Dallo stallo ai due possibili schemi di manovra offensiva russa.
Analisi del primo anno di guerra e la prospettiva della Storia militare
di Fabio Riggi, Analista indipendente.
Abstract (Italian)
Dopo un ciclo operativo sostanzialmente favorevole ai russi, che si era concretizzato nel periodo maggio-luglio 2022 (battaglia del Donbas), con la conquista da parte delle forze di Mosca della città portuale di Mariupol (con la quale la Russia si è assicurata il controllo di tutta la costa settentrionale del Mar d’Azov) Severodonetsk e Lysichansk, l’offensiva di Mosca ha raggiunto il suo punto culmine. Le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del conflitto, avrebbero ormai assunto il carattere di una lotta basata sull’attrito, molto più che sulla manovra. Una vera “Materialschlacht”, ossia una “battaglia di materiali”, come questa veniva definita dalla classica terminologia militare tedesca, dove la forza del numero e dell’acciaio hanno un ruolo preminente.
Key Takeaways:
- La capacità offensiva russa ha raggiunto il culmine (maggio-luglio);
- Il momentum ucraino: la svolta grazie al sistema HIMARS (agosto-novembre);
- L’esaurimento ucraino e la ripresa russa alla fine del 2022;
- L’attesa dell’offensiva russa: la manovra dei 300.000 prima della “Rasputitsa”;
- La guerra di manovra della Nato: dalla “difesa attiva” alla dottrina Air-Land Battle;
- Gli insegnamenti della Storia militare per comprendere la “manovra” russa;
- La prima lezione appresa: campo di battaglia trasparente e importanza del livello tattico;
- Due futuri possibili schemi di manovra russa;
- La prevalenza dell’attrito sulla manovra.
Keywords: manovra, momentum, air-land battle,Russia, Ukraine
La capacità offensiva russa ha raggiunto il culmine (maggio-luglio)
La guerra in Ucraina è entrata nel suo primo anno, e oltre ad alcune annotazioni relative all’andamento attuale delle operazioni è oggi possibile formulare considerazioni e ipotesi di carattere generale, frutto delle informazioni e del materiale attualmente disponibili. Ciò con la pur sempre doverosa avvertenza che praticamente nulla può ancora essere ritenuto consolidato e definitivo, nella considerazione che l’oggetto di studio è un conflitto ancora in pieno svolgimento e dall’esito incerto.
Dopo un ciclo operativo sostanzialmente favorevole ai russi, che si era concretizzato nel periodo maggio-luglio 2022 (battaglia del Donbas), con la conquista da parte delle forze di Mosca della città portuale di Mariupol (con la quale la Russia si è assicurata il controllo di tutta la costa settentrionale del Mar d’Azov) Severodonetsk e Lysichansk, l’offensiva di Mosca ha raggiunto il suo punto culmine. A proposito di quest’ultima definizione, giova ricordare come essa sia dottrinalmente definita come il momento di un’operazione in cui le capacità operative di chi la conduce non consentono più l’assolvimento della missione, o nel caso specifico di un’offensiva, quando quella dell’attaccante tende a equivalersi con quella del difensore, andando a rallentare, fino ad arrestarla, la sua progressione. A causa di ciò, le forze russe non sono riuscite nemmeno a intaccare la successiva linea fortificata ucraina della regione del Donbas, quella corrispondente all’allineamento Sloviansk-Kramatorsk.
Il momentum ucraino: la svolta grazie al sistema HIMARS (agosto-novembre)
In seguito, nel prosieguo delle settimane estive, si è assistito a un sostanziale stallo delle operazioni, situazione caratterizzata però da una crescente intensità delle azioni di fuoco di interdizione in profondità condotte dall’artiglieria ucraina. Queste si sono svolte in particolare grazie alle forniture di uno specifico sistema: il lanciarazzi multiplo statunitense HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System), che con le sue munizioni guidate (razzi M-30/M-31 con gittata di 70 Km) ha rappresentato un “fattore” nel colpire tutta una serie di obiettivi nella “zona arretrata” delle forze russe. Anche grazie all’efficacia di queste attività, dalla fine di agosto si è materializzata una massiccia controffensiva ucraina, sviluppatasi dapprima contro la testa di ponte di Kherson, nel settore meridionale, poi, a partire dal 6 settembre, in quello orientale, a sud di Kharkiv. L’attacco su Kherson, condotto con ingenti forze e su tre direttrici, ha subito incontrato una forte resistenza e nonostante alcuni progressi iniziali è stato in seguito sostanzialmente contenuto da un dispositivo difensivo predisposto in precedenza e articolato in profondità su tre linee difensive. Le operazioni ucraine nel quadrante est, al contrario, hanno avuto subito un travolgente successo, che nel volgere di poche settimane ha costretto le forze russe ad abbandonare non solo le importanti posizioni di Kupiansk, Izium e Lyman, ma anche a ripiegare dall’intero oblast di Kharkiv.
