Un arsenale nucleare per l’Italia: quanto costerebbe?
di Andrea Molle e Claudio Bertolotti.
Quanto costerebbe
all’Italia dotarsi di un proprio arsenale nucleare?
L’idea che l’Italia possa
dotarsi di un’arma nucleare è un tema complesso, con implicazioni economiche,
politiche e strategiche. In uno scenario ipotetico, Roma potrebbe scegliere tra
due modelli: una triade nucleare completa, come quella di Stati Uniti, Russia e
Cina, oppure una forza nucleare più limitata, simile alla “Force de
Frappe” francese. Ma quanto costerebbe ciascuna opzione?
Una deterrenza nucleare
basata su tre componenti – missili balistici terrestri, sottomarini nucleari
con missili balistici e bombardieri strategici – richiederebbe enormi
investimenti in ricerca, produzione e infrastrutture. Per la componente
terrestre, lo sviluppo dei missili balistici intercontinentali potrebbe costare
tra i 10 e i 20 miliardi di euro, mentre la loro produzione richiederebbe un
investimento di circa 50-100 milioni per ogni missile. Le infrastrutture, tra
cui silos e basi mobili, avrebbero un costo aggiuntivo tra i 5 e i 10 miliardi,
mentre la manutenzione e gli aggiornamenti per un periodo di trent’anni
potrebbero richiedere tra i 30 e i 50 miliardi. Nel complesso, questa
componente costerebbe tra i 50 e gli 80 miliardi di euro. Questo senza contare
il problema politico di dove allestire le basi di lancio.
La componente sottomarina
prevedrebbe la costruzione di quattro o meglio sei sottomarini nucleari con
missili balistici, con un costo stimato tra i 3 e i 5 miliardi per unità.
Sappiamo che la Marina sta già considerando lo sviluppo di unità a propulsione
nucleare, ma lo sviluppo e la produzione dei missili SLBM comporterebbe una
spesa tra i 5 e i 10 miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione
richiederebbero un ulteriore investimento tra i 15 e i 20 miliardi.
Complessivamente, questa parte del programma costerebbe tra i 50 e i 70
miliardi di euro.
Per la componente aerea,
lo sviluppo di un nuovo bombardiere stealth richiederebbe un investimento tra i
20 e i 40 miliardi di euro, mentre l’acquisto di bombardieri esistenti
costerebbe tra 1 e 2 miliardi per unità. Le infrastrutture e gli aggiornamenti
aggiungerebbero altri 5-10 miliardi. Il costo totale di questa componente
sarebbe tra i 30 e i 50 miliardi di euro.
Infine, lo sviluppo e la
produzione delle testate nucleari richiederebbe tra i 10 e i 20 miliardi di
euro. La costruzione di impianti per l’arricchimento dell’uranio e la
produzione di plutonio costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre la creazione
di sistemi di comando, controllo e comunicazione necessiterebbe di ulteriori 15-20
miliardi. Il costo totale di questa parte del programma sarebbe compreso tra i
35 e i 55 miliardi di euro.
Nel complesso, il costo
stimato per una triade nucleare completa si aggirerebbe tra i 165 e i 255
miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 20 e i 30 anni.
Un modello più realistico
per l’Italia potrebbe essere quello della Francia, che basa la sua deterrenza
nucleare su sottomarini con missili balistici e una componente aerea con
missili da crociera lanciabili da caccia. La costruzione di quattro sottomarini
nucleari lanciamissili avrebbe un costo di circa 3-5 miliardi per unità. Lo
sviluppo dei missili balistici per sottomarini richiederebbe tra i 5 e i 10
miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione costerebbero tra i 10 e i
15 miliardi. Nel complesso, questa componente costerebbe tra i 40 e i 60
miliardi di euro.
Per la componente aerea,
l’Italia potrebbe affidarsi agli F-35, già in dotazione e capaci di trasportare
missili da crociera con testate nucleari. Lo sviluppo di tali missili
comporterebbe una spesa tra i 5 e i 10 miliardi, portando il costo totale della
componente aerea tra i 10 e i 20 miliardi di euro.
Infine, lo sviluppo e la
produzione delle testate nucleari costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre
la costruzione di impianti per l’arricchimento e la produzione di plutonio
avrebbe un costo di circa 10 miliardi. I sistemi di comando e controllo
aggiungerebbero un ulteriore investimento di circa 10 miliardi. Il costo totale
di questa parte del programma sarebbe compreso tra i 30 e i 35 miliardi di
euro.
Nel complesso, il costo
stimato per una forza nucleare ridotta si aggirerebbe tra gli 80 e i 115
miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 15 e i 20 anni.
L’Italia, come firmataria
del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) e membro della NATO, non ha
avuto bisogno fino ad ora di un arsenale nucleare nazionale grazie alla
protezione dell’ombrello nucleare statunitense. Tuttavia, in un contesto
geopolitico in rapido mutamento, il dibattito su un’eventuale autonomia
strategica non è da escludere. Se si optasse per una triade nucleare completa,
il costo sarebbe esorbitante e difficilmente sostenibile. Un modello alla
francese, più agile e meno oneroso, potrebbe essere una scelta più realistica,
ma comunque con un prezzo elevato, sia in termini economici che diplomatici.
Alla luce di questi numeri, è evidente che la questione non è solo
“possiamo permettercelo?”, ma anche “ne vale davvero la
pena?”.
Quale confronto con lo stato dell’arte di Stati
Uniti, Russia e Francia in termini di dissuasione?
L’ipotesi di una
“capacità nucleare” italiana si scontra inevitabilmente con il
confronto con le citate grandi potenze nucleari globali – Stati Uniti, Russia e
Francia – le cui dottrine strategiche sono il risultato di decenni di sviluppo,
test e consolidamento. Come abbiamo detto, l’Italia, pur non possedendo armi nucleari
proprie, beneficia del citato ombrello nucleare e della dissuasione estesa
garantita dagli Stati Uniti. Tuttavia, immaginare uno scenario in cui l’Italia
si doti di una capacità nucleare autonoma solleva interrogativi strategici,
tecnologici e politici di grande rilevanza.
Le capacità nucleari di
Stati Uniti e Russia si basano su una strategia di dissuasione strategica, ma
con alcune differenze dottrinali. Entrambi i Paesi adottano il principio della destruction mutuelle assurée (MAD),
ovvero la distruzione reciproca assicurata, ma lo declinano in modi diversi.
