Il terrorismo jihadista in Europa e le dinamiche mediterranee: evoluzione storica, sociale e operativa in un’era di cambiamenti globali.
di Claudio Bertolotti, Direttore, START InSight
estratto da #ReaCT2024 – Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa
Abstract Questo articolo indaga il terrorismo oltre le definizioni tradizionali, esaminando la sua evoluzione all’interno dei confini dell’Europa geografica, enfatizzando le radici storiche, le motivazioni individuali e collettive, e l’adattamento operativo, condividendo le ragioni alla base di una ormai necessaria revisione della stessa definizione di terrorismo, da intendersi come effetto della violenza, piuttosto che mera azione organizzata per fini politici. Analizzando i dati forniti dal data base START InSight, l’articolo si concentra sui Paesi dell’Unione europea costantemente interessati dalle traiettorie del jihadismo e dalle conseguenti sfide per la sicurezza collettiva, contribuendo al dibattito accademico con una prospettiva multidimensionale sul terrorismo, considerandone gli aspetti storici, socio-politici e culturali.
Keywords Jihadism, blocco funzionale
1. Il terrorismo come fenomeno politico e sociale che si evolve con il tempo e con il mutare delle dinamiche di competizione tra individue, gruppi, stati.
Il terrorismo attuale, ponendo le proprie radici nella profondità di un’evoluzione storica molto complessa, rappresenta una minaccia ideologica diffusa. E la minaccia del terrorismo jihadista è oggi particolarmente rilevante, collegata alle dinamiche storiche, conflittuali, delle relazioni internazionali e della competizione in Medio Oriente, in Africa e alla violenza discendente dalla lettura radicale dell’Islam; una dinamica conflittuale che oggi si associa sempre più spesso alla ricerca di identità di gruppi e individui attraverso l’opposizione culturale di una componente non marginale degli immigrati maghrebini di seconda e terza generazione in Europa. E parliamo di una galassia jihadista frammentata e caratterizzata da diverse ideologie e approcci pratici, tanto da indurre una riflessione sul concetto di terrorismo contemporaneo che si impone come fenomeno sociale molto diverso dai terrorismi che lo hanno preceduto.
Una necessaria riflessione che ci invita a riflettere sull’opportunità di un cambio di paradigma nella stessa definizione di terrorismo, non più da intendere come azione volta ad ottenere risultati politici attraverso la violenza, dunque nelle intenzioni. Bensì come effetto della violenza applicata: è terrorismo la manifestazione di violenza, privo di un’organizzazione alle spalle. È terrorismo nella manifestazione, non nell’organizzazione.
All’interno della stessa galassia jihadista, il terrorismo si impone come strumento di lotta, di resistenza e di prevaricazione, e lo fa con diversi gradi e modelli di violenza: da quella individuale, a quella organizzata, a quella ispirata e ancora al terrorismo insurrezionale che ben abbiamo conosciuto in Afghanistan e in Iraq e, in parte, stiamo osservando nelle sue prime manifestazioni nella Striscia di Gaza dove l’esercito israeliano si confronta con il gruppo Hamas (Bertolotti, 2024).
E proprio l’esperienza afghana, che l’Autore del presente articolo ha avuto modo di studiare da vicino per molti anni, a cui si è sommata l’ondata di violenza conseguente all’appello di Hamas a colpire Israele e i suoi alleati, hanno svolto un ruolo determinante nella ripresa di un terrorismo ispirato ed emulativo a livello globale, che si basa sull’esperienza vittoriosa dei talebani contro l’Occidente, da un lato, e, dall’altro, sulla rabbia veicolata attraverso la strategia comunicativa di Hamas che trova in alcune minoranze ideologizzate occidentali una cassa di risonanza che sovrappone, confondendola, l’agenda violenta e terrorista di Hamas alla legittima istanza palestinese. Eventi sul piano delle Relazioni internazionali che, attraverso la retorica jihadista, sono sfruttati per dimostrare la bontà e la fondatezza del jihad, e dunque del terrorismo come strumento di lotta, di vittoria, di giustizia.