Nel prosieguo delle settimane autunnali l’iniziativa è rimasta saldamente nelle mani delle forze di Kiev, che ad est, dopo aver attraversato il fiume Oskil, hanno continuato a spingere verso la linea Svatove-Kremmina. A sud gli ucraini hanno mantenuto una costante pressione sulla testa di ponte di Kherson, spingendo alla fine i russi ad abbandonarla – ripiegamento condotto peraltro in buon ordine e riducendo al minimo le perdite – completandone l’evacuazione entro l’11 novembre per attestarsi sulla riva sinistra del Dnepr, dove hanno proseguito i lavori di rafforzamento delle posizioni difensive. In seguito però l’intensità e il ritmo delle operazioni offensive ucraine sono venuti meno, e in poco tempo il loro “momentum” è scemato fino a spegnersi del tutto; quest’ultimo concetto, in particolare, è un preciso parametro operativo definito oggi dottrinalmente come la combinazione tra la velocità di progressione di un’offensiva e il mantenimento dell’iniziativa. A tale riguardo, comunque, altri autori classici nello studio dell’arte militare contemporanea avevano in precedenza coniato diverse definizioni del concetto di momentum, come ha fatto il brigadiere Richard E. Simpkin, un ufficiale dell’esercito britannico, nel suo libro pubblicato negli anni ’80 dello scorso secolo, “Race to the Swift”, il quale lo ha descritto come il prodotto di velocità, massa di forze impegnate e risultante celerità con la quale viene assolta una missione assegnata. Si tratta di una teoria che, ripresa e ampliata da un altro ufficiale, lo statunitense Robert Leonhard nel suo “The art of Maneuver”, applica alle operazioni militari terrestri (specie quelle offensive) termini e definizioni mutuati da quella branca della fisica che è la meccanica, associando in qualche modo lo studio dei movimenti e delle azioni degli eserciti a quello dei corpi materiali. In questo modo, dopo questi studi ci si è azzardati a parlare della teorizzazione di una sorta di “phisics of war”. Accade così, ad esempio, che una formazione lanciata all’attacco vede quello che è tradizionalmente chiamato “impeto” assimilato al concetto fisico di inerzia.
L’esaurimento ucraino e la ripresa russa alla fine del 2022
All’inizio di dicembre gli sforzi ucraini volti a scardinare la linea Svatove-Kremmina, a est del fiume Oskil, dove la difesa russa si era alla fine irrigidita dopo una serie di ripiegamenti, non hanno avuto esito e i tentativi di riconquistare queste due stesse località sono gradualmente stati fermati. Nello stesso mese, quasi con la stessa gradualità, l’iniziativa in quasi tutti i settori è nuovamente passata dalla parte russa, dapprima con una serie di contrattacchi volti ad arrestare definitivamente l’azione avversaria, poi con operazioni sempre più autonome e ad ampio respiro. Come noto, l’epicentro della lotta si è concentrato nel settore di Bakhmut, insediamento situato 30 Km a sud-est di Kramatorsk. A proposito di quest’ultima località, dove una violenta e sanguinosa battaglia è in corso da quasi due mesi, inizialmente diversi commentatori si sono affrettati a definirla “priva di significato” e di valore “puramente simbolico”. In realtà, con un’analisi più approfondita dal punto di vista tattico, si può rilevare come si tratti di un centro urbano di non trascurabili dimensioni, e come tale rappresenta un ostacolo per l’attaccante e specularmente un’opportunità per il difensore, caratteristiche che lo rendono intrinsecamente importante. Inoltre, Bakhmut si trova in posizione baricentrica rispetto a un sistema di strade che si diramano verso tutte le direzioni, la principale delle quali è l’autostrada M-03, che puntando a nord-ovest, passando per Sloviansk, collega la regione del Donbas con il resto dell’Ucraina e la capitale Kiev. La conquista di Bakhmut consentirebbe dunque ai russi di assumere il controllo di un importante snodo di comunicazioni, e di quello che rappresenta il bastione e l’ancoraggio meridionale della linea difensiva fortificata Sloviansk-Kramatorsk. Pertanto, con Bakhmut le forze russe potrebbero disporre di una valida base di partenza per approcciare questa linea difensiva da sud-est. Alla luce di ciò, si può comprendere dunque bene il perché, a loro volta, le unità ucraine stiano conducendo una tenacissima battaglia difensiva per scongiurare questa eventualità. In effetti, anche la caparbia difesa di Severodonetsk, la scorsa estate, pur essendosi conclusa alla fine con la ritirata dalla città, potrebbe aver inflitto agli attaccanti un attrito tale da rendere impossibile la prosecuzione di ulteriori operazioni verso ovest.
