AMERICA FIRST- Il piano economico dell’amministrazione Trump 2025
di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti
giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato (US)
Qualche giorno fa a New York, il ministro del Tesoro statunitense Scott Bessent ha illustrato le principali politiche economiche del governo Trump davanti a esperti di economia e finanza. L’obiettivo centrale è quello di superare la grave crisi finanziaria che ancora colpisce il Paese, nonostante la sua grande ricchezza.
“America First”, ha spiegato Bessent, non riguarda solo politica interna o internazionale, economia o sicurezza nazionale. È piuttosto un piano completo che punta a migliorare la vita di ogni americano attraverso tre priorità fondamentali, coordinate dal Dipartimento del Commercio e del Tesoro. La base di questo piano è una nuova politica fiscale.
Politica interna
La parola chiave è deregolamentazione, cioè ridurre le regole inutili nel settore finanziario per accelerare la ripresa economica. Secondo l’amministrazione Trump, le regole attuali sono eccessive e non sempre efficaci. Un recente decreto presidenziale obbliga le principali autorità finanziarie (Federal Reserve, FDIC e OCC) a far revisionare le proprie regole dall’Ufficio di Gestione e Bilancio, per garantire più controllo e responsabilità.
Secondo Bessent, la crisi bancaria del 2023, in particolare il fallimento della Silicon Valley Bank, è nata proprio a causa della scarsa supervisione. Chi doveva controllare non ha compreso in tempo i rischi che la banca stava assumendo, e non è intervenuto con decisione per risolverli.
L’agenda del governo prevede quindi una revisione completa delle priorità nella supervisione bancaria. La cultura delle banche deve cambiare: meno attenzione alla burocrazia formale e più concentrazione sui rischi reali. Questo cambiamento sarà promosso dal Financial Stability Oversight Council (FSOC) e dal Working Group on Financial Markets, creando un migliore dialogo tra le banche, i regolatori e il Tesoro.
Secondo Bessent, le grandi banche americane oggi soffrono di troppe regole inefficienti e poco chiare. La sua proposta è di semplificare e aggiornare queste norme. Ad esempio, il regolamento sul rapporto di leva finanziaria rischia di limitare inutilmente anche l’utilizzo degli investimenti più sicuri, come i titoli di stato americani.
Bessent si è focalizzato sul successo delle piccole banche, che ad oggi sono solo 4.000, ma svolgono un ruolo significativo nell’economia degli Stati Uniti, nonostante detengano solo il 15% degli asset e depositi d’industria. Queste banche rappresentano il 40% dei prestiti alle piccole imprese, il 70% dei prestiti agricoli e il 40% dei prestiti immobiliari commerciali. Sfortunatamente, sono state sovraccaricate, dice Bessent, da requisiti di reporting improduttivi, regolamentazioni assai gravose, che hanno poco a che fare con la riduzione del rischio finanziario materiale. Dice Bessent: “è necessario migliorare l’efficienza e l’efficacia nel nostro settore finanziario, concentrandoci su attività domestiche sottoscritte, riducendo l’indebitamento del settore pubblico e facendo leva sul settore privato. Ciò comporterà una rivitalizzazione intelligente delle nostre istituzioni finanziarie regolate”.
Queste politiche economiche hanno suscitato molte critiche da diversi settori. La proposta di ridurre il deficit federale al 3% del PIL è stata accolta con preoccupazione, poiché per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessarie ingenti riduzioni dei programmi sociali, come Medicaid, e un aumento delle tasse sui beni importati, penalizzando le famiglie a basso e medio reddito. Inoltre il sostegno alla deregolamentazione del settore finanziario, mirato a stimolare la crescita economica, ha suscitato preoccupazioni circa l’instabilità finanziaria, simile a quella che ha preceduto la crisi del 2008. La riduzione della supervisione potrebbe aumentare i rischi legati agli eccessi del settore bancario e a un rischio sistemico maggiore, per non parlare della proposta di coordinare la politica monetaria con misure fiscali per influenzare i tassi di interesse a lungo termine. La paura è che questa politica destabilizzi i mercati finanziari.
La proposta di ridurre il deficit federale al 3% del PIL è stata accolta con preoccupazione, poiché per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessarie ingenti riduzioni dei programmi sociali, come Medicaid, e un aumento delle tasse sui beni importati, penalizzando le famiglie a basso/medio reddito.
- Politica commerciale
- Sul fronte internazionale, l’agenda economica del presidente Trump si basa su tre fattori principali: Annullare le tariffe, creando un equilibrio nel commercio internazionale tra importazioni ed esportazioni.
- Riportare la produzione manifatturiera negli Stati Uniti, riducendo così la dipendenza economica da paesi esteri come Cina, Canada e Messico. Sebbene questo processo richiederà tempo, l’obiettivo è ridurre gradualmente la delocalizzazione produttiva avvenuta negli ultimi decenni.
- Rivedere gli accordi commerciali e militari, integrando politica militare, economica e politica estera, anziché trattarle come ambiti separati. Secondo l’amministrazione Trump, la spesa militare, infatti, non garantisce una crescita economica sana e sostenibile. Diversi economisti sostengono questa visione, tra cui James K. Galbraith, che considera la spesa militare improduttiva rispetto agli investimenti civili; Norman Angell, che già nel 1909 spiegava nel suo saggio “La grande illusione” che il potere militare non genera benessere economico duraturo; e John Maynard Keynes, che nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” evidenziava come le spese pubbliche produttive siano preferibili rispetto alla costruzione di armamenti per sostenere una crescita economica stabile.
Secondo l’amministrazione Trump, la spesa militare non garantisce una crescita economica sana e sostenibile. In quest’ottica, gli Stati Uniti non intendono più sovvenzionare altri paesi Nato, concentrando invece le risorse verso lo sviluppo produttivo interno e nuove relazioni commerciali.
