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Corso ISPI “Prevenire la guerra: quale modello di Difesa?”

Il nuovo corso dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI, Milano) avrà luogo il 7 e l’8 marzo 2025

Chi si iscrive entro il 15 dicembre 2024 può beneficiare della quota agevolata

LINK PER L’ISCRIZIONE

“In un mondo sempre più complesso e interconnesso, comprendere le dinamiche della difesa è cruciale per garantire la sicurezza e la stabilità internazionale. Questo corso si propone di esplorare i modelli di difesa più attuali, analizzando sia le realtà nazionali che le prospettive europee.”

Vedi qui la presentazione completa del corso e dei suoi contenuti

PROGRAMMA DEL 7 MARZO 2025

9.00-10.00

La Difesa italiana

Struttura, costi, funzionamento e impiego

Claudio Bertolotti, START InSight e ISPI

10.00-11.00

La Difesa integrata europea

Lo Strategic Compass tra ambizioni e criticità

Claudio Bertolotti

11.15-12.15

Il concetto strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa

Claudio Bertolotti

12.15-13.15

Lo sviluppo di un’Europa della Difesa tra ambizioni e criticità

Sonia Lucarelli, Università degli studi di Bologna

14.15-15.15

Il ruolo della NATO nella Difesa europea

Una prospettiva politica

Sonia Lucarelli

15.15-16.15

La dimensione cyber della Difesa I

Giampiero Giacomello, Università di Bologna

16.30-17.30

La dimensione cyber della Difesa II

Giampiero Giacomello

PROGRAMMA DELL’8 MARZO 2025

9.00-10.00

La politica industriale della Difesa I

Nicolò Petrelli, Università degli studi Roma tre

10.00-11.00

La politica industriale della Difesa II

Nicolò Petrelli

11.15-12.15

Gli attori privati come componente integrata della Difesa I

Stefano Ruzza, Università degli studi di Torino

12.15-13.15

Gli attori privati come componente integrata della Difesa II

Stefano Ruzza


Il caos come arma. Esplorare l’accelerazionismo militante, dall’estrema sinistra all’estrema destra

di Andrea Molle, Chapman University, Professore Associato

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Abstract
L’accelerazionismo militante è definito dall’Accelerationism Research Consortium come un insieme di strategie volte a esacerbare le divisioni sociali per accelerare il collasso della società, attraverso mezzi spesso violenti. Questo fenomeno non è limitato a un’unica ideologia politica, essendo presente sia nell’estrema destra che nell’estrema sinistra, sebbene con manifestazioni differenti. L’accelerazionismo di estrema destra si oppone principalmente all’uguaglianza, vista come una minaccia all’ordine sociale naturale, e cerca di precipitare il crollo delle democrazie liberali, utilizzando la polarizzazione e la violenza politica. Dal punto di vista geopolitico, nazioni come Russia e Cina potrebbero sostenere tali movimenti per destabilizzare l’Occidente e minare la legittimità del modello democratico liberale, rafforzando le proprie posizioni autoritarie. L’accelerazionismo di estrema sinistra, invece, trae origine dal marxismo, con l’obiettivo di accelerare la caduta del capitalismo per innescare una rivoluzione proletaria. Queste dinamiche rappresentano una minaccia crescente per la sicurezza internazionale, poiché sfruttano le tensioni interne e le divisioni sociali per promuovere l’instabilità globale.

Keywords
Accelerationism, Far-left, Far-right, Manosphere, Radicalization, Societal collapse

Introduzione

L ’Accelerationism Research Consortium, un’iniziativa di ricerca specializzata nello studio dell’accelerazionismo militante, lo definisce come un insieme di tattiche e strategie volte a intensificare le divisioni sociali latenti, spesso attraverso mezzi violenti, al fine di accelerare il collasso della società. L’accelerazionismo non si allinea necessariamente con una specifica ideologia politica e può essere osservato sia nell’estrema sinistra che nell’estrema destra dello spettro politico, tuttavia, l’uno e l’altro si presentano con aspetti differenti. L’accelerazionismo militante di estrema destra non si preoccupa di criticare ad esempio il post-colonialismo, ma si concentra piuttosto sul contrastare il tema dell’uguaglianza, che è percepito come una manifestazione del decadimento sociale e una minaccia all’ordine sociale basato sulla disuguaglianza, che si considera invece ispirata all’ordine naturale. Per salvaguardare o ripristinare questo “ordine naturale”, l’accelerazionismo militante di estrema destra cerca pertanto di creare condizioni che facilitino il crollo del sistema liberale e democratico esistente. Ad esempio, lo scontro razziale viene usato come piattaforma per l’azione politica, con l’obiettivo di accelerare la caduta delle società liberali e capitaliste. La sua strategia principale prevede la diffusione di ideologie politiche contraddittorie e problematiche attraverso vari mezzi, come la promozione della polarizzazione o l’impegno nella violenza politica per creare emergenze e crisi sociali, con l’obiettivo di impedire il funzionamento delle istituzioni sociali.

Dal punto di vista delle relazioni internazionali e degli studi sulla sicurezza, è evidente che questo obiettivo è in linea con gli obiettivi di nazioni ostili. Si ritiene, per esempio, che Russia e Cina siano interessate per motivi strategici a sostenere l’accelerazionismo militante, indipendentemente dal suo allineamento ideologico o politico. In primo luogo, favorire il caos e la divisione all’interno delle nazioni occidentali serve a minarne la stabilità e l’influenza globale, rafforzando così potenzialmente la posizione di Russia e Cina sulla scena mondiale. Esacerbando le tensioni sociali e le polarizzazioni esistenti, questi paesi possono creare distrazioni per i governi occidentali, distogliendo la loro attenzione e le loro risorse da questioni globali come l’Ucraina o Taiwan. In secondo luogo, sostenere i gruppi accelerazionisti è in linea con l’obiettivo più ampio di contrastare il modello democratico liberale occidentale. Promuovendo ideologie estremiste che rifiutano le norme e le istituzioni democratiche, questi paesi cercano di delegittimare i valori occidentali e indebolire l’attrattiva della democrazia come sistema politico e sociale. Questa strategia può contribuire a rafforzare la legittimità dei regimi autoritari, presentandoli come una solida alternativa alle democrazie occidentali. Inoltre, favorire il conflitto interno nei paesi occidentali può fungere da forma di ritorsione o deterrenza contro la percepita interferenza occidentale negli affari interni di Russia e Cina. Sostenendo l’accelerazionismo militante, questi paesi possono reagire contro le sanzioni occidentali, le critiche agli abusi dei diritti umani, o il sostegno ai movimenti di opposizione. Inoltre, evidenziando le divisioni interne e i disordini sociali nelle nazioni occidentali, Russia e Cina possono dissuadere i governi occidentali dall’intervenire nei loro affari interni o dal perseguire politiche estere aggressive contro di loro.

1. Accelerazionismo militante di estrema sinistra
Il concetto di accelerazionismo ha origine in seno al marxismo, nella convinzione che intensificando le forze distruttive del sistema capitalistico si possa ottenerne la distruzione finale e la successiva liberazione, attraverso la rivoluzione proletaria. Il terrorismo di sinistra che si avvale di un impianto ideologico accelerazionista, prescrive l’uso o la minaccia della violenza da parte di entità subnazionali che si oppongono al capitalismo, all’imperialismo e al colonialismo. Questa tendenza si manifesta anche nei movimenti di difesa dei diritti ambientali o degli animali, o ancora in quelli che sostengono sistemi sociali e politici decentralizzati, come l’anarchismo. In termini di incidenti, il numero di incidenti mortali attribuiti a ideologie di estrema sinistra varia nel tempo. Il picco globale della violenza rivoluzionaria accelerazionista di sinistra si è verificato durante gli anni ’60 e ’70. Tuttavia, fino al 2012, il numero degli eventi terroristici di estrema sinistra è di circa quattro volte quello degli eventi di estrema destra. Negli ultimi anni, in particolare nel 2019 e nel 2020, il numero di incidenti di estrema destra e di estrema sinistra è stato più o meno uguale. In tempi più recenti, la situazione ha iniziato a differire tra Europa e Stati Uniti. In Europa gli attacchi dell’estrema sinistra hanno ripreso ad
essere più diffusi, e in particolare quelli mirati ad attaccare organizzazioni di destra. Ad esempio, le organizzazioni tedesche come Engel – Guntermann e Hammerbande si concentrano chiaramente nel prendere di mira gli estremisti di destra, o individui percepiti come tali. Tuttavia, c’è un notevole cambiamento nel loro approccio, poiché sono sempre più impegnati in attività che vanno oltre i conflitti locali con l’ambiente estremista di destra. Gli analisti suggeriscono anche un aumento dei legami con gruppi esterni. Questa interconnessione tra le reti estremiste di sinistra in Europa ha il potenziale per influenzare le loro strategie e gli obiettivi specifici che scelgono.

Negli Stati Uniti, secondo l’Anti-Defamation League, solo il 6% delle 443 vittime di estremisti registrate tra il 2012 e il 2021 erano motivate ideologie di estrema sinistra. In confronto, il 75% era connesso a convinzioni di estrema destra e il 20% a convinzioni islamiste. È importante notare che tutte le vittime delle ideologie di estrema sinistra negli Stati Uniti erano motivate dal nazionalismo nero, che l’ADL classifica come estremismo di sinistra. Nel complesso, la minaccia violenta rappresentata dagli estremisti di sinistra negli Stati Uniti rimane relativamente piccola, mentre in Europa è in aumento. La tendenza è stata confermata da diverse autorità. Ad esempio, il Terrorism Situation and Trend Report (TE-SAT) riporta che l’80% degli attacchi eseguiti con successo nel 2022 sono stati compiuti da gruppi terroristici di sinistra e anarchici.

A livello globale, i movimenti affiliati alle ideologie di estrema sinistra includono gruppi Antifa, nonché gruppi che si occupano di questioni ambientali. Ci sono anche vari media alternativi di estrema sinistra, come The Grayzone o Breakthrough News, e organizzazioni come il Partito per il Socialismo e la Liberazione o il Partito Mondiale dei Lavoratori. Queste entità possono occasionalmente esprimere simpatia per regimi autoritari percepiti come ostili all’Occidente e abbracciare teorie del complotto. Anche se queste piattaforme potrebbero non sostenere apertamente la violenza, i loro contenuti e le loro campagne sostengono attivamente ideologie autoritarie all’interno del pubblico mainstream, erodendo così la credibilità dei difensori dei diritti umani e della democrazia e promuovendo la polarizzazione.
The Grayzone, un media di estrema sinistra, esemplifica questa tendenza preoccupante. Fondata nel 2015 dal giornalista Max Blumenthal poco dopo
un viaggio a Mosca, questa piattaforma mediatica adotta costantemente una posizione apparentemente antimperialista, difendendo spesso il presidente siriano Bashar al-Assad, Vladimir Putin e il venezuelano Maduro per la loro presunta resistenza contro il dominio degli Stati Uniti. Inoltre, si nega il genocidio uiguro e gli attacchi con gas chimici in Siria. Lo stesso Blumenthal ha partecipato a manifestazioni anti-lockdown e antivaccini e attualmente svolge un ruolo molto attivo nel movimento pro-Hamas/pro-palestinese, che rappresenta una nuova sfida significativa e allarmante per la sicurezza nazionale.

L’uso di Internet da parte dell’accelerazionismo militante di estrema sinistra L’esplorazione della cultura online di estrema sinistra è un argomento spesso trascurato. Questa particolare fazione, che esiste ai margini della sinistra più ampia, si posiziona contro varie ideologie e gruppi come l’alt-right, la correttezza politica, i social justice warriors e le posizioni centriste e liberal-democratiche. Nonostante le sue radici ideologiche e la tendenza della sinistra a disprezzare la cultura popolare online, impiega tattiche simili a quelle dell’alt-right online, compreso l’uso dell’umorismo, dei meme, del trolling su Twitter e dell’aperta ostilità. Tuttavia, rimane saldamente radicato nell’ideologia progressista di sinistra. Indicato con vari nomi come “alt-left”, “volgar left” o “Dirtbag Left”, l’origine di questo movimento è attribuita ad Amber Frost, scrittrice, podcaster e attivista con sede a Brooklyn. Il suo podcast Chapo Trap House, strettamente associato a questo movimento, utilizza comicità e ironia in uno stile da atleta shock, criticando allo stesso tempo sia il partito democratico che quello repubblicano. Altri media e individui collegati alla sinistra sporca includono TrueAnon e Red Scare, anch’essi vagamente associati al movimento BlueAnon, una controparte di sinistra del noto fenomeno QAnon.

2. Accelerazionismo militante di estrema destra
Inizialmente, l’accelerazionismo militante non era principalmente associato all’estremismo di estrema destra. Tuttavia, si è fatto strada gradualmente in questo
ambiente attraverso due vie significative. In primo luogo, negli anni ’90, il filosofo britannico Nick Land sviluppò una versione libertaria dell’accelerazionismo di destra dopo aver studiato i lavori di Gilles Deleuze e Félix Guattari sull’accelerazionismo di sinistra e incorporando la sua interpretazione dell’analisi del capitalismo di Marx. Due decenni dopo, all’inizio degli anni 2010, le idee di Land hanno guadagnato terreno nel movimento emergente dell’“alt-right”, che si è profondamente interessato al suo concetto antiegualitario e antidemocratico di “neo-reazione”. Il secondo e più influente percorso attraverso il quale l’accelerazionismo si è infiltrato nell’estrema destra è stata la pubblicazione del libro Siege, che raccoglieva post di newsletter scritti dal neonazista americano James Mason, un ammiratore di Charles Manson. Mason era coinvolto in varie organizzazioni naziste negli Stati Uniti già dalla fine degli anni ’60, aveva legami personali con importanti leader di estrema destra, tra cui George Lincoln Rockwell, il leader del Partito nazista americano, e William Pierce, l’autore del romanzo The Turner Diaries, che ha ispirato l’attacco terroristico del 1995 a Oklahoma City. Mason fu influenzato anche da Joseph Tommasi, il leader del Fronte di Liberazione Nazionale Socialista, un gruppo ispirato dalle organizzazioni di sinistra e dalla guerriglia urbana che sosteneva la creazione del caos attraverso il terrorismo come mezzo per destabilizzare l’ordine politico negli Stati Uniti.

Mason creò la newsletter Siege, pubblicata dal 1980 al 1986, come piattaforma per esprimere la sua disapprovazione per la posizione assunta dall’estremismo di estrema destra americano. Nelle pagine della sua pubblicazione, incorporò elementi di teorie cospirative antisemite e razziste, concentrandosi in particolare su una “cospirazione mondiale ebraica” che mirava a eseguire un “genocidio bianco”. Questo concetto, ora etichettato come “Grande Sostituzione”, ha contribuito allo sviluppo del mito del Deep State, generando il cliché bipartisan di un “governo occulto sionista” in America. Nel suo libro, Mason sosteneva anche che l’ordine sociale prevalente era diventato così profondamente corrotto che organizzazioni consolidate come il Partito nazista americano, con i loro metodi convenzionali di impegno politico, erano diventate inefficaci nel perseguimento della liberazione della “razza bianca”. Secondo Mason, il progresso poteva essere raggiunto solo attraverso mezzi rivoluzionari e violenti messi in atto da individui e l’instaurazione di un “Nuovo Ordine” nazionalsocialista avrebbe richiesto la distruzione della società. L’accelerazionismo militante di estrema destra, come sottotipo del terrorismo apocalittico, si ispira fortemente ai luoghi comuni antisemiti, inclusi concetti come il “genocidio bianco” e la “teoria della grande sostituzione”. Inoltre, sfrutta la conoscenza tradizionale percepita e i codici culturali per razionalizzare le loro convinzioni antimoderne e prendere di mira gli individui che ritengono responsabili del decadimento sociale. Di conseguenza, l’accelerazionismo può essere visto quasi al pari di una religione, come evidenziato dalle sue somiglianze e dalla sua mescolanza con gruppi come i Branch Davidians, la cui escatologia rispecchia dinamiche simili.

L’uso di Internet da parte dell’accelerazionismo militante di estrema destra
Negli Stati Uniti, gli aderenti alle ideologie di estrema destra hanno riconosciuto il potenziale di Internet già negli anni ’80. Hanno capito che le piattaforme online offrivano un’opportunità senza precedenti per diffondere il loro messaggio a un pubblico più ampio senza i vincoli imposti dai media tradizionali. In particolare, David Duke, una figura di spicco del movimento estremista di estrema destra statunitense ed ex leader del Ku Klux Klan, ha lodato Internet come piattaforma ideale per una “rivoluzione bianca”. L’avvento della comunicazione online ha giocato un ruolo significativo nell’ascesa di Siege, in particolare durante la metà degli anni 2010, quando l’ “alt-right” ha guadagnato importanza. Questo movimento ha abbracciato strategie di azione militante, che sono state ulteriormente amplificate in seguito alla manifestazione “Unite the Right” a Charlottesville, negli Stati Uniti, nell’agosto 2017. Gli eventi circostanti la manifestazione, inclusa la tragica uccisione della contro-manifestante Heather Heyer, hanno scatenato intense dibattiti all’interno della comunità estremista di estrema destra americana. La critica di Mason alle manifestazioni e la sua difesa dell’accelerazionismo militante hanno avuto ampia risonanza in queste discussioni. Di conseguenza, in seguito agli eventi di Charlottesville, l’hashtag #ReadSiege ha guadagnato terreno sia a livello nazionale che all’interno del discorso online transnazionale di estrema destra.