Negli Stati Uniti, la
strategia nucleare si fonda su un modello di dissuasione flessibile, concepito
per rispondere a minacce su diversi livelli. Questo approccio si articola sulla
cosiddetta “triade nucleare”, che include missili balistici
intercontinentali (ICBM), sottomarini nucleari lanciamissili (SSBN) e
bombardieri strategici in grado di trasportare armi nucleari. La dottrina
americana prevede anche una dissuasione estesa, fornendo protezione nucleare
agli alleati, inclusa l’Italia. Inoltre, l’introduzione di testate a bassa
potenza rende più credibile la deterrenza contro attori regionali, mentre la
capacità di attacco preventivo, sebbene non dichiarata esplicitamente, rimane
un’opzione praticabile nel quadro della sicurezza nazionale.
La Russia, invece, adotta
un modello più aggressivo, noto come “Escalate to De-Escalate”, in
cui il ricorso limitato alle armi nucleari potrebbe essere impiegato per porre
fine a un conflitto prima che esso si intensifichi. La strategia russa si
avvale anch’essa di una triade nucleare, con una particolare enfasi sugli ICBM
mobili e su nuove armi ipersoniche e strategiche, sviluppate per mantenere un
vantaggio rispetto agli Stati Uniti. La dottrina russa prevede esplicitamente
l’uso nucleare in risposta a una minaccia esistenziale, rendendo il confine tra
guerra convenzionale e guerra nucleare più sfumato rispetto alla posizione
statunitense.
Anche la Francia, con la
sua Force de Frappe, si è dotata di un arsenale nucleare autonomo, incentrato
su una componente sottomarina e su una flotta di caccia-bombardieri capaci di
colpire obiettivi strategici con missili a testata nucleare. La Francia ha
sempre rifiutato di integrare completamente il suo deterrente nucleare nella
NATO, mantenendo un principio di autonomia decisionale in materia di impiego
delle sue forze strategiche. Questo modello potrebbe rappresentare il
riferimento più realistico per un’ipotetica capacità nucleare italiana, in
quanto orientato alla difesa nazionale piuttosto che a una proiezione di forza
su scala globale.
L’Italia, nel contesto
della NATO, ha una dottrina di sicurezza che esclude lo sviluppo di un proprio
arsenale nucleare, affidandosi piuttosto alla protezione statunitense e alle
dinamiche della dissuasione collettiva. L’acquisizione di una capacità nucleare
autonoma implicherebbe non solo enormi investimenti economici, ma anche un
cambiamento radicale nella politica estera e di sicurezza del Paese, con
inevitabili ripercussioni sulle relazioni con gli altri membri dell’Alleanza
Atlantica e dell’Unione Europea.
A differenza degli Stati
Uniti e della Russia, che operano sotto una logica di deterrenza su scala
globale, e della Francia, che ha scelto un deterrente nazionale indipendente,
l’Italia dovrebbe valutare attentamente se una strategia di dissuasione
nucleare autonoma sarebbe coerente con i suoi interessi strategici. L’attuale
assetto garantisce comunque un livello di sicurezza elevato, senza i costi e le
implicazioni geopolitiche di un programma nucleare indipendente. In un contesto
internazionale in continua evoluzione, il confronto con i modelli esistenti
dimostra che la dissuasione non è solo una questione di tecnologia e arsenali,
ma anche di strategia politica e di posizionamento nel sistema internazionale.
Il messaggio di Macron e la ridefinizione dell’identità europea
Il recente discorso del Presidente francese
Emmanuel Macron in cui si esorta l’Europa al riarmo non è solo un campanello
d’allarme, ma un momento decisivo per la sicurezza del continente e il suo
ruolo nella geopolitica globale. Dichiarando che l’Europa non può più
“vivere dei dividendi della pace”, Macron ha riconosciuto una realtà
che molti leader europei hanno a lungo preferito ignorare. Il mondo è cambiato
e l’assunto post-Guerra Fredda secondo cui la sicurezza europea poteva essere
delegata agli Stati Uniti non è più sostenibile. È giunto il momento di una
maggiore autonomia strategica.
Al centro del messaggio di Macron vi è la crescente minaccia rappresentata dalla Russia. La guerra in corso in Ucraina, insieme agli sforzi più ampi di destabilizzazione della Russia in Europa, sottolineano l’urgenza della situazione. Gli Stati Uniti sono stati un alleato cruciale, ma il loro panorama politico sta cambiando e le future amministrazioni potrebbero non essere altrettanto impegnate nella sicurezza europea come in passato. La proposta di Macron di estendere la deterrenza nucleare francese agli alleati europei rappresenta un cambiamento strategico fondamentale — uno di quei momenti che ridefiniscono il quadro della sicurezza europea. Non un regalo, e certamente non la condivisione del controllo operativo, ma una vera e propria offerta per l’acquisto della leadership della Difesa Europea.
Questo cambiamento è particolarmente
interessante data la postura storica della Francia sulla difesa. Fin dalla
presidenza di Charles de Gaulle, la Francia ha perseguito una strategia di
difesa indipendente, enfatizzando la sovranità nazionale piuttosto che
l’affidamento alla NATO. Nel 1966, de Gaulle ritirò la Francia dal comando
militare integrato della NATO, affermando che la Francia avrebbe dovuto
controllare la propria politica militare piuttosto che essere subordinata alla
leadership degli Stati Uniti. Sebbene la Francia sia rientrata nella struttura
di comando della NATO nel 2009 sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, la sua
deterrenza nucleare è sempre rimasta strettamente sotto controllo nazionale. La
disponibilità di Macron a discutere l’estensione dell’ombrello nucleare
francese segna una significativa deviazione da questa posizione tradizionale,
segnalando una nuova era nella difesa europea, ma allo stesso tempo un ritorno
al paradigma gollista.
Le implicazioni di questo cambiamento si
estendono oltre la Francia. L’Unione Europea sta già esplorando massicci
investimenti nella difesa, potenzialmente mobilitando centinaia di miliardi di
euro. Questa mossa segnala l’intenzione di ridurre la dipendenza dalla NATO, o
perlomeno di stabilire un pilastro europeo più forte all’interno dell’alleanza.
Se riuscisse, questa trasformazione potrebbe alterare l’equilibrio del potere
globale, rendendo l’Europa un attore più indipendente sulla scena mondiale.
L’Italia si trova a un bivio in questo nuovo
paradigma e il tempo per una decisione stringe. Il Presidente del Consiglio
Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza dell’unità occidentale, avvertendo
che la divisione sarebbe “fatale per tutti”. L’Italia, storicamente
cauta nelle spese per la difesa, potrebbe ora essere costretta ad aumentare
significativamente il proprio budget militare. Inoltre, mentre si evolvono le
discussioni sulla deterrenza nucleare europea, l’Italia potrebbe essere costretta
a riconsiderare le proprie politiche strategiche. Dovrebbe allinearsi più
strettamente alla visione francese, mantenere la sua tradizionale dipendenza
dall’ombrello nucleare statunitense o Roma opterà piuttosto per creare una
propria “Forza di Deterrenza”?
