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Terrorismo in Europa: minaccia lineare in evoluzione e partecipazione individuale

di Claudio Bertolotti

Dall’Africa all’Afghanistan: l’Europa guarda preoccupata all’esaltazione jihadista

Lo Stato islamico non ha più la forza di inviare terroristi sul suolo europeo perché si è vista azzerare la propria effettiva capacità operativa in conseguenza della perdita di territorio, di una rilevante consistenza finanziaria e di reclute. Tuttavia, la minaccia rimane significativa anche attraverso la presenza e l’azione di attori isolati, spesso improvvisati e spinti dall’emulazione e senza un legame diretto con l’organizzazione.

Mentre il gruppo dello Stato Islamico continua a imporsi su un piano ideologico come la principale minaccia jihadista, è però improbabile che sia in grado di riproporre il travolgente richiamo che ebbe il “califfato” nel periodo 2014-2017, poiché ha perso il vantaggio della novità, e di conseguenza l’appeal, che ne rappresentava il punto di forza, in particolare nei confronti dei più giovani. Inoltre, sia dal punto di vista legislativo che da quello operativo, l’Europa ha saputo ridurre in maniera rilevante le proprie vulnerabilità, sebbene vi siano maggiori risultati più in termini di contrasto al terrorismo che di prevenzione. Permangono, nel complesso segnali di incertezza legate agli effetti emulativi e alla “chiamata alla guerra” connessa a eventi sul piano internazionale in grado di indurre singoli soggetti ad agire in nome del jihad: l’evento più importante nel 2021, che ha dato e continuerà a dare un impulso agli effetti del jihad transnazionale è la vittoria dei talebani in Afghanistan che, da un lato tende ad alimentare la variegata propaganda jihadista attraverso il messaggio della “vittoria come risultato della lotta continua” e, dall’altro lato, da vita a una forma di competizione dei “jihad” tra gruppi impegnati in forme di lotta e resistenza esclusivamente locali e chi, come lo Stato islamico, recepisce e propone il jihad esclusivamente come strumento di lotta a oltranza a livello globale.

In tale quadro complessivo e in continua evoluzione, dobbiamo prestare attenzione alla crescente forza estremista in alcune parti dell’Africa, in particolare le aree dell’Africa sub-sahariana, il Sahel, il Corno d’Africa e, ancora, il Ruanda e il Mozambico, al fine di contrastare l’emergere in questo continente di nuovi “califfati” o “willayat” che potrebbero minacciare direttamente l’Europa.

Nella prolifica propaganda jihadista, lo Stato Islamico si vanta della propria diffusione nel continente africano e pone in evidenza come l’obiettivo di contrastare la presenza e la diffusione del cristianesimo porterà il gruppo a espandersi in altre aree del continente. Se altrove, come nel Maghreb, nel Mashreq e in Afghanistan l’attività dello Stato islamico è incentrata sulla lotta settaria intra-musulmana, in Africa la sua presenza si impone come parte di un conflitto tra musulmani e cristiani, rafforzata da una propaganda che insiste sulla necessità di fermare la conversione dei musulmani al cristianesimo attuata attraverso i “missionari” e “il pretesto” degli aiuti umanitari. In tale quadro si inseriscono le violenze, i rapimenti e le uccisioni di religiosi missionari, attacchi contro le Ong e le missioni internazionali, dal Burkina Faso al Congo e, ancora, gli attacchi agli abitanti dei villaggi cristiani in particolare in occasione delle festività di Natale e Capodanno.

Scendono i numeri, ma permane la minaccia del terrorismo

Analizzando gli ultimi tre anni, l’incidenza degli attacchi terroristici mostra una tendenza stabile dal punto di vista quantitativo. Tra il 2017 e il 2020, nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera, sono stati riportati 457 attacchi, inclusi quelli falliti e sventati, rispetto ai 895 registrati nel periodo 2014-2017.

Nel 2020, si sono verificati 119 attacchi, dei quali 62 nel Regno Unito e 2 in Svizzera. Secondo il rapporto Europol (TeSat 2020), il 43% di questi atti è attribuibile a movimenti della sinistra radicale (che sono passati da 26 a 25), il 24% a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 7% a formazioni di estrema destra (che hanno visto un aumento percentuale ma una diminuzione in termini assoluti rispetto al 2019), mentre il 26% sono azioni riconducibili al jihadismo. Sebbene gli attacchi jihadisti rappresentino una parte relativamente piccola del totale delle azioni violente, si confermano i più pericolosi per numero di vittime e impatto, con un calo da 16 vittime nel 2020 a 13 nel 2021, sottolineando la persistente minaccia del terrorismo jihadista in termini di conseguenze dirette.