L’attesa dell’offensiva russa: la manovra dei 300.000 prima della “Rasputitsa”
Al di là di quella che è la sommaria descrizione degli ultimi sviluppi operativi del conflitto, dopo mesi di guerra alcuni importanti risvolti di carattere generale stanno emergendo e, soprattutto, stanno facendo scaturire interrogativi che sono al momento oggetto di discussione sulle fonti più autorevoli e qualificate nel campo degli studi strategico-militari. I mass media si sono concentrati nelle ultime settimane sulla “grande offensiva” russa, che starebbe per abbattersi sulle forze ucraine con i nuovi rinforzi giunti sul fronte grazie alla mobilitazione iniziata lo scorso settembre. Di certo, se l’apparato militare di Mosca riuscirà a trasformare in effettivo potenziale di combattimento i 300.000 uomini mobilitati (secondo alcune fonti sarebbero in realtà quasi 500.000), questo potrebbe avere un impatto decisivo a suo favore. A tale riguardo, probabilmente, è stato proprio l’arrivo delle prime aliquote di personale richiamato con questo provvedimento a consentire ai comandi russi di stabilizzare la difficile situazione venutasi a creare in autunno e poi riguadagnare l’iniziativa in tutti i settori del fronte. In caso contrario, sarà molto difficile, se non impossibile, per la Russia poter sperare di raggiungere i propri obiettivi nel conflitto, anche nel medio-lungo termine.
Secondo vari commentatori, non senza qualche ragione, questa grande offensiva di Mosca sarebbe già virtualmente iniziata, quantomeno nelle sue fasi preliminari, pur tenendo conto del fatto che tra non molto, almeno teoricamente, il sopraggiungere della stagione primaverile e della conseguente “Rasputitsa” farà riapparire il fango provocato dal disgelo, il quale tornerà nuovamente a ostacolare le operazioni, in particolare quelle delle forze mobili. Vi sono anche diverse ipotesi riguardo alle possibili direttrici d’attacco principali, il concetto di operazione, e gli obiettivi finali.
Tuttavia, non è detto che questi sforzi offensivi possano sfociare in una fase “manovrata” vera e propria. In verità, proprio questo è un aspetto che merita un particolare ragionamento e, in qualche modo, un certo sforzo di contestualizzazione. Occorre infatti notare che, soprattutto in occidente, ci si è abituati, in particolare dalla seconda guerra mondiale in poi, a vedere operazioni terrestri nelle quali la manovra – definita come il movimento di forze e concentramento del fuoco finalizzate ad acquisire una posizione di relativo vantaggio sull’avversario ai fini del conseguimento dell’obiettivo – ha molto spesso, se non quasi sempre, avuto un ruolo rilevante e decisivo. Dalla “primavera di vittorie” del 1940, con la quale la “blitzkrieg” condotta dalla Wehrmacht schiacciò la Francia e il corpo di spedizione britannico che aveva preso parte alla sua difesa, alle “corse” della Terza Armata americana del generale Patton in Europa Occidentale nel 1944, fino alle grandi offensive dell’Armata Rossa nelle fasi finali del conflitto, il secondo conflitto mondiale ha sancito come sia da attribuire la massima importanza alla guerra di manovra quale modalità decisiva per la vittoria. Anche nel secondo dopoguerra l’attenzione di militari e studiosi si è concentrata sugli altri significativi eventi bellici nei quali questa modalità di impiego delle forze terrestri si è rivelata determinante. Ciò è avvenuto in particolare riguardo le guerre che si sono svolte in Medio Oriente tra Israele e gli stati arabi (nel 1967 e nel 1973), dove proprio le fulminee operazioni offensive israeliane, condotte secondo i tipici dettami dell’approccio manovriero, furono decisive per l’esito finale di questi conflitti.