In ogni caso, il discorso di Macron non
riguardava solo la spesa militare; riguardava la ridefinizione dell’identità
europea. L’era della compiacenza europea in materia di difesa è finita. La
domanda ora è se i leader europei, in particolare in Italia, siano disposti a
cogliere l’occasione e assumersi le responsabilità che accompagnano la vera
autonomia strategica. Se non agiranno, il costo potrebbe non essere solo la
sicurezza dell’Europa, ma il suo posto stesso nell’ordine mondiale.
Il discorso di Trump davanti al Congresso
di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti – giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti
Secondo l’Articolo II sezione 3 della Costituzione degli Stati Uniti che in parte recita: “Egli darà di volta in volta al Congresso una Informativa sullo stato dell’Unione, e raccomanderà (all’Assemblea) di esaminare le misure che giudicherà necessarie e convenienti;” Trump martedì sera (4 marzo 2025) ha abbracciato il possibile e l’inimmaginabile. In un’atmosfera tesa e vibrante, Donald Trump ha tenuto il suo primo, atteso discorso congiunto di fronte al Congresso, facendo segnare un record storico di un’ora e quaranta minuti. Nel contesto di un Dow Jones che ha subìto un drammatico calo di 1300 punti dopo l’annuncio di nuove tariffe, il presidente ha delineato la sua visione per il futuro dell’America, tra applausi, dissensi e momenti di forte contrasto. Mentre una metà dell’assemblea, divisa tra repubblicani e democratici, ha risposto con applausi e standing ovations, l’altra ha alzato cartelli con la scritta “falso”, dando un tono di grande polarizzazione a questo discorso. Non sono mancati colpi di scena, a partire dalla politica interna sull’economia e le nuove misure contro il wokismo, fino agli aggiornamenti sul fronte internazionale, dove Trump ha fatto promesse audaci riguardo la sicurezza globale e la politica estera. In questo articolo, esploreremo i punti salienti di un discorso che, come sempre, ha diviso l’opinione pubblica e suscitato forti reazioni politiche.
Le notizie sono tante, ma partiamo dalla politica interna: “Ho imposto un congelamento immediato su tutte le assunzioni federali, un congelamento su tutte le nuove regolamentazioni federali e un congelamento su tutta l’assistenza estera. Ho terminato la ridicola truffa del Green New Deal, mi sono ritirato dall’ingiusto Accordo sul clima di Parigi, che ci costava trilioni di dollari che altri paesi non stavano pagando. Mi sono ritirato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità corrotta e mi sono ritirato anche dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che era antiamericano. Abbiamo annullato tutte le restrizioni ambientali di Biden che rendevano il nostro paese molto meno sicuro e completamente insostenibile. E, cosa importante, abbiamo annullato il mandato folle della precedente amministrazione sui veicoli elettrici, salvando i nostri lavoratori automobilistici e le nostre aziende dalla distruzione economica. Abbiamo ordinato a tutti i lavoratori federali di tornare in ufficio, dovranno presentarsi al lavoro di persona o essere rimossi dal loro lavoro. Abbiamo messo fine al governo politicizzato, e ho fermato tutta la censura governativa e riportato la libertà di parola in America. Due giorni fa, ho firmato un ordine che rende l’inglese la lingua ufficiale degli Stati Uniti d’America. Abbiamo messo fine alla tirannia delle cosiddette politiche di diversità, equità e inclusione in tutto il governo federale e, infatti, nel settore privato e nel nostro esercito. Il nostro paese non sarà più “woke”. Crediamo che, sia che tu sia un medico, un contabile, un avvocato o un controllore del traffico aereo, dovresti essere assunto e promosso in base alle competenze, non alla razza o al genere. Dovresti essere assunto in base al merito e la Corte Suprema, in una decisione coraggiosa ci ha permesso di farlo. Grazie. Abbiamo rimosso il veleno della teoria critica della razza dalle nostre scuole pubbliche e ho firmato un ordine che rende politica ufficiale del governo degli Stati Uniti che ci sono solo due generi: maschio e femmina. Ho anche firmato un ordine esecutivo per vietare agli uomini di giocare negli sport femminili.” E qui presenta una ragazza ex pallavolista che, per una pallonata da un transgender maschio, è rimasta menomata a vita. Inoltre, chiede al Congresso di proibire il cambiamento di sesso per i bambini.
Economia – In economia ha aperto
il discorso partendo dalla manifattura americana dove prevede ridurre le tasse
sulla produzione domestica fornendo un’ammortizzazione del 100%, che sarà
retroattiva al 20 gennaio 2025. Ha abolito la legge di Biden che prevedeva la
sostituzione di tutte i motori a benzina o diesel per l’elettrico. L’biettivo
principale nella lotta per sconfiggere l’inflazione è ridurre rapidamente il
costo dell’energia. “L’amministrazione precedente ha ridotto il numero di nuovi
contratti di estrazione di petrolio e gas del 95%, ha rallentato la costruzione
di oleodotti a zero e ha chiuso più di 100 centrali elettriche. Noi stiamo
riaprendo molte di queste centrali proprio ora. La mia amministrazione sta
anche lavorando a un gigantesco gasdotto di gas naturale in Alaska, uno dei più
grandi al mondo, dove Giappone, Corea del Sud e altre nazioni vogliono essere
nostri partner con investimenti di trilioni di dollari ciascuno. I permessi
sono stati ottenuti e in settimana faremo in modo di ampliare la produzione di
minerali critici e terre rare qui negli Stati Uniti.”
Per combattere
l’inflazione, Trump dedica una parte del suo discorso ai risparmi ottenuti
grazie a Elon Musk, presente in galleria tra gli ospiti. Il presidente elenca
alcuni degli sprechi identificati dal DOGE, il dipartimento governativo creato
per combattere le inefficienze: “22 miliardi di dollari dal HHS per fornire
alloggi e automobili gratuite agli immigrati illegali, 45 milioni di dollari
per borse di studio di diversità, equità e inclusione in Birmania, 40 milioni
di dollari per migliorare l’inclusione sociale ed economica dei migranti
sedentari, nessuno sa cosa sia. 8 milioni di dollari per promuovere l’LGBTQI+
negli Stati africani, 60 milioni di dollari per i popoli indigeni e
l’empowerment afro-colombiano in America Centrale, 8 milioni di dollari per
trasformare i topi in transgender… è tutto vero.”