E oggi, dopo e insieme all’Afghanistan, all’Iraq e alla Striscia di Gaza, a svolgere questo ruolo di spinta ideologica e coinvolgimento di massa, sono le dinamiche conflittuali in Medioriente e il terrorismo mediaticamente amplificato di Hamas; da questo discendono le manifestazioni emulative di violenza che il terrorismo ai danni di Israele ha in parte provocato e potrebbe sempre più provocare in Europa come nei paesi del Nord Africa, dell’Africa subsahariana e del Sahel.
2. Trend e dinamiche: calano i numeri, ma la minaccia del terrorismo persiste- un’analisi degli attacchi dal 2014 al 2023.
Guardando agli ultimi cinque anni, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico. Dal 2019 al 2024 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 – dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015).
Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo Hamas, sono stati registrate 206 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2024, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico: 249 i terroristi che vi hanno preso parte (di cui 7 donne, 73 morti in azione), 446 le vittime decedute e 2.558 i feriti (database START InSight).
Sia nel 2023 che nel 2024 sono state registrate 12 azioni jihadiste, in lieve flessione rispetto ai 18 attacchi annuali registrati nel 2022 e 2021, ma con un aumento significativo di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti, che ha portato il dato ad attestarsi sui livelli elevati degli anni precedenti: dal 17% del totale di azioni emulative nel 2022 al 58% nel 2023 (erano il 56% nel 2021). Il 2023 ha inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate, che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo del periodo 2015-2017 (il totale delle azioni nel 2023 e il 97% delle azioni registrate l’anno precedente).
Aumenta l’uso di coltelli e armi improvvisate I terroristi usano sempre più spesso coltelli per una serie di motivi, legati a fattori pratici, ideologici e strategici:
– Facilità di accesso: i coltelli sono facilmente reperibili e non richiedono competenze tecniche avanzate per essere utilizzati. A differenza delle armi da fuoco o degli esplosivi, che possono richiedere una certa logistica o competenze tecniche, i coltelli sono comuni in ogni casa o negozio.
– Discrezione: un coltello può essere portato facilmente senza destare sospetti, a differenza di altre armi più vistose o pericolose. Questo consente di avvicinarsi alle vittime o ai luoghi di attacco senza essere notati immediatamente.
– Effetto di terrore: gli attacchi con coltelli, spesso condotti in spazi pubblici o affollati, hanno un forte impatto psicologico sulla popolazione. La natura ravvicinata e brutale di un attacco con un’arma da taglio amplifica la paura tra i presenti e nei media, creando un forte effetto simbolico.
– Attacchi individuali: negli ultimi anni, molte organizzazioni terroristiche hanno incoraggiato attacchi individuali o “lupi solitari”. Gli attacchi con coltelli sono ideali per questo tipo di azioni, poiché richiedono una pianificazione minima e possono essere condotti da una sola persona, senza la necessità di una rete organizzativa complessa.
– Controllo delle armi: in molti Paesi, le leggi sulle armi da fuoco sono molto severe, rendendo difficile ottenere pistole o fucili. I coltelli, invece, sono meno regolamentati e possono essere acquistati legalmente quasi ovunque.
– Modello d’ispirazione: attacchi con coltelli di successo, come quelli avvenuti in diverse città europee negli ultimi anni, hanno ispirato altri estremisti a replicare questo tipo di azione, seguendo la narrativa che si tratti di un mezzo efficace e relativamente semplice per diffondere terrore. In sintesi, l’uso crescente di coltelli da parte dei terroristi è legato alla loro accessibilità, alla facilità d’uso, alla discrezione e all’efficacia nel creare panico e paura tra la popolazione (Molle, 2024).
3. Il profilo dei terroristi “europei”
Il terrorismo jihadista è un fenomeno a partecipazione prevalentemente maschile: su 295 attentatori il 97% sono di genere maschile (10 le donne); contrariamente al 2020, quando 3 attentatrici presero parte ad azioni terroristiche, il triennio 2021-2023 non ha visto la loro partecipazione diretta.