Screenshot da un documentario della PBS (7 agosto 2018)

Come oggi, il rischio associato all’accelerazionismo militante è monitorato principalmente in Nord America, con solo un numero limitato di analisti europei che tengono attivamente sotto controllo le sue attività. La globalizzazione dell’accelerazionismo militante di estrema destra durante gli anni 2010 ha dato origine a varie traiettorie, tutte strettamente intrecciate con gli spazi digitali, che dovrebbero sollevare preoccupazioni. Una piattaforma importante per l’accelerazionismo militante di estrema destra è stata la Iron March, in lingua inglese, che ha operato dal 2011 al 2017 ed è servita da terreno fertile per i gruppi accelerazionisti. Questo forum ha attirato una vasta gamma di militanti estremisti
di estrema destra che si sentivano emarginati da altri forum Internet come Stormfront, fondato nel 1996, o erano insoddisfatti delle offerte delle organizzazioni di estrema destra esistenti rivolte ai giovani. All’interno del forum Iron March, i membri coltivavano la propria sottocultura di accelerazionismo militante di estrema destra, caratterizzata da testi chiave e un’estetica distinta con loghi ispirati ai simboli delle Waffen SS e maschere di teschi in bianco e nero. Gli amministratori di Iron March hanno incoraggiato attivamente la comunicazione online transnazionale e facilitato il networking regionale e locale tra i membri oltre i confini del regno digitale. In particolare, tra gli utenti di Iron March è emersa una rete terroristica estremista di estrema destra, che rimane attiva anche a tutt’oggi. L’influenza di
Iron March, ponendo un’enfasi significativa sull’azione, si è estesa oltre lo sviluppo della sua sottocultura estremista di estrema destra. Di conseguenza, diversi gruppi accelerazionisti, tra cui National Action (Regno Unito), Feuerkrieg Division (USA) e Antipodean Resistance (2016), sono stati istituiti come propaggini di questo forum. È anche importante riconoscere che Iron March segnò semplicemente l’inizio di questo fenomeno.

La globalizzazione dell’accelerazionismo militante di estrema destra
La vera ascesa della rete globale di accelerazionismo militante di destra può essere fatta risalire al periodo tra il 2018 e il 2019, che ha visto eventi significativi come l’attacco alla Sinagoga Tree of Life a Pittsburgh (USA) e l’attacco a Christchurch, in Nuova Zelanda. Questi incidenti hanno mostrato un elevato livello di sofisticazione nel modo in cui gli autori hanno pubblicizzato le loro azioni. Un esempio ha riguardato la diffusione di un ampio manifesto online e lo streaming live dell’attacco, stabilendo un nuovo punto di riferimento per la violenza di estrema destra. Ne è seguita, naturalmente, un’ondata di attacchi imitativi, inclusi ma non limitati a Poway ed El Paso negli Stati Uniti, a Oslo e Halle in Europa. Durante questo periodo, la piattaforma digitale 8chan è servita come hub online preferito per l’accelerazionismo militante, facilitando la diffusione della sua propaganda. Tuttavia, la crescente pressione da parte del pubblico e delle istituzioni alla fine ha portato alla chiusura di 8chan nell’agosto 2019. Inizialmente, questa chiusura ha avuto un effetto frenante sulla diffusione della propaganda, ma alla fine i gruppi accelerazionisti si sono ripresi. Tuttavia, quando la piattaforma è riemersa come 8kun nel novembre 2019, molti ex utenti erano già migrati su Telegram. Telegram, fondata da Pavel e Nikolai Durov nel 2013, mirava inizialmente a fornire un mezzo per la comunicazione online che sarebbe stato più difficile da monitorare per stati autoritari come la Russia. Tuttavia, nel giro di pochi anni, ha sviluppato funzionalità aggiuntive che lo hanno trasformato in una piattaforma di social media. In particolare, la capacità di crittografare i messaggi nella comunicazione uno a uno lo rendeva particolarmente attraente per i gruppi di estrema destra e jihadisti per diffondere propaganda e reclutare nuovi membri. Per individui e gruppi di estrema destra i cui account erano stati bloccati o cancellati su piattaforme di social media più tradizionali, Telegram ha offerto un’alternativa sicura per raggiungere un pubblico più ampio. Di conseguenza, alcune nicchie di Telegram sono diventate note come “Terrorgram”, a causa del funzionamento indisturbato dei gruppi terroristici e della glorificazione dei terroristi e delle loro azioni sulla piattaforma. La frammentazione tra le due piattaforme ha comportato una diminuzione della dimensione percepita del pubblico dell’accelerazionismo militante di estrema destra. È interessante notare che questa divisione ha anche stabilito una gerarchia, con gli utenti di Telegram che si consideravano i leader, o “generali”, del movimento, cercando attivamente di reclutare le masse, o “soldati di fanteria”, per la loro causa. L’8kun, recentemente ristabilito, è emerso come una piattaforma ideale per reclutare la fanteria, poiché molti tentativi di attacco sono stati effettuati da membri attivi di questo imageboard.

3. La manosfera
Nonostante un calo generale delle attività pubbliche tra i militanti accelerazionisti di estrema destra durante la pandemia di COVID-19, i loro sforzi digitali sono aumentati in modo significativo dalla primavera del 2022. Di conseguenza, è aumentato anche il numero di attacchi sventati. Le tendenze primarie che hanno avuto origine all’interno di queste comunità online strettamente unite durante gli anni ’80, ’90 e 2000 rimangono rilevanti all’interno del social network globale in cui si sono evolute. In particolare, emergono continuamente nuovi spazi online, che spesso hanno poca somiglianza con le tradizionali organizzazioni estremiste di estrema destra. Queste reti decentralizzate, organizzate in cellule, promuovono sottoculture definite dai loro codici culturali, come i meme, e si adattano costantemente per aumentare la loro rilevanza nella sfera pubblica. Ora hanno permeato altri regni online, comprese le piattaforme di gioco, e fanno affidamento sulla più ampia cultura dei troll su Internet. Si propagano attraverso la manosfera, un insieme di comunità incentrate sull’antifemminismo radicale e sull’ambiente della teoria della cospirazione, dove gli individui cercano “la verità” o abbracciano l’ideologia della “pillola rossa”. Queste reti prosperano in forum “politicamente scorretti” formando una sottocultura transnazionale che ruota
attorno a contenuti estremisti di estrema destra, misogini, antisemiti e misantropici, sia ironici che seri. Di particolare interesse è la manosfera, che ha attirato l’attenzione degli accelerazionisti a causa della sua rapida crescita e del potenziale di esplosioni violente nel mondo reale.

Nonostante venga definita un nome collettivo, la manosfera comprende quattro sottoculture distinte: attivisti per i diritti degli uomini che vedono le politiche femministe come dannose per i diritti dei maschi, incel (celibi involontari) che ritengono le donne responsabili della loro mancanza di opportunità e status sociale, separatisti che credono in una cospirazione femminista per smantellare la mascolinità e sostenere la completa segregazione tra i generi, e il tipo seducente che oggettiva le donne e promuove l’accettazione della cultura dello stupro. Queste sottoculture emergenti si allineano anche con le culture dell’odio digitale esistenti che hanno già stabilito la loro presenza su varie piattaforme, rafforzando così i loro sforzi di reclutamento.

4. Quando destra e sinistra uniscono le forze
È importante riconoscere che i gruppi accelerazionisti agiscono principalmente come opportunisti e colgono ogni opportunità per infiltrarsi in un movimento popolare. Ciò è stato evidente in vari casi nel corso della storia. Ad esempio, nel 2020, il movimento antigovernativo di estrema destra Boogaloo ha tentato di associarsi al movimento Black Lives Matter rivendicando obiettivi condivisi. Allo stesso modo, negli anni 2000, i Black Bloc di estrema sinistra hanno sfruttato con successo le proteste popolari contro i leader del G8. Durante la pandemia, sia i gruppi di estrema sinistra che quelli di estrema destra si sono uniti contro le misure di blocco. In questi contesti è emersa anche la violenza stocastica, che si manifesta come atti sporadici di aggressione, intimidazione o distruzione di proprietà. Sebbene tali incontri si schierassero apparentemente contro gli obblighi di vaccinazione e percepissero violazioni delle libertà personali, spesso attiravano individui con inclinazioni estremiste provenienti sia dall’estremismo di sinistra che da quello di destra dello spettro politico. Nel mezzo del trambusto di questi eventi, attori solitari o piccole fazioni si sono impegnati in atti di violenza casuale (stocastica), che vanno dalle molestie verbali alla violenza fisica, volti a seminare il caos e instillare paura. Gli estremisti di estrema destra hanno sfruttato queste manifestazioni per propagare sentimenti antigovernativi e amplificare la sfiducia nelle istituzioni sanitarie pubbliche, mentre l’estrema sinistra le ha viste come opportunità per sfidare gli interessi aziendali e in particolare le grandi aziende farmaceutiche. La natura imprevedibile della violenza stocastica in questo contesto non solo pone preoccupazioni immediate per la sicurezza, ma sottolinea anche la più ampia polarizzazione sociale e radicalizzazione che alimenta tali eventi.

Nell’attuale contesto politico, questi gruppi si stanno ora allineando con il movimento filo-palestinese. Il movimento filo-palestinese ha ottenuto un sostegno significativo negli ultimi mesi, con numerosi manifestanti scesi in piazza in tutto il mondo per chiedere un cessate il fuoco a Gaza. Sfortunatamente, questa ondata di sostegno ha anche creato un ambiente in cui vari gruppi, tra cui accelerazionisti di estrema sinistra, estrema destra e organizzazioni antisemite, tentano di associarsi al
movimento filo-palestinese tradizionale. Ciò ha provocato una rete confusa di affermazioni e una diffusa diffusione di disinformazione. Un modo in cui questi gruppi sfruttano il movimento filo-palestinese è adottandone il linguaggio per criticare le azioni del governo israeliano a Gaza, tuttavia, utilizzano la piattaforma per promuovere teorie e stereotipi del complotto antiebraico. Le fazioni di destra fanno spesso riferimento alla teoria del complotto della “Grande Sostituzione”, sostenendo senza fondamento che gli individui ebrei facilitano intenzionalmente la migrazione nei paesi occidentali per sostituire i bianchi. D’altro canto, le fazioni di sinistra attaccano le democrazie liberali e le economie basate sul mercato invocando riferimenti al sionismo e al colonialismo. Negli Stati Uniti e in Europa, gli estremisti di estrema destra e di estrema sinistra hanno sfruttato la crescente rabbia nei confronti del governo israeliano come un’opportunità per diffondere teorie del complotto antisemite, antidemocratiche e anticapitaliste. La loro intenzione è legittimare queste idee all’interno del discorso mainstream e attirare nuove reclute.

Main takeaways
Sia i gruppi accelerazionisti militanti di estrema sinistra che quelli di estrema destra possiedono un vantaggio evolutivo digitale dovuto alle trasformazioni nel panorama dei media online, che hanno creato nuove strade per la radicalizzazione. Questi accelerazionisti hanno anche utilizzato strategicamente algoritmi per indirizzare gli individui suscettibili al reclutamento. A differenza dei loro predecessori BBS negli anni ’80 e ’90, che rispecchiavano le comunità della vita reale, le piattaforme odierne sono caratterizzate dall’”economia dell’attenzione” e dalla “dipendenza dalla dopamina”. I post che non riescono ad attirare sufficiente attenzione vengono gradualmente eliminati dalle prime pagine per fare spazio a post particolarmente accattivanti, trasformando di fatto l’estremismo in una dipendenza chimica. Inoltre, la violenza dell’estrema sinistra e dell’estrema destra sono sempre più interconnesse, creando un classico “dilemma sulla sicurezza”. Queste caratteristiche amplificano ulteriormente la natura pericolosa di questo fenomeno e dovrebbero richiedere un monitoraggio e un intervento attivi.

La violenza stocastica è una tattica inquietante impiegata dagli estremisti politici, caratterizzata dalla sua natura imprevedibile e casuale. A differenza della violenza organizzata con obiettivi e obiettivi chiari, la violenza stocastica mira a creare un’atmosfera pervasiva di paura e incertezza colpendo apparentemente a caso. Questa strategia spesso coinvolge attori solitari o piccoli gruppi che compiono atti di violenza senza il coordinamento diretto di un’organizzazione più ampia, rendendo difficile per le autorità anticiparli o prevenirli. Gli autori del reato possono essere motivati da ideologie o rivendicazioni estreme, utilizzando la violenza come mezzo per diffondere il terrore e portare avanti la propria agenda. La violenza stocastica rappresenta una sfida significativa per gli sforzi antiterrorismo, poiché può essere difficile individuare e affrontare preventivamente la radicalizzazione alla base di tali attacchi. Inoltre, la sua natura imprevedibile amplifica l’impatto psicologico sulle comunità, alimentando paura e sfiducia e minando la coesione sociale. Affrontare la violenza stocastica richiede un approccio articolato che affronti non solo le preoccupazioni immediate in materia di sicurezza, ma anche i fattori sociali sottostanti che contribuiscono all’estremismo e alla radicalizzazione.

L’accelerazionismo militante è emerso come uno strumento per paesi stranieri ostili come la Russia e la Cina per seminare il caos e destabilizzare le nazioni occidentali dall’interno. Queste nazioni possono clandestinamente sostenere o manipolare gruppi estremisti che aderiscono a dottrine accelerazioniste per esacerbare le tensioni sociali esistenti e sfruttare le vulnerabilità dei sistemi democratici. Ad esempio, la Russia è stata accusata di utilizzare piattaforme online per amplificare narrazioni divisive e sostenere movimenti accelerazionisti di estrema destra in Europa e negli Stati Uniti, con l’obiettivo di minare la fiducia nelle istituzioni democratiche e favorire la discordia interna. Allo stesso modo, la Cina è stata coinvolta nel finanziamento e nella promozione di fazioni estremiste per sfruttare le
faglie sociali nelle società occidentali, indebolendo così la loro coesione e influenza globale. Tale sfruttamento dell’accelerazionismo militante sottolinea la natura evolutiva della guerra asimmetrica, in cui attori non statali e ideologie marginali diventano strumenti nelle strategie geopolitiche di nazioni ostili. Nel complesso, Russia e Cina potrebbero sostenere i gruppi militanti accelerazionisti in Occidente come parte di una strategia multiforme per indebolire i loro avversari, sfidare i valori e le istituzioni occidentali e promuovere i propri interessi geopolitici sulla scena globale.

In conclusione, il rischio di un’accelerazione del terrorismo è chiaro e significativo mentre ci avviciniamo al 2024, e potrebbe addirittura aumentare ulteriormente nel periodo precedente alle elezioni presidenziali statunitensi o alle prossime elezioni europee. È probabile che individui scontenti e gruppi estremisti armati continuino a ricorrere alla violenza per scatenare una rivoluzione e impedire a quello che percepiscono come il Deep State di manipolare le elezioni nei propri interessi. L’attuale scontro di narrazioni contrastanti, presenti in quasi ogni aspetto del discorso politico, aggravato dalle divisioni partitiche e amplificato sui social media, continuerà a ostacolare gli sforzi dei governi nell’affrontare la minaccia del terrorismo interno. L’atmosfera attuale ricorda in modo allarmante il periodo precedente a eventi come gli “anni di piombo” o l’attentato di Oklahoma City. In quegli anni, la retorica estremista spingeva presunti patrioti o rivoluzionari, come Mario Moretti o Timothy McVeigh, a proteggere i loro concittadini da quello che vedevano come un governo corrotto sostenuto da una ricca élite. Oggi ci sono potenzialmente molti più individui con una propensione analoga, e non possiamo permetterci di aspettare un’altra serie di eventi tragici prima che venga intrapresa un’azione decisiva contro questa minaccia.

Andrea Molle, Ph.D., FRAS, Senior Research Fellow, Orange (California, Stati Uniti). Scienziato sociale quantitativo e computazionale. Dal 2012 è Assistant Professor di Scienze Politiche e Ricercatore associato all’Institute for the Study of Religion, Economics, and Society della Chapman University. Dal 2006 al 2008 è stato JSPS Fellow
in Antropologia al Nanzan Institute for Religion and Culture (Nagoya, Giappone).


Estremismo giovane, autonomo ed emancipato

di Chiara Sulmoni, Presidente START InSight

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Abstract
Fra il 2023 e il 2024 in vari paesi europei si è fatta strada una seria preoccupazione riguardo il coinvolgimento di teenagers e minorenni in reati legati al terrorismo e attività estremiste. Se a portare a termine attacchi e attentati sono ancora in gran parte uomini poco al di sotto dei 30 anni, la radicalizzazione online fa presa sui giovanissimi in maniera inedita, rappresentando una sfida tutt’altro che facile per chi opera nella prevenzione e nel contrasto.