Prosegue poi elencando fatti e storie per rendere credibile e accettabile quanto fatto da Musk, che, ad oggi, trova il mondo democratico contro: “Abbiamo scoperto grazie a Musk, una frode annuale di oltre 500 miliardi di dollari, e livelli scioccanti di incompetenza. Ad esempio, i database governativi riportano 4,7 milioni pensionati tra i 100 e i 109 anni… e addirittura ce n’è uno che ha più di 350 anni e percepisce la pensione. Casi folli.” Con l’eliminazione di queste frodi, sprechi e furti, così li definisce il presidente: “sconfiggeremo l’inflazione, abbasseremo i tassi dei mutui, ridurremo i pagamenti delle auto e dei generi alimentari, proteggeremo i nostri anziani e metteremo più soldi nelle tasche delle famiglie americane.”
Tasse – A ridosso delle frodi o sbagli Trump si aggancia e parla delle importanti detassazioni che vuole introdurre: no tasse per chi percepisce già la pensione (Social Security), le mance, gli straordinari, gli interessi sui prestiti auto, ma solo se l’auto è prodotta in America. E a proposito, dell’industria automobilistica verranno riaperti molti impianti di produzione delle maggiori case automobilistiche, inclusa la giapponese Honda che ha appena annunciato un nuovo impianto in Indiana, uno dei più grandi al mondo.
Tariffe – A partire dal 2
aprile, le tariffe che verranno imposte agli Stati Uniti saranno riapplicate di
conseguenza ai beni importati.
Pena di morte – Per debellare la
crescente criminalità nelle città, e proteggere i poliziotti e i pompieri,
Trump ha firmato un altro decreto presidenziale che prevede la pena di morte
per assassini recidivi che nonostante gli arresti vengono rilasciati e
continuano a commettere omicidi: “Sto anche chiedendo una nuova legge sul
crimine per essere più severi con i recidivi, affinché i poliziotti americani,
possano fare il loro lavoro senza temere che le loro vite vengano distrutte.
Non vogliono essere uccisi, e noi non permetteremo che lo siano.”
Salute -Parlando poi di salute
infantile ci ha mostrato qualche dato: “Dal 1975, i tassi di cancro
infantile sono aumentati di oltre il 40%. Invertire questa tendenza è una delle
priorità principali della nostra nuova commissione presidenziale per rendere di
nuovo l’America sana, presieduta dal nostro nuovo segretario alla Salute e ai
Servizi Umani, Robert F. Kennedy Jr.
Il nostro obiettivo è
eliminare le tossine dal nostro ambiente, i veleni dalla nostra fornitura
alimentare e mantenere i nostri bambini sani e forti. Per esempio, non molto
tempo fa, e non potete nemmeno credere a questi numeri, uno su 10.000 bambini
aveva l’autismo, uno su 10.000, e ora è uno su 36. C’è qualcosa che non va,
pensateci. Quindi scopriremo cosa sta succedendo.”
Difesa – affrontando le imposizioni woke, e quindi anche la politica transgender, dall’insediamento non sono ammessi i transgender nelle forze armate né wokismi. Secondo Trump questo è il motivo principale per cui si è registrato un numero record di richieste di arruolamento che non si vedeva da almeno 15 anni. Saranno potenziate le forze navali con la costruzione di nuove navi e, sorprendentemente, ha ripreso in mano il programma dello Scudo Spaziale di Ronald Reagan per proteggere il paese da ogni minaccia missilistica, ribattezzandolo però “Golden Dome” (Cupola d’Oro).
Sul fronte politica estera:
Panama – ha dichiarato che una importante società americana sta comprando ambo i porti intorno al canale di Panama e altri canali, ma qui il presidente non è stato volutamente specifico. Rubio, il ministro affari esteri è incaricato di supervisionare le operazioni d’acquisto in atto.
Groenlandia – “….supportiamo fermamente il vostro diritto di determinare il vostro futuro e, se lo sceglierete, vi accogliamo negli Stati Uniti d’America. Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale e anche per la sicurezza internazionale, e stiamo lavorando con tutte le persone coinvolte per cercare di ottenerla, ma ne abbiamo veramente bisogno per la sicurezza internazionale del mondo. E credo che lo otterremo, in un modo o nell’altro, lo otterremo. Vi terremo al sicuro, vi renderemo ricchi e insieme porteremo la Groenlandia a vette che non avete mai pensato possibili. È una popolazione molto piccola, ma una terra molto, molto vasta e molto, molto importante per la sicurezza militare.”
Afghanistan – “Anni fa, i terroristi dell’Isis uccisero 13 membri dei servizi americani e innumerevoli altri nell’attentato all’Abbey Gate durante il disastroso e incompetente ritiro dall’Afghanistan….. Stasera sono lieto di annunciare che abbiamo appena arrestato il principale terrorista responsabile di quella atrocità e ora è in viaggio verso di noi per affrontare la rapida spada della giustizia americana. Voglio ringraziare specialmente il governo del Pakistan per averci aiutato ad arrestare questo mostro. È stato un giorno molto significativo per quelle 13 famiglie che ho avuto modo di conoscere molto bene, la maggior parte delle quali ha visto i propri figli uccisi, e per le tante persone che sono state gravemente ferite, oltre 42, in quel giorno fatale.”
Ucraina – “Sto lavorando instancabilmente per porre fine al conflitto selvaggio in Ucraina. Milioni di ucraini e russi sono stati uccisi o feriti inutilmente in questo conflitto orribile e brutale, senza alcuna fine in vista. Gli Stati Uniti hanno inviato centinaia di miliardi di dollari per sostenere la difesa dell’Ucraina, senza alcuna sicurezza, senza nulla. 2.000 persone vengono uccise ogni singola settimana, sono giovani russi, sono giovani ucraini, non sono americani, ma voglio fermare questo conflitto. Nel frattempo, l’Europa ha tristemente speso più soldi per comprare petrolio e gas russi di quanto ne abbia speso per difendere l’Ucraina. Oggi ho ricevuto una lettera importante dal presidente Zelensky dell’Ucraina. La lettera dice che l’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo dei negoziati il prima possibile per portare la pace duratura più vicina. Nessuno desidera la pace più degli ucraini, ha detto. Il mio team ed io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per ottenere una pace che duri. Apprezziamo davvero quanto l’America ha fatto per aiutare l’Ucraina a mantenere la sua sovranità e indipendenza. Per quanto riguarda l’accordo su minerali e sicurezza, l’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento sia conveniente per voi. Apprezzo che abbia inviato questa lettera, l’ho ricevuta poco fa. Contemporaneamente, abbiamo avuto discussioni serie con la Russia e abbiamo ricevuto segnali forti che sono pronti per la pace. Non sarebbe bello? È il momento di fermare questa follia, è il momento di fermare gli omicidi, è il momento di porre fine a questa guerra insensata. Se volete fermare le guerre, dovete parlare con entrambe le parti.”