La guerra di manovra della Nato: dalla “difesa attiva” alla dottrina Air-Land Battle
In realtà, con particolare riferimento agli esempi citati, è sicuramente più corretto definire questa tipologia di operazioni come “aero-terrestri”, poiché è stato proprio il binomio forze corazzate-aviazione tattica la formula vincente, tanto nella Blitzkrieg tedesca delle fasi iniziali della seconda guerra mondiale, quanto nelle offensive condotte dalle forze armate di Israele nei vari conflitti che le videro contrapposte a quelle arabe. In particolare, all’indomani della guerra del Kippur del 1973, le “lezioni apprese” in campo dottrinale furono attentamente studiate in occidente, sulla base dell’esigenza della NATO di trovare una formula tattica per fronteggiare quelle che sarebbero state le forze del Patto di Varsavia, preponderanti dal punto di vista numerico, sul fronte centrale europeo. In questo caso, il problema si presentava pressoché identico a quello che gli israeliani dovettero risolvere durante il conflitto del 1973, in particolare sul fronte del Golan. A onor del vero, la dottrina tattica che scaturì da quella analisi, sancita dal Field Manual 100-5 del 1976 dell’esercito statunitense, prevedeva lo sviluppo di un sistematico e reiterato volume di fuoco da posizioni di combattimento preparate, con l’esecuzione di contrattacchi al solo fine di neutralizzare le eventuali penetrazioni avversarie nel dispositivo difensivo. Questo concetto operativo fu recepito dalla NATO con la cosiddetta “difesa attiva”, che effettivamente non poteva dirsi esattamente orientata sui canoni della guerra di manovra, quanto piuttosto sull’idea di imporre all’avversario (attaccante) un tasso di attrito tale da esaurirne il potenziale di combattimento e spezzarne così il “momentum”. Ma quasi subito la “difesa attiva” si attirò le critiche di chi la considerava troppo “statica” e sostanzialmente passiva, pertanto non idonea a ottenere una vittoria decisiva che gli immutabili principi dell’arte della guerra, frutto di millenni di esperienza bellica, hanno indicato come ottenibile solo con la salda acquisizione e il mantenimento dell’iniziativa e la conseguente condotta di operazioni offensive.
Non passò dunque molto tempo prima dell’affermarsi di un ulteriore e importante evoluzione dottrinale, quella che sancì l’affermazione della cosiddetta “Air-Land Battle”. Questa, con la sua enfasi posta sull’impiego di mezzi di erogazione del fuoco a lunga gittata – impieganti munizionamento guidato di precisione – e delle forze aerotattiche per colpire le retrovie e le unità in secondo scaglione dell’esercito sovietico (considerate il Centro di Gravità delle formazioni Sovietiche in attacco), poneva le premesse per indicare poi come imprescindibile la vigorosa ripresa dell’iniziativa e l’esecuzione di controffensive ad ampio raggio e in profondità con l’impiego delle forze mobili, sempre ampiamente supportate dal fuoco aereo. In buona sostanza, si trattò di un ritorno a pieno titolo della concezione occidentale delle operazioni terrestri sotto la forma della guerra di manovra. Questa è stata definita con precisione nel quadro del noto concetto di “approccio indiretto”, già teorizzato da illustri pensatori militari della prima metà del XX secolo, come il celebre ufficiale britannico B.H. Liddel Hart (passato alla storia come “il capitano che insegnò la guerra ai generali”), ma che a ben guardare affondava le sue lontanissime origini anche nell’opera di colui che fu probabilmente il primo vero teorico dell’arte bellica di cui abbiamo memoria: il cinese Sun Zu. L’approccio indiretto prescrive l’ottenimento della vittoria non (o meglio non principalmente) attraverso la distruzione fisica delle forze dell’avversario, bensì attraverso la sopraffazione della sua volontà e della sua tenuta morale per mezzo di astute e attente manovre volte a neutralizzarne, fino ad azzerarlo del tutto, la capacità e/o volontà di operare. Andando a recepire questi precetti senza tempo, oggi il corpus dottrinale occidentale e NATO definisce il potenziale di combattimento (“combat power”) di una forza militare come composto da tre componenti fondamentali: fisica, cognitiva e morale. Il cosiddetto approccio manovriero, che rappresenta uno dei cardini fondamentali della nostra concezione delle operazioni militari terrestri, preconizza la compromissione delle componenti cognitiva e morale (ossia quelle “immateriali” per definizione, rappresentate dai processi decisionali, dalle informazioni disponibili, dalla consapevolezza della situazione e dalla volontà di combattere) del potenziale di combattimento nemico attraverso operazioni offensive rapide e risolutive, e subito dopo, in modo “indiretto”, anche di quella fisica, che cadrebbe così come un frutto maturo nella mani del vincitore.
Attualmente, nell’Alleanza Atlantica e in ambito nazionale, si è dunque giunti a ritenere la “manoeuver warfare“, e i suoi corollari quali il comando decentralizzato e il processo di apprendimento e adattamento, come la via migliore e la più efficace da perseguire: e questo per numerosi buoni motivi. Come dimostrato dalle esperienze belliche del passato, con la sua applicazione si può ragionevolmente sperare di vincere in modo rapido, e quindi “economico” in termini di materiali e, soprattutto, di vite umane. Non è un caso, infatti, se lo stesso Liddel Hart, memore ed egli stesso vittima del carnaio del primo conflitto mondiale (era rimasto ferito e debilitato permanentemente a seguito di un attacco condotto con l’uso di gas tossici), aveva elaborato le sue idee anche e soprattutto allo scopo di evitare il tragico ripetersi di una sanguinosa guerra di posizione come quella che aveva vissuto personalmente sul fronte occidentale nel 1914-18.
