipi del complotto antiebraico. Le fazioni di destra fanno spesso riferimento alla teoria del complotto della “Grande Sostituzione”, sostenendo senza fondamento che gli individui ebrei facilitano intenzionalmente la migrazione nei paesi occidentali per sostituire i bianchi. D’altro canto, le fazioni di sinistra attaccano le democrazie liberali e le economie basate sul mercato invocando riferimenti al sionismo e al colonialismo. Negli Stati Uniti e in Europa, gli estremisti di estrema destra e di estrema sinistra hanno sfruttato la crescente rabbia nei confronti del governo israeliano come un’opportunità per diffondere teorie del complotto antisemite, antidemocratiche e anticapitaliste. La loro intenzione è legittimare queste idee all’interno del discorso mainstream e attirare nuove reclute.
Main takeaways Sia i gruppi accelerazionisti militanti di estrema sinistra che quelli di estrema destra possiedono un vantaggio evolutivo digitale dovuto alle trasformazioni nel panorama dei media online, che hanno creato nuove strade per la radicalizzazione. Questi accelerazionisti hanno anche utilizzato strategicamente algoritmi per indirizzare gli individui suscettibili al reclutamento. A differenza dei loro predecessori BBS negli anni ’80 e ’90, che rispecchiavano le comunità della vita reale, le piattaforme odierne sono caratterizzate dall’”economia dell’attenzione” e dalla “dipendenza dalla dopamina”. I post che non riescono ad attirare sufficiente attenzione vengono gradualmente eliminati dalle prime pagine per fare spazio a post particolarmente accattivanti, trasformando di fatto l’estremismo in una dipendenza chimica. Inoltre, la violenza dell’estrema sinistra e dell’estrema destra sono sempre più interconnesse, creando un classico “dilemma sulla sicurezza”. Queste caratteristiche amplificano ulteriormente la natura pericolosa di questo fenomeno e dovrebbero richiedere un monitoraggio e un intervento attivi.
La violenza stocastica è una tattica inquietante impiegata dagli estremisti politici, caratterizzata dalla sua natura imprevedibile e casuale. A differenza della violenza organizzata con obiettivi e obiettivi chiari, la violenza stocastica mira a creare un’atmosfera pervasiva di paura e incertezza colpendo apparentemente a caso. Questa strategia spesso coinvolge attori solitari o piccoli gruppi che compiono atti di violenza senza il coordinamento diretto di un’organizzazione più ampia, rendendo difficile per le autorità anticiparli o prevenirli. Gli autori del reato possono essere motivati da ideologie o rivendicazioni estreme, utilizzando la violenza come mezzo per diffondere il terrore e portare avanti la propria agenda. La violenza stocastica rappresenta una sfida significativa per gli sforzi antiterrorismo, poiché può essere difficile individuare e affrontare preventivamente la radicalizzazione alla base di tali attacchi. Inoltre, la sua natura imprevedibile amplifica l’impatto psicologico sulle comunità, alimentando paura e sfiducia e minando la coesione sociale. Affrontare la violenza stocastica richiede un approccio articolato che affronti non solo le preoccupazioni immediate in materia di sicurezza, ma anche i fattori sociali sottostanti che contribuiscono all’estremismo e alla radicalizzazione.
L’accelerazionismo militante è emerso come uno strumento per paesi stranieri ostili come la Russia e la Cina per seminare il caos e destabilizzare le nazioni occidentali dall’interno. Queste nazioni possono clandestinamente sostenere o manipolare gruppi estremisti che aderiscono a dottrine accelerazioniste per esacerbare le tensioni sociali esistenti e sfruttare le vulnerabilità dei sistemi democratici. Ad esempio, la Russia è stata accusata di utilizzare piattaforme online per amplificare narrazioni divisive e sostenere movimenti accelerazionisti di estrema destra in Europa e negli Stati Uniti, con l’obiettivo di minare la fiducia nelle istituzioni democratiche e favorire la discordia interna. Allo stesso modo, la Cina è stata coinvolta nel finanziamento e nella promozione di fazioni estremiste per sfruttare le faglie sociali nelle società occidentali, indebolendo così la loro coesione e influenza globale. Tale sfruttamento dell’accelerazionismo militante sottolinea la natura evolutiva della guerra asimmetrica, in cui attori non statali e ideologie marginali diventano strumenti nelle strategie geopolitiche di nazioni ostili. Nel complesso, Russia e Cina potrebbero sostenere i gruppi militanti accelerazionisti in Occidente come parte di una strategia multiforme per indebolire i loro avversari, sfidare i valori e le istituzioni occidentali e promuovere i propri interessi geopolitici sulla scena globale.
In conclusione, il rischio di un’accelerazione del terrorismo è chiaro e significativo mentre ci avviciniamo al 2024, e potrebbe addirittura aumentare ulteriormente nel periodo precedente alle elezioni presidenziali statunitensi o alle prossime elezioni europee. È probabile che individui scontenti e gruppi estremisti armati continuino a ricorrere alla violenza per scatenare una rivoluzione e impedire a quello che percepiscono come il Deep State di manipolare le elezioni nei propri interessi. L’attuale scontro di narrazioni contrastanti, presenti in quasi ogni aspetto del discorso politico, aggravato dalle divisioni partitiche e amplificato sui social media, continuerà a ostacolare gli sforzi dei governi nell’affrontare la minaccia del terrorismo interno. L’atmosfera attuale ricorda in modo allarmante il periodo precedente a eventi come gli “anni di piombo” o l’attentato di Oklahoma City. In quegli anni, la retorica estremista spingeva presunti patrioti o rivoluzionari, come Mario Moretti o Timothy McVeigh, a proteggere i loro concittadini da quello che vedevano come un governo corrotto sostenuto da una ricca élite. Oggi ci sono potenzialmente molti più individui con una propensione analoga, e non possiamo permetterci di aspettare un’altra serie di eventi tragici prima che venga intrapresa un’azione decisiva contro questa minaccia.
Andrea Molle, Ph.D., FRAS, Senior Research Fellow, Orange (California, Stati Uniti). Scienziato sociale quantitativo e computazionale. Dal 2012 è Assistant Professor di Scienze Politiche e Ricercatore associato all’Institute for the Study of Religion, Economics, and Society della Chapman University. Dal 2006 al 2008 è stato JSPS Fellow in Antropologia al Nanzan Institute for Religion and Culture (Nagoya, Giappone).
Eliminato Yahya Sinwar: chi era il capo di Hamas e cosa accadrà?
Yahya Sinwar è stato il terzo leader palestinese maggiormente influente, e anche il più pericoloso in termini di minaccia per Israele, dopo Ismail Haniyeh, il più importante e influente sino alla sua morte avvenuta il 30 luglio 2024, e Khaled Meshaal, già capo dell’ufficio politico di Hamas dal 1996 al 2017. Conosciuto anche come Yahya Ibrahim Hasan al-Sinwar, dal 2017 è stato capo di Hamas nella Striscia di Gaza e uno dei primi architetti del braccio armato di Hamas, poi assurto a ruolo di leader del movimento dopo la scomparsa di Haniyeh: è sospettato di essere una delle menti dietro gli attacchi del 7 ottobre 2023.
Si legge che la sua morte sarebbe stata
“casuale”. Che sia stato eliminato è indubbiamente frutto di
un’operazione pianificata che aveva identificato un obiettivo mirato da
colpire; può essere un caso che fosse lui? Di certo non è stata casuale
l’operazione contro un obiettivo di elevato livello. Da qui i dubbi sulla
casualità dell’evento.
La morte di Sinwar ci conferma però due
aspetti chiave. Il primo è che con la decapitazione dei suoi vertici politici e
militari, Hamas ha perso la capacità di condurre una guerra strutturata contro
Israele (avrebbe perso 80% della propria forza), sebbene il reclutamento di
giovani reclute radicalizzate confermi ancora una certa presa ideologica in una
fascia definita di popolazione. Dall’altro lato, questo è il secondo aspetto –
molto più importante e determinante delle dinamiche della guerra – è la
conferma di una capacità di intelligence
israeliana che, al di là della disponibilità tecnologica d’avanguardia
(pensiamo all’intensivo utilizzo dell’AI nell’attività di targeting – eliminazione obiettivi di alto valore), ha dimostrato
di essere in grado di penetrare la difesa sociale creata attorno ai leader di Hamas. Questo perché per
penetrare il cerchio a protezione di Sinwar (fatto di un ristretto numero di
collaboratori di fiducia) Israele avrebbe colto una perdita di fiducia
palestinese. La morte di Sinwar, con questa lettura, sarebbe così il risultato
della combinazione tra la capacità intelligence
e le crescenti crepe nella fiducia e nel sostegno da parte della popolazione di
Gaza verso Hamas.
Questo può essere un risultato concreto nello
sforzo bellico israeliano. Sul piano politico e comunicativo, Netanyahu potrà
invece rivendicare l’eliminazione del responsabile primo (dopo L’Iran) dei
tragici eventi del 7/10.
Ora la questione è chi lo sostituirà? Se il sostituto apparterrà alla frangia ultra-radicale di Hamas, quella coerente con la visione di Sinwar, sarebbe difficile pensare a un’opzione negoziale. Al contrario, potrebbe essere più probabile una spinta esterna di Hamas, da parte degli altri gruppi islamisti e terroristi palestinesi, stanchi di una guerra le cui responsabilità potrebbero essere attribuite unicamente a Hamas, in cambio di un trattamento di favore in caso di accordo con Israele.
Chi
era Yahya Sinwar?
Nato nel 1962 nel campo profughi di
Khan Younis, Striscia di Gaza, da genitori sfollati da Ashkelon durante la
guerra arabo-israeliana del 1948, dopo aver frequentato le scuole primarie
grazie al sostegno dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e
l’occupazione (Unrwa), all’inizio degli anni Ottanta si iscrisse all’Università
islamica di Gaza, dove lo studio della lingua araba contribuì a plasmare la sua
carismatica autopresentazione. Entrò all’università in un momento in cui molti
giovani palestinesi della Striscia di Gaza guardavano all’islamismo come
strumento di soluzione al conflitto israelo-palestinese, dopo decenni di
panarabismo rivelatosi fallimentare. Nel 1982 fu arrestato per la sua
partecipazione alle prime organizzazioni islamiste anti-israeliane.
Nel 1985, ancor prima della formazione di Hamas, Sinwar contribuì all’organizzazione di “al-Majd” (in arabo “gloria”, ma anche acronimo di Munazzamat al-Jihad wa al-Da’wah, “Organizzazione per il jihad e da’wah”). Al-Majd era una rete di giovani islamisti con il compito di smascherare il crescente numero di informatori palestinesi reclutati da Israele. Quando Hamas venne fondata nel 1987, al-Majd fu inglobata nei suoi quadri di sicurezza. Nel 1988 si scoprì che la rete era in possesso di armi e Sinwar fu detenuto da Israele per diverse settimane. L’anno successivo venne condannato a quattro ergastoli per l’omicidio di palestinesi accusati di collaborazionismo con Israele.
Durante la sua lunga incarcerazione, Sinwar mantenne
una forte influenza sui suoi compagni di prigionia, usando tattiche di abuso e
manipolazione e godendo del supporto dei suoi contatti al di fuori del carcere.
Si impegnò a punire i compagni di prigionia che sospettava di essere
informatori e una volta costrinse circa 1.600 prigionieri a intraprendere uno
sciopero della fame. Trascorse anche gran parte del suo tempo libero studiando
ciò che poteva sui suoi nemici israeliani, leggendo giornali israeliani e
imparando l’ebraico.