E queste le sue conclusioni: “Credo che… Grazie mille. Dai patrioti di Lexington e
Concord agli eroi di Gettysburg e Normandia, dai guerrieri che attraversarono
il Delaware ai pionieri che scalarono le Montagne Rocciose, dalle leggende che
volarono a Kittyhawk agli astronauti che toccarono la luna, gli americani sono
sempre stati il popolo che ha sfidato tutte le arti, ha superato tutti i
pericoli, ha fatto i sacrifici più straordinari e ha fatto tutto ciò che era
necessario per difendere i nostri bambini, il nostro paese e la nostra libertà.
E come abbiamo visto in questa camera stasera, quella stessa forza, fede, amore
e spirito sono ancora vivi e prosperano nei cuori del popolo americano,
nonostante i migliori sforzi di coloro che cercherebbero di censurarci, di
farci tacere, di frantumarci, di distruggerci. Gli americani sono oggi una
nazione orgogliosa, libera, sovrana e indipendente che sarà sempre libera, e
noi lotteremo per essa fino alla morte. Non permetteremo mai che succeda
qualcosa al nostro amato paese, perché siamo un paese di realizzatori,
sognatori, combattenti e sopravvissuti. I nostri antenati attraversarono un
vasto oceano, si avventurarono nell’ignoto deserto e scolpirono la loro fortuna
dalla roccia e dalla terra di una frontiera pericolosa e molto pericolosa.
Inseguirono il nostro destino attraverso un continente senza confini,
costruirono le ferrovie, stesero le autostrade e resero il mondo meravigliato
con le meraviglie americane come l’Empire State Building, la potente diga Hoover
e il maestoso ponte Golden Gate. Illuminarono il mondo con l’elettricità, si
liberarono dalla forza di gravità, misero in moto i motori dell’industria
americana e sconfissero i comunisti, i fascisti e i marxisti in tutto il mondo,
regalandoci innumerevoli meraviglie moderne scolpite in ferro, vetro e acciaio.
Noi siamo sulla spalla di questi pionieri che hanno vinto e costruito l’era
moderna, questi lavoratori che hanno versato il loro sudore negli orizzonti
delle nostre città, questi guerrieri che hanno versato il loro sangue nei campi
di battaglia e dato tutto ciò che avevano per i nostri diritti e per la nostra
libertà. Ora è il nostro momento di prendere la giusta causa della libertà
americana e tocca a noi prendere il destino dell’America nelle nostre mani e
cominciare i giorni più entusiasmanti nella storia del nostro paese. Questa
sarà la nostra era più grande, con l’aiuto di Dio, nei prossimi quattro anni
guideremo questa nazione ancora più in alto e forgiamo la civiltà più libera,
avanzata, dinamica e dominante che sia mai esistita sulla faccia della Terra.
Creeremo la più alta qualità della vita, costruiremo le comunità più sicure,
più ricche, più sane e più vitali in qualsiasi parte del mondo. Conquisteremo
le vaste frontiere della scienza e guideremo l’umanità nello spazio, piantando
la bandiera americana sul pianeta Marte e anche molto oltre. E attraverso tutto
ciò, riscopriremo il potere inarrestabile dello spirito americano e rinnoveremo
la promessa illimitata del sogno americano. Ogni singolo giorno ci alzeremo e
lotteremo, lotteremo, lotteremo per il paese in cui i nostri cittadini credono
e per il paese che il nostro popolo merita. Miei cari americani, preparatevi
per un futuro incredibile, perché l’età dell’oro dell’America è appena
iniziata. Sarà come nulla che sia mai stato visto prima. Grazie, che Dio vi
benedica e che Dio benedica l’America.”
Il commento di C. Bertolotti a Officina geopolitica di START inSight.
La scelta di Trump di spingere verso una conclusione del conflitto, anche a discapito dell’Ucraina, è razionale e coerente con la sua promessa elettorale, cioè quello per cui è stato eletto. Ed è, soprattutto, “una leva con cui fare forza nei confronti di Zelensky affinché il presidente possa rispondere al proprio elettorato, al quale aveva promesso di porre termine alla guerra russo-ucraina. È quindi una scelta di politica interna rispetto a un costo che viene imposto ai contribuenti statunitensi”. “Detto questo quello dell’amministrazione Trump è un passo certamente importante e significativo in quello che sarà lo sviluppo della guerra, perché andando a ridurre o a congelare gli aiuti l’Ucraina di fatto passerà da un livello di sufficienza minima (garantito dall’amministrazione Biden) al non avere più le risorse per condurre una guerra. Oltretutto, verrebbe a mancare anche la spinta morale, cioè l’assenza di un sostegno statunitense farebbe venir meno la volontà dei soldati stessi di combattere e degli stati maggiori di gestire la condotta sul campo di battaglia”.
Nulla da eccepire sul piano razionale: se la precedente amministrazione Biden non ha voluto porre l’Ucraina nelle condizioni di vincere la guerra, perché dovrebbe farlo l’amministrazione Trump? È semplicemente la chiusura di un dossier che Washington non reputa più conveniente sostenere.
È un game over?
“È sicuramente l’avvio di un processo di conclusione di una guerra che
sarà sfavorevole all’Ucraina, in termini di cessione di territori a favore
della Russia, ma lo sarà ancora di più a livello strategico, proiettato nel
lungo periodo”, commenta Bertolotti. “La Russia utilizzerebbe – così come ha
già fatto con la Crimea – la base territoriale conquistata come punto di
partenza per la successiva possibile fase offensiva. Non avverrà domani né
dopodomani, ma nei prossimi 5-10 anni, indipendentemente da quella che sarà la
leadership russa”.
Negli ultimi giorni si sono fatte sempre più insistenti le
richieste, da parte di stretti collaboratori di Trump, di un passo indietro
di Zelensky, la cui presenza viene
descritta come ormai “insostenibile”. Ipotesi, quella delle dimissioni di
Zelensky che si pone come plausibile: “È un’opportunità per lui di uscire
a testa alta, come l’uomo che non si è piegato alla volontà di Trump e che piuttosto
lascia la guida del Paese. Se arriviamo alla scadenza naturale del suo mandato,
e quindi all’ipotesi di nuove elezioni, produrrà una narrazione interna di
volontà di concludere la guerra a qualunque costo, che quindi poterà la sigla
di un’intesa commerciale con gli Stati Uniti a cui seguirà un sostegno
statunitense all’accordo negoziale con la Russia. Soltanto a quel punto
Zelensky potrebbe riproporsi come voce politica, e quindi come competitor al
successivo appuntamento elettorale, come colui che non ha firmato e non avrebbe
firmato, fiero della sua postura europea e occidentale e non filorussa”.