I terroristi (uomini e donne) identificati i cui dati anagrafici sono stati resi noti hanno un’età mediana di 26 anni: un dato che varia nel corso del tempo (dai 24 nel 2016, ai 30 nel 2019), registrando un aumento dell’età nell’ultimo periodo analizzato che ci consegnando un dato di 28,5 anni nel 2023. Lo studio del profilo dei 200 soggetti di cui abbiamo informazioni anagrafiche sufficienti ha consentito di definire un quadro molto interessante da cui emerge un dato del 7% di terroristi di età inferiore ai 19 anni (con una riduzione dei minori con il trascorrere del tempo), il 38% ha un’età compresa tra i 19 e i 26, il 41,5% tra i 27 e i 35 e, infine, il 13,5% è di età superiore ai 35 anni. Dati che confermerebbero un aumento dell’età media nel corso del tempo nella fascia 19-35 anni a fronte di una riduzione dei minori coinvolti in attacchi terroristici nello stesso periodi di tempo.
Il 93% dei soggetti che hanno portato a compimento un atto terroristico, di cui abbiamo informazioni complete, sono stati portati a termine da “immigrati” (prima, seconda e terza generazione), sia regolari che irregolari. Dei 155 su 237 terroristi analizzati attraverso il database START InSight, il 45% sono immigrati regolari di prima generazione; 28% sono discendenti di immigrati (seconda o terza generazione); gli immigrati irregolari sono il 26%: un dato, quest’ultimo, in crescita che passa al 25% nel 2020, raddoppia con un dato del 50% nel 2021 e cresce fino al 67% nel 2023, con ciò indicando un cambio significativo nella natura dei terroristi tra i quali aumenta la presenza di attentatori di prima generazione (complessivamente il 71% del totale di terroristi). Significativa è anche il dato riferito al 7% di cittadini di origine europea convertiti all’Islam (un dato in lieve flessione rispetto alla media degli anni precedenti). Complessivamente il 73% dei terroristi sono regolarmente residenti in Europa, mentre il ruolo degli immigrati irregolari si impone con un rapporto di circa 1 ogni 4 terroristi (il rapporto era 1:6 fino al 2020). Nel 4% degli episodi è stata riscontrata la presenza di bambini/minori (7) tra gli attaccanti, un dato che ha registrato una diminuzione.
La dimensione etno-nazionale dei terroristi in Europa Il fenomeno della radicalizzazione jihadista in Europa affligge maggiormente alcuni gruppi nazionali ed etnici specifici. Vi è un chiaro rapporto di proporzionalità tra i principali gruppi di immigrati e i terroristi, evidenziato dalla nazionalità dei terroristi o delle loro famiglie di origine, che rispecchia la dimensione delle comunità straniere in Europa. In particolare, prevale l’origine maghrebina: i gruppi etno-nazionali principalmente afflitti dall’adesione jihadista sono quelli marocchino (in particolare in Francia, Belgio, Spagna e Italia) e algerino (in Francia). Il fenomeno della radicalizzazione è stato particolarmente evidente in Belgio e Francia, dove comunità numerose di origine marocchina e algerina hanno visto un numero elevato di giovani aderire a gruppi jihadisti. In Francia, ad esempio, una parte significativa dei terroristi coinvolti negli attentati recenti proveniva da famiglie di origine algerina e marocchina, riflettendo la presenza storica e la dimensione di queste comunità nel paese (Bertolotti, 2023).