Gli insegnamenti della Storia militare per comprendere la “manovra” russa
Tuttavia, nella lunga e articolata storia dell’arte militare non è stato sempre così. Per lungo tempo vi è stata una differente scuola di pensiero strategico, riguardante invece la “guerra di usura” e il cosiddetto “approccio diretto”. Molti hanno visto nello stesso Clausewitz l’antesignano e uno dei massimi esponenti di questa posizione, esemplificata dal Vernichtungprinzip, contenuto nella fondamentale opera del celebre prussiano, il Vom Kriege, e in tale ottica questo termine è stato tradotto in “principio di annientamento”. A tal proposito, lo stesso Liddel Hart aveva mosso una critica al pensiero di Clausewitz definendolo come il “Mahdi della massa”.
La dicotomia (ma anche le relazioni) tra i concetti di “guerra di attrito” e “guerra di manovra”, e quelli rispettivamente correlati di “approccio diretto” e “approccio indiretto”, sono stati presi in esame e descritti compiutamente negli anni ‘80 dello scorso secolo proprio da Simpkin in “Race to the Swift”. In esso l’autore menziona anche un’interpretazione alternativa del Vernichtungprinzip clausewitziano, derivante dalla sua diversa traduzione in termini di “disarticolazione” o “disorganizzazione”, piuttosto che distruzione fisica del nemico, riconducendolo così ai canoni più aderenti alla teoria della manovra. Tra l’ultimo scorcio del XX e l’inizio del XXI secolo, effettivamente, questa è parsa conoscere la sua definitiva affermazione tra le sabbie del Medio Oriente, rispettivamente con le operazioni “Desert Storm”, del 1991, e “Iraqi Freedom” del 2003. Nel primo caso, le forze statunitensi hanno applicato con successo i dettami della Air Land Battle, risolvendo il conflitto con una fulminea e risolutiva offensiva terrestre passata alla storia come “la guerra delle 100 ore”. Nel secondo, un altrettanto rapida vittoria è stata ottenuta seguendo un concetto derivante da un ulteriore evoluzione in chiave contemporanea dell’approccio indiretto: quella denominata “Shock and Awe” (“colpisci e terrorizza”) e “Rapid Dominance”, in questo caso declinata a partire dai livelli strategico e operativo.
Nondimeno, secondo alcuni qualificati osservatori un anno di operazioni nel conflitto ucraino stanno mettendo, almeno in parte, in discussione la valenza e soprattutto l’effettiva applicabilità dell’approccio manovriero negli ambienti operativi contemporanei. Tra questi, il professor Anthony King, titolare della cattedra di studi militari dell’università di Warwick, in Inghilterra, ha sollevato il dibattito, a più riprese, e soprattutto in un articolo dal titolo “Is Manoeuvre Alive?” apparso sull’autorevole sito inglese “The Wavell Room”. Le obiezioni sollevate da King hanno avuto una replica da parte del maggiore dell’esercito britannico Steve Maguire, il quale in un altro articolo, pubblicato sullo stesso sito, “Yes Manoeuvre is Alive. Ukraine Prove it”, ha citato come esempio per supportare la sua tesi – secondo la quale le operazioni basate sulla manovra mantengono la loro piena validità – la vittoriosa controffensiva ucraina di Kharkiv. Questa è stata effettivamente condotta con rapide penetrazioni in profondità di forze mobili, compresi distaccamenti motorizzati leggeri (“Kraken Units”), i quali rinunciando scientemente alla protezione fornita da veicoli corazzati pesanti hanno operato sfruttando la grande mobilità assicurata da quelli ruotati leggeri. A tal proposito però, ora si può aggiungere come la fase manovrata della controffensiva ucraina di Kharkiv abbia avuto una durata limitata a non più di un mese, e dopo la riconquista di Lyman, avvenuta il 1° ottobre, il ripiegamento delle forze di Mosca ha assunto la forma di un frenaggio che progressivamente – forse in ossequio alla dottrina tattica difensiva russa, che privilegia la cosiddetta “manovra difensiva” rispetto alla difesa statica, privilegiando ogniqualvolta possibile lo “scambio” dello spazio al fine di guadagnare tempo e preservare le forze – ha finito per assorbire e smorzare l’impeto di quelle ucraine, fino al definitivo irrigidimento sulla linea Svatove-Kremmina.