Keywords Accelerationism, Radicalization, Terrorism

1. Teenagers ed estremismo

La sera di sabato 2 marzo 2024 in un quartiere centrale di Zurigo un quindicenne svizzero di origini tunisine accoltella gravemente un ebreo ortodosso. Nelle ore successive all’attacco, emerge in rete un video preregistrato nel quale il ragazzo, che si definisce un “soldato del Califfato” e giura fedeltà allo Stato Islamico, dichiara di avere agito in risposta all’appello lanciato da quest’ultimo di colpire “gli ebrei, i cristiani e i loro alleati criminali”, e incita a sua volta altri a prendere l’iniziativa (1).

L’ evento si inserisce in un contesto globale che è stato segnato da un sensibile aumento dall’antisemitismo dopo il brutale attentato terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, al quale Israele ha risposto mettendo Gaza a ferro e fuoco; una realtà che con il suo tragico carico di vittime civili ha alimentato tanto le narrative della sfera jihadista e degli estremismi più in generale, quanto la polarizzazione sociale che ha trovato sfogo, talvolta violento, nelle piazze, nelle università e su internet. Un clima dal forte potenziale di radicalizzazione e di mobilitazione, accentuato da un’intensa disinformazione, a cui sono esposti anche ragazzini al di sotto dei 15 anni.(2)

La Confederazione -già colpita nel 2020 da due attacchi all’arma bianca di matrice jihadista a Morges e a Lugano, che avevano in quell’occasione però visto passare all’azione un uomo e una donna adulti, scagliatisi contro vittime scelte a caso- si confronta improvvisamente con una tendenza che caratterizza ormai da qualche anno l’universo dell’estremismo violento e della radicalizzazione in Europa, e che consiste nel progressivo abbassamento dell’età di chi è coinvolto in questi fenomeni.

Nel 2021, le statistiche inglesi indicavano già un incremento rilevante negli arresti di ragazzi al di sotto dei 18 anni, sospettati di aver commesso reati legati al terrorismo, con una prevalenza della matrice di estrema destra (3). Le percentuali hanno continuato a salire toccando il picco finora più alto nel 2023, quando sul totale dei fermi -tra giovani e adulti- quasi il 19% riguardava teenagers non ancora 17enni (4).

L’attrattiva dei ragazzi e delle ragazze nei confronti del jihadismo è coerente con quanto avvenuto nel periodo che ha segnato la massima espansione territoriale dell’ISIS, attorno alla metà dello scorso decennio; anche allora il Vecchio Continente aveva visto numerosi adolescenti aderire alla narrativa e progettualità dello Stato Islamico, mettendosi in viaggio nel tentativo di raggiungere la Siria e l’Iraq; come la teenager inglese Shamima Begum, partita da Londra a 15 anni nel 2015 insieme a delle coetanee e oggi bloccata in Medioriente in uno dei campi di detenzione dove sono confinate le famiglie degli ex-combattenti. Il suo è divenuto un caso controverso ed emblematico, dopo che le autorità britanniche hanno deciso di privarla della nazionalità rendendola, di fatto, apolide, nonostante c’è chi ritenga che sia stata vittima di indottrinamento e forse anche di tratta (5).

Giovanissimi commisero violenze di natura jihadista dopo che l’ISIS, a partire dal 2014, iniziò ad incoraggiare i propri sostenitori rimasti nei rispettivi paesi di residenza ad attivarsi con i mezzi a disposizione, inaugurando anche la stagione dei cosiddetti “lupi solitari” -una definizione fuorviante, in ragione delle reti di contatti e relazioni che emergono nella maggior parte delle indagini-. Questa mossa strategica del Califfato ha cambiato in maniera permanente il modus operandi dei terroristi, valorizzando l’autonomia dei singoli e permettendo al gruppo terroristico, quando confrontato con difficoltà operative, di continuare a proiettare un’immagine di forza rivendicando azioni di ‘successo’ portate avanti dai propri simpatizzanti.

Uno studio sugli attentati di matrice islamista avvenuti in Europa fra il 2014 e il 2017 indicava che, tra attacchi riusciti e sventati, teenagers e ragazzini erano coinvolti in poco meno di un quarto degli eventi jihadisti; il fenomeno interessava soprattutto la Francia, la Germania e il Regno Unito (6).

Un evento simile a quello di Zurigo si era verificato, ad esempio, a Marseille nel 2016, quando un 15enne di etnia curda aveva attaccato un docente, anch’egli di religione ebraica, nei pressi dell’istituto scolastico dove insegnava.

Casi più recenti sono stati l’uccisione brutale, nel novembre del 2020 alle porte di Parigi, del Prof. Samuel Paty da parte di un 18enne russo di origine cecena, a seguito di una violenta campagna islamista via social che era stata scatenata nei giorni precedenti contro il docente; o quella di un insegnante in un liceo di Arras, nell’ottobre del 2023, ad opera di radicalizzato di 20 anni originario dell’Inguscezia. Dopo quest’ultimo attacco, il procuratore anti-terrorismo francese Jean -François Ricard dichiarò che negli ultimi tre anni (dal 2020, ndr) nel paese era stata riscontrata una crescente propensione, da parte dei giovanissimi, alla pianificazione di atti violenti (7).

Va specificato che gli attacchi portati a termine rimangono ancora in gran parte appannaggio degli adulti; dal database del centro d’analisi e ricerca START InSight, che traccia i profili degli jihadisti entrati in azione in Europa, emerge che l’età mediana di chi ha colpito l’Europa fra il 2014 ed oggi è di 26 anni: un dato che subisce variazioni -dai 24 anni registrati nel 2016 ai 30 anni del 2019-, e che nel 2023 indica l’età perfino in lieve risalita, attestandosi sui 28.5 anni.

Più in generale, emerge come il 7% dei terroristi avesse un’età inferiore ai 19 anni (con una riduzione progressiva dei minori!); il 38% un’età compresa tra i 19 e i 26 anni; il 41,5% tra i 27 e i 35 anni e infine, il 13,5% di età superiore ai 35 anni.

In precedenza, uno studio del 2019 della Scuola Universitaria per le Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW), basato sulle informazioni disponibili relative a 130 diversi casi di natura jihadista di cui si era occupato il Servizio delle Attività Informative della Confederazione nel corso dei dieci anni precedenti, indicava che a radicalizzarsi al di sotto dei 20 anni era stato il 18% degli individui, mentre per i minorenni il dato – all’epoca piuttosto contenuto- scendeva al 6% (8).

Tuttavia nel Canton Vaud, dove è stato istituto nel 2018 un programma di prevenzione della radicalizzazione, più del 40% dei casi trattati riguarda minorenni (9). E recentemente, il capo dell’intelligence elvetica Christian Dussey ha dichiarato come la radicalizzazione di matrice jihadista dei minorenni tocchi oggi la Confederazione in proporzioni (addirittura) maggiori rispetto agli altri Stati europei (10). Poco dopo l’attacco di Zurigo, nella Svizzera francese e tedesca sono stati fermati altri sei ragazzi fra i 15 e i 18 anni, in contatto con coetanei in Germania, Francia e Belgio; alcuni, in questa rete, apparentemente intenzionati a portare avanti attacchi. Nei primi 9 mesi del 2024, la Polizia svizzera sarebbe intervenuta in 11 casi di giovani radicalizzati; è stato fermato anche un bambino di 11 anni.

L’esperto di terrorismo Peter Neumann ha segnalato che nel complesso, in Europa, dall’ottobre 2023, due terzi degli arresti hanno riguardato ragazzini fra i 13 e i 19 anni d’età (11).

In Inghilterra e Galles, fra l’aprile 2022 e il marzo 2023 più del 60% delle segnalazioni nell’ambito del programma di prevenzione Prevent -che impone a chi lavora nel settore pubblico, soprattutto la scuola, di comunicare i casi di sospetta radicalizzazione- riguardava individui fino ai 20 anni; il 31% non arrivava ai 14. Ma se la maggior parte dei casi trattati non ha poi richiesto ulteriori prese a carico- quasi la metà di quelli più seri era però rappresentata da ragazzini fra gli 11 e i 15 anni (12).

“Childhood Innocence? Mapping Trends in Teenage Terrorism Offenders”, uno studio pubblicato dall’International Centre for the Study of Radicalisation (ICSR) del King’s College di Londra, che ha preso in esame le attività di 43 minorenni condannati per reati collegati al terrorismo, sempre in Inghilterra e Galles, dal 2016 al 2023 (13), invita a non sottovalutare il ruolo dei ragazzi; sebbene nel periodo preso in considerazione nessun bambino sia riuscito a commettere un attentato e il reato più comune sia consistito nel possesso di materiale estremista, dalla ricerca emerge come un terzo sia stato condannato per la preparazione di atti di terrorismo, e come i ragazzi abbiano agito da “amplificatori” e “innovatori”, in grado di produrre materiali di propaganda, di reclutare altri e di pianificare attacchi. A fare deragliare i loro piani, potrebbero essere stati fattori legati all’età, come l’ingenuità e l’incapacità organizzativa.

Questa intraprendenza giovanile è un tratto comune del panorama estremista degli ultimi anni: nel 2020 si è scoperto che a capo della Feuerkrieg Division, un gruppo di estrema destra attivo solo online ma con intenti terroristici e con membri in vari paesi, dagli Stati Uniti alla Lituania, c’era un 13enne estone -ne aveva 11, al momento della fondazione nel 2018-. Alcuni teenagers che ne facevano parte pianificavano attivamente degli attentati (14).

Sempre nel marzo del 2024 In Inghilterra, un giovane anarchico di sinistra di 20 anni è stato condannato a 13 anni di carcere; fra le altre cose, pianificava di uccidere 50 persone e aveva dedicato un manuale di istruzioni su come costruire armi e bombe “ai disadattati, ai signori nessuno, agli anarchici e terroristi del passato e del futuro, che vogliono combattere per la libertà contro il governo” (15).

2. L’emancipazione dell’estremismo

Studi e indagini hanno analizzato come gruppi, movimenti e individui -in particolare jihadisti o appartenenti alla vasta galassia dell’estrema destra- abbiano saputo cogliere e sfruttare efficacemente le opportunità progressivamente offerte da Internet e dalle tecnologie in continua evoluzione per divulgare le proprie ideologie, avvicinare potenziali reclute e simpatizzanti, disseminare riviste e guide pratiche per aspiranti attentatori, adattando e diversificando la propria comunicazione anche in base al genere. Incluso l’impiego dell’intelligenza artificiale per elaborare rapidamente immagini e video di propaganda dal forte ed immediato impatto estetico ed emotivo che solo un decennio fa avrebbero richiesto il meticoloso apporto di un team e oggi possono anche essere realizzate da un’unica persona (16).

Ad emergere è la consapevolezza di come, nel corso del tempo, siano cambiati in modo sostanziale sia il modo di produrre, consumare e condividere propaganda, che le identità di chi è coinvolto in queste attività. L’entrata in scena dei social media attorno alla metà degli anni 2000, in particolare, ha favorito la rapida diffusione e l’acceso a materiale di natura estremista, e permesso di creare relazioni e interagire continuamente, al punto che, si legge in un saggio del ricercatore Jacob Ware su questo tema, “il processo di radicalizzazione si insinuava ora in ogni aspetto della vita di un soggetto, e il radicalizzatore poteva proiettare la propria influenza in un salotto o una camera da letto” (17).

Ware spiega che oggi siamo ormai confrontati con la terza generazione influenzata dalla radicalizzazione online; una generazione in cui gli individui non solo agiscono in autonomia, ma promuovono sé stessi e le proprie azioni.

I gruppi terroristici (quelli con una solida gerarchia interna) sono meno rilevanti, mentre le ideologie sono fluide. Già nel rapporto #ReaCT2022 Michael Krona, riferendosi al contesto jihadista, indicava l’esistenza di sostenitori online meno inclini a legarsi ad una singola organizzazione, che “formano delle nuove entità, promuovono interpretazioni ideologiche più ampie, costruendo i loro propri brand, piuttosto che rafforzare scrupolosamente il marchio dello Stato Islamico” (18). Oggi la produzione di propaganda e narrativa estremista -ma anche l’incitamento all’azione- non sono più una prerogativa dei media legati ai movimenti terroristici, ma un’operazione a cui partecipa una larga base di adepti e militanti in contatto fra loro. Un reticolato che può estendersi da un continente all’altro.

Come racconta un’inchiesta internazionale realizzata nel 2022 da giornalisti infiltratisi in una rete di teenagers neo-nazisti, il vantaggio di questo network -ma lo stesso principio vale in altri casi- consiste nella sua struttura lasca, mobile, che fa perno sulla partecipazione di singoli individui sparsi per il mondo: “tutto ciò di cui hanno bisogno è un computer, un cellulare e una camera da letto. E tutto ciò che hanno in comune è la loro ideologia e il loro odio: nei confronti degli ebrei, delle figure politiche, dei giornalisti” (19).

Quest’immagine dell’adolescente radicalizzato chiuso nella propria stanza si ripropone, quindi; ma la camera può essere più simile a una cabina di regia, che a un rifugio in cui si isola un ragazzino vulnerabile esposto alle trame di malintenzionati. Il già menzionato studio inglese sui minorenni condannati per terrorismo, sottolinea la necessità di superare lo stereotipo associato ai bambini, che li considera una mera “pedina” nelle mani degli adulti; se attivi in un contesto estremista online protetti dall’anonimato, il “peso” e l’effetto, per esempio, delle loro azioni e dei loro posts, è identico a quello di tutti gli altri.

I ‘combattenti’ virtuali, oggi nativi digitali, dimostrano un forte potenziale nell’assicurare una continua promozione delle idee estremiste -una campagna mediatica pro-ISIS blandisce ed esorta specificamente questi “eserciti di una persona” e “mujaheddin di Internet” a non demordere (20). La capacità di impiegare in modo selettivo i diversi social media e le app di messaggistica criptate per comunicare, scambiarsi informazioni, incoraggiarsi a vicenda, discutere di violenze, attacchi e obiettivi, e l’abilità nel migrare di piattaforma in piattaforma per sfuggire alla scure delle big tech e delle operazioni congiunte di Polizia intese a liberare Internet dai contenuti di natura terroristica, li rendono un asset difficile da contrastare.

In sintesi, l’epoca attuale è caratterizzata da un estremismo ‘emancipato’, diffuso e de-centralizzato che si fonda sulla ‘libera iniziativa’; un ecosistema in cui “ognuno può essere rimpiazzato” (21) e tutti gli attentatori possono diventare fonte di ispirazione per altri; che si tratti di Brenton Tarrant, estremista di destra che nel 2019, a 28 anni, a Christchurch, in Nuova Zelanda, ha attaccato due moschee uccidendo oltre 50 persone; che si tratti di Elliott Rodger che a 22 anni in California, nel 2014, ha commesso una strage in nome dell’ideologia misogina ed è oggi celebrato dagli incel violenti, o ancora che si tratti del quindicenne svizzero autore dell’accoltellamento di Zurigo, il cui gesto viene esaltato dagli accoliti dello Stato Islamico. Alcuni giorni dopo l’attacco, ricercatori del Counter Extremism Project hanno individuato sei profili di TikTok che celebravano lo jihadista svizzero (22).

3. La radicalizzazione della violenza

Nel corso del 2024, analisti e media hanno talvolta fatto riferimento all’espressione ‘TikTok-jihad’ o ‘terrorismo TikTok’ per definire il contesto nel quale avviene l’avvicinamento dei teenager all’estremismo; social, piattaforme di gioco e chat criptate finiscono spesso sul banco degli imputati e vengono considerati oggi strumenti principali di radicalizzazione. Non si tratta tuttavia di semplici ‘canali’ attraverso i quali viene diffuso un messaggio indirizzato a potenziali nuove leve; queste piattaforme offrono spazi di condivisione, socializzazione, visibilità e partecipazione: termini e concetti importanti per comprendere una realtà che non consiste (più) solo in un galassia di ideologie politico-religiose violente, ma che è anche costituita da subculture generate e animate dagli stessi ragazzi (quella incel, ad esempio, o quella dell’accelerazionismo militante); in altre parole, da comunità / collettività che si riconoscono in propri valori, norme comportamentali, codici linguistici ed estetici. Nel periodo adolescenziale, che è caratterizzato dalla ricerca di un’identità e di un posto nel mondo, ma talvolta anche da sentimenti di ribellione, da fragilità personali che possono derivare da contrasti in famiglia, o violenze quali il bullismo e il razzismo, il senso di appartenenza a un gruppo di riferimento assume un ruolo non secondario.

Analisti e intelligence sottolineano già da qualche anno, come problematiche di natura psicologica e adesione alla violenza, prima ancora che all’ideologia, rappresentino tendenze ormai consolidate. La voglia di rivalsa, di acquisire potere nelle relazioni sociali, di protagonismo e di sfogo alle frustrazioni personali (23), vengono oggi considerate motivazioni sufficienti nel contribuire alla radicalizzazione dei ragazzi, una radicalizzazione in cui la percezione di torti subiti può sovrapporsi a battaglie socio-politiche. Tutti questi fattori, sommati a un ‘clima’ virtuale caratterizzato da algoritmi che premiano contenuti provocatori e dalla banalizzazione dell’odio attraverso, ad esempio, la produzione e condivisione di memes, contribuiscono ad abbassare la soglia di adesione all’estremismo (violento e non). In uno scenario così complesso e in continua evoluzione, è molto difficile essere in grado di valutare i rischi posti dagli individui radicalizzati nel mondo reale, soprattutto se minorenni. Pur nella consapevolezza che la radicalizzazione è un percorso personale non irreversibile, e che non conduce necessariamente verso il terrorismo. (24)

Chiara Sulmoni, BA, MA, Presidente e Coordinatrice editoriale di START InSight, Lugano, (Svizzera) ha conseguito un BA e un MA in Italian Studies c/o UCL (University College London) e un MA in Near and Middle Eastern Studies c/o SOAS (School of Oriental and African Studies, London). Giornalista e producer, ha lavorato alla realizzazione di documentari e reportage per la radio / TV in particolare su temi legati al mondo arabo e islamico, Afghanistan e Pakistan, conflitti, radicalizzazione di matrice islamista. Dal 17 aprile 2019, è Co-Direttore di ReaCT – Osservatorio nazionale sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (Roma-Milano-Lugano). Dal 2023, è Presidente e Coordinatrice dell’Associazione PRIME – Prevenzione Informazione e Mediazione (Lugano).