Il rilascio di Sinwar avvenne nell’ambito dello
scambio di prigionieri di alto profilo con Gilad Shalit, il soldato israeliano
che era stato rapito da Hamas nel 2006 mentre era di stanza a un valico di
frontiera. Dopo diversi tentativi falliti di mediare la libertà di Shalit,
l’Egitto e la Germania si prodigarono per il suo rilascio nell’ottobre 2011. Il
fratello di Sinwar, Mohammed, che era stato assegnato a sorvegliare Shalit,
insistette affinché Sinwar fosse incluso nello scambio. Lo stesso giorno in cui
Shalit venne rilasciato in Israele, Sinwar fu tra i primi prigionieri
palestinesi a essere rimpatriati nella Striscia di Gaza.
Nell’aprile 2012, pochi mesi dopo il suo rilascio,
Sinwar fu eletto membro dell’ufficio politico di Hamas nella Striscia di Gaza.
Mise a frutto la sua esperienza come leader
carcerario e si guadagnò velocemente un’ottima reputazione all’interno di Hamas
per aver riunito le sue fazioni attraverso un compromesso. La retorica
infuocata di Sinwar conquistò da subito gli elementi più oltranzisti del
movimento; in tale cornice dinamica, pur prospettando l’avvio di un’era guidata
dall’ala militante, nei suoi primi anni da leader
Sinwar tenne un basso profilo e mostrò un lato pragmatico che gli consentì di
alleggerire lo stato di isolamento di Hamas. Mesi dopo la sua ascesa come leader del movimento, Hamas strinse un
accordo di riconciliazione con l’Anp e, per la prima volta dal 2007, cedette il
controllo di gran parte della Striscia di Gaza all’Autorità Palestinese, seppur
per un breve periodo. Anche le relazioni con l’Egitto tesero a migliorare,
tanto da portare Il Cairo ad allentare le restrizioni al valico di frontiera.
Al contempo, a conferma di una visione estremamente
razionale e pragmatica, il gruppo avviò una politica di dialogo e avvicinamento
all’Iran che portò in breve al reinserimento di Hamas nella rete di alleati di
Teheran e al conseguente sostegno militare e finanziario.
Sebbene alla fine del 2018, con l’avvio degli “Accordi
di Abramo” sostenuti dagli Stati Uniti e volti alla normalizzazione dei rapporti
tra Israele e gli Stati arabi, si prospettasse un periodo di calma frutto del
possibile processo di reciproco riconoscimento tra Israele e uno stato
palestinese, nel maggio 2021 ci fu un ritorno all’ostilità aperta di Hamas nei
confronti di Gerusalemme. La popolarità di Sinwar aumentò con il conflitto, e
la sua autorevolezza si rafforzò in maniera significativa.
L’operazione battezzata “alluvione Al-Aqsa” del 7 ottobre 2023, mostra i segni distintivi
delle tattiche di Sinwar, e la presa di ostaggi rimanda all’importanza da lui
data agli scambi di prigionieri. Sinwar, le cui immagini diffuse dalle Idf a
febbraio 2024 confermano che si sia nascosto nella rete dei tunnel sotterranei
di Gaza utilizzando la propria famiglia come “scudo umano”, è stato classificato
come obiettivo primario di Israele e definito, secondo un portavoce militare
israeliano, come “un morto che cammina”. È morto, a seguito di un’operazione israeliana
a Rafah, il 17 ottobre 2024.
Mentre la morsa israeliana si sta stringendo attorno
ai leader superstiti di Hamas, gli sopravvive, alla guida dell’ala militare le brigate Izz ad-Din al-Qassam, Marwan Issa.
Abstract Fra il 2023 e il 2024 in vari paesi europei si è fatta strada una seria preoccupazione riguardo il coinvolgimento di teenagers e minorenni in reati legati al terrorismo e attività estremiste. Se a portare a termine attacchi e attentati sono ancora in gran parte uomini poco al di sotto dei 30 anni, la radicalizzazione online fa presa sui giovanissimi in maniera inedita, rappresentando una sfida tutt’altro che facile per chi opera nella prevenzione e nel contrasto.
La sera di sabato 2 marzo 2024 in un quartiere centrale di Zurigo un quindicenne svizzero di origini tunisine accoltella gravemente un ebreo ortodosso. Nelle ore successive all’attacco, emerge in rete un video preregistrato nel quale il ragazzo, che si definisce un “soldato del Califfato” e giura fedeltà allo Stato Islamico, dichiara di avere agito in risposta all’appello lanciato da quest’ultimo di colpire “gli ebrei, i cristiani e i loro alleati criminali”, e incita a sua volta altri a prendere l’iniziativa (1).
L’ evento si inserisce in un contesto globale che è stato segnato da un sensibile aumento dall’antisemitismo dopo il brutale attentato terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, al quale Israele ha risposto mettendo Gaza a ferro e fuoco; una realtà che con il suo tragico carico di vittime civili ha alimentato tanto le narrative della sfera jihadista e degli estremismi più in generale, quanto la polarizzazione sociale che ha trovato sfogo, talvolta violento, nelle piazze, nelle università e su internet. Un clima dal forte potenziale di radicalizzazione e di mobilitazione, accentuato da un’intensa disinformazione, a cui sono esposti anche ragazzini al di sotto dei 15 anni.(2)
La Confederazione -già colpita nel 2020 da due attacchi all’arma bianca di matrice jihadista a Morges e a Lugano, che avevano in quell’occasione però visto passare all’azione un uomo e una donna adulti, scagliatisi contro vittime scelte a caso- si confronta improvvisamente con una tendenza che caratterizza ormai da qualche anno l’universo dell’estremismo violento e della radicalizzazione in Europa, e che consiste nel progressivo abbassamento dell’età di chi è coinvolto in questi fenomeni.
Nel 2021, le statistiche inglesi indicavano già un incremento rilevante negli arresti di ragazzi al di sotto dei 18 anni, sospettati di aver commesso reati legati al terrorismo, con una prevalenza della matrice di estrema destra (3). Le percentuali hanno continuato a salire toccando il picco finora più alto nel 2023, quando sul totale dei fermi -tra giovani e adulti- quasi il 19% riguardava teenagers non ancora 17enni (4).
L’attrattiva dei ragazzi e delle ragazze nei confronti del jihadismo è coerente con quanto avvenuto nel periodo che ha segnato la massima espansione territoriale dell’ISIS, attorno alla metà dello scorso decennio; anche allora il Vecchio Continente aveva visto numerosi adolescenti aderire alla narrativa e progettualità dello Stato Islamico, mettendosi in viaggio nel tentativo di raggiungere la Siria e l’Iraq; come la teenager inglese Shamima Begum, partita da Londra a 15 anni nel 2015 insieme a delle coetanee e oggi bloccata in Medioriente in uno dei campi di detenzione dove sono confinate le famiglie degli ex-combattenti. Il suo è divenuto un caso controverso ed emblematico, dopo che le autorità britanniche hanno deciso di privarla della nazionalità rendendola, di fatto, apolide, nonostante c’è chi ritenga che sia stata vittima di indottrinamento e forse anche di tratta (5).
Giovanissimi commisero violenze di natura jihadista dopo che l’ISIS, a partire dal 2014, iniziò ad incoraggiare i propri sostenitori rimasti nei rispettivi paesi di residenza ad attivarsi con i mezzi a disposizione, inaugurando anche la stagione dei cosiddetti “lupi solitari” -una definizione fuorviante, in ragione delle reti di contatti e relazioni che emergono nella maggior parte delle indagini-. Questa mossa strategica del Califfato ha cambiato in maniera permanente il modus operandi dei terroristi, valorizzando l’autonomia dei singoli e permettendo al gruppo terroristico, quando confrontato con difficoltà operative, di continuare a proiettare un’immagine di forza rivendicando azioni di ‘successo’ portate avanti dai propri simpatizzanti.
Uno studio sugli attentati di matrice islamista avvenuti in Europa fra il 2014 e il 2017 indicava che, tra attacchi riusciti e sventati, teenagers e ragazzini erano coinvolti in poco meno di un quarto degli eventi jihadisti; il fenomeno interessava soprattutto la Francia, la Germania e il Regno Unito (6).
Un evento simile a quello di Zurigo si era verificato, ad esempio, a Marseille nel 2016, quando un 15enne di etnia curda aveva attaccato un docente, anch’egli di religione ebraica, nei pressi dell’istituto scolastico dove insegnava.
Casi più recenti sono stati l’uccisione brutale, nel novembre del 2020 alle porte di Parigi, del Prof. Samuel Paty da parte di un 18enne russo di origine cecena, a seguito di una violenta campagna islamista via social che era stata scatenata nei giorni precedenti contro il docente; o quella di un insegnante in un liceo di Arras, nell’ottobre del 2023, ad opera di radicalizzato di 20 anni originario dell’Inguscezia. Dopo quest’ultimo attacco, il procuratore anti-terrorismo francese Jean -François Ricard dichiarò che negli ultimi tre anni (dal 2020, ndr) nel paese era stata riscontrata una crescente propensione, da parte dei giovanissimi, alla pianificazione di atti violenti (7).
Va specificato che gli attacchi portati a termine rimangono ancora in gran parte appannaggio degli adulti; dal database del centro d’analisi e ricerca START InSight, che traccia i profili degli jihadisti entrati in azione in Europa, emerge che l’età mediana di chi ha colpito l’Europa fra il 2014 ed oggi è di 26 anni: un dato che subisce variazioni -dai 24 anni registrati nel 2016 ai 30 anni del 2019-, e che nel 2023 indica l’età perfino in lieve risalita, attestandosi sui 28.5 anni.
Più in generale, emerge come il 7% dei terroristi avesse un’età inferiore ai 19 anni (con una riduzione progressiva dei minori!); il 38% un’età compresa tra i 19 e i 26 anni; il 41,5% tra i 27 e i 35 anni e infine, il 13,5% di età superiore ai 35 anni.
In precedenza, uno studio del 2019 della Scuola Universitaria per le Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW), basato sulle informazioni disponibili relative a 130 diversi casi di natura jihadista di cui si era occupato il Servizio delle Attività Informative della Confederazione nel corso dei dieci anni precedenti, indicava che a radicalizzarsi al di sotto dei 20 anni era stato il 18% degli individui, mentre per i minorenni il dato – all’epoca piuttosto contenuto- scendeva al 6% (8).
Tuttavia nel Canton Vaud, dove è stato istituto nel 2018 un programma di prevenzione della radicalizzazione, più del 40% dei casi trattati riguarda minorenni (9). E recentemente, il capo dell’intelligence elvetica Christian Dussey ha dichiarato come la radicalizzazione di matrice jihadista dei minorenni tocchi oggi la Confederazione in proporzioni (addirittura) maggiori rispetto agli altri Stati europei (10). Poco dopo l’attacco di Zurigo, nella Svizzera francese e tedesca sono stati fermati altri sei ragazzi fra i 15 e i 18 anni, in contatto con coetanei in Germania, Francia e Belgio; alcuni, in questa rete, apparentemente intenzionati a portare avanti attacchi. Nei primi 9 mesi del 2024, la Polizia svizzera sarebbe intervenuta in 11 casi di giovani radicalizzati; è stato fermato anche un bambino di 11 anni.
L’esperto di terrorismo Peter Neumann ha segnalato che nel complesso, in Europa, dall’ottobre 2023, due terzi degli arresti hanno riguardato ragazzini fra i 13 e i 19 anni d’età (11).
In Inghilterra e Galles, fra l’aprile 2022 e il marzo 2023 più del 60% delle segnalazioni nell’ambito del programma di prevenzione Prevent -che impone a chi lavora nel settore pubblico, soprattutto la scuola, di comunicare i casi di sospetta radicalizzazione- riguardava individui fino ai 20 anni; il 31% non arrivava ai 14. Ma se la maggior parte dei casi trattati non ha poi richiesto ulteriori prese a carico- quasi la metà di quelli più seri era però rappresentata da ragazzini fra gli 11 e i 15 anni (12).