Recidivi e terroristi già noti all’intelligence Il ruolo dei recidivi è cresciuto con il trascorrere del tempo, e in conseguenze del loro rilascio dopo periodi di detenzione recentemente conclusi. Si tratta di individui già condannati per terrorismo che hanno portato a compimento azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, anche all’interno delle strutture penitenziarie. Un dato che ci consegna un trend caratterizzato dal 3% di recidivi nel totale dei terroristi che hanno colpito nel 2018 (1 caso), al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020, al 25% (3) nel 2023. Questa situazione conferma la pericolosità sociale di individui che, seppur incarcerati, ritardano l’attuazione di azioni terroristiche. Questo fenomeno suggerisce un incremento della probabilità di attacchi terroristici nei prossimi anni, parallelamente al rilascio di molti detenuti per reati di terrorismo.
START InSight ha evidenziato una tendenza rilevante riguardo le azioni terroristiche compiute da individui già noti alle forze dell’ordine o ai servizi di intelligence europei. Nel 2021, questi casi rappresentavano il 44% del totale, mentre nel 2020 erano il 54%. Questo è un incremento significativo rispetto al 10% registrato nel 2019 e al 17% nel 2018. Un dato che, riferito al 2023, è cresciuto stabilizzandosi al 75%, di fatto confermando le ragioni di preoccupazione delle istituzioni deputate a contrasto del fenomeno violento. I soggetti con precedenti detentivi (anche per reati non associati al terrorismo) nel 2021 hanno confermato una certa stabilità nella partecipazione ad azioni terroristiche da parte di individui con un pregresso carcerario con un dato del 23% nel 2021, in lieve calo rispetto all’anno precedente (33% nel 2020) ma in linea con quello del 2019 (23% nel 2019, 28% nel 2018 e 12% nel 2017); un’evidenza che, pur a fronte di un dato riferito al 2023 decisamente inferiore (8%) confermerebbe l’ipotesi che identifica i luoghi detentivi come spazi di potenziale radicalizzazione e adesione al terrorismo.
4. Quale la reale capacità distruttiva del terrorismo?
Per comprendere il fenomeno del terrorismo in modo realistico, è fondamentale analizzarlo su tre livelli distinti: strategico, operativo e tattico. La strategia riguarda l’utilizzo delle risorse per raggiungere gli obiettivi di lungo termine della guerra. La tattica si concentra sull’uso delle forze in combattimento per ottenere vittorie specifiche in battaglia. Il livello operativo funge da collegamento tra i due, coordinando azioni tattiche per raggiungere gli obiettivi strategici. Questa sintesi, nella sua essenza, sottolinea l’importanza dell’impiego degli uomini nella condotta di azioni militari.
Il successo a livello strategico è marginale Diminuisce – passando dal 16% al 13% – il successo strategico delle azioni terroristiche, ossia l’ottenimento di risultati impattanti sul piano strutturale: blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di ampia portata. Un dato che è comunque da considerare come elevato, considerando il limitato sforzo organizzativo e finanziario da parte dei gruppi, o dei singoli attentatori terroristi. L’andamento nel corso degli anni è stato discontinuo, ma ha messo in evidenza una progressiva riduzione complessiva in termini di capacità ed efficacia: 75% di successo strategico nel 2014, 42% nel 2015, 17% nel 2016, 28% nel 2017, 4% nel 2018, 5% nel 2019, 12% nel 2020 e 6% nel 2021; dal 2022 il successo strategico non viene più ottenuto dagli attacchi terroristici; di fatto confermando un consolidato processo di normalizzazione del terrorismo.
Il trend dell’attenzione mediatica verso gli attacchi terroristici è in calo. A livello strategico, gli attacchi hanno ricevuto l’attenzione dei media internazionali nel 75% dei casi e il 95% a livello nazionale. Le operazioni organizzate dai commando e dai team-raid hanno ottenuto una copertura mediatica completa. Questo successo mediatico ha significativamente influenzato la campagna di reclutamento di aspiranti martiri o combattenti jihadisti, con un picco di reclutamento durante i periodi di maggiore intensità di azioni terroristiche (2016-2017). Tuttavia, l’effetto amplificatore dei media sul reclutamento tende a diminuire nel tempo per due principali motivi: in primo luogo, c’è stata una prevalenza di azioni a “bassa intensità” rispetto a quelle ad “alta intensità”, che sono diminuite, mentre le azioni a bassa e media intensità sono aumentate notevolmente dal 2017 al 2021, pur a fronte di un aumento significativo delle azioni a media intensità nel 2023. In secondo luogo, il pubblico è diventato gradualmente meno sensibile emotivamente alla violenza del terrorismo, specialmente per quanto riguarda gli eventi a bassa e “media intensità”.