Note
1) In Video Uploaded To Internet, Teenage Stabber Of Jew In Zürich Swears Allegiance To Islamic State (ISIS), Calls On Muslims To Target Jews And Christians Everywhere, MEMRI, Special Dispatch No. 11166, 4 March 2024. In https://www.memri.org/reports/video-uploadedinternet-teenage-stabber-jew-z%C3%BCrich-swearsallegiance-islamic-state-isis
2) Symonds, Tom, Gaza war creating a radicalisation moment, senior UK police officer says, BBC News , 19th January 2024. In https://www.bbc.com/news/uk-68035172
3) Counter- Terrorism Policing, Upward trend in children arrested for terrorism offences, News, 9th June 2022. In https:// www.counterterrorism.police.uk/upward-trend-inchildren-arrested-for-terrorism-offences/
4) Counter-Terrorism Policing, Number of young people arrested for terrorism offences hits record high, News, 15th March 2024. In: https://www.counterterrorism.police.uk/ number-of-young-people-arrested-for-terrorism-offenceshits-record-high/
5) Sabbagh, D., Shamima Begum a victim of trafficking when she left Britain for Syria, court told, The Guardian, 24th October 2023. In: https://www.theguardian.com/uk-news/2023/ oct/24/shamima-begum-victim-of-trafficking-when-sheleft-uk-for-syria-court-told
6) Simcox, R., European Islamist Plots and Attacks Since 2014— and How the U.S. Can Help Prevent Them, The Heritage Foundation, Backgrounder No. 3236, 1st August 2017. See also: Bourebka, M., Overlooked and underrated? The role of youth and women in preventing violent extremism, CIDOB, Notes internationals, 240, 11/2020: “In the European context, as of 2016, the fastest-growing age group amongst the radicalised individuals in Europe was 12- to 17-year-olds”
7) de la Ruffie, E., Attentat: des mineurs radicalisés, «un phénomène nouveau» et «inquiétant», selon le procureur anti-terroriste, Le Journal du Dimanche, 7 Novembre 2023. In: https:// www.lejdd.fr/societe/attentat-des-mineurs-radicalises-unphenomene-nouveau-et-inquietant-selon-le-procureurantiterroriste-139493
8) Sulmoni, C., Radicalizzazione jihadista e prevenzione. Aggiornamenti dalla Svizzera, START InSight www.startinsight.eu.
9) Comment le groupe Etat islamique courtise les mineurs sur les plateformes de jeux vidéo, RTS, 27 Mai 2024 https:// www.rts.ch/info/suisse/2024/article/comment-le-groupe -etat-islamique-courtise-les-mineurs-sur-les-plateformes-dejeux-video-28516132.html.
10) Rhyn, L., und Knellwolf, T., Die Schweiz hat überdurchschnittlich viele Fälle radikalisierter Jugendlicher, Tages Anzeiger, 22 August 2024. In: https:// www.tagesanzeiger.ch/geheimdienst-chef-sieht-sicherheitder-schweiz-in-gefahr-665955949850.
11) Ernst, A., Terrorismus in Europa: Es gibt genügend Hinweise, dass sich etwas Grösseres ankündigt, NZZ, 23 August 2024. In: https://www.nzz.ch/international/terrorismusin-europa-die-tik-tok-generation-peter-r-neumannld.1844746
12) Individuals referred to and supported through the Prevent Programme, April 2022 to March 2023. Home Office Official Statistics, 14th December 2023. In: https://www.gov.uk/ government/statistics/individuals-referred-to-prevent/ individuals-referred-to-and-supported-through-the-preventprogramme-april-2022-to-march-2023#demographics
13) Rose, H., and Vale, G., “Childhood Innocence? Mapping Trends in Teenage Terrorism Offenders”, ICSR, London, 2023.
14) Nabert, A., Brause, C., Bender, B., Robins-Early, N., Death Weapons, Inside a Teenage Terrorist Network, Politico, 27th July 2022. In: https://www.politico.eu/article/ inside-teenage-terrorist-network-europe-death-weapons/
15) Gardham, D., Jacob Graham: Left-wing anarchist jailed for 13 years over terror offences after declaring he wanted to kill at least 50 people, Sky News, 19th March 2024 https:// news.sky.com/story/jacob-graham-left-wing-anarchistjailed-for-13-years-over-terror-offences-after-declaring-hewanted-to-kill-at-least-50-people-13097584
16) Katz, R., SITE Special Report: Extremist Movements are Thriving as AI Tech Proliferates, SITE Intelligence Group, 16th May 2024 https://ent.siteintelgroup.com/Articlesand-Analysis/extremist-movements-are-thriving-as-ai-tech -proliferates.html
17) Ware, J., The Third Generation of Online Radicalization, Program on Extremism, George Washington University, 16th June 2023. In: https://extremism.gwu.edu/thirdgeneration-online-radicalization
18) Krona, M., Le comunità jihadiste online costruiscono i loro brand ed espandono l’universo terrorista creando nuove entità, #ReaCT2022, Rapporto sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa, N.3, Anno 3, ed. START InSight (Lugano). In. https://www.startinsight.eu/react2022-n-3-anno-3/
19) Nabert, A., Brause, C., Bender, B., Robins-Early, N., Death Weapons, Inside a Teenage Terrorist Network, Politico, 27th July 2022. In: https://www.politico.eu/article/ inside-teenage-terrorist-network-europe-death-weapons/
20) Pro-Islamic State (ISIS) Social Media Campaign Calling For ‘Media Jihad’ Expands To TikTok, Jihad and Terrorism Threat Monitor, MEMRI, 22nd June 2023 https:// www.memri.org/jttm/pro-islamic-state-isis-social-mediacampaign-calling-media-jihad-expands-tiktok
21) See: Death Weapons
22) Extremist Content Online: Pro-ISIS TikTok Users Celebrate Accused Attacker In Zurich Stabbing, Counter Extremism Project, 11 March 2024. In: https:// www.counterextremism.com/press/extremist-contentonline-pro-isis-tiktok-users-celebrate-accused-attackerzurich-stabbing
23) IS recruitment is not portrayed as violent enlistment for a political-religious cause but as a platform for venting frustrations with parents, teachers and society. It offers an outlet for their mundane lives and a chance at dubious “15 minutes of fame”, in: Avrahami, Z., TikTok jihad: Online radicalization threat looms over Europe, Ynetnews.com, 10th August 2024 https:// www.ynetnews.com/article/ rjgiduh9c
24) “Minorenni radicalizzati, ma non per forza terroristi”, RSI Info, 6 settembre 2024 https://www.rsi.ch/info/ticinogrigioni-e-insubria/%E2%80%9CMinorenni-radicalizzatima-non-per-forza-terroristi%E2%80%9D–2246363.html


Il terrorismo jihadista in Europa e le dinamiche mediterranee: evoluzione storica, sociale e operativa in un’era di cambiamenti globali.

di Claudio Bertolotti, Direttore, START InSight
estratto da #ReaCT2024 – Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa

Abstract Questo articolo indaga il terrorismo oltre le definizioni tradizionali, esaminando la sua evoluzione all’interno dei confini dell’Europa geografica, enfatizzando le radici storiche, le motivazioni individuali e collettive, e l’adattamento operativo, condividendo le ragioni alla base di una ormai necessaria revisione della stessa definizione di terrorismo, da intendersi come effetto della violenza, piuttosto che mera azione organizzata per fini politici. Analizzando i dati forniti dal data base START InSight, l’articolo si concentra sui Paesi dell’Unione europea costantemente interessati dalle traiettorie del jihadismo e dalle conseguenti sfide per la sicurezza collettiva, contribuendo al dibattito accademico con una prospettiva multidimensionale sul terrorismo, considerandone gli aspetti storici, socio-politici e culturali.

Keywords Jihadism, blocco funzionale

1. Il terrorismo come fenomeno politico e sociale che si evolve con il tempo e con il mutare delle dinamiche di competizione tra individue, gruppi, stati.

Il terrorismo attuale, ponendo le proprie radici nella profondità di un’evoluzione storica molto complessa, rappresenta una minaccia ideologica diffusa. E la minaccia del terrorismo jihadista è oggi particolarmente rilevante, collegata alle dinamiche storiche, conflittuali, delle relazioni internazionali e della competizione in Medio Oriente, in Africa e alla violenza discendente dalla lettura radicale dell’Islam; una dinamica conflittuale che oggi si associa sempre più spesso alla ricerca di identità di gruppi e individui attraverso l’opposizione culturale di una componente non marginale degli immigrati maghrebini di seconda e terza generazione in Europa. E parliamo di una galassia jihadista frammentata e caratterizzata da diverse ideologie e approcci pratici, tanto da indurre una riflessione sul concetto di terrorismo contemporaneo che si impone come fenomeno sociale molto diverso dai terrorismi che lo hanno preceduto.

Una necessaria riflessione che ci invita a riflettere sull’opportunità di un cambio di paradigma nella stessa definizione di terrorismo, non più da intendere come azione volta ad ottenere risultati politici attraverso la violenza, dunque nelle intenzioni. Bensì come effetto della violenza applicata: è terrorismo la manifestazione di violenza, privo di un’organizzazione alle spalle. È terrorismo nella manifestazione, non nell’organizzazione.

All’interno della stessa galassia jihadista, il terrorismo si impone come strumento di lotta, di resistenza e di prevaricazione, e lo fa con diversi gradi e modelli di violenza: da quella individuale, a quella organizzata, a quella ispirata e ancora al terrorismo insurrezionale che ben abbiamo conosciuto in Afghanistan e in Iraq e, in parte, stiamo osservando nelle sue prime manifestazioni nella Striscia di Gaza dove l’esercito israeliano si confronta con il gruppo Hamas (Bertolotti, 2024).

E proprio l’esperienza afghana, che l’Autore del presente articolo ha avuto modo di studiare da vicino per molti anni, a cui si è sommata l’ondata di violenza conseguente all’appello di Hamas a colpire Israele e i suoi alleati, hanno svolto un ruolo determinante nella ripresa di un terrorismo ispirato ed emulativo a livello globale, che si basa sull’esperienza vittoriosa dei talebani contro l’Occidente, da un lato, e, dall’altro, sulla rabbia veicolata attraverso la strategia comunicativa di Hamas che trova in alcune minoranze ideologizzate occidentali una cassa di risonanza che sovrappone, confondendola, l’agenda violenta e terrorista di Hamas alla legittima istanza palestinese. Eventi sul piano delle Relazioni internazionali che, attraverso la retorica jihadista, sono sfruttati per dimostrare la bontà e la fondatezza del jihad, e dunque del terrorismo come strumento di lotta, di vittoria, di giustizia.

E oggi, dopo e insieme all’Afghanistan, all’Iraq e alla Striscia di Gaza, a svolgere questo ruolo di spinta ideologica e coinvolgimento di massa, sono le dinamiche conflittuali in Medioriente e il terrorismo mediaticamente amplificato di Hamas; da questo discendono le manifestazioni emulative di violenza che il terrorismo ai danni di Israele ha in parte provocato e potrebbe sempre più provocare in Europa come nei paesi del Nord Africa, dell’Africa subsahariana e del Sahel.

2. Trend e dinamiche: calano i numeri, ma la minaccia del terrorismo persiste- un’analisi degli attacchi dal 2014 al 2023.

Guardando agli ultimi cinque anni, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico. Dal 2019 al 2024 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 – dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015).

Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo Hamas, sono stati registrate 206 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2024, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico: 249 i terroristi che vi hanno preso parte (di cui 7 donne, 73 morti in azione), 446 le vittime decedute e 2.558 i feriti (database START InSight).

Sia nel 2023 che nel 2024 sono state registrate 12 azioni jihadiste, in lieve flessione rispetto ai 18 attacchi annuali registrati nel 2022 e 2021, ma con un aumento significativo di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti, che ha portato il dato ad attestarsi sui livelli elevati degli anni precedenti: dal 17% del totale di azioni emulative nel 2022 al 58% nel 2023 (erano il 56% nel 2021). Il 2023 ha inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate, che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo del periodo 2015-2017 (il totale delle azioni nel 2023 e il 97% delle azioni registrate l’anno precedente).

Aumenta l’uso di coltelli e armi improvvisate I terroristi usano sempre più spesso coltelli per una serie di motivi, legati a fattori pratici, ideologici e strategici:

– Facilità di accesso: i coltelli sono facilmente reperibili e non richiedono competenze tecniche avanzate per essere utilizzati. A differenza delle armi da fuoco o degli esplosivi, che possono richiedere una certa logistica o competenze tecniche, i coltelli sono comuni in ogni casa o negozio.

– Discrezione: un coltello può essere portato facilmente senza destare sospetti, a differenza di altre armi più vistose o pericolose. Questo consente di avvicinarsi alle vittime o ai luoghi di attacco senza essere notati immediatamente.

– Effetto di terrore: gli attacchi con coltelli, spesso condotti in spazi pubblici o affollati, hanno un forte impatto psicologico sulla popolazione. La natura ravvicinata e brutale di un attacco con un’arma da taglio amplifica la paura tra i presenti e nei media, creando un forte effetto simbolico.

– Attacchi individuali: negli ultimi anni, molte organizzazioni terroristiche hanno incoraggiato attacchi individuali o “lupi solitari”. Gli attacchi con coltelli sono ideali per questo tipo di azioni, poiché richiedono una pianificazione minima e possono essere condotti da una sola persona, senza la necessità di una rete organizzativa complessa.

– Controllo delle armi: in molti Paesi, le leggi sulle armi da fuoco sono molto severe, rendendo difficile ottenere pistole o fucili. I coltelli, invece, sono meno regolamentati e possono essere acquistati legalmente quasi ovunque.

– Modello d’ispirazione: attacchi con coltelli di successo, come quelli avvenuti in diverse città europee negli ultimi anni, hanno ispirato altri estremisti a replicare questo tipo di azione, seguendo la narrativa che si tratti di un mezzo efficace e relativamente semplice per diffondere terrore. In sintesi, l’uso crescente di coltelli da parte dei terroristi è legato alla loro accessibilità, alla facilità d’uso, alla discrezione e all’efficacia nel creare panico e paura tra la popolazione (Molle, 2024).

3. Il profilo dei terroristi “europei”

Il terrorismo jihadista è un fenomeno a partecipazione prevalentemente maschile: su 295 attentatori il 97% sono di genere maschile (10 le donne); contrariamente al 2020, quando 3 attentatrici presero parte ad azioni terroristiche, il triennio 2021-2023 non ha visto la loro partecipazione diretta.

I terroristi (uomini e donne) identificati i cui dati anagrafici sono stati resi noti hanno un’età mediana di 26 anni: un dato che varia nel corso del tempo (dai 24 nel 2016, ai 30 nel 2019), registrando un aumento dell’età nell’ultimo periodo analizzato che ci consegnando un dato di 28,5 anni nel 2023. Lo studio del profilo dei 200 soggetti di cui abbiamo informazioni anagrafiche sufficienti ha consentito di definire un quadro molto interessante da cui emerge un dato del 7% di terroristi di età inferiore ai 19 anni (con una riduzione dei minori con il trascorrere del tempo), il 38% ha un’età compresa tra i 19 e i 26, il 41,5% tra i 27 e i 35 e, infine, il 13,5% è di età superiore ai 35 anni. Dati che confermerebbero un aumento dell’età media nel corso del tempo nella fascia 19-35 anni a fronte di una riduzione dei minori coinvolti in attacchi terroristici nello stesso periodi di tempo.

Il 93% dei soggetti che hanno portato a compimento un atto terroristico, di cui abbiamo informazioni complete, sono stati portati a termine da “immigrati” (prima, seconda e terza generazione), sia regolari che irregolari. Dei 155 su 237 terroristi analizzati attraverso il database START InSight, il 45% sono immigrati regolari di prima generazione; 28% sono discendenti di immigrati (seconda o terza generazione); gli immigrati irregolari sono il 26%: un dato, quest’ultimo, in crescita che passa al 25% nel 2020, raddoppia con un dato del 50% nel 2021 e cresce fino al 67% nel 2023, con ciò indicando un cambio significativo nella natura dei terroristi tra i quali aumenta la presenza di attentatori di prima generazione (complessivamente il 71% del totale di terroristi). Significativa è anche il dato riferito al 7% di cittadini di origine europea convertiti all’Islam (un dato in lieve flessione rispetto alla media degli anni precedenti). Complessivamente il 73% dei terroristi sono regolarmente residenti in Europa, mentre il ruolo degli immigrati irregolari si impone con un rapporto di circa 1 ogni 4 terroristi (il rapporto era 1:6 fino al 2020). Nel 4% degli episodi è stata riscontrata la presenza di bambini/minori (7) tra gli attaccanti, un dato che ha registrato una diminuzione.

