Tunisia: è morto il presidente Essebsi
di Giampaolo Cadalanu
articolo originale pubblicato su La Repubblica
Forse alla fine l’omaggio più sincero per Beji Caid Essebsi, scomparso ieri a 92 anni, lo ha reso Hatem Karoui, l’uomo di teatro che aveva sbeffeggiato il presidente, giocando sull’assonanza fra il suo nome e la parola “sexy”. Niente Alzheimer, niente prostata, cantava l’alfiere della musica “slam”, confermando in arte che l’unica vera conquista della rivoluzione tunisina è stata la libertà di parola, e di satira, anche a spese dell’uomo più potente.
La sua morte imporrà nuove elezioni prima del previsto, ma soprattutto lascia un vuoto difficile da colmare nella guida del Paese. Perché “sexy” il presidente della Repubblica lo era davvero: non per le donne tunisine, che pure avevano apprezzato le sue posizioni sulla parità fra generi. Essebsi era attraente per chi voleva sul Mediterraneo un Paese aperto ma legato alla sua identità, religioso ma non integralista, e soprattutto stabile, in una regione dove le aspirazioni di libertà spesso si trasformano in cariche esplosive.
E il primo capo di Stato liberamente eletto doveva fornire questa garanzia, ai suoi e alla comunità internazionale, che ne ha apprezzato gli sforzi, almeno a giudicare dalla lunga lista delle onorificenze straniere. Poco importava l’età avanzata: il “vecchio lupo”, come qualcuno lo chiamava, era in grado di far avanzare il Paese senza scosse. Era questo il senso di una storia politica cominciata a 15 anni nel partito Liberale neo-costituzionale, cioè nazionalista, ai tempi del protettorato francese. Le biografie parlano di un uomo per tutte le stagioni, guidato dal pragmatismo forse ereditato dal bisnonno sardo Ismail, rapito dai corsari ottomani all’inizio del XIX secolo ma capace, dopo la conversione all’islam, di arrivare a un seggio in Parlamento.
Delfino di Habib Bourghiba, per cui era stato ministro della Difesa, degli Interni e degli Esteri, Essebsi cambiò cavallo dopo il golpe di Zine el Abidine Ben Ali, diventando prima ambasciatore a Bonn e poi presidente del Parlamento. Dopo la rivolta del 2011 fu capace di gestire la transizione democratica, come premier e poi come presidente. Fondatore di un partito laico che doveva essere la barriera anti-islamici, proprio con i musulmani di Ennahdha aveva trovato un’alleanza robusta.
Per uno di quei paradossi che fanno la Storia, a difendere almeno in parte la Rivoluzione è stato proprio l’uomo simbolo della continuità. Ma anche se evitano sconvolgimenti, la bandiera del realismo e il mito del progresso graduale non nutrono i sogni. Così i figli più giovani della Tunisia di oggi, strozzati dalla crisi economica, continuano a cercar fortuna lontano, a costo di rischiare la vita su un barcone.
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