Sebbene il livello tattico susciti preoccupazione, non è la priorità per il terrorismo. Partendo dal presupposto che l’obiettivo delle azioni sia provocare la morte del nemico (con le forze di sicurezza come bersaglio nel 35% dei casi), questo è stato raggiunto in media nel 50% dei casi tra il 2004 e il 2023. Tuttavia, l’ampio intervallo di tempo influisce significativamente sul margine di errore. L’analisi del periodo 2014-2023 mostra una tendenza al peggioramento degli effetti desiderati dai terroristi, con una prevalenza di attacchi a bassa intensità e un aumento delle azioni fallimentari, almeno fino al 2022, quando il successo tattico si stabilizza al 33%, coerentemente con i dati del 2016. Il 2023 è in controtendenza.
I dati degli ultimi sei anni evidenziano che nel 2016, il successo tattico è stato ottenuto nel 31% dei casi, con un 6% di atti fallimentari. Nel 2017, il successo è salito al 40%, con un tasso di fallimento del 20%. Nel 2018, il successo è sceso al 33%, mentre gli attacchi falliti sono raddoppiati al 42%. Nel 2019, il successo è ulteriormente calato al 25% per poi risalire al 33% nel 2020-2022. Questo andamento, che può essere interpretato come un duplice effetto della riduzione della capacità operativa dei terroristi e della maggiore reattività delle forze di sicurezza europee, ci consegna però un dato riferito al 2023 pari al 50% di azioni in grado di ottenere un successo tattico, ossia la morte di almeno un obiettivo.
Il vero successo è a livello operativo: il “blocco funzionale” Anche quando un attacco terroristico non riesce, produce comunque un risultato significativo: impegna pesantemente le forze armate e di polizia, distraendole dalle loro normali attività o impedendo loro di intervenire a favore della collettività. Inoltre, può interrompere o sovraccaricare i servizi sanitari, limitare, rallentare, deviare o fermare la mobilità urbana, aerea e navale, e ostacolare il regolare svolgimento delle attività quotidiane, commerciali e professionali, danneggiando le comunità colpite. Questo riduce efficacemente il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo, nonché la capacità di resilienza. In generale, infligge danni diretti e indiretti, indipendentemente dalla capacità di provocare vittime. La limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile ottenuto attraverso queste azioni.
In sostanza, il successo del terrorismo, anche senza causare vittime, risiede nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionare i comportamenti nel tempo in relazione alle misure di sicurezza o limitazioni imposte dalle autorità politiche e di pubblica sicurezza. Questo fenomeno è noto come “blocco funzionale”. Nonostante la capacità operativa del terrorismo sia sempre più ridotta, il “blocco funzionale” rimane uno dei risultati più importanti ottenuti dai terroristi, indipendentemente dal successo tattico (uccisione di almeno un obiettivo). Dal 2004 a oggi, il terrorismo ha dimostrato di essere efficace nel conseguire il “blocco funzionale” nell’80% dei casi, con un picco del 92% nel 2020 e dell’89% nel 2021. Questo risultato impressionante, ottenuto con risorse limitate, conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo, pur a fronte di una rilevata perdita progressiva di capacità che ha visto diminuire l’ottenimento del “blocco funzionale”, sceso al 78% nel 2022 e al 67% nel 2023.