“Childhood Innocence? Mapping Trends in Teenage Terrorism Offenders”, uno studio pubblicato dall’International Centre for the Study of Radicalisation (ICSR) del King’s College di Londra, che ha preso in esame le attività di 43 minorenni condannati per reati collegati al terrorismo, sempre in Inghilterra e Galles, dal 2016 al 2023 (13), invita a non sottovalutare il ruolo dei ragazzi; sebbene nel periodo preso in considerazione nessun bambino sia riuscito a commettere un attentato e il reato più comune sia consistito nel possesso di materiale estremista, dalla ricerca emerge come un terzo sia stato condannato per la preparazione di atti di terrorismo, e come i ragazzi abbiano agito da “amplificatori” e “innovatori”, in grado di produrre materiali di propaganda, di reclutare altri e di pianificare attacchi. A fare deragliare i loro piani, potrebbero essere stati fattori legati all’età, come l’ingenuità e l’incapacità organizzativa.
Questa intraprendenza giovanile è un tratto comune del panorama estremista degli ultimi anni: nel 2020 si è scoperto che a capo della Feuerkrieg Division, un gruppo di estrema destra attivo solo online ma con intenti terroristici e con membri in vari paesi, dagli Stati Uniti alla Lituania, c’era un 13enne estone -ne aveva 11, al momento della fondazione nel 2018-. Alcuni teenagers che ne facevano parte pianificavano attivamente degli attentati (14).
Sempre nel marzo del 2024 In Inghilterra, un giovane anarchico di sinistra di 20 anni è stato condannato a 13 anni di carcere; fra le altre cose, pianificava di uccidere 50 persone e aveva dedicato un manuale di istruzioni su come costruire armi e bombe “ai disadattati, ai signori nessuno, agli anarchici e terroristi del passato e del futuro, che vogliono combattere per la libertà contro il governo” (15).
2. L’emancipazione dell’estremismo
Studi e indagini hanno analizzato come gruppi, movimenti e individui -in particolare jihadisti o appartenenti alla vasta galassia dell’estrema destra- abbiano saputo cogliere e sfruttare efficacemente le opportunità progressivamente offerte da Internet e dalle tecnologie in continua evoluzione per divulgare le proprie ideologie, avvicinare potenziali reclute e simpatizzanti, disseminare riviste e guide pratiche per aspiranti attentatori, adattando e diversificando la propria comunicazione anche in base al genere. Incluso l’impiego dell’intelligenza artificiale per elaborare rapidamente immagini e video di propaganda dal forte ed immediato impatto estetico ed emotivo che solo un decennio fa avrebbero richiesto il meticoloso apporto di un team e oggi possono anche essere realizzate da un’unica persona (16).
Ad emergere è la consapevolezza di come, nel corso del tempo, siano cambiati in modo sostanziale sia il modo di produrre, consumare e condividere propaganda, che le identità di chi è coinvolto in queste attività. L’entrata in scena dei social media attorno alla metà degli anni 2000, in particolare, ha favorito la rapida diffusione e l’acceso a materiale di natura estremista, e permesso di creare relazioni e interagire continuamente, al punto che, si legge in un saggio del ricercatore Jacob Ware su questo tema, “il processo di radicalizzazione si insinuava ora in ogni aspetto della vita di un soggetto, e il radicalizzatore poteva proiettare la propria influenza in un salotto o una camera da letto” (17).
Ware spiega che oggi siamo ormai confrontati con la terza generazione influenzata dalla radicalizzazione online; una generazione in cui gli individui non solo agiscono in autonomia, ma promuovono sé stessi e le proprie azioni.
I gruppi terroristici (quelli con una solida gerarchia interna) sono meno rilevanti, mentre le ideologie sono fluide. Già nel rapporto #ReaCT2022 Michael Krona, riferendosi al contesto jihadista, indicava l’esistenza di sostenitori online meno inclini a legarsi ad una singola organizzazione, che “formano delle nuove entità, promuovono interpretazioni ideologiche più ampie, costruendo i loro propri brand, piuttosto che rafforzare scrupolosamente il marchio dello Stato Islamico” (18). Oggi la produzione di propaganda e narrativa estremista -ma anche l’incitamento all’azione- non sono più una prerogativa dei media legati ai movimenti terroristici, ma un’operazione a cui partecipa una larga base di adepti e militanti in contatto fra loro. Un reticolato che può estendersi da un continente all’altro.
Come racconta un’inchiesta internazionale realizzata nel 2022 da giornalisti infiltratisi in una rete di teenagers neo-nazisti, il vantaggio di questo network -ma lo stesso principio vale in altri casi- consiste nella sua struttura lasca, mobile, che fa perno sulla partecipazione di singoli individui sparsi per il mondo: “tutto ciò di cui hanno bisogno è un computer, un cellulare e una camera da letto. E tutto ciò che hanno in comune è la loro ideologia e il loro odio: nei confronti degli ebrei, delle figure politiche, dei giornalisti” (19).
Quest’immagine dell’adolescente radicalizzato chiuso nella propria stanza si ripropone, quindi; ma la camera può essere più simile a una cabina di regia, che a un rifugio in cui si isola un ragazzino vulnerabile esposto alle trame di malintenzionati. Il già menzionato studio inglese sui minorenni condannati per terrorismo, sottolinea la necessità di superare lo stereotipo associato ai bambini, che li considera una mera “pedina” nelle mani degli adulti; se attivi in un contesto estremista online protetti dall’anonimato, il “peso” e l’effetto, per esempio, delle loro azioni e dei loro posts, è identico a quello di tutti gli altri.
I ‘combattenti’ virtuali, oggi nativi digitali, dimostrano un forte potenziale nell’assicurare una continua promozione delle idee estremiste -una campagna mediatica pro-ISIS blandisce ed esorta specificamente questi “eserciti di una persona” e “mujaheddin di Internet” a non demordere (20). La capacità di impiegare in modo selettivo i diversi social media e le app di messaggistica criptate per comunicare, scambiarsi informazioni, incoraggiarsi a vicenda, discutere di violenze, attacchi e obiettivi, e l’abilità nel migrare di piattaforma in piattaforma per sfuggire alla scure delle big tech e delle operazioni congiunte di Polizia intese a liberare Internet dai contenuti di natura terroristica, li rendono un asset difficile da contrastare.
In sintesi, l’epoca attuale è caratterizzata da un estremismo ‘emancipato’, diffuso e de-centralizzato che si fonda sulla ‘libera iniziativa’; un ecosistema in cui “ognuno può essere rimpiazzato” (21) e tutti gli attentatori possono diventare fonte di ispirazione per altri; che si tratti di Brenton Tarrant, estremista di destra che nel 2019, a 28 anni, a Christchurch, in Nuova Zelanda, ha attaccato due moschee uccidendo oltre 50 persone; che si tratti di Elliott Rodger che a 22 anni in California, nel 2014, ha commesso una strage in nome dell’ideologia misogina ed è oggi celebrato dagli incel violenti, o ancora che si tratti del quindicenne svizzero autore dell’accoltellamento di Zurigo, il cui gesto viene esaltato dagli accoliti dello Stato Islamico. Alcuni giorni dopo l’attacco, ricercatori del Counter Extremism Project hanno individuato sei profili di TikTok che celebravano lo jihadista svizzero (22).
3. La radicalizzazione della violenza
Nel corso del 2024, analisti e media hanno talvolta fatto riferimento all’espressione ‘TikTok-jihad’ o ‘terrorismo TikTok’ per definire il contesto nel quale avviene l’avvicinamento dei teenager all’estremismo; social, piattaforme di gioco e chat criptate finiscono spesso sul banco degli imputati e vengono considerati oggi strumenti principali di radicalizzazione. Non si tratta tuttavia di semplici ‘canali’ attraverso i quali viene diffuso un messaggio indirizzato a potenziali nuove leve; queste piattaforme offrono spazi di condivisione, socializzazione, visibilità e partecipazione: termini e concetti importanti per comprendere una realtà che non consiste (più) solo in un galassia di ideologie politico-religiose violente, ma che è anche costituita da subculture generate e animate dagli stessi ragazzi (quella incel, ad esempio, o quella dell’accelerazionismo militante); in altre parole, da comunità / collettività che si riconoscono in propri valori, norme comportamentali, codici linguistici ed estetici. Nel periodo adolescenziale, che è caratterizzato dalla ricerca di un’identità e di un posto nel mondo, ma talvolta anche da sentimenti di ribellione, da fragilità personali che possono derivare da contrasti in famiglia, o violenze quali il bullismo e il razzismo, il senso di appartenenza a un gruppo di riferimento assume un ruolo non secondario.
Analisti e intelligence sottolineano già da qualche anno, come problematiche di natura psicologica e adesione alla violenza, prima ancora che all’ideologia, rappresentino tendenze ormai consolidate. La voglia di rivalsa, di acquisire potere nelle relazioni sociali, di protagonismo e di sfogo alle frustrazioni personali (23), vengono oggi considerate motivazioni sufficienti nel contribuire alla radicalizzazione dei ragazzi, una radicalizzazione in cui la percezione di torti subiti può sovrapporsi a battaglie socio-politiche. Tutti questi fattori, sommati a un ‘clima’ virtuale caratterizzato da algoritmi che premiano contenuti provocatori e dalla banalizzazione dell’odio attraverso, ad esempio, la produzione e condivisione di memes, contribuiscono ad abbassare la soglia di adesione all’estremismo (violento e non). In uno scenario così complesso e in continua evoluzione, è molto difficile essere in grado di valutare i rischi posti dagli individui radicalizzati nel mondo reale, soprattutto se minorenni. Pur nella consapevolezza che la radicalizzazione è un percorso personale non irreversibile, e che non conduce necessariamente verso il terrorismo. (24)
Chiara Sulmoni, BA, MA, Presidente e Coordinatrice editoriale di START InSight, Lugano, (Svizzera) ha conseguito un BA e un MA in Italian Studies c/o UCL (University College London) e un MA in Near and Middle Eastern Studies c/o SOAS (School of Oriental and African Studies, London). Giornalista e producer, ha lavorato alla realizzazione di documentari e reportage per la radio / TV in particolare su temi legati al mondo arabo e islamico, Afghanistan e Pakistan, conflitti, radicalizzazione di matrice islamista. Dal 17 aprile 2019, è Co-Direttore di ReaCT – Osservatorio nazionale sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (Roma-Milano-Lugano). Dal 2023, è Presidente e Coordinatrice dell’Associazione PRIME – Prevenzione Informazione e Mediazione (Lugano).