Dal 2014 al 2021, si sono verificati 165 attacchi terroristici in Europa legati al jihad, in seguito ai principali eventi attribuiti al gruppo Stato Islamico. Di questi, 34 sono stati rivendicati ufficialmente dallo Stato Islamico. In tali attacchi, hanno preso parte 219 terroristi, di cui 63 sono morti durante l’azione. Il bilancio delle vittime è stato di 434 morti e 2.473 feriti, secondo i dati del database START InSight.

Nel 2021 si sono verificati 18 eventi, registrando una leggera diminuzione rispetto ai 25 attacchi dell’anno precedente. Tuttavia, si è osservato un aumento delle azioni di tipo “emulativo”, ovvero atti ispirati da attacchi recenti: la percentuale di tali azioni è passata dal 48% nel 2020 al 56% nel 2021 (rispetto al 21% nel 2019). Il 2021 ha inoltre confermato la predominanza di attacchi individuali, spesso non pianificati e destinati al fallimento, che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate, tipiche del contesto urbano europeo tra il 2015 e il 2017.

L’anagrafica dei terroristi “europei”

L’adesione all’azione terroristica continua a confermarsi come scelta esclusivamente maschile: su 207 attentatori il 97% sono maschi (7 le donne); contrariamente al 2020, quando 3 donne presero parte ad attacchi terroristici, il 2021 non ha registrato la partecipazione diretta di attentatrici.

I 207 terroristi (uomini e donne) hanno un’età mediana di 26 anni: un dato che varia nel corso del tempo (dai 24 nel 2016, ai 30 nel 2019). I dati anagrafici di 169 soggetti di cui si hanno informazioni complete hanno consentito di definire un quadro molto interessante da cui si evince che il 10% è di età inferiore ai 19 anni, il 36% ha un’età compresa tra i 19 e i 26, il 39% tra i 27 e i 35 e, infine, il 15% è di età superiore ai 35 anni.

L’88% degli attacchi, per i quali disponiamo di informazioni dettagliate, sono stati eseguiti da persone appartenenti a seconde e terze generazioni di immigrati, nonché da immigrati di prima generazione, sia con status regolare che irregolare.

Secondo l’analisi condotta su 154 dei 207 terroristi presenti nel database START InSight, il 45% sono immigrati regolari, mentre il 24% appartiene a discendenti di immigrati di seconda o terza generazione. Gli immigrati irregolari costituiscono il 19% del totale, un dato in crescita che è salito al 25% nel 2020 e ha raggiunto il 50% nel 2021. Inoltre, è rilevante la presenza di un 8% di cittadini europei convertiti all’Islam. Complessivamente, il 77% dei terroristi risiedono regolarmente in Europa, mentre gli immigrati irregolari rappresentano circa 1 su 6 dei terroristi. In un 4% dei casi, tra gli attaccanti sono stati identificati bambini o minori (7 in totale).

La mappa etno-nazionale del terrorismo in Europa

Il fenomeno della radicalizzazione jihadista in Europa colpisce in modo più marcato alcuni gruppi nazionali ed etnici. Esiste una correlazione tra le principali comunità di immigrati e la provenienza dei terroristi, come indicato dalle nazionalità dei terroristi o delle loro famiglie di origine, che rispecchiano la composizione delle comunità straniere in Europa. In particolare, prevale l’origine maghrebina: i gruppi etno-nazionali più coinvolti nella radicalizzazione jihadista sono quelli di origine marocchina (in Francia, Belgio, Spagna e Italia) e algerina (in Francia).

Stabili i recidivi e i soggetti già noti all’intelligence

Significativo è il ruolo dei recidivi, ossia individui già condannati per terrorismo che compiono nuove azioni violente al termine della loro pena detentiva e, in alcuni casi, anche durante la detenzione. La loro incidenza è aumentata dal 3% del totale dei terroristi nel 2018 (1 caso) al 7% nel 2019 (2 casi), raggiungendo il 27% nel 2020 (6 casi), con un singolo caso registrato nel 2021. Questo andamento evidenzia la pericolosità sociale di tali soggetti, i quali, nonostante una condanna, tendono a rimandare la realizzazione di atti terroristici, suggerendo un aumento della probabilità di nuovi atti terroristici nei prossimi anni, man mano che termineranno le pene detentive della maggior parte dei terroristi attualmente in carcere.

Oltre ai recidivi, START InSight ha evidenziato una tendenza rilevante riguardo alle azioni terroristiche perpetrate da individui già conosciuti dalle forze dell’ordine o dai servizi di intelligence europei: questi soggetti hanno rappresentato il 44% e il 54% del totale degli attacchi rispettivamente nel 2021 e nel 2020, rispetto al 10% nel 2019 e al 17% nel 2018.