5. La capacità di reclutamento e le strategie operative
Il gruppo Stato islamico, persa la sua capacità territoriale in Siria e Iraq (2013-2017), non ha più la forza di inviare i propri terroristi sul suolo europeo a causa della perdita della capacità di proiezione operativa diretta all’esterno; al contrario, il gruppo non avrebbe perso la potenzialità attrattiva, con ciò dimostrando di aver saputo sviluppare una capacità di reclutamento indiretto basato sul riconoscimento “postumo” degli individui che portano a compimento azioni terroristiche individuali di successo. Per queste ragioni la minaccia rimane significativa, proprio grazie alla presenza e all’azione di attori isolati, spesso improvvisati e spinti dall’emulazione e senza un legame diretto con l’organizzazione.
Mentre il gruppo dello Stato Islamico continua a imporsi su un piano ideologico come la principale minaccia jihadista, in particolare sfruttando il controllo territoriale e le disponibilità finanziarie del proprio franchise afghano Stato islamico Khorasan, è però assodato come sia incapace di riproporre il travolgente richiamo che ebbe il “califfato” nel periodo 2014-2017, poiché sarebbero venuti meno il vantaggio della novità, e di conseguenza l’appeal, che ne costituiva il punto di forza, in particolare nei confronti dei più giovani. Inoltre, sia dal punto di vista legislativo che sul piano operativo, l’Unione europea ha saputo ridurre in maniera rilevante le proprie vulnerabilità, sebbene con maggiore prevalenza in termini di contrasto al terrorismo rispetto all’azione preventiva.
Permangono, nel complesso segnali di preoccupazione legati agli effetti emulativi e alla “chiamata alla guerra” connessa a eventi sul piano internazionale in grado di indurre singoli soggetti ad agire in nome del jihad: l’evento più importante nel 2021, che ha dato e continuerà a dare un impulso agli effetti del jihad transnazionale è stata la vittoria dei talebani in Afghanistan che, da un lato ha alimentato la variegata propaganda jihadista attraverso il messaggio della “vittoria come risultato della lotta continua” e, dall’altro lato, ha dato vita a una forma di competizione dei “jihad” tra gruppi impegnati in forme di lotta e resistenza esclusivamente locali e chi, come lo Stato islamico, recepisce e propone il jihad esclusivamente come strumento di lotta a oltranza a livello globale. In tale dinamica competitiva si sono inserite le azioni associate alla guerra IsraeleHamas e all’appello jihadista a colpire attraverso azioni di violenza, in cui gli adepti dello Stato islamico e i musulmani votati alla causa di Hamas si sono contesi i successi sul campo di battaglia e la conseguente attenzione mediatica.
In tale quadro complessivo e in continua evoluzione, dobbiamo continuare a prestare attenzione alla forza jihadista nel continente africano, in particolare le aree dell’Africa sub-sahariana, il Sahel, il Corno d’Africa e, ancora, il Ruanda e il Mozambico, al fine di contrastare l’emergere in questo continente di nuovi “califfati” o “wilayat” che potrebbero minacciare direttamente l’Europa.
Nella prolifica propaganda jihadista, lo Stato Islamico si vanta della propria diffusione nel continente africano, in un rapporto di competizione collaborativa con il proprio franchise afghano, e pone in evidenza come l’obiettivo di contrastare la presenza e la diffusione del cristianesimo porterà il gruppo a espandersi in altre aree del continente. Se altrove, come nel Maghreb, nel Mashreq e in Afghanistan l’attività dello Stato islamico è incentrata sulla lotta settaria intra-musulmana, in Africa la sua presenza si è ormai impone come parte di un conflitto tra musulmani e cristiani, rafforzata da una propaganda che insiste sulla necessità di fermare la conversione dei musulmani al cristianesimo attuata attraverso i “missionari” e “il pretesto” degli aiuti umanitari. In tale quadro si inseriscono le violenze, i rapimenti e le uccisioni di religiosi missionari, attacchi contro le Organizzazioni non governative (Ong) e le missioni internazionali, dal Burkina Faso al Congo e, ancora, gli attacchi alle comunità cristiane.