La dimensione etno-nazionale dei terroristi in Europa Il fenomeno della radicalizzazione jihadista in Europa affligge maggiormente alcuni gruppi nazionali ed etnici specifici. Vi è un chiaro rapporto di proporzionalità tra i principali gruppi di immigrati e i terroristi, evidenziato dalla nazionalità dei terroristi o delle loro famiglie di origine, che rispecchia la dimensione delle comunità straniere in Europa. In particolare, prevale l’origine maghrebina: i gruppi etno-nazionali principalmente afflitti dall’adesione jihadista sono quelli marocchino (in particolare in Francia, Belgio, Spagna e Italia) e algerino (in Francia). Il fenomeno della radicalizzazione è stato particolarmente evidente in Belgio e Francia, dove comunità numerose di origine marocchina e algerina hanno visto un numero elevato di giovani aderire a gruppi jihadisti. In Francia, ad esempio, una parte significativa dei terroristi coinvolti negli attentati recenti proveniva da famiglie di origine algerina e marocchina, riflettendo la presenza storica e la dimensione di queste comunità nel paese (Bertolotti, 2023).

Recidivi e terroristi già noti all’intelligence Il ruolo dei recidivi è cresciuto con il trascorrere del tempo, e in conseguenze del loro rilascio dopo periodi di detenzione recentemente conclusi. Si tratta di individui già condannati per terrorismo che hanno portato a compimento azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, anche all’interno delle strutture penitenziarie. Un dato che ci consegna un trend caratterizzato dal 3% di recidivi nel totale dei terroristi che hanno colpito nel 2018 (1 caso), al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020, al 25% (3) nel 2023. Questa situazione conferma la pericolosità sociale di individui che, seppur incarcerati, ritardano l’attuazione di azioni terroristiche. Questo fenomeno suggerisce un incremento della probabilità di attacchi terroristici nei prossimi anni, parallelamente al rilascio di molti detenuti per reati di terrorismo.

START InSight ha evidenziato una tendenza rilevante riguardo le azioni terroristiche compiute da individui già noti alle forze dell’ordine o ai servizi di intelligence europei. Nel 2021, questi casi rappresentavano il 44% del totale, mentre nel 2020 erano il 54%. Questo è un incremento significativo rispetto al 10% registrato nel 2019 e al 17% nel 2018. Un dato che, riferito al 2023, è cresciuto stabilizzandosi al 75%, di fatto confermando le ragioni di preoccupazione delle istituzioni deputate a contrasto del fenomeno violento. I soggetti con precedenti detentivi (anche per reati non associati al terrorismo) nel 2021 hanno confermato una certa stabilità nella partecipazione ad azioni terroristiche da parte di individui con un pregresso carcerario con un dato del 23% nel 2021, in lieve calo rispetto all’anno precedente (33% nel 2020) ma in linea con quello del 2019 (23% nel 2019, 28% nel 2018 e 12% nel 2017); un’evidenza che, pur a fronte di un dato riferito al 2023 decisamente inferiore (8%) confermerebbe l’ipotesi che identifica i luoghi detentivi come spazi di potenziale radicalizzazione e adesione al terrorismo.

4. Quale la reale capacità distruttiva del terrorismo?

Per comprendere il fenomeno del terrorismo in modo realistico, è fondamentale analizzarlo su tre livelli distinti: strategico, operativo e tattico. La strategia riguarda l’utilizzo delle risorse per raggiungere gli obiettivi di lungo termine della guerra. La tattica si concentra sull’uso delle forze in combattimento per ottenere vittorie specifiche in battaglia. Il livello operativo funge da collegamento tra i due, coordinando azioni tattiche per raggiungere gli obiettivi strategici. Questa sintesi, nella sua essenza, sottolinea l’importanza dell’impiego degli uomini nella condotta di azioni militari.

Il successo a livello strategico è marginale Diminuisce – passando dal 16% al 13% – il successo strategico delle azioni terroristiche, ossia l’ottenimento di risultati impattanti sul piano strutturale: blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di ampia portata. Un dato che è comunque da considerare come elevato, considerando il limitato sforzo organizzativo e finanziario da parte dei gruppi, o dei singoli attentatori terroristi. L’andamento nel corso degli anni è stato discontinuo, ma ha messo in evidenza una progressiva riduzione complessiva in termini di capacità ed efficacia: 75% di successo strategico nel 2014, 42% nel 2015, 17% nel 2016, 28% nel 2017, 4% nel 2018, 5% nel 2019, 12% nel 2020 e 6% nel 2021; dal 2022 il successo strategico non viene più ottenuto dagli attacchi terroristici; di fatto confermando un consolidato processo di normalizzazione del terrorismo.

Il trend dell’attenzione mediatica verso gli attacchi terroristici è in calo. A livello strategico, gli attacchi hanno ricevuto l’attenzione dei media internazionali nel 75% dei casi e il 95% a livello nazionale. Le operazioni organizzate dai commando e dai team-raid hanno ottenuto una copertura mediatica completa. Questo successo mediatico ha significativamente influenzato la campagna di reclutamento di aspiranti martiri o combattenti jihadisti, con un picco di reclutamento durante i periodi di maggiore intensità di azioni terroristiche (2016-2017). Tuttavia, l’effetto amplificatore dei media sul reclutamento tende a diminuire nel tempo per due principali motivi: in primo luogo, c’è stata una prevalenza di azioni a “bassa intensità” rispetto a quelle ad “alta intensità”, che sono diminuite, mentre le azioni a bassa e media intensità sono aumentate notevolmente dal 2017 al 2021, pur a fronte di un aumento significativo delle azioni a media intensità nel 2023. In secondo luogo, il pubblico è diventato gradualmente meno sensibile emotivamente alla violenza del terrorismo, specialmente per quanto riguarda gli eventi a bassa e “media intensità”.

Sebbene il livello tattico susciti preoccupazione, non è la priorità per il terrorismo. Partendo dal presupposto che l’obiettivo delle azioni sia provocare la morte del nemico (con le forze di sicurezza come bersaglio nel 35% dei casi), questo è stato raggiunto in media nel 50% dei casi tra il 2004 e il 2023. Tuttavia, l’ampio intervallo di tempo influisce significativamente sul margine di errore. L’analisi del periodo 2014-2023 mostra una tendenza al peggioramento degli effetti desiderati dai terroristi, con una prevalenza di attacchi a bassa intensità e un aumento delle azioni fallimentari, almeno fino al 2022, quando il successo tattico si stabilizza al 33%, coerentemente con i dati del 2016. Il 2023 è in controtendenza.

I dati degli ultimi sei anni evidenziano che nel 2016, il successo tattico è stato ottenuto nel 31% dei casi, con un 6% di atti fallimentari. Nel 2017, il successo è salito al 40%, con un tasso di fallimento del 20%. Nel 2018, il successo è sceso al 33%, mentre gli attacchi falliti sono raddoppiati al 42%. Nel 2019, il successo è ulteriormente calato al 25% per poi risalire al 33% nel 2020-2022. Questo andamento, che può essere interpretato come un duplice effetto della riduzione della capacità operativa dei terroristi e della maggiore reattività delle forze di sicurezza europee, ci consegna però un dato riferito al 2023 pari al 50% di azioni in grado di ottenere un successo tattico, ossia la morte di almeno un obiettivo.

Database START Insight (Lugano, 2024)

Il vero successo è a livello operativo: il “blocco funzionale” Anche quando un attacco terroristico non riesce, produce comunque un risultato significativo: impegna pesantemente le forze armate e di polizia, distraendole dalle loro normali attività o impedendo loro di intervenire a favore della collettività. Inoltre, può interrompere o sovraccaricare i servizi sanitari, limitare, rallentare, deviare o fermare la mobilità urbana, aerea e navale, e ostacolare il regolare svolgimento delle attività quotidiane, commerciali e professionali, danneggiando le comunità colpite. Questo riduce efficacemente il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo, nonché la capacità di resilienza. In generale, infligge danni diretti e indiretti, indipendentemente dalla capacità di provocare vittime. La limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile ottenuto attraverso queste azioni.

In sostanza, il successo del terrorismo, anche senza causare vittime, risiede nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionare i comportamenti nel tempo in relazione alle misure di sicurezza o limitazioni imposte dalle autorità politiche e di pubblica sicurezza. Questo fenomeno è noto come “blocco funzionale”. Nonostante la capacità operativa del terrorismo sia sempre più ridotta, il “blocco funzionale” rimane uno dei risultati più importanti ottenuti dai terroristi, indipendentemente dal successo tattico (uccisione di almeno un obiettivo). Dal 2004 a oggi, il terrorismo ha dimostrato di essere efficace nel conseguire il “blocco funzionale” nell’80% dei casi, con un picco del 92% nel 2020 e dell’89% nel 2021. Questo risultato impressionante, ottenuto con risorse limitate, conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo, pur a fronte di una rilevata perdita progressiva di capacità che ha visto diminuire l’ottenimento del “blocco funzionale”, sceso al 78% nel 2022 e al 67% nel 2023.

5. La capacità di reclutamento e le strategie operative

Il gruppo Stato islamico, persa la sua capacità territoriale in Siria e Iraq (2013-2017), non ha più la forza di inviare i propri terroristi sul suolo europeo a causa della perdita della capacità di proiezione operativa diretta all’esterno; al contrario, il gruppo non avrebbe perso la potenzialità attrattiva, con ciò dimostrando di aver saputo sviluppare una capacità di reclutamento indiretto basato sul riconoscimento “postumo” degli individui che portano a compimento azioni terroristiche individuali di successo. Per queste ragioni la minaccia rimane significativa, proprio grazie alla presenza e all’azione di attori isolati, spesso improvvisati e spinti dall’emulazione e senza un legame diretto con l’organizzazione.

Mentre il gruppo dello Stato Islamico continua a imporsi su un piano ideologico come la principale minaccia jihadista, in particolare sfruttando il controllo territoriale e le disponibilità finanziarie del proprio franchise afghano Stato islamico Khorasan, è però assodato come sia incapace di riproporre il travolgente richiamo che ebbe il “califfato” nel periodo 2014-2017, poiché sarebbero venuti meno il vantaggio della novità, e di conseguenza l’appeal, che ne costituiva il punto di forza, in particolare nei confronti dei più giovani. Inoltre, sia dal punto di vista legislativo che sul piano operativo, l’Unione europea ha saputo ridurre in maniera rilevante le proprie vulnerabilità, sebbene con maggiore prevalenza in termini di contrasto al terrorismo rispetto all’azione preventiva.

Permangono, nel complesso segnali di preoccupazione legati agli effetti emulativi e alla “chiamata alla guerra” connessa a eventi sul piano internazionale in grado di indurre singoli soggetti ad agire in nome del jihad: l’evento più importante nel 2021, che ha dato e continuerà a dare un impulso agli effetti del jihad transnazionale è stata la vittoria dei talebani in Afghanistan che, da un lato ha alimentato la variegata propaganda jihadista attraverso il messaggio della “vittoria come risultato della lotta continua” e, dall’altro lato, ha dato vita a una forma di competizione dei “jihad” tra gruppi impegnati in forme di lotta e resistenza esclusivamente locali e chi, come lo Stato islamico, recepisce e propone il jihad esclusivamente come strumento di lotta a oltranza a livello globale. In tale dinamica competitiva si sono inserite le azioni associate alla guerra IsraeleHamas e all’appello jihadista a colpire attraverso azioni di violenza, in cui gli adepti dello Stato islamico e i musulmani votati alla causa di Hamas si sono contesi i successi sul campo di battaglia e la conseguente attenzione mediatica.

In tale quadro complessivo e in continua evoluzione, dobbiamo continuare a prestare attenzione alla forza jihadista nel continente africano, in particolare le aree dell’Africa sub-sahariana, il Sahel, il Corno d’Africa e, ancora, il Ruanda e il Mozambico, al fine di contrastare l’emergere in questo continente di nuovi “califfati” o “wilayat” che potrebbero minacciare direttamente l’Europa.

Nella prolifica propaganda jihadista, lo Stato Islamico si vanta della propria diffusione nel continente africano, in un rapporto di competizione collaborativa con il proprio franchise afghano, e pone in evidenza come l’obiettivo di contrastare la presenza e la diffusione del cristianesimo porterà il gruppo a espandersi in altre aree del continente. Se altrove, come nel Maghreb, nel Mashreq e in Afghanistan l’attività dello Stato islamico è incentrata sulla lotta settaria intra-musulmana, in Africa la sua presenza si è ormai impone come parte di un conflitto tra musulmani e cristiani, rafforzata da una propaganda che insiste sulla necessità di fermare la conversione dei musulmani al cristianesimo attuata attraverso i “missionari” e “il pretesto” degli aiuti umanitari. In tale quadro si inseriscono le violenze, i rapimenti e le uccisioni di religiosi missionari, attacchi contro le Organizzazioni non governative (Ong) e le missioni internazionali, dal Burkina Faso al Congo e, ancora, gli attacchi alle comunità cristiane.

6. Dal Nord Africa al Sahel: uno sguardo al terrorismo “mediterraneo”

Guardando al nord Africa, la regione continua ad affrontare le minacce di gruppi terroristici affiliati ad alQa’ida nel Maghreb islamico (AQIM); lo Stato Islamico; e i combattenti terroristi stranieri (FTF) che si sono recati in Iraq o in Siria. Il ritorno inosservato di questi reduci nei loro paesi d’origine dopo la sconfitta territoriale dello Stato islamico pone ulteriori sfide alla sicurezza. Inoltre, negli ultimi anni, attori solitari e piccole cellule hanno compiuto una serie di attacchi mortali in diversi Stati nordafricani e si sono dimostrati difficili da individuare.

Il Sahel sta diventando un nuovo centro del terrorismo jihadista, con un aumento significativo delle vittime in questa regione nel 2023, ma nel complesso, l’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) ha visto una diminuzione del 42% delle vittime negli ultimi tre anni. Il Nord Africa in particolare sta assistendo a una costante riduzione della violenza estremista, riportando il numero di attacchi violenti ai livelli pre-IS. Nel 2022, il Nord Africa ha registrato una diminuzione di 14 volte delle vittime rispetto al 2015, con il Marocco classificato come il paese più sicuro nella regione, mentre l’Egitto è tra i paesi più colpiti dal terrorismo. La Libia, l’Algeria e la Tunisia si collocano tra i due estremi con un impatto medio-basso del terrorismo.

Il Sahel e il Maghreb sono fortemente connessi politicamente, economicamente e in termini di sicurezza. La presenza di gruppi terroristici che sfruttano tensioni etniche, sfide climatiche e mancanza di servizi pubblici ha trasformato questa regione in un centro di attività jihadiste, con il rischio di diffondere la minaccia terroristica verso altre aree. L’instabilità nel Sahel ha già influenzato l’Africa occidentale e i paesi costieri del Golfo di Guinea, dove gruppi affiliati ad al-Qaeda sono attivi. Questa situazione potrebbe anche coinvolgere il Nord Africa, mettendo a rischio i progressi ottenuti in materia di prevenzione, antiterrorismo e de-radicalizzazione in alcuni paesi della regione.

Ora, guardando ai paesi del nord africa come paesi di emigrazione, ancora di più, come paesi di transito dei flussi migratori verso l’Europa, si pone la questione della possibile contaminazione jihadista o del suo trasferimento. Un ragionamento che impone di osservare l’evoluzione di un fenomeno in fase di evidente consolidamento e che trova nell’area mediterranea quella che è a tutti gli effetti un’inesauribile linfa vitale.

Claudio Bertolotti, è Dottore di ricerca (Ph.D.), Direttore Esecutivo di START, è stato dal 2014 al 2023 ricercatore senior presso “5+5 Defense Initiative”. Laureato in Storia contemporanea e specializzato in Sociologia dell’Islam, ha conseguito un dottorato in Sociologia e Scienza politica, con un focus sulle Relazioni Internazionali. Dal 17 aprile 2019 è Direttore Esecutivo di ReaCT – Osservatorio nazionale sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (Roma-Milano-Lugano). Dal 30 settembre 2021 è membro del Comitato per i diritti umani e civili presso il Consiglio della Regione Piemonte. È autore, tra gli altri, di Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale (START InSight, 2024), Immigrazione e terrorismo (START InSight, 2020), Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga (CASD, 2019), Shahid. Analisi del terrorismo suicida in Afghanistan (FrancoAngeli ed. 2010).

