TRUMP2024

Elezioni USA: la vittoria (di Trump) e le sconfitte (di democratici e stampa)

di Melissa de Teffè.

Ieri sera, durante una lunga maratona di interviste al quartier generale di Trump a Mar-a-Lago, il celebre giornalista conservatore Tucker Carlson ha posto a Elon Musk una domanda diretta: “perché ha deciso di sostenere Trump?” – La risposta di Musk non ha lasciato spazio a dubbi: “Quando vedi una persona sotto tiro e osservi la sua reazione, capisci subito se ha coraggio o è una codarda. La pallottola lo aveva colpito, c’era sangue che gli colava sul viso, e avrebbe potuto esserci un secondo tiratore. Invece ha gridato: ‘Combattiamo, combattiamo, combattiamo’. Quello è vero coraggio. L’America (come dice l’inno, ndt) è la terra degli uomini liberi e la casa dei valorosi, e noi vogliamo come Presidente un uomo coraggioso”. 

Ma cosa ha portato Trump alla vittoria? 

Diversi elementi e strategie vincenti si sono sommati, rendendo questa campagna elettorale efficace. Innanzitutto, i lunghi podcast sia di Trump sia del suo vicepresidente J.D. Vance, uomo brillante e preparato, che insieme ai membri del loro team, hanno consentito al pubblico di conoscere soluzioni chiare e concrete, sui temi che più hanno interessato gli elettori: inflazione, economia, guerra.  Questo approccio , nonostante le frasi a volte “pazze” di Trump, ha avvicinato candidato ed elettori. Vivek, Bob Kennedy, Gabbard, Musk, non si sono risparmiati presentandosi ovunque, come ad esempio presso le università, rispondendo liberamente e senza filtri alle domande dei ragazzi, illustrando apertamente il programma politico e le soluzioni offerte ai vari problemi del paese.

In contrasto, la vicepresidente Kamala Harris non è riuscita a connettersi empaticamente con l’elettorato, concentrandosi troppo su temi come l’aborto, che ovviamente prevedeva un focalizzarsi su un solo segmento della popolazione e senza mai riuscire a spiegare cos’altro proponesse.

Un altro punto di forza è stato presentare un team di governo già delineato: Bob Kennedy Jr. come ministro della Salute, Elon Musk come responsabile per semplificare la burocrazia governativa, Vivek Ramaswamy, imprenditore brillante e figlio di immigrati indiani, e Tulsi Gabbard, deputata delle Hawaii e riservista delle Forze Armate. Volti, nomi e competenze specifiche che hanno dato al pubblico sicurezza e fiducia, nomi, volti, certezze.

Infine, Trump ha rassicurato la popolazione sul fatto che farà il possibile per risolvere i due conflitti internazionali in corso, un’idea in netta contrapposizione con le posizioni espresse da Harris e Biden, che non sono riusciti a dissipare il timore di una possibile escalation verso una terza guerra mondiale.

Le grandi sconfitte: Harris e la stampa

Il primo grande perdente è stata ovviamente la vicepresidente Kamala Harris, il cui team non ha saputo creare e farle dire quali fossero le sue scelte politiche in primis e quali, essendo lei vicepresidente, le differenze con Biden. 

Sono stai due i momenti significativi che hanno indebolito il consenso intorno a lei. Il primo, a settembre durante un’intervista con Oprah Winfrey, peraltro in un contesto assai amichevole, la Harris ha dichiarato di essere favorevole alla costruzione del muro di Trump, un dietrofront netto e sorprendente. La sua risposta, lunga e articolata, non è riuscita ad offrire nuove politiche per la gestione della crisi alla frontiera. 

L’altro colpo di scena è stato quando ha dichiarato di essere pro il secondo emendamento della costituzione che recita il diritto al porto d’armi, d’averlo e che se un estraneo fosse apparso nella sua residenza gli avrebbe sparato senza esitazione. Anche questo un punto cruciale da sempre una delle roccaforti repubblicane.  Un altro passo falso è stato durante la sua apparizione a The View, dove, in un contesto amichevole, ha faticato a rispondere su cosa farebbe di diverso da Biden. “Non mi viene in mente nulla,” ha dichiarato Harris, lasciando perplessi gli spettatori.

Anche la stampa ha subito una grande sconfitta. I reportage di parte, la mancanza di giornalismo investigativo e le critiche incessanti su Trump e il suo team, hanno fatto emergere un giornalismo meno oggettivo e più editoriale. Pochi media si sono limitati a riportare i fatti senza aggiungere commenti, e solo raramente si è visto un approfondimento su dettagli rilevanti, come i cambiamenti di opinione di personaggi influenti e gli interessi economici che li sostengono, senza indulgere in dietrologie esasperanti e spesso superflue. Mentre siamo stati ampiamente informati sui processi di Trump, nessuno ha indagato a fondo sulla biografia di Harris, arrivata al ruolo di Procuratore Generale della California anche grazie alla sua lunga relazione con il sindaco “sposato” di San Francisco, oppure che la foto della nonna insieme a lei nella sua autobiografia non sarebbe autentica, come riportato dalla giornalista Candance Owens in una conversazione con alcuni parenti della stessa Harris. 

Secondo un sondaggio Gallup, la fiducia nei media è crollata drasticamente al 32%, con un pubblico sempre più scettico sulla capacità dei giornali di riportare le notizie in modo completo, equo e accurato.  Cambierà quindi l’atteggiamento dei media? Secondo la Fondazione Pew, “giornali e televisione hanno registrato perdite nelle entrate pubblicitarie” proprio per aver registrato un audience sempre più piccola.

Altri vincitori: il Congresso e i governatori 

Insieme alle presidenziali, le elezioni includevano seggi per il Senato, la Camera dei deputati e undici governatori. Il Senato ha già acquisito una maggioranza repubblicana, mentre per la Camera è ancora in bilico. Dei governatori in corsa, sappiamo già che sette sono repubblicani e quattro democratici. Gli stati interessati sono: Delaware, Indiana, Missouri, Montana, New Hampshire, North Carolina, North Dakota, Utah, Vermont, Washington e West Virginia.

In conclusione, la vittoria di Trump appare come il frutto di strategie ben mirate e di un messaggio chiaro, mentre la sconfitta di Harris e il calo di fiducia nei media riflettono le difficoltà di una campagna che non ha saputo conquistare né chiarire agli elettori un’alternativa solida.




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