L’Europa al bivio: può difendersi senza il supporto degli Stati Uniti?
di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.
Con l’intensificarsi
delle tensioni geopolitiche e la possibilità di un ritiro parziale o completo
degli Stati Uniti dalla NATO, l’Europa si trova di fronte a una domanda
urgente: può difendersi senza il sostegno americano? La risposta, sebbene non
impossibile, comporta costi enormi e un lungo e incerto cammino verso l’indipendenza
militare.
Per decenni, l’Europa ha
beneficiato della protezione degli Stati Uniti, che hanno rappresentato la
spina dorsale della sua strategia di difesa. Washington fornisce non solo la
deterrenza nucleare, ma anche le capacità logistiche, tecnologiche e di
intelligence che i paesi europei faticano a replicare autonomamente. Un’uscita
degli Stati Uniti dalla NATO lascerebbe l’Europa con un vuoto di sicurezza che
richiederebbe un aumento drammatico della spesa militare e una coesione
politica—entrambi aspetti tutt’altro che garantiti.
I numeri sono
preoccupanti. Oggi, i bilanci di difesa combinati dell’Unione Europea e del
Regno Unito ammontano a circa 380 miliardi di dollari all’anno. Tuttavia, gli
esperti stimano che, per compensare la perdita delle capacità statunitensi,
l’Europa dovrebbe investire un ulteriore 300-400 miliardi di dollari in
espansione militare. Per sostenere questo, i paesi europei dovrebbero aumentare
la loro spesa annuale per la difesa al 3-4% del PIL, rispetto all’attuale 1,5-2%.
Per l’Italia, la sfida è
particolarmente difficile. Destinando attualmente circa l’1,5% del PIL alla
difesa, circa 30 miliardi di euro all’anno, Roma dovrebbe probabilmente
raddoppiare la sua spesa a 60 miliardi di euro annui per mantenere una postura
di sicurezza credibile. Non è una piccola impresa per un paese con un rapporto
debito/PIL superiore al 140%, dove la spesa per la difesa storicamente è stata
subordinata ad altre priorità sociali ed economiche.
Tuttavia, l’Italia è un
attore cruciale della NATO, data la sua posizione strategica nel Mediterraneo. Ma
senza il supporto degli Stati Uniti, il Paese si troverebbe ad affrontare gravi
lacune nel potere navale, nella superiorità aerea e nelle capacità di
intelligence. L’Italia dovrebbe espandere ulteriormente la sua flotta,
richiedendo investimenti di almeno 20-30 miliardi di euro in portaerei,
sottomarini e cacciatorpediniere aggiuntivi per tutelare la sicurezza del
Mediterraneo. Roma dipende fortemente dagli F-35 e dai sistemi missilistici
costruiti dagli Stati Uniti, e uno scenario post-NATO comporterebbe la
necessità di una costosa spinta per la produzione domestica o una maggiore
dipendenza dalla Francia e dalla Germania. Inoltre, l’Italia ospita attualmente
armi nucleari statunitensi sotto il programma di condivisione della NATO. Se questo
programma dovesse essere terminato, Roma sarebbe costretta a prendere la difficile
decisione se investire in una propria deterrenza nucleare—un’opzione
economicamente e politicamente complessa—o fare affidamento sull’arsenale
francese per la protezione. Affidarsi all’arsenale nucleare della Francia
sarebbe un’opzione quasi inaccettabile per l’Italia, poiché i due paesi non
condividono molti interessi strategici, e tale dipendenza potrebbe subordinare
Roma a Parigi, minando l’autonomia dell’Italia nelle questioni di difesa e
limitando la sua capacità di agire in modo indipendente sulla scena
internazionale. Questo complicherebbe ulteriormente la politica estera
dell’Italia, poiché dovrebbe allinearsi più strettamente con le priorità
francesi, che potrebbero non coincidere sempre con le proprie.
Oltre agli ostacoli
finanziari e tecnologici, la questione del personale è di primaria importanza.
Le forze armate europee si sono ridotte significativamente dalla fine della
Guerra Fredda, con molti paesi che si sono orientati verso eserciti più piccoli
e professionisti piuttosto che la coscrizione di massa. L’Italia, come gran
parte d’Europa, dovrebbe espandere rapidamente le proprie Forze Armate per
soddisfare le esigenze di una difesa autosufficiente. Ciò significa non solo
reclutare più soldati, ma anche formare e mantenere personale qualificato in
settori chiave come la guerra cibernetica, l’intelligence e la logistica. Senza
la forza lavoro per operare e mantenere una infrastruttura militare ampliata,
anche i sistemi d’arma più avanzati sarebbero di scarsa utilità. La leva
militare, da tempo abbandonata, potrebbe dover essere riconsiderata—un passo
politicamente sensibile ma forse necessario se l’Europa vuole sostenere una
prontezza militare a lungo termine.
Inoltre, costruire un
sistema di difesa europeo autonomo richiederebbe decenni. A breve termine, i
primi cinque anni richiederebbero un’accelerazione dei bilanci e una
riorganizzazione delle alleanze, sebbene l’Europa rimarrebbe altamente
vulnerabile. A medio termine, entro cinque-dieci anni, potrebbe emergere
un’alternativa funzionale ma più debole alla NATO, con operazioni congiunte
ampliate e un rapido approvvigionamento di nuovi beni di difesa. A lungo
termine, entro dieci-venti anni, potrebbe essere operativo un corpo di difesa
europeo completamente indipendente, sebbene rimarrebbero sfide legate alla
frammentazione, alle inefficienze e alle difficoltà economiche.
Oltre ai vincoli
finanziari, le nazioni europee—compresa l’Italia—faticano con le divisioni
politiche sulle questioni militari. La Germania ha solo recentemente iniziato a
invertire decenni di sotto-investimento nella difesa, mentre l’Italia ha a
lungo dovuto affrontare lo scetticismo pubblico sull’espansione militare. Senza
una forte volontà politica e una leadership decisiva, il cammino dell’Europa
verso l’autonomia difensiva sarà lento e frammentato. Il peso economico è
un’altra grande preoccupazione. Mentre Francia e Germania potrebbero assorbire
costi di difesa più alti, paesi come Italia, Spagna e Grecia potrebbero
trovarlo quasi impossibile senza sacrifici significativi in altri settori, come
infrastrutture, programmi sociali e investimenti energetici.