Bibliografia
Bertolotti, C. (2024), Gaza Underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas. Storia, strategie, tattiche, guerra cognitiva e intelligenza artificiale, START InSight ed., Lugano.
Bertolotti, C. (2023), L’evoluzione del terrorismo in Europa: terrorismo di sinistra, destra, anarchico, individuale, e il ruolo degli immigrati nel terrorismo jihadista all’interno dell’Unione Europea (Analisi di correlazione e regressione), in #ReaCT2023, 4° Rapporto sul Terrorismo e il Radicalismo in Europa, START InSight ed., Lugano, ISBN 978-88-322-94-18-7, ISSN 2813-1037 (print), ISSN 2813-1045 (online)


Pubblicato il Rapporto #ReaCT2024 sul terrorismo e il radicalismo in Europa

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Introduzione di Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT

In qualità di Direttore dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT), sono lieto, oltreché onorato, di presentare per il quinto anno consecutivo il nostro annuale prodotto di ricerca e analisi sul terrorismo e il radicalismo in Europa. Nel solco tracciato dai precedenti quattro numeri, #ReaCT2024 – 5° Rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa è frutto dell’impegno e della costanza di ricercatori, accademici, professionisti che, con differenti approcci, metodi e punti di osservazione, collocandosi su un piano trasversale e multidisciplinare teso a definire le origini, le ragioni, i punti di forza e le vulnerabilità di un fenomeno poliedrico che la tradizionale metodologia analitica non è più in grado di collocare all’interno di definizioni che non siano meramente didascaliche o formali. È ormai consolidata l’evoluzione dei fenomeni di devianza sociale – così come anticipammo in maniera dettagliata e approfondita all’inizio del nostro percorso di ricerca ed editoriale a partire dal 2020 – che progressivamente si sovrappongono o si associano ai fenomeni di violenza radicale, sempre più a partecipazione individuale, emulativa con una rilevante ambizione “spettacolare”, rientranti in sfere ideologiche o identitarie dal crescente carattere “compartimentato”.

Il rapporto, coerentemente con il percorso sin qui tracciato, si propone come combinazione unica di rivista scientifica e volume collettivo, con contributi di vari autori, ricercatori e collaboratori che hanno dedicato il loro tempo, la loro esperienza e le loro conoscenze. A loro, indistintamente, va la gratitudine del board di ReaCT e mia personale, per il prezioso contributo di ricerca sul campo e per i loro immani sforzi intellettuali. Voglio altresì ringraziare il Ministero della Difesa italiano per aver confermato la stima e la fiducia nell’Osservatorio che dirigo concedendo il patrocinio agli eventi di presentazione del rapporto.

Quali risultati ci consegna la ricerca continua dell’Osservatorio?

Guardando agli ultimi cinque anni, nel più ampio contesto di un’evoluzione storica e operativa, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico. Dal 2019 al 2023 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 – dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015). Sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo palestinese Hamas associato alla guerra contro Israele, sono stati registrate 194 azioni in nome del jihad dal 2014 al 2023, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico. Nel 2023 sono state registrate 12 azioni jihadiste, coerenti con i dati del 2024 ma in lieve flessione rispetto ai 18 attacchi annuali del 2022 e 2021, e con un aumento significativo di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti, che ha portato il dato ad attestarsi sui livelli elevati degli anni precedenti. Il 2023 e il 2024 hanno inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate.

Il Rapporto, dopo la disamina storica e quantitativa del fenomeno terroristico, approfondisce poi il tema dello Stato Islamico Khorasan e la possibile minaccia rivolta all’Europa con particolare attenzione al jihad di ritorno dal Sahel al Nord Africa. Allargando il campo di osservazione, #ReaCT2024 si concentra sulle variabili del terrorismo e i caratteri delle manifestazioni antisistema rilevando la necessità di analizzare un fenomeno estremamente dinamico in funzione degli spazi di azione e, su un piano paradigmatico, di procedere urgentemente verso una nuova e condivisa definizione di terrorismo poiché da questa discendono gli strumenti legislativi e giudiziari di prevenzione e contrasto del fenomeno. Altro tema approfondito è quello del “terrorismo solitario” inteso come fenomeno molteplice e puntiforme grazie al ruolo giocato dai social network, dalle dinamiche collettive, dai cluster e dalle ondate e comunità online, a cui si associa l’evoluzione di forme di estremismi “giovani, autonomi ed emancipati”.

In tale contesto in costante evoluzione si inseriscono i fenomeni di radicalizzazione ed estremismo negli ecosistemi digitali fra nuove tecnologie e intelligenza artificiale, i discorsi d’odio digitali come precursori della violenza estremista che apre all’ipotesi suggestiva del “caos armato” a cui il Rapporto dedica un’ampia analisi con un focus sull’accelerazionismo militante, dall’estrema sinistra all’estrema destra.

Sul piano della prevenzione, ampio spazio viene dedicato all’analisi sulla RAN (Radicalization Awareness Network), attraverso un bilancio approfondito su successi, limiti e fallimenti in termini di policy e pratiche, ponendo l’accento sulla vexata quaestio: i radicali torneranno mai a de-radicalizzarsi?

Ampio spazio viene poi dedicato all’insorgere di nuovi estremismi portatori di istanze anti-democratiche, per poi invitare i lettori a riflettere sull’evoluzione dei fenomeni attraverso due casi studio specifici: il primo sulla prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento attraverso il contributo delle forze di sicurezza in Portogallo; il secondo sulla sistematica discriminazione di genere in Afghanistan sotto il governo islamista dei talebani, teorizzando la sistematicità di un’apartheid di genere. In conclusione, anche il contributo di quest’anno ha voluto confermare l’ambizione dell’Osservatorio di essere testimonianza della forza e della dedizione della nostra comunità di studiosi e operatori nella lotta in corso contro l’evolvere dei fenomeni di devianza sociale violenta, dei radicalismi e dei terrorismi. Auspico, in qualità di Direttore dell’Osservatorio, che i risultati e le suggestioni contenute in questo Rapporto contribuiscano sempre più a una migliore comprensione dell’evoluzione della minaccia dei terrorismi in Europa e servano come appello all’azione per tutti i soggetti interessati a lavorare insieme ai fini della prevenzione e del contrasto agli estremismi violenti.

Grazie ancora a tutti gli Autori che, con il loro encomiabile lavoro, hanno contribuito ancora una volta alla realizzazione di #ReaCT2024. Un ringraziamento speciale va, come sempre, a START InSight, che ha consentito la pubblicazione e la distribuzione internazionale del nostro rapporto annuale. Infine, un doveroso ricordo al nostro amico Marco Cochi, ricercatore serio e capace, prematuramente scomparso.


Radicalizzati a 11 anni. È possibile?

Dopo la segnalazione di un caso nella Svizzera francese, il Presidente di START InSight Chiara Sulmoni ha parlato del tema con i servizi info della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana.

Intervista a cura della giornalista Francesca Calcagno, SEIDISERA, 6 settembre 2024 (approfondimento radio)

LEGGI QUI LA TRASCRIZIONE DELL’INTERVISTA

Intervista a cura della giornalista Alessia Caldelari, TG RSI, 6 settembre 2024 (TV)


Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024: la recensione.

di Claudio Bertolotti.

Abstract (Italian)

L’Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024, giunto alla sua decima edizione, sottolinea l’importanza cruciale del Mediterraneo per Europa, Africa e Asia, evidenziando il ruolo chiave dell’Italia come ponte strategico nella regione. Esamina lo sviluppo della politica estera italiana dal dopoguerra, mostrando come la stabilità del Mediterraneo sia fondamentale per gli interessi del paese. Celebrando figure storiche italiane come Fanfani, Gronchi, La Pira e Mattei, il testo sottolinea l’importanza dell’Italia nella gestione delle risorse energetiche, sicurezza marittima e flussi migratori, promuovendo una collaborazione equa e sostenibile tra le nazioni mediterranee. L’Atlante affronta anche le attuali instabilità regionali, come le tensioni in Libia, la svolta autoritaria in Tunisia e il conflitto israelo-palestinese, proponendo la soluzione a due Stati come via per una pace duratura. La stabilizzazione del Mediterraneo è vista come essenziale per la crescita delle nazioni rivierasche. L’edizione esplora le dinamiche politiche e socio-economiche attuali e future del Mediterraneo, offrendo uno strumento per comprendere e affrontare le sfide della regione, enfatizzando il ruolo cruciale dell’Italia nella politica estera e nella gestione delle sfide regionali.

Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024, a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari; prefazione Di Paolo De Nardis; introduzione di Gianluigi Rossi, ed. Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Roma, pp. 570.

Keywords: Mediterraneo, Piano Mattei.

L’Atlante geopolitico del Mediterraneo 2024, giunto alla sua decime edizione, discute il ruolo cruciale del Mediterraneo nelle dinamiche geopolitiche globali, evidenziando la sua importanza storica, culturale ed economica per tre continenti: Europa, Africa ed Asia. In particolare sottolinea come l’Italia, grazie alla sua posizione strategica, giochi un ruolo chiave nella regione, agendo come ponte tra Nord e Sud, Est e Ovest. La decima edizione dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo esamina, in particolare, lo sviluppo della politica estera italiana dal dopoguerra, dimostrando come gli interessi dell’Italia siano strettamente legati alla stabilità della regione. Un’evoluzione storica che evoca il ruolo giocato dalla politica estera italiana nelle relazioni internazionali, richiamando i nomi di coloro che ne hanno definito le direttrici, oggi in parte non più così ben definite, da Amintore Fanfani a Giovanni Gronchi a Giorgio La Pira ed Enrico Mattei, il cui nome è oggi il punto di riferimento ideale di un importante e ambizioso progetto di cooperazione e collaborazione regionale particolarmente caro all’Italia.

Come storico non ho potuto che apprezzare lo sforzo degli autori – e dunque dei curatori – nel ricostruire il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo negli ultimi settant’anni, evidenziando l’importanza del paese in settori come la gestione delle risorse energetiche, la sicurezza marittima e i flussi migratori. Il testo sottolinea la necessità di superare le vecchie dinamiche coloniali per promuovere una collaborazione equa e sostenibile tra le nazioni mediterranee.

La regione, viene rilevato nel testo, è attualmente segnata da instabilità, come le tensioni in Libia, la svolta autoritaria in Tunisia e il conflitto israelo-palestinese. La soluzione a due Stati è vista come l’unica strada per la pace duratura in Medio Oriente. Stabilizzare il Mediterraneo è essenziale per la crescita delle nazioni rivierasche.

Questa edizione dell’Atlante mira a esplorare le attuali dinamiche politiche e socio-economiche del Mediterraneo e le prospettive future, offrendo uno strumento essenziale per comprendere e affrontare le sfide della regione. Il testo evidenzia l’importanza dell’Italia nel Mediterraneo, sottolineando il suo ruolo cruciale nella politica estera e nella gestione delle sfide regionali.

PARTE PRIMA: APPROFONDIMENTI

“La dimensione mediterranea della politica estera italiana fra Atlantico ed Europa (1949-1969)” (di Bruna Bagnato).

Nel suo saggio l’Autrice esamina le tre principali direttrici della politica estera italiana nel secondo dopoguerra: europea, atlantica e mediterranea. Queste direttrici non sono statiche ma si sono evolute in risposta ai cambiamenti geopolitici.

L’Italia, pur geograficamente europea e mediterranea, ha dovuto integrare la sua partecipazione all’alleanza atlantica (NATO) dal 1949, il che ha influenzato la sua politica estera, spingendola ad adattarsi ai contesti della Guerra Fredda e agli interessi occidentali. La divisione dell’Europa in blocchi orientale e occidentale e le tensioni Est-Ovest hanno complicato la politica mediterranea italiana, che ha dovuto affrontare le eredità coloniali e le sfide della decolonizzazione.

La politica italiana, influenzata dalle diverse stagioni politiche interne, ha oscillato tra strategie mediterranee e europee. Negli anni ’50, con l’avvento del “neo-atlantismo”, l’Italia ha cercato di coniugare l’impegno atlantico con una nuova politica mediterranea, adottando posizioni anticoloniali per allinearsi con gli Stati Uniti e differenziarsi dall’imperialismo anglo-francese.

Il testo, in particolare, sottolinea come il “neo-atlantismo” abbia cercato di dare all’Italia un ruolo più dinamico nel Mediterraneo, basato su una cooperazione con gli Stati Uniti e una maggiore attenzione alle aspirazioni dei paesi arabi. Tuttavia, questo approccio ha dovuto confrontarsi con le complessità della politica europea, soprattutto con la posizione francese riguardo ai territori d’oltremare e l’associazione dei paesi africani alla Comunità Economica Europea (CEE).

Con la crisi di Suez del 1956, l’Italia ha visto un’opportunità per consolidare la propria politica mediterranea in sintonia con l’orientamento anticoloniale americano. Italia che, negli anni ’60, ha dovuto affrontare le sfide del boom economico, della decolonizzazione e del cambiamento nelle dinamiche della Guerra Fredda. La politica estera italiana nel Mediterraneo ha dovuto adattarsi a un nuovo contesto internazionale, segnato dalla distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica e dall’evoluzione delle relazioni euro-arabe.

La politica mediterranea italiana si è quindi spostata verso un approccio multilaterale, integrando le istanze comunitarie europee e ponendo le basi per una collaborazione più stretta con i partner europei per la stabilizzazione politica ed economica della regione. Questo cambiamento ha rappresentato un allontanamento dalla precedente enfasi atlantica, con una maggiore enfasi sulla cooperazione europea nel Mediterraneo.

La politica estera italiana e il “Mediterraneo allargato” dalla crisi del centro-sinistra a oggi (di Antonio Varsori).

Premessa storica e contesto iniziale. Dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Cinquanta, l’Italia, guidata dalla Democrazia Cristiana (DC), ha cercato di superare le difficoltà derivanti dalla sconfitta e dal trattato di pace, ricostruendo il proprio ruolo all’interno del sistema occidentale e del sottosistema europeo dominato dagli Stati Uniti. Questa fase è stata caratterizzata da una scelta “atlantica” ed “europea” che ha incluso l’adesione al Piano Marshall e al Patto Atlantico, oltre alla partecipazione al Consiglio d’Europa e al Piano Schuman.

La politica estera degli anni ’90. Con la crisi di “Tangentopoli” e la fine della Guerra fredda, l’Italia ha subito un ripiegamento sui problemi interni e un ridimensionamento del proprio ruolo nel Mediterraneo allargato. Le priorità si sono spostate verso la partecipazione all’Unione Europea e all’adozione dell’euro. Tuttavia, un tentativo significativo di mantenere un ruolo attivo nella regione è stato l’invio di un contingente militare in Somalia nel 1992 per partecipare a una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite; una partecipazione importante sul piano delle relazioni internazionali che, per contro, ha avuto esiti complessi e drammatici.

L’era Berlusconi. Durante i governi Berlusconi, l’Italia ha affrontato diverse sfide nel Mediterraneo allargato. Un esempio è stato il controverso impegno militare in Iraq, che ha sollevato forti opposizioni interne e divergenze con le politiche di altri paesi europei come Francia e Germania. Berlusconi ha anche rafforzato i rapporti con la Libia di Gheddafi, culminati in un accordo che prevedeva riparazioni per il passato coloniale italiano e un maggiore controllo sui flussi migratori illegali.

La politica migratoria e le crisi recenti. L’immigrazione è diventata una questione centrale nella politica mediterranea italiana. Dagli anni Novanta, l’Italia ha visto un crescente flusso di immigrati provenienti dai Balcani, dal Maghreb e dall’Africa subsahariana. Questo ha portato a tensioni e accordi, come quello con la Libia per controllare l’immigrazione clandestina. La crisi libica del 2011 e le Primavere arabe hanno ulteriormente complicato la situazione, provocando instabilità e nuovi flussi migratorie.

Sfide contemporanee. La recente escalation della questione palestinese e la ricerca di nuovi partner energetici dopo l’interruzione dei rapporti con la Russia a causa della guerra in Ucraina, insieme all’aumento dei flussi migratori da Tunisia e Libia, rappresentano le attuali sfide per l’Italia. In questo contesto, il “Piano Mattei” e un nuovo attivismo mediterraneo sono stati proposti come soluzioni, ma i loro esiti rimangono incerti.

Conclusioni. Dal dopoguerra a oggi, la politica estera italiana nel Mediterraneo allargato ha attraversato diverse fasi, influenzate da cambiamenti interni e globali. Dalla costruzione iniziale di un ruolo nell’ambito del sistema occidentale, passando per le crisi politiche ed economiche degli anni ’90, fino alle sfide contemporanee legate alla migrazione e alla sicurezza energetica, l’Italia ha costantemente cercato di mantenere una presenza significativa nella regione, adattandosi ai mutamenti del contesto internazionale.

“La politica estera italiana e il Medio Oriente negli anni della Repubblica” (di Luca Riccardi).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia attraversò un periodo di ricostruzione economica e di riorganizzazione della propria politica estera. Questo periodo segnò il passaggio dall’ambizione di essere una grande potenza a una media potenza integrata nel sistema internazionale dominato dagli Stati Uniti.

Origini della politica mediorientale. Subito dopo la guerra, l’Italia si concentrò sul mantenimento della stabilità politica nel Mediterraneo orientale, sostenendo soluzioni accettabili sia per gli arabi che per gli ebrei. L’obiettivo principale era la stabilità, vista come necessaria per perseguire gli interessi economici italiani e proteggere le comunità italiane presenti nella regione.

Neo-atlantismo e rafforzamento dei legami con gli Stati Uniti

Negli anni Cinquanta, l’Italia sviluppò una politica chiamata “neo-atlantismo”, che mirava a rafforzare la presenza politica ed economica nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Questa politica cercava di conciliare gli interessi italiani con quelli americani, fungendo da collegamento tra gli Stati Uniti e il mondo arabo. Protagonisti di questa politica furono Amintore Fanfani, Giovanni Gronchi, Giorgio La Pira ed Enrico Mattei.