Note 1) In Video Uploaded To Internet, Teenage Stabber Of Jew In Zürich Swears Allegiance To Islamic State (ISIS), Calls On Muslims To Target Jews And Christians Everywhere, MEMRI, Special Dispatch No. 11166, 4 March 2024. In https://www.memri.org/reports/video-uploadedinternet-teenage-stabber-jew-z%C3%BCrich-swearsallegiance-islamic-state-isis 2) Symonds, Tom, Gaza war creating a radicalisation moment, senior UK police officer says, BBC News , 19th January 2024. In https://www.bbc.com/news/uk-68035172 3) Counter- Terrorism Policing, Upward trend in children arrested for terrorism offences, News, 9th June 2022. In https:// www.counterterrorism.police.uk/upward-trend-inchildren-arrested-for-terrorism-offences/ 4) Counter-Terrorism Policing, Number of young people arrested for terrorism offences hits record high, News, 15th March 2024. In: https://www.counterterrorism.police.uk/ number-of-young-people-arrested-for-terrorism-offenceshits-record-high/ 5) Sabbagh, D., Shamima Begum a victim of trafficking when she left Britain for Syria, court told, The Guardian, 24th October 2023. In: https://www.theguardian.com/uk-news/2023/ oct/24/shamima-begum-victim-of-trafficking-when-sheleft-uk-for-syria-court-told 6) Simcox, R., European Islamist Plots and Attacks Since 2014— and How the U.S. Can Help Prevent Them, The Heritage Foundation, Backgrounder No. 3236, 1st August 2017. See also: Bourebka, M., Overlooked and underrated? The role of youth and women in preventing violent extremism, CIDOB, Notes internationals, 240, 11/2020: “In the European context, as of 2016, the fastest-growing age group amongst the radicalised individuals in Europe was 12- to 17-year-olds” 7) de la Ruffie, E., Attentat: des mineurs radicalisés, «un phénomène nouveau» et «inquiétant», selon le procureur anti-terroriste, Le Journal du Dimanche, 7 Novembre 2023. In: https:// www.lejdd.fr/societe/attentat-des-mineurs-radicalises-unphenomene-nouveau-et-inquietant-selon-le-procureurantiterroriste-139493 8) Sulmoni, C., Radicalizzazione jihadista e prevenzione. Aggiornamenti dalla Svizzera, START InSight www.startinsight.eu. 9) Comment le groupe Etat islamique courtise les mineurs sur les plateformes de jeux vidéo, RTS, 27 Mai 2024 https:// www.rts.ch/info/suisse/2024/article/comment-le-groupe -etat-islamique-courtise-les-mineurs-sur-les-plateformes-dejeux-video-28516132.html. 10) Rhyn, L., und Knellwolf, T., Die Schweiz hat überdurchschnittlich viele Fälle radikalisierter Jugendlicher, Tages Anzeiger, 22 August 2024. In: https:// www.tagesanzeiger.ch/geheimdienst-chef-sieht-sicherheitder-schweiz-in-gefahr-665955949850. 11) Ernst, A., Terrorismus in Europa: Es gibt genügend Hinweise, dass sich etwas Grösseres ankündigt, NZZ, 23 August 2024. In: https://www.nzz.ch/international/terrorismusin-europa-die-tik-tok-generation-peter-r-neumannld.1844746 12) Individuals referred to and supported through the Prevent Programme, April 2022 to March 2023. Home Office Official Statistics, 14th December 2023. In: https://www.gov.uk/ government/statistics/individuals-referred-to-prevent/ individuals-referred-to-and-supported-through-the-preventprogramme-april-2022-to-march-2023#demographics 13) Rose, H., and Vale, G., “Childhood Innocence? Mapping Trends in Teenage Terrorism Offenders”, ICSR, London, 2023. 14) Nabert, A., Brause, C., Bender, B., Robins-Early, N., Death Weapons, Inside a Teenage Terrorist Network, Politico, 27th July 2022. In: https://www.politico.eu/article/ inside-teenage-terrorist-network-europe-death-weapons/ 15) Gardham, D., Jacob Graham: Left-wing anarchist jailed for 13 years over terror offences after declaring he wanted to kill at least 50 people, Sky News, 19th March 2024 https:// news.sky.com/story/jacob-graham-left-wing-anarchistjailed-for-13-years-over-terror-offences-after-declaring-hewanted-to-kill-at-least-50-people-13097584 16) Katz, R., SITE Special Report: Extremist Movements are Thriving as AI Tech Proliferates, SITE Intelligence Group, 16th May 2024 https://ent.siteintelgroup.com/Articlesand-Analysis/extremist-movements-are-thriving-as-ai-tech -proliferates.html 17) Ware, J., The Third Generation of Online Radicalization, Program on Extremism, George Washington University, 16th June 2023. In: https://extremism.gwu.edu/thirdgeneration-online-radicalization 18) Krona, M., Le comunità jihadiste online costruiscono i loro brand ed espandono l’universo terrorista creando nuove entità, #ReaCT2022, Rapporto sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa, N.3, Anno 3, ed. START InSight (Lugano). In. https://www.startinsight.eu/react2022-n-3-anno-3/ 19) Nabert, A., Brause, C., Bender, B., Robins-Early, N., Death Weapons, Inside a Teenage Terrorist Network, Politico, 27th July 2022. In: https://www.politico.eu/article/ inside-teenage-terrorist-network-europe-death-weapons/ 20) Pro-Islamic State (ISIS) Social Media Campaign Calling For ‘Media Jihad’ Expands To TikTok, Jihad and Terrorism Threat Monitor, MEMRI, 22nd June 2023 https:// www.memri.org/jttm/pro-islamic-state-isis-social-mediacampaign-calling-media-jihad-expands-tiktok 21) See: Death Weapons 22) Extremist Content Online: Pro-ISIS TikTok Users Celebrate Accused Attacker In Zurich Stabbing, Counter Extremism Project, 11 March 2024. In: https:// www.counterextremism.com/press/extremist-contentonline-pro-isis-tiktok-users-celebrate-accused-attackerzurich-stabbing 23) IS recruitment is not portrayed as violent enlistment for a political-religious cause but as a platform for venting frustrations with parents, teachers and society. It offers an outlet for their mundane lives and a chance at dubious “15 minutes of fame”, in: Avrahami, Z., TikTok jihad: Online radicalization threat looms over Europe, Ynetnews.com, 10th August 2024 https:// www.ynetnews.com/article/ rjgiduh9c 24) “Minorenni radicalizzati, ma non per forza terroristi”, RSI Info, 6 settembre 2024 https://www.rsi.ch/info/ticinogrigioni-e-insubria/%E2%80%9CMinorenni-radicalizzatima-non-per-forza-terroristi%E2%80%9D–2246363.html
Elezioni USA: Tutta la verità nient’altro che la verità.
di Melissa de Teffé.
Scrive il Financial Times: “… Gli Stati Uniti stanno affrontando una crescita economica più lenta. Dal 2010, la crescita media annua è stata solo del 2,2%, e il Comitato del Congresso che si occupa del bilancio prevede che sarà in media solo dell’1,8% per il prossimo decennio. La Camera del Commercio degli Stati Uniti chiede ai candidati e ai funzionari eletti di adottare politiche per riportare la crescita ad almeno il 3% all’anno, per garantire un futuro migliore a tutti gli americani. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario sviluppare una forza lavoro più numerosa e qualificata, promuovere investimenti in tecnologie avanzate e sfruttare le opportunità del commercio e degli investimenti internazionali, evitando i dazi. L’importanza della relazione commerciale tra Stati Uniti ed Europa è fondamentale per entrambe le economie.”
Detto questo, nonostante Harris abbia il supporto del 70% dei miliardari americani, hollywood, inclusa la pluri miliardiaria Taylor Swift, la maggior parte della stampa, l’intervista rilasciata alcuni giorni fa da 60 minutes, CBS, la trasmissione più importante negli Stati Uniti di giornalismo investigativo ha sicuramente dato uno spaccato chiaro sull’assenza di politiche economiche che sono al centro di questa elezione.
I prezzi degli alimentari sono saliti del 25% e nel programma politico di Harris ci sarebbe una proposta di legge che proibirebbe l’aumento erratico e incontrollato dei prezzi, ma purtroppo mancano dettagli concreti. Seguono altre proposte, sempre con l’intento di migliorare la situazione economica interna che prevedono: una detrazione fiscale per il primo figlio, la prima casa, e per le start-ups. Tuttavia il Committee on Responsible Federal Budget, organizzazione apartitica e no-profit dedicata a sensibilizzare il pubblico sulle questioni fiscali più rilevanti, ha dichiarato che questa linea politica aggiungerebbe al già pesante debito pubblico dovuto al crisi del 2008, altri tre trillioni di dollari. A questo si aggiunge la necessità che le proposte vengano approvate dal Congresso, un passaggio tutt’altro che scontato, considerando che l’organo legislativo non ha mostrato finora alcun interesse a sostenere una politica finanziata attraverso l’aumento delle tasse per i più ricchi, senza però offrire alcun sollievo fiscale per la classe media, tanto citata dalla candidata.
Un altro aspetto rilevante è che più di un quarto degli elettori afferma di non conoscere bene Kamala Harris, i suoi punti di forza o le fondamenta delle sue decisioni politiche. Già nella precedente campagna elettorale, Harris sosteneva Medicare for All (il piano di assistenza sanitaria nazionale), ora non più; all’inizio di questa campagna era contro la tecnica del fracking per l’estrazione del gas (sistema di estrazione del gas da terra con l’utilizzo dell’acqua) ora no; era pro immigrazione quasi senza frontiere, oggi non più; e il famoso Green Deal lo ha totalmente cancellato ieri (estrazione del petrolio, utilizzo universale di macchine elettriche, eolico, ecc.).
Ma per l’America, il tallone d’Achille di Kamala è l’immigrazione illegale, incontrollata, che ha fatto sì che un enorme flusso di gente dall’Africa, Cina, e centro America si riversasse tra il Texas, la Florida e la California. Recentemente, la vicepresidente ha visitato il confine e ha pubblicamente sostenuto l’ultima e nuovissima decisione di Biden di adottare misure più severe per ridurre l’ingresso dei richiedenti asilo. Ovviamente questo ha sollevato il legittimo interrogativo del giornalista della CBS, Bill Whittaker, il quale ha chiesto perché queste stesse decisioni non siano state adottate quattro anni fa, evitando alla società i susseguenti drammi e morti dovuti alla massiccia introduzione nel paese di droghe pericolose come il fentanil, alla tratta di essere umani schiavizzati dai cartelli della droga e la scomparsa di circa 150.000 bambini affidati dal Department of Human Services – HHS (il Ministero della Salute e dei Servizi Sociali) a persone non verificate, i quali, secondo un’inchiesta del New York Times dello scorso anno, non solo non sono inseriti nel sistema scolastico, ma sono o costretti a lavorare o, peggio ancora, venduti come “sex workers” – prostituzione.
Ma perchè i repubblicani continuano a sostenere che queste siano le elezioni presidenziali più significative di quest’epoca? Secondo i calcoli matematici di Elon Musk, la ragione risiede nel numero assai elevato d’immigranti illegali, a cui è stato regalato il diritto di voto anche senza documentazione. Infatti è stata votata una settima fa la legge in California, che dà questo diritto. Una legge senza precedenti, unica anche a livello mondiale. Musk ritiene che il voto di questi immigrati inciderà pesantemente sui risultati negli Stati indecisi (swing states), i cui voti sono cruciali per determinare il vincitore. Secondo Musk, la situazione andrà poi via via peggiorando per le susseguenti nascite che apporteranno inevitabilmente più voti nel futuro ai democratici creando un vantaggio numerico rispetto ai repubblicani, insuperabile e quindi alterando per generazioni a venire l’equilibrato sistema elettorale creato dai padri fondatori.
In questo monumentale esercizio di equilibri pericolosi il grande protagonista è la stampa. Tutta la stampa negli Stati Uniti, ad eccezione di Fox News, di proprietà di News Corp la società dell’Australiano Rupert Murdock, X di Elon Musk, Facebook e Instagram di Zuckerberg, (che da quest’anno come ha dichiarato nella sua lettera aperta: “non risponderò più a nessuna richiesta/pressione politica” -si riferisce a quelle di Biden quando gli chiese di cancellare dalle sue piattaforme dichiarazioni a sfavore della sua amministrazione-, sta dando il peggio di sè al punto che districarsi fra il vero e il falso è un lavoro arduo. Sono tutti editorialisti e sono tutti pro partito democratico e hanno dimenticato il senso e il valore del loro mestiere. Ecco un paio di esempi: pare che Kamala abbia telefonato al governatore della Florida DeSantis riguardo all’uragano Milton, in arrivo questo weekend, e lo abbia accusato di non aver risposto alla sua telefonata. DeSantis nega di aver mai ricevuto la telefonata, ma di aver parlato sia con Biden, che con i preposti rappresentanti federali per questa emergenza. Tutta la stampa è a favore di Kamala e contro DeSantis, governatore repubblicano. D’altro lato vista la gravità dell’emergenza nell’organizzare l’evacuazione di centinaia di migliaia di persone DeSantis ha affermato che un’incombente tragedia non è un luogo politico. Le dichiarazioni di Hillary Clinton che durante un’intervista alcuni giorni or sono, ha esplicitamente detto che è necessario controllare le piattaforme dei socialmedia, come X Instagram o FB. Per questa e altre dichiarazioni simili persino Musk sempre nella stessa intervista ha dichiarato che se Trump non dovesse vincere, è certo di venir incarcerato.