Un’altra possibilità è
ovviamente che Roma garantisca il continuo supporto militare e strategico
americano. Tuttavia, un allineamento con Washington allontanerebbe alcuni dei
partner europei dell’Italia che potrebbero preferire un quadro di difesa più
autonomo, potenzialmente mettendo a rischio l’unità europea. Inoltre,
rafforzerebbe la dipendenza dell’Italia dagli Stati Uniti per la sicurezza,
lasciandola vulnerabile alle priorità mutevoli della politica estera americana,
limitando al contempo la sua influenza all’interno dell’Unione Europea su
questioni di difesa e sicurezza. Indipendentemente dall’opzione scelta, questo
segnerebbe un cambiamento radicale nella strategia militare, comportando
aumenti della spesa per la difesa, espansione navale e una possibile
rivalutazione del suo ruolo nella deterrenza nucleare.
In conclusione, la frammentazione politica e le limitazioni economiche potrebbero rendere difficile sostituire le capacità della NATO. L’Europa deve ora decidere: prenderà in mano la propria difesa o rimarrà vulnerabile in un mondo sempre più volatile? Una cosa è certa: senza il supporto degli Stati Uniti, il costo della sicurezza esploderà, e per paesi come l’Italia, la posta in gioco non è mai stata così alta.
Foto in copertina: www.difesa.it
Trump: Good deal or no deal.
di Melissa de Teffè, dagli Stati Uniti – giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
Secondo
quanto riportato dal Financial Times, la sera del 27 febbraio la
diplomazia americana insieme al team ucraino aveva delineato un piano per il
rientro delle spese militari americane, concordando la creazione di un fondo
congiunto USA/Ucraina per lo sfruttamento delle terre minerarie, in cui
l’Ucraina avrebbe contribuito con il 50% dei suoi minerali estratti, e i ricavi
sarebbero stati utilizzati dagli Stati Uniti per investire in altri progetti
nel paese.
L’accordo avrebbe dovuto essere
firmato il 28 a Washington. Tutto questo non è avvenuto.
L’invito di Trump a Zelensky, prima dell’incontro con Putin che avrebbe dovuto aver luogo la settimana prossima, rifletteva sicuramente un mea culpa americana per aver convinto gli ucraini a rimanere in guerra dando la certezza di una vittoria a futuro, e dall’altro per iniziare a buttare giù le basi di quanto già concordato al telefono con Putin qualche giorno fa. Questa è la prima amministrazione statunitense che parla seriamente di cessazione delle ostilità. Già in campagna elettorale, Trump aveva dichiarato di voler concludere questa guerra, non solo per i costi esorbitanti, (e come già raccontato l’America ha bisogno di rientrare delle spese), ma anche perché da business man, Trump è giustamente rimasto inorridito dalla quantità di morti mai realmente dichiarati, da ambo le parti e, infine, teme che questa guerra si trasformi in una terza guerra mondiale. I punti negoziali sono sicuramente molti, come ad esempio la richiesta di Zelensky di truppe americane in territorio ucraino, cosa che non avverrà, in quanto Trump ha sempre detto che, secondo lui, la presenza di businessmen americani in Ucraina è già di per sè un deterrente sufficiente. Poi c’è la richiesta di Putin di sostituire Zelensky con nuove elezioni cancellando lo stato di guerra. Putin ha sempre detto che non avrebbe mai trattato con Zelensky al potere. Questa concessione, per presidenti come Putin e Trump è facile. Noi diremmo, morto un papa se ne fa un altro che possa non solo riflettere il volere della popolazione ucraina, ma con cui, si possa proseguire.
Ma oggi in pochi minuti, neanche una manciata, le aspettative di tutto il mondo di vedere un passo concreto verso la cessazione delle ostilità sono sfumate. Le battute e risposte volate oggi nell’ufficio ovale ci raccontano un’altra storia. Zelensky non si è lost in translation, ma ha usato un tono molto duro confrontandosi con il Presidente Trump, in casa sua e davanti a tutta la stampa. Errore diplomatico imperdonabile. Il primo sbaglio è stato quello di Zelensky nel fare “La” domanda, forse più importante dell’incontro davanti al mondo e non a porte chiuse: “di che tipo di diplomazia state parlando?” sottintendendo che se nessuno è riuscito a fermare Putin dal 2014 al 2024 – cosa vi dice che voi ci riuscirete? E qui, JD Vance è corso ai ripari, dichiarando che questa domanda, seppur giusta ma piccata, era una mancanza di rispetto nei contenuti sottintesi, aggiungiamo, di fronte al mondo. I panni si lavano sempre a porte chiuse, soprattutto se le carte da giocarsi sono poche. Se Zelensky voleva portarsi a casa il mondo, che dicesse poi, come per altro avvenuto: “Ha ragione lui”, chi lo dice non ha alcune potere fattuale. Poi c’è stato il rincaro, con la seconda frase, che ha chiuso la strada per Damasco, quando Zelenski ha minacciato il Presidente dicendo: “Qualsiasi paese sente le conseguenze di una guerra, e voi che avete un oceano non ne sentite le conseguenze, ma le sentirete”. Quel ma le senterite, è stata la sberla che ha chiuso i battenti americani, perché non poteva che essere interpretata come una minaccia chiara. Se Zelensky aveva tutte le ragioni di chiedere come e perché gli americani questa volta fossero certi di riuscire ad ottenere la pace, la minaccia del ne sentirete le conseguenze ha toccato l’orgoglio anglosassone. Persino il senatore Graham, (R-South Carolina) presente come osservatore, alla fine dell’incontro, ha dichiarato alla stampa che il comportamento di Zelensky era stato vergognoso, suggerendo al presidente ucraino o di cambiare atteggiamento o dare le dimissioni se si vuole raggiungere un accordo.
Riassumendo: Donald Trump ha
avanzato una richiesta di 500 miliardi di dollari, un importo ben superiore a
quanto gli Stati Uniti hanno finora fornito all’Ucraina, dando molto poco in
cambio, oltre alla tecnologia per l’estrazione mineraria. Il presidente ucraino
Volodymyr Zelensky,ha tentato di mantenere un atteggiamento diplomatico e non
c’è riuscito. Sperava che l’accordo minerario potesse includere una
“garanzia di sicurezza” come anche suggerito dagli europei, ma non si
è concretizzata.
