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Elezioni in Pakistan: il punto

Le strategie politiche del Pakistan post-elezioni subiranno una significativa influenza della componente militare

di Claudio Bertolotti

Alla testa della competizione elettorale si è imposto il Movimento per la giustizia del Pakistan, fondato e guidato dall’ex campione di cricket Imran Khan; partito centrista e islamista, in odore di accordo con i militari, che ha trovato ampio consenso tra i giovani e il sostegno dei movimenti islamisti radicali.

Segue poi la Lega musulmana del Pakistan che vinse le precedenti elezioni del 2013, del già primo ministro Nawaz Sharif ora in carcere per corruzione; è un movimento formato da conservatori, ma in contrapposizione a quell’esercito che nella storia del Pakistan ha sempre rappresentato un elemento forte e anti-democratico. La lega musulmana del Pakistan, ora si sta opponendo al risultato elettorale che consegna il paese in mano al movimento islamista di Imran Khan.

Infine, più marginale, il Partito popolare pakistano, forza laica e progressista che fu fondato da Ali bhutto nel 1967, ucciso nel 1979 dopo il colpo di stato militare. Seguono gli altrei 119 partiti politici che hanno partecipato alla competizione elettorale per guidare il paese in un momento economicamente molto difficile.

Ciò che ha caratterizzato la campagna elettorale è stato un sostanziale cambio di approccio, anche sul piano comunicativo: in primo luogo è stata registrata una rilevante partecipazione femminile, tra i candidati e gli attivisti (in tutti gli schieramenti); inoltre si è imposto un massiccio intervento dell’esercito, e un forte coinvolgimento della classe media, della componente conservatrice sunnita e di ampie fasce di elettorato del Punjab; infine, ha influito la scelta della Lega musulmana di contrapporsi apertamente ai militari e al candidato da questi appoggiato, Imran Khan.

Quali conseguenze sulle strategie politico-militari del Pakistan?

Le strategie politico-militari del Pakistan post-elezioni subiranno una significativa influenza della componente militare che ha condizionato lo svolgimento delle consultazioni elettorali, sia influendo sui tribunali nell’esclusione dei candidati politici antagonisti, sia durante lo stesso spoglio delle schede elettorali con i suoi 371mila soldati. Militari che, attraverso il premier Imran Khan del Movimento per la giustizia del Pakistan – sostenuto anche dai gruppi islamisti radicali – tenteranno di recuperare quell’influenza e quei poteri limitati durante il governo di Nawaz Sharif.

La situazione politica pakistana è estremamente complicata. In primo luogo perché i risultati elettorali potrebbero imporre accordi con i partiti minori. In secondo luogo perché bisogna tener conto del ruolo delle forze armate, e ancor più dei servizi segreti dell’ISI anche per la sicurezza interna, sempre più minacciata dai gruppi di opposizione armata tra i quali spiccano i talebani pakistani e il cosiddetto Stato Islamico-Khorasan.

Contano inoltre, e non sono secondarie, le questioni di politica estera regionale, si in un contesto di buon vicinato e collaborazione con la Cina (in virtù degli importanti investimenti cinesi in Pakistan e della collaborazione sul piano del contenimento dello jihadismo che coinvolge sempre più la componente musulmana cinese uigura) sia nel rapporto competitivo con l’India, con cui rimane aperta l’annosa e sanguinosa questione del Kashmir nella quale sia i servizi che i militari pakistani sono impegnati nel sostegno a gruppi terroristi jihadisti.

I riflessi pakistani sulla stabilità dell’Afghanistan

In primo luogo si impongono le dinamiche afghane a cui il Pakistan guarda con grande attenzione, a partire dall’avvicinamento tra alcune componenti talebane e il governo di Kabul e dal ruolo giocato dai gruppi jihadisti pakistani come il Lashkar e-Toiba nel colpire gli obiettivi indiani anche in Afghanistan.

Sul piano politico il Pakistan intende imporre la propria visione e i propri tempi, mantenendo quel rapporto di collaborazione con i Talebani e proseguendo nel ruolo di attore di primo piano in un dialogo negoziale che sembra non giungere mai a un termine, in parte anche a causa dello stesso Pakistan che è parte insieme a Cina, Afghanistan e Stati Uniti, del Quadrilateral Coordination Group finalizzato proprio al negoziato i cui risultati sono tutt’altro che soddisfacenti.

I talebani, dall’altra, a rischio di frantumazione a causa delle competizioni interne per la leadership e alle prese con un limitato ma crescente fenomeno stato islamico-Khorasan, la succursale afghano-pakistana-indiana del cosiddetto Stato Islamico.

Infine il governo afghano, incapace di governare e in balia di un offensiva insurrezionale che controlla circa il 40% del paese.

E in Afghanistan ad ottobre si andrà a votare per leggere il nuovo parlamento e l’anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali.




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