A sottolineare le fragilità dei media, proprio in questo periodo, Ruper Murdock titolare di Fox TV, unica emittente conservatrice di tutti gli Stati Uniti ha chiesto al tribunale del Nevada (unico Stato della Repubblica che ammette un processo a porte chiuse), di cambiare alcuni termini del suo fondo fiduciario, che prevede, alla sua morte,una distribuzione equa fra i suoi primi quattro figli (ne ha sei, ma i due rimanenti riceveranno solo dei proventi). Il secondo genito, James e sua moglie Kathryn, nota democratica, hanno lamentato la linea editoriale di Fox TV come troppo conservatrice. Murdock Sr., nonostante abbia quasi sempre usato il chinese wall tra la linea editoriale e la proprietà (vedi quanto fatto per il Wall Street Journal) viste le diverse opinioni politiche, vuole lasciare la direzione di tutto l’impero mediatico a Lachland, il primogenito, e l’unico che guiderebbe News Corp con idee analoghe rispetto ai fratelli. Ecco quindi la necessità di un cambio. News Corp abbraccia propirieta di media in 3 continenti: Inghilterra, Stati Uniti, Australia.
Se Rupert non riuscisse a modificare gli accordi esistenti, anche Fox si allineerebbe al resto della stampa statunitense con un orientamento a sinistra.
Infine, cosa temono i democratici in caso di vittoria di Trump? Un’ampia preoccupazione è che il “vaso di Pandora”, finora sigillato e tenuto nascosto, possa essere finalmente aperto. All’interno ci sarebbero informazioni compromettenti, come la lista dei frequentatori delle proprietà di Jeffrey Epstein. Ad oggi sappiamo di Clinton che avrebbe compiuto almeno 26 viaggi nel boeing personale del faccendiere pedofilo; Bill Gates,che nonostante abbia dichiarato di aver fatto solo due cene con Epstein, ha subìto il divorzio dalla moglie, una volta che la sua relazione con il miliardario è venuta a galla; Reid Hoffman cofondatore di Paypal, anche lui grande frequentatore di viaggi e feste private.
Un altro segreto riguarda l’assassinio di John F. Kennedy e di Bob Kennedy le cui documentazioni sono state revisionate, redatte e alcune secretate. Se Trump vincesse, Robert Kennedy Jr. diventerebbe Procuratore Generale, e avrebbe l’opportunità di leggerle, e con il permesso presidenziale rendere pubbliche queste informazioni.
Infine è di ieri la notizia che CBS ha manomesso le risposte della Harris, nella sua intervista di 60 minutes. Nel link viene descritta una di queste con ambo versioni: la prima risposta seguita dalla seconda, editata, che descrive la politica americana riguardo Israele. Nonostante Whittaker sia stato l’unico giornalista negli Stati Uniti, ad oggi, ad incalzarla, CBS, evidentemente per le pressioni democratiche, ha deciso di pubblicare alcune pillole dell’intervista con le risposte riviste. Harris, infatti è famosa per le sue repliche senza senso. Infatti è spesso soprannominata “Salad Harris” che per noi sarebbe “Il minestrone Harris”, tante parole inconcludenti.
Speriamo che le famose sorprese di ottobre siano finite, ma qualcosa mi dice che non sarà così.
Azione di Israele in Libano via mare: perché? Il commento di C. Bertolotti a RaiNews 24
di Claudio Bertolotti.
Azione di Israele in Libano via mare: perché? Il commento di C. Bertolotti a RaiNews 24 – Focus (puntata dell’8 ottobre 2024)
In primo luogo va detto che la capacità difensiva di
Hezbollah si fonda su un sostegno militare e finanziario dell’Iran che sta
facendo del Libano il fronte di scontro diretto con Israele, non volendo
Teheran essere direttamente coinvolta. Un sostegno militare che garantisce a
Hezbollah una capacità militare offensiva – messa in atto dal 7 ottobre di un
anno fa a danno di Israele, in violazione della risoluzione 1701 del CdS
dell’ONU – e una difensiva. E proprio la capacità difensiva, la resistenza di
Hezbollah sul fronte terrestre a sud, ha suggerito alle forze israeliane di
optare per l’apertura di un secondo fronte, non presidiato da postazioni
organizzate, bunker e tunnel, lungo la costa. Questo offre un doppio vantaggio:
il primo è la dispersione delle forze di Hezbollah, così costretto a dividersi
e a diluirsi su due settori; il secondo è una minore esposizione delle forze
israeliane alla difesa organizzata così come lo è a sud, riuscendo così a
prendere le posizioni tenute da Hezbollah con minori rischi.
Le forze armate libanesi non sono coinvolte nel conflitto,
che è uno scontro tra Israele e Hezbollah, e non contro il Libano. Come
confermano la posizione del governo libanese e delle forze armate nazionali (il
generale Joseph Aoun, ha fatto visita al presidente del parlamento Nabih Berri),
che di fatto risponderanno solo nel caso in cui i soldati libanesi fossero
oggetto del fuoco israeliano, di fatto dando carta bianca a Israele per contenere
o eliminare Hezbollah. A ciò si contrappone però il rischio di un collasso
dello stato libanese, poiché l’indebolimento di Hezbollah o la sua scomparse
determinerebbe il riaccendersi di competizioni tra gruppi di potere su base
settaria. Insomma il rischio di una nuova guerra civile.
Il terrorismo jihadista in Europa e le dinamiche mediterranee: evoluzione storica, sociale e operativa in un’era di cambiamenti globali.
di Claudio Bertolotti, Direttore, START InSight estratto da #ReaCT2024 – Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa
AbstractQuesto articolo indaga il terrorismo oltre le definizioni tradizionali, esaminando la sua evoluzione all’interno dei confini dell’Europa geografica, enfatizzando le radici storiche, le motivazioni individuali e collettive, e l’adattamento operativo, condividendo le ragioni alla base di una ormai necessaria revisione della stessa definizione di terrorismo, da intendersi come effetto della violenza, piuttosto che mera azione organizzata per fini politici. Analizzando i dati forniti dal data base START InSight, l’articolo si concentra sui Paesi dell’Unione europea costantemente interessati dalle traiettorie del jihadismo e dalle conseguenti sfide per la sicurezza collettiva, contribuendo al dibattito accademico con una prospettiva multidimensionale sul terrorismo, considerandone gli aspetti storici, socio-politici e culturali.
KeywordsJihadism, blocco funzionale
1. Il terrorismo come fenomeno politico e sociale che si evolve con il tempo e con il mutare delle dinamiche di competizione tra individue, gruppi, stati.
Il terrorismo attuale, ponendo le proprie radici nella profondità di un’evoluzione storica molto complessa, rappresenta una minaccia ideologica diffusa. E la minaccia del terrorismo jihadista è oggi particolarmente rilevante, collegata alle dinamiche storiche, conflittuali, delle relazioni internazionali e della competizione in Medio Oriente, in Africa e alla violenza discendente dalla lettura radicale dell’Islam; una dinamica conflittuale che oggi si associa sempre più spesso alla ricerca di identità di gruppi e individui attraverso l’opposizione culturale di una componente non marginale degli immigrati maghrebini di seconda e terza generazione in Europa. E parliamo di una galassia jihadista frammentata e caratterizzata da diverse ideologie e approcci pratici, tanto da indurre una riflessione sul concetto di terrorismo contemporaneo che si impone come fenomeno sociale molto diverso dai terrorismi che lo hanno preceduto.
Una necessaria riflessione che ci invita a riflettere sull’opportunità di un cambio di paradigma nella stessa definizione di terrorismo, non più da intendere come azione volta ad ottenere risultati politici attraverso la violenza, dunque nelle intenzioni. Bensì come effetto della violenza applicata: è terrorismo la manifestazione di violenza, privo di un’organizzazione alle spalle. È terrorismo nella manifestazione, non nell’organizzazione.
All’interno della stessa galassia jihadista, il terrorismo si impone come strumento di lotta, di resistenza e di prevaricazione, e lo fa con diversi gradi e modelli di violenza: da quella individuale, a quella organizzata, a quella ispirata e ancora al terrorismo insurrezionale che ben abbiamo conosciuto in Afghanistan e in Iraq e, in parte, stiamo osservando nelle sue prime manifestazioni nella Striscia di Gaza dove l’esercito israeliano si confronta con il gruppo Hamas (Bertolotti, 2024).
E proprio l’esperienza afghana, che l’Autore del presente articolo ha avuto modo di studiare da vicino per molti anni, a cui si è sommata l’ondata di violenza conseguente all’appello di Hamas a colpire Israele e i suoi alleati, hanno svolto un ruolo determinante nella ripresa di un terrorismo ispirato ed emulativo a livello globale, che si basa sull’esperienza vittoriosa dei talebani contro l’Occidente, da un lato, e, dall’altro, sulla rabbia veicolata attraverso la strategia comunicativa di Hamas che trova in alcune minoranze ideologizzate occidentali una cassa di risonanza che sovrappone, confondendola, l’agenda violenta e terrorista di Hamas alla legittima istanza palestinese. Eventi sul piano delle Relazioni internazionali che, attraverso la retorica jihadista, sono sfruttati per dimostrare la bontà e la fondatezza del jihad, e dunque del terrorismo come strumento di lotta, di vittoria, di giustizia.
E oggi, dopo e insieme all’Afghanistan, all’Iraq e alla Striscia di Gaza, a svolgere questo ruolo di spinta ideologica e coinvolgimento di massa, sono le dinamiche conflittuali in Medioriente e il terrorismo mediaticamente amplificato di Hamas; da questo discendono le manifestazioni emulative di violenza che il terrorismo ai danni di Israele ha in parte provocato e potrebbe sempre più provocare in Europa come nei paesi del Nord Africa, dell’Africa subsahariana e del Sahel.
2. Trend e dinamiche: calano i numeri, ma la minaccia del terrorismo persiste- un’analisi degli attacchi dal 2014 al 2023.
Guardando agli ultimi cinque anni, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico. Dal 2019 al 2024 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 – dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015).
Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo Hamas, sono stati registrate 206 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2024, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico: 249 i terroristi che vi hanno preso parte (di cui 7 donne, 73 morti in azione), 446 le vittime decedute e 2.558 i feriti (database START InSight).
Sia nel 2023 che nel 2024 sono state registrate 12 azioni jihadiste, in lieve flessione rispetto ai 18 attacchi annuali registrati nel 2022 e 2021, ma con un aumento significativo di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti, che ha portato il dato ad attestarsi sui livelli elevati degli anni precedenti: dal 17% del totale di azioni emulative nel 2022 al 58% nel 2023 (erano il 56% nel 2021). Il 2023 ha inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate, che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo del periodo 2015-2017 (il totale delle azioni nel 2023 e il 97% delle azioni registrate l’anno precedente).
Aumenta l’uso di coltelli e armi improvvisate I terroristi usano sempre più spesso coltelli per una serie di motivi, legati a fattori pratici, ideologici e strategici:
– Facilità di accesso: i coltelli sono facilmente reperibili e non richiedono competenze tecniche avanzate per essere utilizzati. A differenza delle armi da fuoco o degli esplosivi, che possono richiedere una certa logistica o competenze tecniche, i coltelli sono comuni in ogni casa o negozio.
– Discrezione: un coltello può essere portato facilmente senza destare sospetti, a differenza di altre armi più vistose o pericolose. Questo consente di avvicinarsi alle vittime o ai luoghi di attacco senza essere notati immediatamente.