Gli anni Sessanta e Settanta. Durante gli anni Sessanta e Settanta, l’Italia, sotto la guida di Aldo Moro, cercò di stabilizzare la regione attraverso una politica di contatti e un crescente coordinamento con i paesi della Comunità Europea. Tuttavia, la crisi petrolifera del 1973 e le sue conseguenze economiche influenzarono negativamente la politica italiana, rendendo il paese dipendente dalle forniture di petrolio dai paesi arabi.

Gli anni Ottanta. Negli anni Ottanta, con Bettino Craxi come Presidente del Consiglio e Giulio Andreotti come Ministro degli Esteri, l’Italia mantenne una forte presenza nel Mediterraneo allargato. Craxi e Andreotti cercarono di promuovere il coinvolgimento dell’OLP nel processo di pace, sostenendo il diritto dei palestinesi a una patria propria, senza compromettere l’esistenza dello Stato di Israele. L’Italia cercò di bilanciare le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo arabo, mantenendo una posizione di equidistanza.

Declino e marginalizzazione. Verso la fine della Prima Repubblica, l’Italia iniziò a perdere rilevanza nella politica mediorientale, diventando sempre più allineata con le politiche degli Stati Uniti. La conferenza di Madrid del 1991 segnò un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia e dell’Europa nel processo di pace in Medio Oriente.

In sintesi, la politica estera italiana verso il Medio Oriente è stata caratterizzata da tentativi di mantenere la stabilità nella regione, rafforzare i legami economici e politici con i paesi arabi, e bilanciare le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo arabo, pur affrontando periodi di crisi economica e declino politico.

PARTE SECONDA: SCHEDE PAESI

Marocco

La Storia. La storia del Marocco è caratterizzata da un lungo periodo di colonizzazione europea iniziata ufficialmente nel 1912 con il Trattato di Fez, che sanciva l’istituzione di un protettorato francese e spagnolo sul paese. Durante il periodo coloniale, il Marocco vide una vasta politica di modernizzazione, con la costruzione di infrastrutture e nuove città ad opera dei coloni francesi. La resistenza contro il dominio coloniale portò a frequenti rivolte, culminate nella “Rivoluzione del re e del popolo” del 1953, che contribuì all’indipendenza del paese, riconosciuta dalla Francia nel 1956. Mohammed V divenne re, avviando un processo di riforme che portarono alla modernizzazione del paese e alla creazione di una monarchia costituzionale.

Oggi. Negli ultimi decenni, il Marocco ha affrontato numerose sfide e trasformazioni. Sotto il regno di Mohammed VI, iniziato nel 1999, il paese ha intrapreso un percorso di riforme economiche e politiche, tra cui la promozione dei diritti umani e la modernizzazione delle istituzioni. Tuttavia, permangono criticità relative ai diritti umani e alla questione del Sahara Occidentale. Il Marocco ha anche consolidato il suo ruolo geopolitico nella regione, ristabilendo relazioni diplomatiche con Israele nel 2020 e giocando un ruolo chiave nella gestione delle migrazioni tra Africa ed Europa.

Algeria

La Storia. L’Algeria, colonizzata dalla Francia dal 1830, visse un periodo di modernizzazione nel primo dopoguerra. Tuttavia, la crescente consapevolezza nazionale portò alla guerra di indipendenza algerina (1954-1962), un conflitto sanguinoso che culminò con l’indipendenza del paese nel 1962. Il periodo post-indipendenza fu caratterizzato da una forte centralizzazione del potere sotto il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), che governò in modo autoritario, affrontando periodi di instabilità politica e economica.

Oggi. L’Algeria contemporanea è una repubblica semipresidenziale con una popolazione di circa 44,9 milioni di abitanti. Il paese continua a confrontarsi con questioni di governance, diritti umani e diversificazione economica. Le elezioni del 2019 e del 2021 hanno portato Abdelmadjid Tebboune alla presidenza, con il governo che cerca di bilanciare le richieste di riforme politiche con la stabilità sociale. Le relazioni con il Marocco rimangono tese, specialmente a causa delle dispute territoriali e delle accuse reciproche di interferenze politiche.

Tunisia

La Storia. La Tunisia, anch’essa colonizzata dalla Francia, ottenne l’indipendenza nel 1956 sotto la guida di Habib Bourguiba, che instaurò un regime modernizzatore ma autoritario. Dopo il colpo di stato del 1987, Zine El Abidine Ben Ali salì al potere, governando fino alla Rivoluzione dei Gelsomini del 2011, che portò alla sua destituzione e avviò un processo di transizione democratica.

Oggi. La Tunisia è considerata una delle storie di successo della Primavera Araba, con un processo democratico ancora in corso. Tuttavia, il paese affronta sfide significative, tra cui instabilità politica, disoccupazione giovanile e minacce terroristiche. Le recenti elezioni e le riforme costituzionali mirano a consolidare un modello di democrazia fortemente presidenziale e uno stato consapevole del proprio ruolo all’interno dell’area geopolitica regionale.

Libia

La Storia. La storia moderna della Libia è segnata dalla colonizzazione italiana e dalla dittatura di Muammar Gheddafi, che governò dal 1969 fino alla sua deposizione nel 2011 durante la guerra civile libica. Il regime di Gheddafi era caratterizzato da politiche autoritarie e di centralizzazione del potere, con una forte retorica anti-occidentale.

Oggi. La Libia odierna è divisa e instabile, con vari gruppi armati e fazioni politiche che competono per il controllo del paese. Nonostante gli sforzi internazionali per stabilizzare la situazione, la Libia rimane in gran parte frammentata, con un governo di unità nazionale che lotta per affermare la propria autorità. La situazione umanitaria e la sicurezza continuano a essere problematiche.

Egitto

La Storia. L’Egitto ha una lunga storia di civiltà antiche e dominazioni straniere. Nel XX secolo, l’Egitto ottenne l’indipendenza dal Regno Unito nel 1922, ma rimase sotto un’influenza britannica significativa fino alla rivoluzione del 1952 che portò Gamal Abdel Nasser al potere. Nasser attuò politiche di nazionalizzazione e panarabismo. Successivamente, sotto Anwar Sadat e Hosni Mubarak, il paese si orientò verso politiche più aperte e relazioni con l’Occidente.

Oggi. L’Egitto contemporaneo, sotto il presidente Abdel Fattah al-Sisi, affronta sfide economiche e politiche significative. Le riforme economiche hanno portato a una crescita economica, ma anche a un aumento della povertà e delle disuguaglianze. La repressione politica rimane forte, con limitazioni alle libertà civili e politiche. L’Egitto continua a svolgere un ruolo chiave nella geopolitica del Medio Oriente, mantenendo relazioni strategiche con vari attori internazionali.

Israele

La Storia. Israele, fondato nel 1948, ha una storia complessa segnata da conflitti con i paesi vicini e tensioni interne. La guerra di indipendenza del 1948-49, le guerre arabo-israeliane e il conflitto israelo-palestinese hanno definito gran parte della sua storia. Israele ha anche vissuto periodi di crescita economica e tecnologica, affermandosi come una delle economie più avanzate della regione.

Oggi. Israele è una democrazia parlamentare con una popolazione diversificata. Le questioni di sicurezza nazionale, il conflitto con i gruppi palestinesi e le dinamiche politiche interne sono al centro dell’attenzione. Le recenti normalizzazioni delle relazioni con alcuni paesi arabi rappresentano sviluppi significativi, ma permangono tensioni e sfide sul fronte interno e regionale.

Autorità Nazionale Palestinese

La Storia. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è stata istituita nel 1994 a seguito degli Accordi di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). L’ANP è responsabile del governo dei territori palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ma ha affrontato numerose difficoltà, inclusi conflitti interni e tensioni con Israele.

Oggi. Oggi, l’ANP è divisa tra la Cisgiordania, controllata da Fatah, e Gaza, sotto il controllo di Hamas. La situazione politica ed economica è instabile, con frequenti tensioni e scontri con Israele. Gli sforzi per la riconciliazione interna e per una soluzione del conflitto con Israele continuano, ma le prospettive di pace rimangono incerte.

Libano

La Storia. Il Libano, indipendente dalla Francia dal 1943, ha una storia segnata da conflitti civili e interventi stranieri. La guerra civile libanese (1975-1990) ha devastato il paese, seguito da un periodo di ricostruzione e di tensioni politiche e settarie. La presenza di Hezbollah e l’influenza siriana hanno contribuito alla complessità politica del Libano.

Oggi.Il Libano contemporaneo è afflitto da una grave crisi economica, politica e sociale. Le proteste popolari, la corruzione diffusa e l’esplosione del porto di Beirut nel 2020 hanno aggravato la situazione. Il paese lotta per superare le divisioni settarie e per trovare stabilità politica ed economica.

Siria

La Storia. La Siria, indipendente dalla Francia nel 1946, ha una storia di instabilità politica e colpi di stato. Il regime di Hafez al-Assad, iniziato nel 1970, ha stabilito una dittatura che è stata portata avanti dal figlio Bashar al-Assad. La Siria ha giocato un ruolo centrale nella politica del Medio Oriente, spesso in conflitto con Israele e coinvolta nelle dinamiche regionali.

Oggi. La Siria è devastata da una guerra civile iniziata nel 2011, con milioni di rifugiati e sfollati interni. Il regime di Bashar al-Assad, con il sostegno di Russia e Iran, ha riconquistato gran parte del territorio, ma il paese rimane diviso e instabile. La ricostruzione e la riconciliazione sono sfide enormi, mentre la situazione umanitaria è critica.

Giordania

La Storia. La Giordania, creata dal mandato britannico nel 1921 e indipendente dal 1946, è stata governata dalla dinastia hashemita. Il paese ha mantenuto una relativa stabilità nonostante le turbolenze regionali, giocando un ruolo moderato nella politica mediorientale e ospitando un gran numero di rifugiati palestinesi.

Oggi. La Giordania continua ad affrontare sfide economiche e sociali, aggravate dall’afflusso di rifugiati siriani e dalle pressioni regionali. Il re Abdullah II guida il paese verso riforme economiche e politiche, cercando di mantenere la stabilità in un contesto regionale difficile.

Turchia

La Storia. La Turchia moderna, fondata da Mustafa Kemal Atatürk nel 1923, è stata costruita sui principi della laicità e del nazionalismo. Dopo decenni di governo secolare e militare, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Recep Tayyip Erdoğan ha trasformato il paese con un mix di islamismo e nazionalismo, portando a una maggiore centralizzazione del potere.

Oggi. La Turchia è una potenza regionale con ambizioni internazionali, ma affronta problemi interni come la repressione dei diritti civili e le tensioni economiche. Le politiche di Erdoğan, sia interne che estere, hanno suscitato controversie e criticità, ma il paese continua a giocare un ruolo cruciale nella geopolitica del Medio Oriente e oltre.

PARTE TERZA: DIALOGHI MEDITERRANEI

“Italia e Tunisia: sfide e criticità nel più ampio contesto internazionale” (di Mario Savina).

Il testo tratta delle complesse relazioni tra i due paesi nel contesto del Mediterraneo, evidenziando i principali dossier di cooperazione e le sfide che caratterizzano il rapporto bilaterale.

Relazioni Bilaterali e Contesto Mediterraneo. Le relazioni tra Italia e Tunisia sono profondamente radicate nel contesto mediterraneo, caratterizzato da interessi comuni in vari settori, tra cui migrazione, energia, economia e dialogo con l’Unione Europea. Le turbolenze politiche ed economiche degli ultimi anni in Tunisia hanno creato sfide significative per i governi italiani e i decisori europei, ma Tunisi rimane un partner strategico sia per Roma che per Bruxelles.

Dossier Migratorio. Il tema migratorio è centrale nei colloqui tra Italia e Tunisia, specialmente dopo l’aumento delle partenze dalle coste tunisine negli ultimi due anni. Nel 2023, oltre 96.000 migranti sono arrivati in Italia dalla Tunisia, un numero triplicato rispetto all’anno precedente. La lotta ai migranti subsahariani in Tunisia, promossa dal presidente Kaïs Saïed, mira a distogliere l’attenzione dalla crisi socioeconomica interna. Gli accordi tra Roma e Tunisi sul controllo dei flussi migratori si basano su una logica di sicurezza, con l’Italia e l’UE che finanziano progetti per arginare i flussi migratori e facilitare i rimpatri.

Sfide Politico-Economiche e Relazioni Internazionali. La Tunisia affronta una perenne instabilità politica ed economica, con dinamiche internazionali complesse. Il paese sta cercando di diversificare le sue relazioni estere, coinvolgendo Russia e Cina, e considera l’adesione ai BRICS. Le relazioni con l’Unione Europea e gli Stati Uniti sono strategiche, specialmente in un contesto di rivalità con la Russia.

Cooperazione Energetica e Commerciale. L’Italia guarda alla Tunisia come a un partner fondamentale nel settore energetico, soprattutto per il gasdotto Transmed che collega l’Algeria all’Italia attraverso la Tunisia. La cooperazione commerciale è forte, con l’Italia che rappresenta il principale partner commerciale di Tunisi. Le imprese italiane sono ben radicate nel paese, contribuendo significativamente all’occupazione e all’economia locale.

Sfide Regionali e Sicurezza. Le relazioni tra Italia e Tunisia sono inserite in un contesto regionale complesso, con influenze di potenze come la Russia e la Cina. La stabilità del Nord Africa è cruciale per la sicurezza europea, e l’Italia è impegnata nel supportare la Tunisia attraverso accordi bilaterali e dialoghi internazionali. La collaborazione tra i due paesi è essenziale per affrontare le sfide comuni e promuovere la stabilità regionale.

In sintesi, il capitolo evidenzia la necessità di un impegno costante e di una strategia integrata per affrontare le sfide.

La Proiezione Futura dei Rapporti Energetici tra Algeria e Italia (di Laura Ponte).

Il capitolo esplora il futuro dei rapporti energetici tra Algeria e Italia nel contesto della guerra in Ucraina e delle conseguenti sanzioni imposte alla Russia. Con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, l’Italia ha cercato di diversificare le sue fonti di approvvigionamento energetico, puntando in particolare sull’Algeria, che è diventata un partner strategico fondamentale.

Contesto Storico e Relazioni Energetiche.Storicamente, le relazioni energetiche tra i due paesi sono solide, risalenti agli anni ’50 e ’60, quando Enrico Mattei sostenne il percorso di liberazione nazionale dell’Algeria, culminato con l’indipendenza del 1962. Questo ha portato alla firma del primo contratto di fornitura di gas nel 1973, stabilendo una lunga collaborazione energetica.

Sforzi Recenti e Progetti Futuri. Recentemente, gli sforzi italiani si sono intensificati per aumentare le importazioni di gas algerino e ridurre quelle russe. L’Italia ha firmato numerosi contratti con l’Algeria per aumentare la capacità di esportazione di gas, sia tramite gasdotti che GNL (gas naturale liquefatto). Nel 2022, Sonatrach ha incrementato le esportazioni di gas verso l’Italia, con l’obiettivo di raggiungere 9 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2024.

Sfide Politiche e Tecniche. Nonostante le prospettive positive, esistono criticità sia politiche che tecniche. Politicamente, l’Italia ha scelto di non comprare gas dalla Russia a causa della sua inaffidabilità come partner commerciale. Tuttavia, l’Algeria è anch’essa considerata un paese “non libero” dal Freedom House, con bassi standard democratici, limitata trasparenza elettorale, corruzione e repressione delle proteste.

Possibili Rischi Geopolitici. C’è il timore che l’instabilità politica in Algeria possa influenzare i rapporti energetici, come già successo con la Spagna riguardo alla disputa del Sahara Occidentale. Inoltre, l’Algeria mantiene buone relazioni con la Russia, cooperando attivamente nel settore militare ed energetico, il che potrebbe complicare ulteriormente le dinamiche geopolitiche.

Progetti Integrativi e Energie Rinnovabili. Per mitigare i rischi e aumentare la sostenibilità, sarebbe utile che la cooperazione energetica tra Italia e Algeria includa anche le energie rinnovabili. L’Algeria ha il potenziale per diventare leader nella produzione di energia solare ed eolica, grazie al deserto del Sahara. Progetti come il South H2 Corridor, che collegherà l’Algeria alla Germania, potrebbero essere cruciali per trasformare l’Italia in un hub energetico, riducendo al contempo la dipendenza dai combustibili fossili.

Conclusioni. Il futuro dei rapporti energetici tra Algeria e Italia appare promettente ma non privo di sfide. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento e l’inclusione delle energie rinnovabili sono passi fondamentali per garantire la sicurezza energetica e la sostenibilità a lungo termine.

“Nato e Ue al cospetto della crisi libica: dall’apice al tramonto del «crisis management» occidentale?” (di Stefano Marcuzzi).

Il capitolo analizza la gestione e le conseguenze della crisi libica da parte di Nato e Unione Europea, evidenziando i fallimenti e le lezioni apprese.