6. Dal Nord Africa al Sahel: uno sguardo al terrorismo “mediterraneo”
Guardando al nord Africa, la regione continua ad affrontare le minacce di gruppi terroristici affiliati ad alQa’ida nel Maghreb islamico (AQIM); lo Stato Islamico; e i combattenti terroristi stranieri (FTF) che si sono recati in Iraq o in Siria. Il ritorno inosservato di questi reduci nei loro paesi d’origine dopo la sconfitta territoriale dello Stato islamico pone ulteriori sfide alla sicurezza. Inoltre, negli ultimi anni, attori solitari e piccole cellule hanno compiuto una serie di attacchi mortali in diversi Stati nordafricani e si sono dimostrati difficili da individuare.
Il Sahel sta diventando un nuovo centro del terrorismo jihadista, con un aumento significativo delle vittime in questa regione nel 2023, ma nel complesso, l’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) ha visto una diminuzione del 42% delle vittime negli ultimi tre anni. Il Nord Africa in particolare sta assistendo a una costante riduzione della violenza estremista, riportando il numero di attacchi violenti ai livelli pre-IS. Nel 2022, il Nord Africa ha registrato una diminuzione di 14 volte delle vittime rispetto al 2015, con il Marocco classificato come il paese più sicuro nella regione, mentre l’Egitto è tra i paesi più colpiti dal terrorismo. La Libia, l’Algeria e la Tunisia si collocano tra i due estremi con un impatto medio-basso del terrorismo.
Il Sahel e il Maghreb sono fortemente connessi politicamente, economicamente e in termini di sicurezza. La presenza di gruppi terroristici che sfruttano tensioni etniche, sfide climatiche e mancanza di servizi pubblici ha trasformato questa regione in un centro di attività jihadiste, con il rischio di diffondere la minaccia terroristica verso altre aree. L’instabilità nel Sahel ha già influenzato l’Africa occidentale e i paesi costieri del Golfo di Guinea, dove gruppi affiliati ad al-Qaeda sono attivi. Questa situazione potrebbe anche coinvolgere il Nord Africa, mettendo a rischio i progressi ottenuti in materia di prevenzione, antiterrorismo e de-radicalizzazione in alcuni paesi della regione.
Ora, guardando ai paesi del nord africa come paesi di emigrazione, ancora di più, come paesi di transito dei flussi migratori verso l’Europa, si pone la questione della possibile contaminazione jihadista o del suo trasferimento. Un ragionamento che impone di osservare l’evoluzione di un fenomeno in fase di evidente consolidamento e che trova nell’area mediterranea quella che è a tutti gli effetti un’inesauribile linfa vitale.
Claudio Bertolotti, è Dottore di ricerca (Ph.D.), Direttore Esecutivo di START, è stato dal 2014 al 2023 ricercatore senior presso “5+5 Defense Initiative”. Laureato in Storia contemporanea e specializzato in Sociologia dell’Islam, ha conseguito un dottorato in Sociologia e Scienza politica, con un focus sulle Relazioni Internazionali. Dal 17 aprile 2019 è Direttore Esecutivo di ReaCT – Osservatorio nazionale sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (Roma-Milano-Lugano). Dal 30 settembre 2021 è membro del Comitato per i diritti umani e civili presso il Consiglio della Regione Piemonte. È autore, tra gli altri, di Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale (START InSight, 2024), Immigrazione e terrorismo (START InSight, 2020), Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga (CASD, 2019), Shahid. Analisi del terrorismo suicida in Afghanistan (FrancoAngeli ed. 2010).
Bibliografia
Bertolotti, C. (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight ed., Lugano.
Bertolotti, C. (2023), L’evoluzione del terrorismo in Europa: terrorismo di sinistra, destra, anarchico, individuale, e il ruolo degli immigrati nel terrorismo jihadista all’interno dell’Unione Europea (Analisi di correlazione e regressione), in #ReaCT2023, 4° Rapporto sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa, START InSight ed., Lugano, ISBN 978-88-322-94-18-7, ISSN 2813-1037 (print), ISSN 2813-1045 (online)
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