– Effetto di terrore: gli attacchi con coltelli, spesso condotti in spazi pubblici o affollati, hanno un forte impatto psicologico sulla popolazione. La natura ravvicinata e brutale di un attacco con un’arma da taglio amplifica la paura tra i presenti e nei media, creando un forte effetto simbolico.
– Attacchi individuali: negli ultimi anni, molte organizzazioni terroristiche hanno incoraggiato attacchi individuali o “lupi solitari”. Gli attacchi con coltelli sono ideali per questo tipo di azioni, poiché richiedono una pianificazione minima e possono essere condotti da una sola persona, senza la necessità di una rete organizzativa complessa.
– Controllo delle armi: in molti Paesi, le leggi sulle armi da fuoco sono molto severe, rendendo difficile ottenere pistole o fucili. I coltelli, invece, sono meno regolamentati e possono essere acquistati legalmente quasi ovunque.
– Modello d’ispirazione: attacchi con coltelli di successo, come quelli avvenuti in diverse città europee negli ultimi anni, hanno ispirato altri estremisti a replicare questo tipo di azione, seguendo la narrativa che si tratti di un mezzo efficace e relativamente semplice per diffondere terrore. In sintesi, l’uso crescente di coltelli da parte dei terroristi è legato alla loro accessibilità, alla facilità d’uso, alla discrezione e all’efficacia nel creare panico e paura tra la popolazione (Molle, 2024).
3. Il profilo dei terroristi “europei”
Il terrorismo jihadista è un fenomeno a partecipazione prevalentemente maschile: su 295 attentatori il 97% sono di genere maschile (10 le donne); contrariamente al 2020, quando 3 attentatrici presero parte ad azioni terroristiche, il triennio 2021-2023 non ha visto la loro partecipazione diretta.
I terroristi (uomini e donne) identificati i cui dati anagrafici sono stati resi noti hanno un’età mediana di 26 anni: un dato che varia nel corso del tempo (dai 24 nel 2016, ai 30 nel 2019), registrando un aumento dell’età nell’ultimo periodo analizzato che ci consegnando un dato di 28,5 anni nel 2023. Lo studio del profilo dei 200 soggetti di cui abbiamo informazioni anagrafiche sufficienti ha consentito di definire un quadro molto interessante da cui emerge un dato del 7% di terroristi di età inferiore ai 19 anni (con una riduzione dei minori con il trascorrere del tempo), il 38% ha un’età compresa tra i 19 e i 26, il 41,5% tra i 27 e i 35 e, infine, il 13,5% è di età superiore ai 35 anni. Dati che confermerebbero un aumento dell’età media nel corso del tempo nella fascia 19-35 anni a fronte di una riduzione dei minori coinvolti in attacchi terroristici nello stesso periodi di tempo.
Il 93% dei soggetti che hanno portato a compimento un atto terroristico, di cui abbiamo informazioni complete, sono stati portati a termine da “immigrati” (prima, seconda e terza generazione), sia regolari che irregolari. Dei 155 su 237 terroristi analizzati attraverso il database START InSight, il 45% sono immigrati regolari di prima generazione; 28% sono discendenti di immigrati (seconda o terza generazione); gli immigrati irregolari sono il 26%: un dato, quest’ultimo, in crescita che passa al 25% nel 2020, raddoppia con un dato del 50% nel 2021 e cresce fino al 67% nel 2023, con ciò indicando un cambio significativo nella natura dei terroristi tra i quali aumenta la presenza di attentatori di prima generazione (complessivamente il 71% del totale di terroristi). Significativa è anche il dato riferito al 7% di cittadini di origine europea convertiti all’Islam (un dato in lieve flessione rispetto alla media degli anni precedenti). Complessivamente il 73% dei terroristi sono regolarmente residenti in Europa, mentre il ruolo degli immigrati irregolari si impone con un rapporto di circa 1 ogni 4 terroristi (il rapporto era 1:6 fino al 2020). Nel 4% degli episodi è stata riscontrata la presenza di bambini/minori (7) tra gli attaccanti, un dato che ha registrato una diminuzione.
La dimensione etno-nazionale dei terroristi in Europa Il fenomeno della radicalizzazione jihadista in Europa affligge maggiormente alcuni gruppi nazionali ed etnici specifici. Vi è un chiaro rapporto di proporzionalità tra i principali gruppi di immigrati e i terroristi, evidenziato dalla nazionalità dei terroristi o delle loro famiglie di origine, che rispecchia la dimensione delle comunità straniere in Europa. In particolare, prevale l’origine maghrebina: i gruppi etno-nazionali principalmente afflitti dall’adesione jihadista sono quelli marocchino (in particolare in Francia, Belgio, Spagna e Italia) e algerino (in Francia). Il fenomeno della radicalizzazione è stato particolarmente evidente in Belgio e Francia, dove comunità numerose di origine marocchina e algerina hanno visto un numero elevato di giovani aderire a gruppi jihadisti. In Francia, ad esempio, una parte significativa dei terroristi coinvolti negli attentati recenti proveniva da famiglie di origine algerina e marocchina, riflettendo la presenza storica e la dimensione di queste comunità nel paese (Bertolotti, 2023).
Recidivi e terroristi già noti all’intelligence Il ruolo dei recidivi è cresciuto con il trascorrere del tempo, e in conseguenze del loro rilascio dopo periodi di detenzione recentemente conclusi. Si tratta di individui già condannati per terrorismo che hanno portato a compimento azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, anche all’interno delle strutture penitenziarie. Un dato che ci consegna un trend caratterizzato dal 3% di recidivi nel totale dei terroristi che hanno colpito nel 2018 (1 caso), al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020, al 25% (3) nel 2023. Questa situazione conferma la pericolosità sociale di individui che, seppur incarcerati, ritardano l’attuazione di azioni terroristiche. Questo fenomeno suggerisce un incremento della probabilità di attacchi terroristici nei prossimi anni, parallelamente al rilascio di molti detenuti per reati di terrorismo.
START InSight ha evidenziato una tendenza rilevante riguardo le azioni terroristiche compiute da individui già noti alle forze dell’ordine o ai servizi di intelligence europei. Nel 2021, questi casi rappresentavano il 44% del totale, mentre nel 2020 erano il 54%. Questo è un incremento significativo rispetto al 10% registrato nel 2019 e al 17% nel 2018. Un dato che, riferito al 2023, è cresciuto stabilizzandosi al 75%, di fatto confermando le ragioni di preoccupazione delle istituzioni deputate a contrasto del fenomeno violento. I soggetti con precedenti detentivi (anche per reati non associati al terrorismo) nel 2021 hanno confermato una certa stabilità nella partecipazione ad azioni terroristiche da parte di individui con un pregresso carcerario con un dato del 23% nel 2021, in lieve calo rispetto all’anno precedente (33% nel 2020) ma in linea con quello del 2019 (23% nel 2019, 28% nel 2018 e 12% nel 2017); un’evidenza che, pur a fronte di un dato riferito al 2023 decisamente inferiore (8%) confermerebbe l’ipotesi che identifica i luoghi detentivi come spazi di potenziale radicalizzazione e adesione al terrorismo.
4. Quale la reale capacità distruttiva del terrorismo?
Per comprendere il fenomeno del terrorismo in modo realistico, è fondamentale analizzarlo su tre livelli distinti: strategico, operativo e tattico. La strategia riguarda l’utilizzo delle risorse per raggiungere gli obiettivi di lungo termine della guerra. La tattica si concentra sull’uso delle forze in combattimento per ottenere vittorie specifiche in battaglia. Il livello operativo funge da collegamento tra i due, coordinando azioni tattiche per raggiungere gli obiettivi strategici. Questa sintesi, nella sua essenza, sottolinea l’importanza dell’impiego degli uomini nella condotta di azioni militari.
Il successo a livello strategico è marginale Diminuisce – passando dal 16% al 13% – il successo strategico delle azioni terroristiche, ossia l’ottenimento di risultati impattanti sul piano strutturale: blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di ampia portata. Un dato che è comunque da considerare come elevato, considerando il limitato sforzo organizzativo e finanziario da parte dei gruppi, o dei singoli attentatori terroristi. L’andamento nel corso degli anni è stato discontinuo, ma ha messo in evidenza una progressiva riduzione complessiva in termini di capacità ed efficacia: 75% di successo strategico nel 2014, 42% nel 2015, 17% nel 2016, 28% nel 2017, 4% nel 2018, 5% nel 2019, 12% nel 2020 e 6% nel 2021; dal 2022 il successo strategico non viene più ottenuto dagli attacchi terroristici; di fatto confermando un consolidato processo di normalizzazione del terrorismo.
Il trend dell’attenzione mediatica verso gli attacchi terroristici è in calo. A livello strategico, gli attacchi hanno ricevuto l’attenzione dei media internazionali nel 75% dei casi e il 95% a livello nazionale. Le operazioni organizzate dai commando e dai team-raid hanno ottenuto una copertura mediatica completa. Questo successo mediatico ha significativamente influenzato la campagna di reclutamento di aspiranti martiri o combattenti jihadisti, con un picco di reclutamento durante i periodi di maggiore intensità di azioni terroristiche (2016-2017). Tuttavia, l’effetto amplificatore dei media sul reclutamento tende a diminuire nel tempo per due principali motivi: in primo luogo, c’è stata una prevalenza di azioni a “bassa intensità” rispetto a quelle ad “alta intensità”, che sono diminuite, mentre le azioni a bassa e media intensità sono aumentate notevolmente dal 2017 al 2021, pur a fronte di un aumento significativo delle azioni a media intensità nel 2023. In secondo luogo, il pubblico è diventato gradualmente meno sensibile emotivamente alla violenza del terrorismo, specialmente per quanto riguarda gli eventi a bassa e “media intensità”.
Sebbene il livello tattico susciti preoccupazione, non è la priorità per il terrorismo. Partendo dal presupposto che l’obiettivo delle azioni sia provocare la morte del nemico (con le forze di sicurezza come bersaglio nel 35% dei casi), questo è stato raggiunto in media nel 50% dei casi tra il 2004 e il 2023. Tuttavia, l’ampio intervallo di tempo influisce significativamente sul margine di errore. L’analisi del periodo 2014-2023 mostra una tendenza al peggioramento degli effetti desiderati dai terroristi, con una prevalenza di attacchi a bassa intensità e un aumento delle azioni fallimentari, almeno fino al 2022, quando il successo tattico si stabilizza al 33%, coerentemente con i dati del 2016. Il 2023 è in controtendenza.
I dati degli ultimi sei anni evidenziano che nel 2016, il successo tattico è stato ottenuto nel 31% dei casi, con un 6% di atti fallimentari. Nel 2017, il successo è salito al 40%, con un tasso di fallimento del 20%. Nel 2018, il successo è sceso al 33%, mentre gli attacchi falliti sono raddoppiati al 42%. Nel 2019, il successo è ulteriormente calato al 25% per poi risalire al 33% nel 2020-2022. Questo andamento, che può essere interpretato come un duplice effetto della riduzione della capacità operativa dei terroristi e della maggiore reattività delle forze di sicurezza europee, ci consegna però un dato riferito al 2023 pari al 50% di azioni in grado di ottenere un successo tattico, ossia la morte di almeno un obiettivo.
Il vero successo è a livello operativo: il “blocco funzionale” Anche quando un attacco terroristico non riesce, produce comunque un risultato significativo: impegna pesantemente le forze armate e di polizia, distraendole dalle loro normali attività o impedendo loro di intervenire a favore della collettività. Inoltre, può interrompere o sovraccaricare i servizi sanitari, limitare, rallentare, deviare o fermare la mobilità urbana, aerea e navale, e ostacolare il regolare svolgimento delle attività quotidiane, commerciali e professionali, danneggiando le comunità colpite. Questo riduce efficacemente il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo, nonché la capacità di resilienza. In generale, infligge danni diretti e indiretti, indipendentemente dalla capacità di provocare vittime. La limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile ottenuto attraverso queste azioni.