Nel 2021, la partecipazione ad azioni terroristiche da parte di individui con precedenti detentivi (anche per reati non legati al terrorismo) ha mantenuto una certa stabilità, con un 23% di coinvolgimento, un dato leggermente in calo rispetto al 2020 (33%), ma in linea con i livelli del 2019 (23%), del 2018 (28%) e del 2017 (12%). Questo trend continua a supportare l’idea che le carceri possano essere ambienti propizi alla radicalizzazione e all’adesione al terrorismo.

Si riduce la capacità offensiva del terrorismo?

Per avere una visione accurata del fenomeno terroristico, è fondamentale analizzarlo su tre livelli distinti: strategico, operativo e tattico. La strategia riguarda l’utilizzo delle operazioni belliche per raggiungere gli obiettivi della guerra; la tattica si riferisce all’impiego delle forze in campo per vincere le battaglie; mentre il livello operativo si colloca a metà strada tra questi due aspetti. Questa sintesi, pur essendo semplice, mette in evidenza un elemento cruciale: l’impiego delle risorse umane.

Il successo a livello strategico è marginale

Il 16% delle azioni ha ottenuto un successo a livello strategico, ossia ha avuto conseguenze strutturali: blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di ampia portata. Un dato molto elevato considerando il limitato sforzo organizzativo e finanziario da parte dei gruppi, o dei singoli attaccanti. L’andamento nel corso degli anni è stato discontinuo, ma ha messo in evidenza una progressiva riduzione di capacità ed efficacia: 75% di successo strategico nel 2014, 42% nel 2015, 17% nel 2016, 28% nel 2017, 4% nel 2018, 5% nel 2019, 12% nel 2020 e 6% nel 2021. Nel computo dei risultati strategici, gli attacchi hanno ottenuto l’attenzione dei media internazionali nell’79% dei casi, il 95% a livello nazionale, mentre le azioni organizzate e strutturate dei commando e dei team-raid hanno ottenuto la totale attenzione mediatica. Un evidente, quanto ricercato, successo mediatico che può aver influito sensibilmente sulla campagna di reclutamento di aspiranti martiri o combattenti del jihad, la cui entità numerica rimane elevata in corrispondenza della maggiore intensità di azioni terroristiche (2016-2017). Ma se è vero che l’amplificazione massmediatica ha effetti positivi sull’azione di reclutamento, è anche vero che tale attenzione tende a ridursi col tempo a causa di due ragioni principali: la prima è la prevalenza di azioni a bassa intensità in rapporto a quelle ad alta – in diminuzione – e quelle a bassa e media intensità – in sensibile aumento dal 2017 al 2021. La seconda è l’assuefazione di un’opinione pubblica emotivamente sempre meno toccata dalla violenza del terrorismo, in particolare dagli eventi a “bassa” e “media intensità”.

Il 16% degli attacchi terroristici ha avuto un impatto strategico significativo, provocando conseguenze di ampia portata come il blocco dei trasporti aerei o ferroviari a livello nazionale e internazionale, la mobilitazione delle forze armate o l’introduzione di importanti interventi legislativi. Questo risultato è notevole, soprattutto considerando il limitato sforzo organizzativo e finanziario impiegato dai gruppi o dagli individui coinvolti. Tuttavia, nel tempo, si è registrata una riduzione nella capacità e nell’efficacia strategica di tali attacchi: il successo strategico è passato dal 75% nel 2014 al 42% nel 2015, al 17% nel 2016, al 28% nel 2017, scendendo ulteriormente al 4% nel 2018, al 5% nel 2019, al 12% nel 2020 e al 6% nel 2021

Per quanto riguarda l’impatto mediatico, il 79% degli attacchi ha catturato l’attenzione della stampa internazionale, mentre il 95% ha ricevuto copertura dai media nazionali. Le azioni più organizzate e strutturate, come quelle effettuate da commando o team-raid, hanno ottenuto la massima visibilità mediatica. Questo ampio risalto sui media ha probabilmente influito in modo significativo sulla campagna di reclutamento di nuovi combattenti o aspiranti martiri per il jihad, con un picco di adesioni nei periodi di maggiore intensità degli attacchi, in particolare tra il 2016 e il 2017.

Tuttavia, nonostante la visibilità mediatica abbia favorito il reclutamento, questa attenzione tende a diminuire nel tempo per due motivi principali. In primo luogo, c’è stato un aumento significativo delle azioni a bassa e media intensità dal 2017 al 2021, mentre quelle ad alta intensità sono in calo. In secondo luogo, il pubblico sta diventando sempre più assuefatto alla violenza terroristica, risultando meno emotivamente coinvolto, soprattutto in risposta agli eventi di “bassa” e “media intensità”.