I due fattori che condizioneranno gli sviluppi operativi: densità delle forze e natura del terreno
Alla luce di tutto ciò, i possibili sviluppi delle operazioni nel conflitto ucraino possono essere ipotizzati tenendo conto di questi importanti aspetti generali. Appaiono ormai chiari i diversi aspetti limitanti che producono un attrito significativo nei confronti di qualsiasi operazione offensiva manovrata. Innanzitutto, la “densità” delle forze contrapposte, che al momento non consentono a entrambi i contendenti il raggiungimento di un’adeguata superiorità sull’avversario, come invece pare essere avvenuto per gli ucraini a Kharkiv. Al momento, le forze di ambedue le parti in lotta stanno gravitando soprattutto nel quadrante orientale del Donbas, dove i due gruppi operativi russi che vi sono schierati, quello di “Voronezh” e quello di “Rostov”, allineano rispettivamente l’equivalente di 54 e 67 battaglioni, o gruppi tattici di livello battaglione, anche se appare sempre più chiaro l’abbandono da parte dei russi di questa articolazione tattica a favore di un ritorno alla tradizionale struttura reggimento/divisione. A essi, lungo i circa 250 km di fronte che vanno dal settore a sud-est di Kharkiv a quello subito a ovest di Donetsk, si contrappongono circa 30 brigate ucraine, inquadrate nei comandi operativi nord, est e sud, tra le quali figurano la maggior parte di quelle pesanti (meccanizzate e corazzate) disponibili.
Tenendo conto che nell’organico di queste ultime figurano mediamente quattro battaglioni di manovra, cui si aggiungono altri reparti di supporto al combattimento di artiglieria (per quanto riguarda questa fondamentale componente in misura quasi doppia rispetto agli standard occidentali), genio, controaerei e delle trasmissioni, ne consegue che, quantomeno dal punto di vista delle unità di manovra, al momento le forze russe non dispongono della superiorità necessaria per realizzare una vera “rottura” del fronte. Inoltre, le numerose unità ucraine (ivi comprese quelle della Viiska Terytorialnoi oborony (VTO) la difesa territoriale, e della Natsionalna hvardiia Ukrainy, la Guardia Nazionale, che coadiuvano con una certa efficacia le operazioni di quelle regolari) presidiano tutti i settori del lungo fronte con dispositivi difensivi fortemente organizzati e fortificati, negando così lo spazio di manovra necessario per la condotta di una qualsiasi operazione ad ampio raggio basata sulla penetrazione e sulla mobilità.
Anche l’effettiva superiorità delle artiglierie russe, pur imponendo quello che deve essere molto probabilmente un attrito non trascurabile ai difensori, viene in parte mitigato dalla protezione fornita dalle postazioni difensive e fortificazioni campali di cui possono usufruire questi ultimi. Nello stesso modo, la stessa “densità” delle unità ucraine per la difesa controaerei, in special modo quelle maggiormente mobili – e per questo relativamente meno vulnerabili alle missioni di Suppression Enemy Air Defences (SEAD) avversarie – rende ugualmente, al momento, troppo rischiosa anche la “manovra nella terza dimensione”, impedendo qualsiasi tentativo di “aggiramento verticale” condotto da forze aviotrasportate o aeromobili, e questo almeno fino a quando le prime potranno rimanere sufficientemente operative dal punto di vista del munizionamento (in primo luogo missilistico) e del mantenimento in efficienza dei sistemi d’arma.
Il secondo fattore che sembra stia rendendo estremamente difficoltoso, se non impossibile, l’esecuzione di operazioni manovrate in Ucraina è quello relativo al terreno, e in modo particolare l’importante presenza di numerosi e relativamente estesi centri abitati, soprattutto nella regione del Donbas. In effetti, proprio la sempre maggiore urbanizzazione di aree sempre più vaste del pianeta è uno dei principali temi sulla base dei quali il professor King ha basato la sua “provocazione” dialettica sulla presunta “morte” dell’approccio manovriero. Il conflitto ucraino sembrerebbe avvalorare questa tendenza, con tutta una serie di importanti battaglie, da quella di Mariupol, a quelle di Severodonetsk, Lysichansk e Bakhmut, che si sono svolte o sono in corso nei centri abitati. L’elevato ostacolo rappresentato da questo tipo di terreno rende particolarmente difficile lo sviluppo di rapide manovre offensive, un elemento che a ben guardare era stato già osservato nel precedente confronto del 2014-15. In quel caso, i prolungati scontri svoltisi per il possesso di aree urbane o infrastrutture quali l’aeroporto di Donetsk (dove i paracadutisti ucraini resistettero ostinatamente per non meno di sette mesi ai reiterati attacchi dei separatisti) o della cittadina di Debaltsevo, hanno spinto alcuni attenti osservatori, come il maggiore dell’esercito statunitense Amos C. Fox, nel suo studio specificamente dedicato alla battaglia di Debaltsevo dal titolo “Battle of Debal’tseve: the Conventional Line of Effort in Russia’s Hybrid War in Ukraine”, a parlare esplicitamente di un ritorno alla “guerra di assedio”.