Contesto della crisi. Nel marzo 2011, una coalizione di paesi sotto l’ombrello dell’ONU e guidata militarmente dalla Nato lanciò una campagna aerea contro il regime di Gheddafi in Libia per fermare la repressione violenta contro i civili. Nonostante la caduta di Gheddafi e il collasso del suo regime, la Libia è rimasta intrappolata in una crisi pluridecennale, caratterizzata da conflitti interni ed esterni, che hanno visto la partecipazione di attori regionali e globali come Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Francia e Arabia Saudita​.


Aumentano i casi di terrorismo in Svizzera e i minorenni implicati

Nel 2023 sono aumentati del 50% i procedimenti per terrorismo aperti dal Ministero Pubblico della Confederazione. A preoccupare le autorità, anche l’abbassamento dell’età di chi è coinvolto.

L’intervento di Chiara Sulmoni, presidente di START InSight al TG della Radiotelevisione Svizzera

Il 2023 a livello europeo ha segnato un aumento della mobilitazione di matrice jihadista. La Svizzera è parte di questo contesto. L’attacco di Zurigo del 2 marzo, quando un 15enne ha accoltellato un ebreo ortodosso in un quartiere del centro, ha avuto un’eco internazionale e frequentemente si riscontrano ramificazioni nelle inchieste europee, che portano alla Svizzera.

Si consolida inoltre la tendenza che vede minorenni e teenager implicati in pianificazione di attentati. La Polizia anti-terrorismo inglese già nel 2021 segnalava un aumento dei casi di minorenni implicati nelle indagini, anche minori di 15 anni. Minorenni sono entrati in azione in Francia, in passato. Gli analisti invitano a non sottovalutare il ruolo dei minorenni, oggi iperconnessi anche a livello transnazionale e autonomi sia per ciò che concerne la pianificazione di attacchi, la produzione e distribuzione di propaganda e il reclutamento.

Le scuole possono e devono fare prevenzione prima che si instauri in processo di radicalizzazione, lavorando dal profilo educativo sul pensiero critico, i valori della diversità e dell’integrazione, ma i docenti devono anche conoscere i contesti delle galassie estremiste, sapere individuare eventuali segnali di disagio e di rischio e a chi rivolgersi e segnalare, poiché non è la scuola a dover risolvere queste problematiche.


Terrorismo: lo Stato islamico e i campionati di calcio.

di Claudio Bertolotti. Dall’intervista di Giampaolo Musumeci per Radio 24 – Nessun Luogo è Lontano del 9 aprile 2024.

Il Cairo, 9 apr. (Adnkronos) – Il sedicente Stato Islamico, tornato a spaventare l’Europa dopo l’attentato a Mosca, ha minacciato di lanciare un attacco contro i quattro stadi in cui da stasera si disputeranno i quarti di finale di Champions League. Al-Azaim, uno degli organi di propaganda dell’Isis, ha confermato queste intenzioni pubblicando l’immagine dei quattro stadi in cui si disputeranno le partite di andata – il Parco dei Principi di Parigi, il Santiago Bernabeu di Madrid, il Metropolitan sempre di Madrid e l’Emirates di Londra – accompagnata dalla didascalia “Uccideteli tutti”.

Una necessaria premessa: l’esperienza dell’ISIS, così come l’abbiamo conosciuta in Iraq e Siria si è conclusa nel giugno 2014 con la proclamazione del Califfato da parte di al-Baghdadi e l’istituzione dello Stato islamico. L’ISIS non esiste più, al suo posto lo Stato islamico dunque. Non è una precisazione da poco, perché segna l’avvio dell’epoca post-territoriale del movimento, quella che stiamo osservando e subendo oggi, sia in Occidente, sia in Medioriente come dimostra la forza sempre più manifesta di questo gruppo in particolare in Siria e Afghanistan.

Quanto seria è questa minaccia? Ricordiamo una allerta simile il 30 marzo in Germania.

Un primo aspetto. In questo caso, come nella maggior parte degli episodi, non è lo Stato islamico ma i suoi gruppi affiliati a chiamare alla lotta. E quella attuale sembra non tanto una avvisaglia quanto un appello a colpire, e dunque non una minaccia diretta. Anche perchè, come ci ha dimostrato la storia recente dello Stato islamico e dei suoi affiliati in franchise, quando il gruppo colpisce lo fa senza preavvertire – di fatto sfruttando l’effetto sorpresa per ottenere il massimo dei risultati. Quanto accaduto in Russia ne è una conferma. Però, e questo è il secondo aspetto, coerentemente con gli attacchi degli ultimi anni, attribuiti o rivendicati dallo Stato islamico, è l’appello a colpire che viene colto da singoli soggetti, o più raramente da parte di piccoli gruppi, spesso disorganizzati o scarsamente organizzati, che costituisce la forza propulsiva del gruppo che, di norma e per evidente opportunità, rivendica solamente quelli di successo, una minima parte, non citando quelli invece più numerosi che si concludono con un risultato fallimentare.

Dopo l’attentato a Mosca, queste minacce e l’arresto ieri a Roma di un tajiko ex miliziano Isis, ci sono a tuo parere le condizioni per capire quale sia la strategia dell’Isis? Sta rialzando la testa? Riacquisendo forza?

Lo Stato islamico sta rialzando la testa, e lo sta facendo in maniera dirompente ed efficace, riportandoci sul piano emotivo e del terrore ai terribili anni 2015-2017 quando l’Europa fu travolta da una serie di eventi dirompenti, a loro volta in grado di riportare le emozioni agli attacchi di al-Qa’ida in Europa del 2004, a Madrid e a Londra. Oggi è sufficiente guardare alla Siria, dove si pensava – complici anche i riflettori mediatici rivolti altrove – che lo Stato islamico fosse stato sconfitto: non è così. Al contrario, l’aumento progressivo di attacchi dello Stato islamico, gli assalti continui e ripetuti alle carceri per liberare i combattenti detenuti dal regime siriano, la capacità di colpire sostanzialmente ovunque. È un campanello d’allarme che suona molto forte e che anticipa una nuova ondata che si autoalimenta: dalla retorica della vittoria talebana in Afghanistan, alla competizione con i talebani, all’aumentare degli affiliati, singoli e gruppi dal Medioriente al Sud-Est asiatico, fino all’Europa. Non uno Stato islamico ex-novo, ma è un fenomeno che si sta risvegliando.


Attacco a Parigi: terrorismo emulativo ed effetti della guerra Israele-Hamas (#ReaCT2023)

di Claudio Bertolotti

Estratto dell’articolo pubblicato sul 4° Rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa, #ReaCT2023, ed. START InSight.

2 dicembre. Un uomo si è lanciato contro i passanti uccidendo una persona e ferendone altre a Parigi, nel quartiere di Grenelle, poco lontano dalla Tour Eiffel, gridando “Allah Akbar”. Lo ha reso noto il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin. L’assalitore è stato fermato dalle forze dell’ordine: l’aggressore ha 25 anni ed era schedato “S”, cioè a rischio radicalizzazione (ANSA).

Un evento, quello descritto, che può richiamare l’ondata di violenza jihadista associata all’appello dell’organizzazione palestinese “Hamas”, e subito ripresa dalla succursale afghana dello Stato islamico, che si inserisce nel filone di azioni terroristiche emulative, individuali e non organizzate che negli ultimi anni hanno più colpito la Francia, il Paese che si conferma essere tra i principali obiettivi del jihadismo in Europa.

La violenza jihadista in Europa: una minaccia marginale ma persistente con conseguenze devastanti.

A livello globale, il cosiddetto gruppo Stato Islamico non ha più la capacità di inviare terroristi in Europa a causa delle perdite territoriali e finanziarie. Tuttavia, i singoli individui ispirati dal gruppo rappresentano una minaccia non marginale. Anche se lo Stato Islamico rimane la principale minaccia jihadista, è improbabile che riguadagni lo stesso livello di fascinazione che aveva in passato. L’Europa ha ridotto le proprie vulnerabilità, ma gli “attacchi mimetici” e le chiamate alla guerra continuano a rappresentare un rischio. Il successo dei talebani in Afghanistan ha, a sua volta, alimentato la propaganda jihadista e la competizione tra i gruppi jihadisti, spingendo a una competizione per ottenere l’attenzione mediatica conseguente a un attacco terroristico di successo. Un effetto ancora maggiore deriverebbe dalla guerra Israele-Hamas, dall’appello dei terroristi palestinesi a colpire Israele e tutti i suoi alleati e dall’adesione individuale di terroristi improvvisati così come dall’adesione politica e ideologica dello Stato islamico della provincia di Khorasan in Afghanistan (Islamic State Khorasan Province, ISKP), erede dello Stato islamico in Siria e Iraq (ISIS).

Guardando ai paesi dell’Unione Europea, anche se la violenza jihadista è oggi marginale rispetto al numero totale di azioni motivate da altre ideologie, si impone comunque come la minaccia più rilevante e pericolosa in termini di risultati e di vittime ed effetti diretti.

In seguito ai principali eventi di terrorismo legati al gruppo Stato Islamico in Europa, dal 2014 al 2023 si sono verificate oltre 200 azioni jihadiste, secondo il database di START InSight. Di queste, 36 sono state esplicitamente rivendicate dal gruppo Stato Islamico o ispirate direttamente da esso; sono state perpetrate da 236 terroristi (63 uccisi in azione); 432 vittime hanno perso la vita e 2.515 sono rimaste ferite.

Rilevante è il numero di azioni emulative: il 48% del totale nel 2020, salite al 56% nel 2021, diminuite al 17% nel 2022, per poi tornare a salire in maniera rilevante nel 2023, in concomitanza con gli appelli alla violenza di Hamas e della Jihad islamica palestinese, rilanciati con efficacia dall’ISKP afghano. Il 2022-2023 ha confermato anche la predominanza di azioni individuali, non organizzate, principalmente improvvisate e fallite che sostituiscono di fatto le azioni strutturate e coordinate che avevano caratterizzato il “campo di battaglia” urbano europeo negli anni dal 2015 al 2017.

Aumento della recidiva e di individui già noti ai servizi di intelligence

Il profilo dell’attentatore del 2 dicembre a Parigi, già noto alle forze di sicurezza, precedentemente coinvolto in azioni terroristiche e classificato come a “rischio di radicalizzazione”, è coerente con quello di molti terroristi che hanno colpito in precedenza. Un fatto che conferma come il ruolo giocato dai recidivi – individui già condannati per terrorismo che compiono azioni violente alla fine della loro condanna detentiva e, in alcuni casi, in prigione – non sia trascurabile; erano il 3% dei terroristi nel 2018, poi saliti al 7% nel 2019, al 27% nel 2020. Un’evidenza che confermerebbe il pericolo sociale di individui che, di fronte a una condanna detentiva, tendono a posticipare la condotta di azioni terroristiche; questa evidenza indica un potenziale aumento degli atti terroristici nei prossimi anni, coincidendo con il rilascio della maggior parte dei terroristi attualmente detenuti.

In parallelo ai recidivi, START InSight ha riscontrato un’altra tendenza significativa, legata alle azioni compiute da terroristi già noti alle forze dell’ordine o ai servizi di intelligence europei che rappresentano il 37%, il 44% e il 54% del totale rispettivamente nel 2022, nel 2021 e nel 2020, rispetto al 10% nel 2019 e al 17% nel 2018.

Vi è una certa stabilità riguardo alla partecipazione ad azioni terroristiche da parte di individui con un passato in carcere (compresi i detenuti per reati non terroristici) con una cifra dell’11% nel 2022, leggermente in ribasso rispetto agli anni precedenti (23% nel 2021, 33% nel 2020, 23% nel 2019, 28% nel 2018 e 12% nel 2017); ciò conferma l’ipotesi che vede nelle carceri dei luoghi di radicalizzazione.

Quale è oggi la capacità offensiva del terrorismo?

Ci sono alcuni fattori che indicano una possibile riduzione della capacità offensiva del terrorismo, come ad esempio l’incremento delle misure di sicurezza e di prevenzione adottate dalle autorità, la maggiore cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo, il deterioramento delle strutture organizzative dei gruppi terroristici e la diminuzione della loro capacità di reclutamento. Per disegnare un quadro quanto più preciso del terrorismo, è necessario analizzare i tre livelli su cui il terrorismo si sviluppa e opera: il livello strategico, operativo e tattico. La strategia consiste nell’impiego del combattimento a fini bellici; la tattica è l’impiego delle truppe per la battaglia; il livello operativo si trova tra questi due. Questa è una semplice sintesi che sottolinea una caratteristica essenziale: l’impiego di combattenti.

Il successo a livello strategico è marginale

Come anticipato con il rapporto #ReaCT2022 e poi richiamato in #ReaCT2023, il 14% delle azioni condotte dal 2014 sono state di successo a livello strategico, in quanto hanno portato a conseguenze strutturali consistenti in un blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di vasta portata. Si tratta di una percentuale molto alta, considerando le limitate capacità organizzative e finanziarie dei gruppi e degli attaccanti solitari. La tendenza negli anni è stata irregolare, ma ha evidenziato una progressiva riduzione della capacità ed efficacia con il passare del tempo.

Nel complesso, gli attacchi hanno attirato l’attenzione dei media internazionali nel 79% dei casi, del 95% a livello nazionale, mentre le azioni commando e di squadra strutturate e organizzate hanno ricevuto la piena attenzione dei media. Un successo mediatico evidente, tanto quanto cercato, che potrebbe aver influenzato significativamente la campagna di reclutamento dei futuri martiri o combattenti jihadisti, la cui numerosità rimane alta in corrispondenza di periodi di attività terroristica intensa (2016-2017). Ma se è vero che l’ampiezza dell’attenzione dei media ha effetti positivi sul reclutamento, è anche vero che questa attenzione tende a diminuire nel tempo poiché sono aumentate le azioni a bassa intensità rispetto a quelle ad alta intensità – che sono diminuite – mentre le azioni a bassa e media intensità sono aumentate significativamente dal 2017 al 2021.

Il livello tattico è preoccupante, ma non è la priorità del terrorismo

Assumendo che lo scopo degli attacchi terroristici consista nell’uccidere almeno un nemico (nel 35% dei casi, gli obiettivi sono le forze di sicurezza), tale obiettivo è stato raggiunto nel periodo dal 2004 al 2022 in media nel 48% dei casi. Tuttavia, si rileva un declino nei risultati del terrorismo, con una prevalenza di attacchi a bassa intensità e un aumento di azioni con esito fallimentare. In particolare, i risultati degli ultimi sette anni mostrano che il successo a livello tattico è stato raggiunto nel 2016 nel 31% dei casi (contro il 6% degli insuccessi), mentre il 2017 ha registrato un tasso di successo del 40% e un tasso di fallimento del 20%. Un trend complessivo che, tenendo in considerazione un tasso di successo del 33% a livello tattico, un raddoppio degli attacchi falliti (42%) nel 2018 e un ulteriore calo del tasso di successo al 25% nel 2019, può essere letto come il risultato della progressiva diminuzione della capacità operativa dei terroristi e dell’aumentata reattività delle forze di sicurezza europee. Ma se l’analisi suggerisce una capacità tecnica effettivamente ridotta, è anche vero che il carattere improvvisato e imprevedibile del nuovo terrorismo individuale ed emulativo ha portato ad un aumento delle azioni riuscite, passate dal 32% nel 2020 al 44% nel 2021. Il risultato delle azioni compiute nel 2022 mostra una nuova inversione di tendenza, con il 33% di successo a livello tattico.

Anche quando fallisce, il terrorismo ottiene una vittoria

Il vero successo si raggiunge a livello operativo: il “blocco funzionale”.

Anche quando fallisce, il terrorismo guadagna in termini di costi inflitti al suo obiettivo: ad esempio, impegnando le forze armate e la polizia in modo straordinario, distogliendole dalle normali attività quotidiane e/o impedendone l’intervento in supporto della comunità; interrompendo o sovraccaricando i servizi sanitari; limitando, rallentando, deviando o bloccando la mobilità collettiva urbana, aerea e navale; limitando il regolare svolgimento delle attività quotidiane personali, commerciali e professionali, a scapito delle comunità interessate e, inoltre, riducendo significativamente il vantaggio tecnologico, il potenziale operativo e la resilienza; e infine, più in generale, infliggendo danni diretti e indiretti, indipendentemente dalla capacità di causare vittime. Di conseguenza, la limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile che il terrorismo ottiene attraverso le sue azioni.

In altre parole, il terrorismo è efficace anche in assenza di vittime, poiché può comunque imporre costi economici e sociali sulla comunità e influenzare il comportamento di quest’ultima nel tempo come conseguenza di nuove misure di sicurezza volte a salvaguardare la comunità: questo effetto è ciò che chiamiamo “blocco funzionale”.

Nonostante la sempre minore capacità operativa del terrorismo, il “blocco funzionale” continua a essere il risultato più significativo ottenuto dai terroristi, indipendentemente dal successo tattico (uccisione di almeno un obiettivo). Mentre il successo tattico è stato osservato nel 48% degli attacchi avvenuti dal 2004, il terrorismo ha dimostrato la sua efficacia imponendo un “blocco funzionale” in una media del 79% dei casi, con un picco del 92% nel 2020, poi 89% nel 2021 e 78% nel 2022: un risultato impressionante, se si considerano le risorse limitate impiegate dai terroristi. Il rapporto costo-beneficio è senza dubbio a favore del terrorismo.

VAI AL RAPPORTO #REACT2023, Anno 4, N. 4, ed. START InSight