Il livello tattico preoccupa, ma non è la priorità del terrorismo

Partendo dal presupposto che il fine delle azioni sia di provocare la morte del nemico (nel 35% dei casi gli obiettivi sono le forze di sicurezza), tale obiettivo viene raggiunto nel periodo 2004-2021 in media nel 50% dei casi. È però opportuno tenere in considerazione che l’ampio periodo di tempo tende a influire in maniera significativa sul margine di errore; l’evoluzione dell’ultimo periodo preso in esame, 2014-2021, mostrerebbe infatti una tendenza al peggioramento negli effetti ricercati dai terroristi con una prevalenza di attacchi a bassa intensità e un aumento di azioni dall’esito fallimentare, almeno fino al 2019. I risultati degli ultimi sei anni, in particolare, mostrerebbero come il successo a livello tattico sia stato ottenuto, nel 2016, nel 31% dei casi a fronte di un 6% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2017 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 40% e di fallimento del 20%. Un andamento complessivo che, passando dal 33% di successo a livello tattico e un raddoppio degli attacchi fallimentari (42%) nel 2018 e consegnandoci un dato ulteriormente al ribasso del 25% di successo nel 2019, può essere letto come il duplice effetto della progressiva diminuzione della capacità operativa dei terroristi e dell’accresciuta reattività delle forze di sicurezza europee. Ma se l’analisi suggerisce una capacità tecnica che si è effettivamente ridotta, è altresì vero che l’improvvisazione e l’imprevedibilità del nuovo terrorismo individuale ed emulativo ha fatto registrare un nuovo aumento delle azioni di successo, passate dal 32% nel 2020 e al 44% nel 2021.

Negli ultimi sei anni, i dati indicano che nel 2016 il successo tattico è stato ottenuto nel 31% dei casi, mentre il tasso di fallimento si attestava al 6%. Nel 2017, il tasso di successo è aumentato al 40%, accompagnato però da un incremento dei fallimenti, che ha raggiunto il 20%. Nel 2018, si è osservato un 33% di successo tattico, ma con un raddoppio degli attacchi falliti al 42%, seguito da un ulteriore calo del successo al 25% nel 2019. Queste tendenze possono essere interpretate come il risultato di una riduzione della capacità operativa dei terroristi, combinata con una maggiore efficacia delle forze di sicurezza europee.

Nonostante l’analisi indichi una diminuzione della capacità tecnica dei terroristi, è evidente che l’improvvisazione e l’imprevedibilità del nuovo terrorismo individuale ed emulativo hanno determinato un incremento delle azioni riuscite, passando dal 32% nel 2020 al 44% nel 2021.

Il vero successo è a livello operativo: il “blocco funzionale

Anche quando un attacco terroristico risulta fallimentare, riesce comunque a conseguire effetti significativi, come l’impegno straordinario delle forze armate e di polizia, distogliendole dalle normali attività di routine o impedendo loro di intervenire per il bene della collettività. Inoltre, può causare l’interruzione o il sovraccarico dei servizi sanitari, limitare, rallentare, deviare o fermare la mobilità urbana, aerea e navale, e ostacolare il normale svolgimento delle attività quotidiane, commerciali e professionali, con conseguenti danni alle comunità colpite. Questi attacchi riducono inoltre il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo, così come la capacità di resilienza delle società colpite. Infine, indipendentemente dalla presenza di vittime, gli attacchi terroristici infliggono danni diretti e indiretti e, coerentemente, la restrizione delle libertà dei cittadini rappresenta un risultato tangibile che il terrorismo consegue attraverso le proprie azioni.

In altre parole, il terrorismo ottiene successo anche senza causare vittime, poiché riesce a imporre costi economici e sociali alla collettività e a influenzarne i comportamenti nel tempo. Questo avviene attraverso le misure di sicurezza o le restrizioni imposte dalle autorità politiche e di pubblica sicurezza per proteggere la popolazione. Questo effetto viene definito come “blocco funzionale”.

Nonostante la capacità operativa del terrorismo sia in costante diminuzione, il “blocco funzionale” rimane il risultato più significativo ottenuto dai terroristi, a prescindere dal successo tattico, ovvero dall’uccisione di almeno un bersaglio.

Nonostante un successo tattico rilevato nel 34% degli attacchi dal 2004 a oggi, il terrorismo ha dimostrato una notevole efficacia nel raggiungere il “blocco funzionale”, ottenuto in media nell’82% dei casi. Questo dato è salito al 92% nel 2020 e all’89% nel 2021. Considerando le risorse limitate impiegate dai terroristi, questi risultati evidenziano un impressionante rapporto costo-beneficio a favore delle loro operazioni.




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