La prima lezione appresa: campo di battaglia trasparente e importanza del livello tattico
Nel conflitto oggi in corso, dopo la prima fase altamente dinamica del febbraio-marzo 2022 caratterizzata dalle prime, effettivamente rapide, penetrazioni e puntate offensive delle forze russe, anche queste sono poi giunte al loro “punto culmine” anche e soprattutto per la presenza di tutta una serie di centri urbani che venivano sistematicamente aggirati, ma nei quali i difensori ucraini continuavano, seppur isolati, a resistere. Il terzo fattore che agisce contro la manovra in Ucraina è quella che è stata già riconosciuta come una delle prime fondamentali “lezioni apprese” di questo conflitto, ossia quella relativa al cosiddetto “campo di battaglia trasparente”. In essa viene riconosciuto come la massiccia e pervasiva presenza di tutta una vasta panoplia di assetti di Intelligence, Surveillance e Reconnaissance (ISR) – dai satelliti di sorveglianza agli UAV da ricognizione distribuiti fino ai minimi livelli ordinativi – rende estremamente difficile la realizzazione della sorpresa a tutti i livelli: strategico, operativo e tattico. Questo perché qualsiasi importante concentrazione di forze, in modo particolare terrestri, in un determinato settore, viene prontamente rilevata e analizzata, consentendo al difensore (in modo particolare quando si tratta degli ucraini) di reagire con prontezza, ad esempio con il fuoco o con il rischieramento di riserve e rinforzi. Essendo proprio la sorpresa non solo uno dei riconosciuti e fondamentali principi dell’arte militare, ma anche uno dei principali “moltiplicatori di potenza” di qualsiasi operazione offensiva, è chiaro come la sua assenza determini un’estrema difficoltà nella condotta con ragionevole successo di queste ultime.
In tale quadro, a mantenere la situazione in equilibrio vi è anche l’impossibilità da parte russa di far valere la superiorità numerica e qualitativa delle proprie forze aeree, a causa delle numerose unità controaerei mobili ucraine, esattamente come già riferito a proposito della non fattibilità di operazioni avioportate o aeromobili . In esito a ciò, tra le sue peculiari caratteristiche questo pare essere il primo conflitto da diversi decenni a questa parte in cui il potere aereo non ha costituito, fino ad ora, un fattore davvero rilevante, almeno per quanto riguarda le piattaforme pilotate (un discorso a parte va fatto certamente per gli UAV e i sistemi missilistici per l’attacco a lungo raggio).
A tutti gli effetti, questa apparente superiorità dei mezzi e delle capacità della difesa sull’attacco ricorda quanto era avvenuto nel secolo scorso durante le prime fasi del primo conflitto mondiale, a dispetto dei primi chiari segnali in questo senso emersi in alcuni importanti eventi bellici precedenti, quali la guerra anglo-boera, quella russo-giapponese, e i conflitti balcanici, aspetti cruciali che non furono raccolti dai vertici dei principali eserciti dell’epoca. D’altronde, non sono mancati da più parti i tentativi di tracciare un parallelo storico in questo senso, con diversi commentatori che hanno voluto assimilare la battaglia di Bakhmut, ad esempio, a una “nuova Verdun”. Questa precisa tendenza era stata peraltro già chiaramente illustrata ancora prima dell’invasione russa dell’Ucraina da alcuni perspicaci commentatori, quali il professor Thomas Hammes, ricercatore dell’Institute for National Strategic Studies americano, il quale in un articolo dal titolo: “the tactical defense becomes dominant again” – sotto molti aspetti davvero profetico rispetto a quanto si sta verificando oggi – aveva già illustrato con dovizia di particolari tutti questi elementi.
Due futuri possibili schemi di manovra russa
In questo momento, le offensive russe in atto nel Donbas sembrano prefigurare due schemi di manovra in atto sotto la forma di altrettanti “doppi avvolgimenti”.