Se guardiamo, e dobbiamo, il pregresso diplomatico politico di Obama prima e Biden dopo, l’Ucraina sarebbe entrata prima nella Nato e poi nell’Unione. Europa tutta accondiscendente. Un sogno impossibile in qualsiasi libro di testo di geopolitica basica. E seppur l’economia russa sia in difficoltà e impiegherebbe diversi anni prima di conquistare l’Ucraina, il sogno EU/USA/Ucraina avrebbe visto Putin mantenere il controllo su alcune porzioni dell’Ucraina orientale, (Donbass e Crimea) mentre l’Ucraina occidentale con l’ingresso nell’Alleanza Atlantica si sarebbe garantita la protezione militare secondo l’Articolo 5, che prevede in caso di invasione, una risposta da parte della NATO.
Dall’altra parte, nella realtà di
oggi, Putin chiede il pieno riconoscimento dei territori occupati,
l’acquisizione di nuove terre, la smilitarizzazione dell’Ucraina, la rimozione
di Zelensky, la revoca delle sanzioni e il riconoscimento dell’Ucraina
orientale come parte integrante della Russia.
Ma cosa possiamo capire da quanto successo nell’Oval Office? Le parole dette descrivono con maggior chiarezza che il piano di Trump pare combaciare a quello di Putin. I motivi possono essere svariati. Per Trump questa è una relazione “speciale”, come ama raccontarci; oppure è necessario per l’America che la Russia, diventi l’alleato ideale come arma di contrattazione contro la Cina; oppure ancora, che il desiderio egocentrico trumpiano, non dimentichiamone l’età, desideri più di qualsiasi altra cosa, il farsi ricordare dai posteri come il Presidente negoziatore, e il “grande pacificatore”, frase ripetuta pure oggi in conferenza stampa. Persino davanti al presidente francese Macron, Trump, si è dimostrato orgoglioso d’avere un enorme esperienza come negoziatore.
Sorge comunque un dubbio. I russi sono sempre stati molto scaltri. Non dimentichiamoci di come Stalin raggirò sia Churchill che Roosvelt. Possiamo perciò ipotizzare che Putin potrebbe aver circuito Trump facendolo tornare al tavolo delle trattative: gli Stati Uniti, ad oggi, sono ancora il principale attore internazionale. Dichiara Trump dopo una lunga conversazione telefonica con Putin: “Mi fido”; suscitando così altre frustrazioni a Zelensky. Concludendo le terre minerarie sono cruciali come moneta di scambio, ma purtroppo la gran parte di questa ricchezza è nelle zone occupate dai russi.
Inizialmente,
la soluzione proposta, era che l’Ucraina rimanesse neutrale, senza armi
(peraltro quelle nucleari le aveva già consegnate alla Russia nel 1994 con il
Memorandum di Budapest), fuori dalla Nato e non un membro dell’UE. Uno Stato
cuscinetto* tra UE e Russia.
(Sappiamo
bene che gli stati cuscinetto sono una realtà geopolitica che esiste da secoli,
creati per la loro posizione strategica tra due o più potenze rivali, con lo
scopo di prevenire conflitti diretti. Questi paesi hanno svolto un ruolo
cruciale nel definire gli equilibri mondiali, fungendo da zone di separazione
tra interessi contrapposti. In Europa, uno degli esempi più emblematici è la Svizzera,
che ha svolto un ruolo di neutralità tra grandi potenze come Francia, Germania,
Italia e Austria sin dal 1815, quando il Congresso di Vienna sancì la sua
posizione di zona di separazione. La sua politica di neutralità ha permesso
alla Svizzera di evitare coinvolgimenti diretti nei conflitti mondiali,
rendendola un punto di riferimento per la diplomazia internazionale. Altri
esempi europei includono il Belgio, che nel XIX secolo e all’inizio del
XX secolo fu una zona di separazione tra la Francia e la Germania, sebbene non
riuscisse a evitare invasioni da entrambe le potenze. La Polonia,
infine, ha svolto il ruolo di stato cuscinetto tra la Germania e la Russia,
subendo l’invasione simultanea di entrambe le potenze durante la Seconda Guerra
Mondiale.
In
Asia, l’Afghanistan ha ricoperto una funzione simile durante il
conflitto tra l’Impero britannico e l’Impero russo nel XIX
secolo, noto come il “Grande Gioco”. La sua posizione strategica lo
ha reso un terreno di scontro tra le due potenze imperiali. In Sud America, l’Uruguay
ha avuto una funzione analoga nel XIX secolo, fungendo da zona di separazione
tra l’Argentina e il Brasile, che si contendevano il controllo
delle terre sudamericane. Nonostante la sua limitata forza militare, l’Uruguay
riuscì a mantenere la sua indipendenza grazie a una diplomazia abile, sostenuta
dalle potenze europee.)
Oggi invece abbiamo assistito a un
cambio di strategia politica in diplomazia che per gli Stati Uniti degli ultimi
due secoli sarà la terza.
La prima con la dottrina Monroe,
proclamata dal presidente degli Stati Uniti James Monroe il 2 dicembre
1823, nel suo discorso sullo stato dell’Unione,
affermava che qualsiasi intervento europeo nelle questioni politiche o
territoriali dell’America Latina sarebbe stato considerato un atto ostile verso
gli Stati Uniti, stabilendo così che l’emisfero occidentale era sotto
l’influenza degli Stati Uniti e che le potenze europee non avrebbero dovuto
interferire nelle sue vicende, e similmente gli Stati Uniti non avrebbero
interferito negli affari interni delle potenze europee, mantenendo una politica
di neutralità in Europa.
Questa fu aggiornata con la politica
di Theodore Roosevelt detta la “Big Stick Diplomacy”. Il termine deriva dal famoso detto di
Roosevelt: “Parla con gentilezza e porta con te un grosso bastone”
(“Speak softly and carry a big stick”), che rifletteva la sua
convinzione che la potenza militare degli Stati Uniti dovesse essere usata come
strumento di dissuasione e influenza nelle relazioni internazionali. Il
concetto si basa su un approccio diplomatico assertivo, ma non necessariamente
bellicoso. Roosevelt credeva che fosse fondamentale che gli Stati Uniti
mantenessero una forza militare robusta per garantire la loro posizione di
potenza mondiale per proteggere i propri interessi, soprattutto nel continente
americano e nei Caraibi. La “gentilezza” si riferiva alla diplomazia
e alle trattative pacifiche, mentre il “grande bastone” rappresentava
la minaccia implicita di un intervento militare se necessario.
La diplomazia oggi di Trump la
potremmo chiamare quella del “Good deal or no Deal”. Più avanti ne
capiremo meglio i contenuti.
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