In sostanza, il successo del terrorismo, anche senza causare vittime, risiede nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionare i comportamenti nel tempo in relazione alle misure di sicurezza o limitazioni imposte dalle autorità politiche e di pubblica sicurezza. Questo fenomeno è noto come “blocco funzionale”. Nonostante la capacità operativa del terrorismo sia sempre più ridotta, il “blocco funzionale” rimane uno dei risultati più importanti ottenuti dai terroristi, indipendentemente dal successo tattico (uccisione di almeno un obiettivo). Dal 2004 a oggi, il terrorismo ha dimostrato di essere efficace nel conseguire il “blocco funzionale” nell’80% dei casi, con un picco del 92% nel 2020 e dell’89% nel 2021. Questo risultato impressionante, ottenuto con risorse limitate, conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo, pur a fronte di una rilevata perdita progressiva di capacità che ha visto diminuire l’ottenimento del “blocco funzionale”, sceso al 78% nel 2022 e al 67% nel 2023.
5. La capacità di reclutamento e le strategie operative
Il gruppo Stato islamico, persa la sua capacità territoriale in Siria e Iraq (2013-2017), non ha più la forza di inviare i propri terroristi sul suolo europeo a causa della perdita della capacità di proiezione operativa diretta all’esterno; al contrario, il gruppo non avrebbe perso la potenzialità attrattiva, con ciò dimostrando di aver saputo sviluppare una capacità di reclutamento indiretto basato sul riconoscimento “postumo” degli individui che portano a compimento azioni terroristiche individuali di successo. Per queste ragioni la minaccia rimane significativa, proprio grazie alla presenza e all’azione di attori isolati, spesso improvvisati e spinti dall’emulazione e senza un legame diretto con l’organizzazione.
Mentre il gruppo dello Stato Islamico continua a imporsi su un piano ideologico come la principale minaccia jihadista, in particolare sfruttando il controllo territoriale e le disponibilità finanziarie del proprio franchise afghano Stato islamico Khorasan, è però assodato come sia incapace di riproporre il travolgente richiamo che ebbe il “califfato” nel periodo 2014-2017, poiché sarebbero venuti meno il vantaggio della novità, e di conseguenza l’appeal, che ne costituiva il punto di forza, in particolare nei confronti dei più giovani. Inoltre, sia dal punto di vista legislativo che sul piano operativo, l’Unione europea ha saputo ridurre in maniera rilevante le proprie vulnerabilità, sebbene con maggiore prevalenza in termini di contrasto al terrorismo rispetto all’azione preventiva.
Permangono, nel complesso segnali di preoccupazione legati agli effetti emulativi e alla “chiamata alla guerra” connessa a eventi sul piano internazionale in grado di indurre singoli soggetti ad agire in nome del jihad: l’evento più importante nel 2021, che ha dato e continuerà a dare un impulso agli effetti del jihad transnazionale è stata la vittoria dei talebani in Afghanistan che, da un lato ha alimentato la variegata propaganda jihadista attraverso il messaggio della “vittoria come risultato della lotta continua” e, dall’altro lato, ha dato vita a una forma di competizione dei “jihad” tra gruppi impegnati in forme di lotta e resistenza esclusivamente locali e chi, come lo Stato islamico, recepisce e propone il jihad esclusivamente come strumento di lotta a oltranza a livello globale. In tale dinamica competitiva si sono inserite le azioni associate alla guerra IsraeleHamas e all’appello jihadista a colpire attraverso azioni di violenza, in cui gli adepti dello Stato islamico e i musulmani votati alla causa di Hamas si sono contesi i successi sul campo di battaglia e la conseguente attenzione mediatica.
In tale quadro complessivo e in continua evoluzione, dobbiamo continuare a prestare attenzione alla forza jihadista nel continente africano, in particolare le aree dell’Africa sub-sahariana, il Sahel, il Corno d’Africa e, ancora, il Ruanda e il Mozambico, al fine di contrastare l’emergere in questo continente di nuovi “califfati” o “wilayat” che potrebbero minacciare direttamente l’Europa.
Nella prolifica propaganda jihadista, lo Stato Islamico si vanta della propria diffusione nel continente africano, in un rapporto di competizione collaborativa con il proprio franchise afghano, e pone in evidenza come l’obiettivo di contrastare la presenza e la diffusione del cristianesimo porterà il gruppo a espandersi in altre aree del continente. Se altrove, come nel Maghreb, nel Mashreq e in Afghanistan l’attività dello Stato islamico è incentrata sulla lotta settaria intra-musulmana, in Africa la sua presenza si è ormai impone come parte di un conflitto tra musulmani e cristiani, rafforzata da una propaganda che insiste sulla necessità di fermare la conversione dei musulmani al cristianesimo attuata attraverso i “missionari” e “il pretesto” degli aiuti umanitari. In tale quadro si inseriscono le violenze, i rapimenti e le uccisioni di religiosi missionari, attacchi contro le Organizzazioni non governative (Ong) e le missioni internazionali, dal Burkina Faso al Congo e, ancora, gli attacchi alle comunità cristiane.
6. Dal Nord Africa al Sahel: uno sguardo al terrorismo “mediterraneo”
Guardando al nord Africa, la regione continua ad affrontare le minacce di gruppi terroristici affiliati ad alQa’ida nel Maghreb islamico (AQIM); lo Stato Islamico; e i combattenti terroristi stranieri (FTF) che si sono recati in Iraq o in Siria. Il ritorno inosservato di questi reduci nei loro paesi d’origine dopo la sconfitta territoriale dello Stato islamico pone ulteriori sfide alla sicurezza. Inoltre, negli ultimi anni, attori solitari e piccole cellule hanno compiuto una serie di attacchi mortali in diversi Stati nordafricani e si sono dimostrati difficili da individuare.
Il Sahel sta diventando un nuovo centro del terrorismo jihadista, con un aumento significativo delle vittime in questa regione nel 2023, ma nel complesso, l’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) ha visto una diminuzione del 42% delle vittime negli ultimi tre anni. Il Nord Africa in particolare sta assistendo a una costante riduzione della violenza estremista, riportando il numero di attacchi violenti ai livelli pre-IS. Nel 2022, il Nord Africa ha registrato una diminuzione di 14 volte delle vittime rispetto al 2015, con il Marocco classificato come il paese più sicuro nella regione, mentre l’Egitto è tra i paesi più colpiti dal terrorismo. La Libia, l’Algeria e la Tunisia si collocano tra i due estremi con un impatto medio-basso del terrorismo.
Il Sahel e il Maghreb sono fortemente connessi politicamente, economicamente e in termini di sicurezza. La presenza di gruppi terroristici che sfruttano tensioni etniche, sfide climatiche e mancanza di servizi pubblici ha trasformato questa regione in un centro di attività jihadiste, con il rischio di diffondere la minaccia terroristica verso altre aree. L’instabilità nel Sahel ha già influenzato l’Africa occidentale e i paesi costieri del Golfo di Guinea, dove gruppi affiliati ad al-Qaeda sono attivi. Questa situazione potrebbe anche coinvolgere il Nord Africa, mettendo a rischio i progressi ottenuti in materia di prevenzione, antiterrorismo e de-radicalizzazione in alcuni paesi della regione.
Ora, guardando ai paesi del nord africa come paesi di emigrazione, ancora di più, come paesi di transito dei flussi migratori verso l’Europa, si pone la questione della possibile contaminazione jihadista o del suo trasferimento. Un ragionamento che impone di osservare l’evoluzione di un fenomeno in fase di evidente consolidamento e che trova nell’area mediterranea quella che è a tutti gli effetti un’inesauribile linfa vitale.
Claudio Bertolotti, è Dottore di ricerca (Ph.D.), Direttore Esecutivo di START, è stato dal 2014 al 2023 ricercatore senior presso “5+5 Defense Initiative”. Laureato in Storia contemporanea e specializzato in Sociologia dell’Islam, ha conseguito un dottorato in Sociologia e Scienza politica, con un focus sulle Relazioni Internazionali. Dal 17 aprile 2019 è Direttore Esecutivo di ReaCT – Osservatorio nazionale sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (Roma-Milano-Lugano). Dal 30 settembre 2021 è membro del Comitato per i diritti umani e civili presso il Consiglio della Regione Piemonte. È autore, tra gli altri, di Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale (START InSight, 2024), Immigrazione e terrorismo (START InSight, 2020), Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga (CASD, 2019), Shahid. Analisi del terrorismo suicida in Afghanistan (FrancoAngeli ed. 2010).
Bibliografia Bertolotti, C. (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight ed., Lugano. Bertolotti, C. (2023), L’evoluzione del terrorismo in Europa: terrorismo di sinistra, destra, anarchico, individuale, e il ruolo degli immigrati nel terrorismo jihadista all’interno dell’Unione Europea (Analisi di correlazione e regressione), in #ReaCT2023, 4° Rapporto sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa, START InSight ed., Lugano, ISBN 978-88-322-94-18-7, ISSN 2813-1037 (print), ISSN 2813-1045 (online)
Pubblicato il Rapporto #ReaCT2024 sul terrorismo e il radicalismo in Europa
Introduzione di Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT
In qualità di Direttore dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT), sono lieto, oltreché onorato, di presentare per il quinto anno consecutivo il nostro annuale prodotto di ricerca e analisi sul terrorismo e il radicalismo in Europa. Nel solco tracciato dai precedenti quattro numeri, #ReaCT2024 – 5° Rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa è frutto dell’impegno e della costanza di ricercatori, accademici, professionisti che, con differenti approcci, metodi e punti di osservazione, collocandosi su un piano trasversale e multidisciplinare teso a definire le origini, le ragioni, i punti di forza e le vulnerabilità di un fenomeno poliedrico che la tradizionale metodologia analitica non è più in grado di collocare all’interno di definizioni che non siano meramente didascaliche o formali. È ormai consolidata l’evoluzione dei fenomeni di devianza sociale – così come anticipammo in maniera dettagliata e approfondita all’inizio del nostro percorso di ricerca ed editoriale a partire dal 2020 – che progressivamente si sovrappongono o si associano ai fenomeni di violenza radicale, sempre più a partecipazione individuale, emulativa con una rilevante ambizione “spettacolare”, rientranti in sfere ideologiche o identitarie dal crescente carattere “compartimentato”.
Il rapporto, coerentemente con il percorso sin qui tracciato, si propone come combinazione unica di rivista scientifica e volume collettivo, con contributi di vari autori, ricercatori e collaboratori che hanno dedicato il loro tempo, la loro esperienza e le loro conoscenze. A loro, indistintamente, va la gratitudine del board di ReaCT e mia personale, per il prezioso contributo di ricerca sul campo e per i loro immani sforzi intellettuali. Voglio altresì ringraziare il Ministero della Difesa italiano per aver confermato la stima e la fiducia nell’Osservatorio che dirigo concedendo il patrocinio agli eventi di presentazione del rapporto.
Quali risultati ci consegna la ricerca continua dell’Osservatorio?
Guardando agli ultimi cinque anni, nel più ampio contesto di un’evoluzione storica e operativa, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico. Dal 2019 al 2023 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 – dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015). Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo palestinese Hamas associato alla guerra contro Israele, sono stati registrate 194 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2023, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico. Nel 2023 sono state registrate 12 azioni jihadiste, coerenti con i dati del 2024 ma in lieve flessione rispetto ai 18 attacchi annuali del 2022 e 2021, e con un aumento significativo di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti, che ha portato il dato ad attestarsi sui livelli elevati degli anni precedenti. Il 2023 e il 2024 hanno inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate.
