Siria: al-Jolani verso Damasco. Le preoccupazioni di Iran, Russia e Israele.
di Claudio Bertolotti.
Dall’intervista di Francesco De Leo a Radio Radicale – Spazio Transnazionale (puntata del 7.12.2024): vai all’intervista radio (AUDIO).
Abu Mohammed al-Jolani, nato con il nome Ahmed Al Sharaa, è il leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), gruppo armato attivo nella guerra civile siriana e tuttora designato dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica. Originariamente affiliato ad al-Qa’ida e noto come capo di Jabhat Al Nusra, Jolani ha esordito come jihadista radicale, inviato in Siria nel 2011 con fondi e sostegno di Abu Bakr al-Baghdadi, futuro leader dell’ISIS, per stabilire la filiale siriana del network qaedista.
Nel corso degli anni ha trasformato la propria immagine e la propria strategia. In un primo momento ha annunciato la separazione formale da Al Qaeda, per poi concentrarsi principalmente sul rovesciamento del regime di Bashar al-Assad e sul controllo di aree chiave come la provincia di Idlib. Questa “rottura” è stata ampiamente vista come mossa tattica, volta a evitare gli attacchi internazionali diretti contro le formazioni jihadiste transnazionali.
Parallelamente, Jolani ha anche cambiato l’aspetto e la retorica pubblica: dalla mimetica è passato a indossare giacca e camicia in stile occidentale, presentandosi come un rivoluzionario siriano moderato, impegnato in una lotta contro il regime di Damasco anziché a una guerra globale contro l’Occidente. Durante interviste recenti, ha minimizzato riferimenti al jihad globale, puntando invece sulla “liberazione” della Siria e sul ruolo di HTS come forza locale, impegnata a garantire sicurezza e amministrazione a milioni di persone in aree sotto il suo controllo.
Nonostante questa strategia di rebranding e il tentativo di mostrarsi come un interlocutore più pragmatico, Jolani rimane un personaggio estremamente controverso e indubbiamente legato allo jihadismo insurrezionale, di cui oggi è uno dei principali leader. Alle spalle ha un passato profondamente radicato nelle reti jihadiste internazionali, ed è a capo di un’organizzazione che resta considerata terroristica da Washington. Il suo percorso è quindi quello di un leader che cerca di distanziarsi dall’estremismo transnazionale per guadagnare legittimità locale e, possibilmente, internazionale, presentandosi come un attore politico rivoluzionario più che come un leader jihadista.
La situazione sul campo
I gruppi islamisti stanno avanzando verso Damasco con il sostegno turco e assediano Homs, snodo strategico verso il Mediterraneo e roccaforte del regime.
Mentre a Doha è previsto un incontro fra Russia, Turchia e Iran per negoziare una possibile transizione politica che escluda Assad, sul campo le forze filoiraniane sembrano ritirarsi, la Russia appare indebolita, non più proattiva, mentre l’ONU registra una massiccia ondata di sfollati.
Il leader ribelle al Jolani rivendica il diritto a usare ogni mezzo contro il regime, ma promette di non perseguitare le minoranze. Vedremo.
Da parte sua, il felice e preoccupante presidente turco Recep Tayyip Erdogan annuncia apertamente Damasco come prossimo obiettivo, mentre l’Iran, la Siria e l’Iraq si dichiarano uniti nella lotta al “terrorismo”.
Nel sud del Paese, gruppi antigovernativi si spostano verso nord, conquistando facilmente posizioni lasciate dai lealisti, e le comunità druse di Suwayda stanno creando una regione semi-autonoma.
Intanto, il Libano chiude i confini per timore di un contagio del conflitto e proseguono scontri tra forze filo-turche e milizie curde.
Preoccupazioni di Iran e Israele (e Mosca)
Certo è che, nella situazione attuale, questo è un problema sia per l’Iran, oltre che per la Russia, ma anche per Israele: tutti guardano con grande preoccupazione a quanto sta accadendo. Se per Mosca è un grande problema legato alla capacità di muovere all’interno del Mediterraneo con la propria marina, per Teheran è una quesitone di tenuta complessiva dell’Asse della resistenza poiché la caduta siriana potrebbe precludere il collegamento vitale con il Libano, e dunque con Hezbollah. E forse gli accordi di Doha sono intesi a trovare una soluzione mediata che consenta all’Iran di mantenere il controllo di una striscia di territorio siriano funzionale proprio al collegamento con Hezbollah.
E per Israele? Israele è molto preoccupata perché la presenza di un regime siriano debole è la condizione migliore mentre la caduta della Siria sotto il controllo degli islamisti potrebbe aprire un fronte di ulteriore instabilità ai confini israeliani. Senza dimenticare che “al-Jolani” prende il suo nome dal Golan, attualmente occupato da Israele, e la sua posizione è sempre stata apertamente anti-occidentale e anti-israeliana.