In quest’ottica, gli Stati Uniti non intendono più sovvenzionare altri paesi Nato, concentrando invece le risorse verso lo sviluppo produttivo interno e nuove relazioni commerciali. Non possiamo dare torto al ministro del Tesoro quando afferma “ gli Stati Uniti sono anche consumatori di prima e ultima istanza. Questo sistema non è sostenibile”. E come stoccata alla Cina, dice: “ L’accesso a beni a basso costo non è l’essenza del sogno americano. Il sogno americano riguarda la mobilità sociale, la sicurezza economica e l’opportunità di raggiungere la prosperità. Le relazioni economiche internazionali che non funzionano per il popolo americano devono essere riesaminate. Questo è ciò che le tariffe sono progettate per affrontare: livellare il campo di gioco affinché il sistema commerciale internazionale premi l’ingegnosità, la sicurezza, lo stato di diritto e la stabilità, invece di sopprimere i salari, manipolare le valute, rubare proprietà intellettuali e introdurre regolamenti draconiani. Gli Stati Uniti risponderanno a pratiche dannose, incluse leggi ingiuste, politiche governative che minano la concorrenza globale e manipolazione delle valute”.
Ancora una volta Trump e Bessent hanno definito impropriamente queste multe come “tariffe”. L’Unione Europea ha sanzionato Google per pratiche anticoncorrenziali relative al suo servizio di shopping online, accusandola di privilegiare i propri prodotti rispetto a quelli della concorrenza, limitando così la libertà di scelta dei consumatori.
L’accesso a beni a basso costo non è l’essenza del sogno americano. Il sogno americano riguarda la mobilità sociale, la sicurezza economica e l’opportunità di raggiungere la prosperità.
Scott Bessent, segretario al Tesoro statunitense
In realtà, si tratta di sanzioni applicate sulla base di precise normative europee a tutela della privacy e della libera concorrenza. L’Europa, attraverso regolamenti come il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), ha tracciato una netta linea di difesa—una sorta di “linea Maginot”—che limita il potere delle grandi piattaforme digitali, impedendo loro di prevalere sugli interessi dei singoli cittadini. Il DMA, in particolare, identifica grandi aziende tecnologiche come Alphabet (Google), Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft, definendole “gatekeeper” e imponendo loro obblighi specifici per garantire un mercato equo e competitivo.
Parlando poi di sicurezza militare Bessent afferma: “La sicurezza economica è la sicurezza nazionale. Questo è evidente nelle azioni di sanzione del Tesoro degli Stati Uniti. Nel suo discorso dello scorso settembre, il presidente Trump ha espresso il suo parere che l’uso eccessivo delle sanzioni potrebbe influenzare la supremazia del dollaro. Sono d’accordo e aggiungo che, come l’uso eccessivo di antibiotici, l’obiettivo diventa immune e muta. Le sanzioni che non sono monitorate con attenzione creano semplicemente nuovi mercati che devono essere sanzionati a loro volta, e il ciclo continua. Un fattore importante che ha permesso alla macchina da guerra russa di continuare è stata la debolezza delle sanzioni sull’energia russa da parte dell’amministrazione Biden, causata dalle preoccupazioni per l’aumento dei prezzi dell’energia negli Stati Uniti durante una stagione elettorale. Questa amministrazione ha mantenuto in atto le sanzioni potenziate e non esiterà ad andare fino in fondo se ciò fornirà leva nelle negoziazioni di pace. La guida del presidente Trump sulle sanzioni è chiara: saranno utilizzate in modo esplicito e aggressivo per un impatto massimo e saranno monitorate con attenzione per garantire che raggiungano obiettivi specifici.”
Sebbene il piano economico “America First” abbia il merito di riportare l’attenzione sulla centralità dell’economia domestica, alcuni suoi aspetti andrebbero rivisti con cautela per evitare conseguenze indesiderate sul piano economico e sociale, sia nazionale che internazionale
In conclusione, il piano economico “America First” proposto dall’amministrazione Trump presenta alcune idee interessanti, come la volontà di riportare la manifattura negli Stati Uniti e di semplificare alcune regolamentazioni finanziarie considerate troppo burocratiche. Tuttavia, molte delle soluzioni proposte, in particolare la forte deregolamentazione e la riduzione drastica del deficit federale, sollevano preoccupazioni concrete. Da un lato, c’è il rischio che l’allentamento delle regole bancarie possa portare nuovamente a crisi finanziarie, come già avvenuto nel 2008 e nel 2023. Dall’altro, la riduzione dei programmi sociali per contenere il deficit potrebbe aggravare le disuguaglianze economiche e sociali negli Stati Uniti.
Sul fronte internazionale, il desiderio di riportare la manifattura negli USA e rivedere i rapporti commerciali e militari evidenzia una presa di coscienza della vulnerabilità economica del paese, e rappresenta un tentativo ambizioso e positivo di ridare impulso alla produzione nazionale. Tuttavia, questa strategia richiederà tempo, investimenti mirati e relazioni diplomatiche attente.
Infine, la posizione di Trump e Bessent rispetto alle sanzioni europee verso le grandi aziende tecnologiche appare semplicistica e rischia di creare inutili tensioni. Non riconoscere la differenza tra “tariffe” e sanzioni antitrust indica una possibile incomprensione delle normative europee, che sono volte a tutelare la concorrenza e i diritti dei cittadini.
In sintesi, sebbene il piano economico “America First” abbia il merito di riportare l’attenzione sulla centralità dell’economia domestica, alcuni suoi aspetti andrebbero rivisti con cautela per evitare conseguenze indesiderate sul piano economico e sociale, sia nazionale che internazionale.
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