Il Rapporto, dopo la disamina storica e quantitativa del fenomeno terroristico, approfondisce poi il tema dello Stato Islamico Khorasan e la possibile minaccia rivolta all’Europa con particolare attenzione al jihad di ritorno dal Sahel al Nord Africa. Allargando il campo di osservazione, #ReaCT2024 si concentra sulle variabili del terrorismo e i caratteri delle manifestazioni antisistema rilevando la necessità di analizzare un fenomeno estremamente dinamico in funzione degli spazi di azione e, su un piano paradigmatico, di procedere urgentemente verso una nuova e condivisa definizione di terrorismo poiché da questa discendono gli strumenti legislativi e giudiziari di prevenzione e contrasto del fenomeno. Altro tema approfondito è quello del “terrorismo solitario” inteso come fenomeno molteplice e puntiforme grazie al ruolo giocato dai social network, dalle dinamiche collettive, dai cluster e dalle ondate e comunità online, a cui si associa l’evoluzione di forme di estremismi “giovani, autonomi ed emancipati”.
In tale contesto in costante evoluzione si inseriscono i fenomeni di radicalizzazione ed estremismo negli ecosistemi digitali fra nuove tecnologie e intelligenza artificiale, i discorsi d’odio digitali come precursori della violenza estremista che apre all’ipotesi suggestiva del “caos armato” a cui il Rapporto dedica un’ampia analisi con un focus sull’accelerazionismo militante, dall’estrema sinistra all’estrema destra.
Sul piano della prevenzione, ampio spazio viene dedicato all’analisi sulla RAN (Radicalization Awareness Network), attraverso un bilancio approfondito su successi, limiti e fallimenti in termini di policy e pratiche, ponendo l’accento sulla vexata quaestio: i radicali torneranno mai a de-radicalizzarsi?
Ampio spazio viene poi dedicato all’insorgere di nuovi estremismi portatori di istanze anti-democratiche, per poi invitare i lettori a riflettere sull’evoluzione dei fenomeni attraverso due casi studio specifici: il primo sulla prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento attraverso il contributo delle forze di sicurezza in Portogallo; il secondo sulla sistematica discriminazione di genere in Afghanistan sotto il governo islamista dei talebani, teorizzando la sistematicità di un’apartheid di genere. In conclusione, anche il contributo di quest’anno ha voluto confermare l’ambizione dell’Osservatorio di essere testimonianza della forza e della dedizione della nostra comunità di studiosi e operatori nella lotta in corso contro l’evolvere dei fenomeni di devianza sociale violenta, dei radicalismi e dei terrorismi. Auspico, in qualità di Direttore dell’Osservatorio, che i risultati e le suggestioni contenute in questo Rapporto contribuiscano sempre più a una migliore comprensione dell’evoluzione della minaccia dei terrorismi in Europa e servano come appello all’azione per tutti i soggetti interessati a lavorare insieme ai fini della prevenzione e del contrasto agli estremismi violenti.
Grazie ancora a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2024. Un ringraziamento speciale va, come sempre, a START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale. Infine, un doveroso ricordo al nostro amico Marco Cochi, ricercatore serio e capace, prematuramente scomparso.
Elezioni USA: il dibattito tra i due candidati vice-presidenti.
di Melissa de Teffè.
Un vero dibattito politico
Ieri sera abbiamo finalmente assistito a un dibattito che ha rievocato un’epoca passata della politica americana, più moderata e cortese. Tim Walz e JD Vance, i due candidati alla vicepresidenza americana, si sono concentrati soprattutto nel presentare i rispettivi candidati sotto migliori luci, cercando di attenuare le loro debolezze e mettendo in risalto i loro successi. Il tutto si è svolto sullo sfondo di una crescente guerra regionale in Medio Oriente con gli attacchi missilistici iraniani su Israele e il recentissimo disastro climatico dell’uragano Helene, che ha devastato diversi stati a partire dalla Florida. Il dibattito, tenutosi a New York, negli splendidi studios della CBS, durante le ultime battute di una campagna elettorale caratterizzata da attacchi personali taglienti e momenti storici tumultuosi, tra cui il ritiro di un candidato e due tentativi di assassinio, ci ha regalato la possibilità di riflettere e forse capire un po’ meglio le linee politiche dei candidati non sempre opposte. Ad oggi i sondaggi mostrano un testa a testa tra Harris e Trump, ed essendo già aperte le urne in tutto il Paese, questo rende ancora più importante ogni situazione in grado di influenzare gli elettori indecisi, inclusa quindi la prestazione dei candidati alla vicepresidenza.
Nonostante il tono più disteso del dibattito, non sono mancate le tensioni che riflettono le profonde divisioni politiche di questo paese.
L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, e la retorica di Trump che nega la legittima vittoria di Joe Biden alle elezioni del 2020, insieme alla legge sull’aborto sono stati i due argomenti che più hanno mostrato le disuguaglianze. Mentre Vance ha cercato di minimizzare i fatti di gennaio Walz ha minimizzato il “non fatto” dell’amministrazione Biden-Harris in tema di medicare portando come bandiera di successo che la Harris è riuscita a far abbassare il prezzo di dieci farmaci.
Per gran parte della serata, i due politici del Midwest hanno adottato un tono visibilmente più cordiale rispetto al confronto tra Trump e Harris, o rispetto allo scontro tra Trump e Biden all’inizio di quest’anno, prima che Biden si ritirasse dalla corsa dopo una performance disastrosa.
In un momento particolarmente toccante, Walz ha raccontato che suo figlio adolescente aveva assistito a una sparatoria in un centro comunitario, e subito Vance ha espresso empatia rispondendo: “Mi dispiace, che il Signore abbia pietà,” ha detto. – e Walz ha replicato“Lo apprezzo molto”.
Bisogna concedere che è stato Vance a stabilire il ritmo della serata, eliminando critiche inutili, mantenendo un tono educato, e portando con astuzia il suo avversario ad annuire spesso e volentieri alle idee da lui espresse. Le risposte sono state per lo più dirette, con una certa disponibilità a sottolineare i punti di comunanza dove entrambe le parti erano d’accordo. L’assenza di acrimonia ha reso le risposte più fluide, chiare e senza troppe circonlocuzioni.
Dopo un inizio aggressivo e orientato all’attacco, Walz ha rapidamente seguito l’esempio di Vance, adottandone il tono e cercando di trasmettere calma.
Vance ha cercato di smussare i toni aggressivi, moderando la sua solita retorica e riconoscendo che parte del pubblico potrebbe non condividere le sue posizioni o quelle di Trump. Ha presentato le idee dell’ex presidente con diplomazia, evitando di essere incalzato sui punti più controversi del suo operato, una mossa che voleva compiacere i sostenitori di Trump.
Walz, da parte sua, ha descritto Trump come inefficace e caotico. Sebbene abbia inciampato in alcuni passaggi, compreso un infelice lapsus in cui ha detto “Sono diventato amico degli autori di sparatorie nelle scuole” anziché riferirsi ai sopravvissuti, ha comunque fatto leva su temi centrali per i democratici, come il diritto all’aborto e la difesa della democrazia. Tuttavia, non ha usato il termine “strano,” il soprannome che Harris aveva affibbiato a Trump durante il loro dibattito tre settimane prima.
Il tema di apertura è stato il conflitto in Medio Oriente, dove le forze israeliane sono impegnate contro Hezbollah in Libano, e il lancio di missili su Israele da parte dell’Iran. “Ciò che conta in questo momento è una leadership stabile” ha dichiarato Walz. “Tutti abbiamo visto, durante un dibattito di qualche settimana fa, quando Donald Trump, quasi ottantenne, parla del numero dei presenti al suo comizio! Non ne abbiamo bisogno oggi.”
Vance ha replicato sostenendo che Trump è di suo una figura intimidatoria, la cui sola presenza sulla scena internazionale funge da deterrente. “”Il governatore Walz può criticare i tweet di Donald Trump, ma la diplomazia efficace e intelligente e la pace attraverso la forza sono il modo per riportare stabilità in un mondo molto fratturato,” ha detto.
Sull’aborto, entrambi hanno condiviso storie personali di donne. Walz ha parlato di Amanda Zurawski, una donna del Texas a cui è stato negato l’aborto nonostante avesse sviluppato un’infezione potenzialmente letale. Vance ha parlato di una cara amica che, gli avrebbe confidato la necessità di abortire perchè “la sua vita sarebbe stata distrutta avendo una relazione abusiva.”
Il senatore ha anche affermato di non aver mai sostenuto un divieto nazionale sull’aborto quando si era candidato per il seggio al Senato nel 2022. Nel frattempo, Trump ha pubblicato sul suo sito social durante il dibattito che avrebbe posto il veto a un divieto nazionale sull’aborto, pur avendo rivendicato il merito della decisione della Corte Suprema di ribaltare la sentenza Roe vs. Wade, aprendo la strada agli Stati conservatori di vietare o limitare la procedura.
Walz e Vance hanno anche discusso di politiche abitative, (negli USA oggi mancano più di 4 milioni di case), economia e cambiamento climatico in seguito all’uragano Helene, che ha devastato diversi stati e causato almeno 160 morti.
“Sono certo che il governatore Walz si unisca a me nell’inviare il nostro cordoglio a quelle persone innocenti. Le nostre preghiere sono con loro,” ha detto Vance, dando una risposta molto diversa dal suo compagno di corsa, che ha accusato Biden e Harris di politicizzare la situazione.
Il dibattito è durato più dei 90 minuti previsti, eppure alcuni temi chiave non sono stati affrontati dai moderatori: l’Ucraina, i casi penali di Trump, l’ammissione dei trans-uomini alle competizioni femminili, ecc.
Non dimentichiamoci dei moderatori. Sebbene le giornaliste di CBS abbiano dimostrato maggiore correttezza rispetto ai loro colleghi di ABC durante il dibattito presidenziale, c’è stato un momento in cui Vance ha tentato di correggere Margareth Brennan nella verifica dei fatti riguardo l’immigrazione. L’inciampo è avvenuto ancora una volta, sui 15.000 haitiani residenti a Springfield e causa di molti problemi abitativi, economici, problemi che l’amministrazione Biden-Harris ha ignorato. Brennan, però, sosteneva che questi godessero di uno status legale. Mentre Vance cercava di spiegare la legge e Brennan cercava di passare ad altro argomento, i microfoni dei candidati sono stati chiusi. Peccato, perché sarebbe stato interessante approfondire l’argomento, “il dibattito” politico soprattutto considerando le premesse di cortesia e correttezza dimostrate da ambo.
Il ruolo di un candidato alla vicepresidenza è tipicamente quello di fare da “attaccante” per il candidato presidenziale, criticando l’avversario e il suo rappresentante sul palco. Sia Vance che Walz hanno eseguito alla lettera il mandato, tuttavia, in un periodo storico come questo dove la politica non sembra conoscere le le scuse, ieri sera a gran sorpresa, sia Walz che Vance hanno ammesso alcuni dei loro errori e citato vulnerabilità.
A Vance è stato chiesto di spiegare le sue passate dure critiche nei confronti dell’ex presidente, incluso quando aveva suggerito che Trump sarebbe stato “l’Hitler americano”. – “Quando sbagli e cambi idea, dovresti essere onesto con il popolo americano”, ha detto.
Walz, invece gli è stato chiesto di rivedere la sua affermazione durante un’intervista su NPR (la radio pubblica nazionale) dove sosteneva di essere stato molte volte in Cina, e soprattutto di essere stato a Hong Kong durante i disordini legati al massacro di Piazza Tiananmen nel 1989.
Di fronte alle sue dichiarazioni inesatte sui viaggi in Cina di anni fa, Walz si è difeso dicendo: “Non sono perfetto, a volte sono uno sciocco”. Infine, ha ammesso di aver sbagliato a parlare del suo passato. Il dibattito ha mostrato molti momenti di cordialità che non ci aspettavamo. Concludendo Walz ha dichiarato: “ho apprezzato il dibattito di stasera, e credo ci siano molti punti in comune”. – “Anche io, amico,” ha risposto Vance.
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