Il primo è in corso sulla cintura di villaggi a nord e sud di Bakhmut, volto a tagliare le principali vie d’accesso alla città e costringere così i caparbi difensori della città ad abbandonarla, pena il completo accerchiamento. Il secondo, partendo dall’area di Yakovlivka, a nord-est della stessa Bakhmut, vede le forze del 2° corpo d’armata (rappresentato dalle forze della repubblica separatista di Luhansk, ora ufficialmente integrate in quelle della federazione russa) spingere verso nord, in direzione di Siversk, con almeno quattro brigate fucilieri motorizzati in concomitanza di una seconda direttrice, che dall’area di Kreminna, con forze della 144a divisione e 30a brigata fucilieri motorizzati, spinge verso sud-ovest al fine di minacciare il tergo delle otto brigate ucraine che difendono la linea a ovest di Lysychansk.
Tuttavia, si tratta di attacchi con una progressione lenta, che pare metodica e sempre sostenuta da un nutrito fuoco di artiglieria. In particolare, le ultime analisi indicherebbero un adattamento dei procedimenti tattici russi; tra questi, citando un esempio tra i più rilevanti, vi sarebbe la creazione di un nuovo tipo di formazione, denominata “Shturmovoy otryad” (distaccamento d’assalto), di livello compagnia rinforzata, costituita integrando fanteria (dotata di lanciarazzi impieganti munizioni con testata termobarica, efficaci nell’impiego contro edifici), carri, una sezione di artiglieria/mortai semoventi, e un’aliquota logistica. Sarebbe questa, dunque, una delle soluzioni che gli attaccanti, in questa fase, stanno adottando per fronteggiare la situazione che emerge dal campo di battaglia.
La prevalenza dell’attrito sulla manovra
In ultima analisi, le operazioni terrestri in Ucraina, e più in generale l’intero andamento del conflitto, avrebbero ormai assunto il carattere di una lotta basata sull’attrito, molto più che sulla manovra. Una vera “Materialschlacht”, ossia una “battaglia di materiali”, come questa veniva definita dalla classica terminologia militare tedesca, dove la forza del numero e dell’acciaio hanno un ruolo preminente. Effettivamente, i riflessi sul livello strategico sono ormai accertati, con tutta una serie di analisi che parlano sempre più distintamente di ritorno alla dimensione industriale della guerra. Questo era già stato evidenziato in alcuni articoli pubblicati lo scorso anno, uno dei più noti dei quali apparso nel giugno 2022 sul sito del Royal United Service Institute dal titolo “The return of industrial warfare”. A tal proposito, le preoccupazioni manifestate da più parti sulla capacità da parte dei paesi NATO (e altri del mondo occidentale) di continuare a sostenere le forze armate di Kiev, soprattutto per quanto riguarda il munizionamento d’artiglieria, sono molto indicative. Nello stesso modo, sono diverse e articolate le valutazioni sulla reale efficacia delle sanzioni economiche sull’industria bellica russa, già mobilitata al massimo per sostenere lo sforzo bellico. Se questa tendenza andrà a confermarsi, è molto improbabile che la tanto pubblicizzata “grande offensiva” russa possa sfociare in una fase dinamica e manovrata, ammesso e non concesso che, preso atto della situazione contingente, questo possa essere il reale intento dei comandi russi. Essa potrebbe invece assumere i lineamenti di una pressione costante, su ampio fronte, secondo i dettami di un approccio basato su attacchi sistematici e massiccio ricorso al fuoco di artiglieria, e in esito a ciò progredire lentamente, ma inesorabilmente, con sfondamenti limitati, seguiti da successivi consolidamenti, così come è stato durante la battaglia del Donbas di maggio-luglio 2022. La stessa cosa, specularmente, potrebbe accadere nel caso di un nuovo passaggio dell’iniziativa dalla parte ucraina, con l’avvio di nuove controffensive per la riconquista dei territori occupati. Su questo versante, in ogni caso, dopo l’annosa vicenda della fornitura dei carri Leopard 2, è opportuno sottolineare come l’arrivo di questi mezzi – a meno che non avvenga in numeri davvero importanti che comunque non sembrano molto probabili – non potrà avere un impatto decisivo sull’andamento e soprattutto l’esito delle operazioni.
Questo, comunque, potrebbe drasticamente cambiare nel caso di un cedimento drastico e rilevante di uno dei due contendenti in uno o più settori sufficientemente ampi del fronte, cosa che al momento non sta avvenendo, ma che è pur sempre possibile. Se la “guerra di manovra” potrà prendersi una sua clamorosa rivincita (come è accaduto a Kharkiv lo scorso settembre), o se cederà definitivamente il passo a una lunga, logorante e metodica “guerra di usura”, verrà sancito solamente dalla consueta, inappellabile e dirimente sentenza di quel giudice definitivo che è il campo di battaglia.
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