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Influenze straniere nell’America che pensa: dalle università alle Big Tech

di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti
giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato (US)

Fondi esteri e antisemitismo nei campus

Negli Stati Uniti, la crescente ondata di antisemitismo nei campus universitari ha portato sotto i riflettori la questione dei finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo, in particolare dal Qatar. A preoccupare il Congresso e diversi osservatori è il ruolo che tali fondi potrebbero giocare nel condizionare il clima accademico e la libertà di espressione nelle università americane. 

Secondo un recente rapporto pubblicato dalla Foundation for Defense of Democracies (FDD), il Qatar figura tra i cinque maggiori donatori agli atenei statunitensi nel 2024. Il documento ha riacceso un dibattito già avviato all’inizio dell’anno, quando il Comitato della Camera per l’Istruzione e la Forza Lavoro ha approvato una proposta di legge per imporre maggiore trasparenza ai finanziamenti esteri ricevuti dalle istituzioni accademiche. Il provvedimento è una risposta diretta alle preoccupazioni sollevate anche al Senato nel marzo scorso, durante l’audizione del Dr. Charles Asher Small, direttore dell’Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy (ISGAP). Secondo i dati presentati, l’università Texas A&M avrebbe ricevuto oltre un miliardo di dollari dal Qatar, mentre Cornell ne avrebbe incassati quasi dieci. Columbia University, invece, avrebbe beneficiato di almeno 7,17 milioni di dollari.

Small ha denunciato come gran parte di questi fondi non sia stata regolarmente dichiarata al Dipartimento dell’Istruzione, in presunta violazione della normativa federale. Ma il punto centrale delle sue accuse riguarda il possibile impatto di questi finanziamenti sull’ambiente accademico: «Abbiamo osservato un incremento del 300% degli episodi antisemiti nei campus che hanno ricevuto fondi stranieri non dichiarati, in particolare da regimi autoritari come il Qatar», ha affermato.

Nel luglio 2024, lo stesso Small aveva testimoniato alla Commissione Finanze della Camera, collegando l’afflusso di fondi esentasse alla crescita di movimenti e dichiarazioni antisemite tra studenti e docenti.

E nel maggio 2024 durante un’audizione della Camera sull’antisemitismo, il deputato Burgess Owens (R-Utah) ha chiesto conto al presidente della Northwestern University, Michael Schill, di un finanziamento da 600 milioni di dollari destinato al campus di Doha, in Qatar. La Qatar Foundation, da parte sua, ha sempre respinto ogni accusa di interferenza nelle scelte accademiche delle università americane.

Già nel 2023, il Congresso aveva proposto una legge bipartisan – la DETERRENT Act – per vietare i finanziamenti alle università americane da parte di paesi accusati di sostenere il terrorismo.

Se l’ospitalità data dal Qatar a leader di organizzazioni come i Fratelli Musulmani o Hamas getta benzina sul fuoco dei critici, una correlazione fra antisemitismo e investimenti nell’educazione in USA rimane da provare. Gli interrogativi sono tuttavia legittimi e il tema è altamente divisivo. Se da un lato le università difendono le collaborazioni internazionali come strumenti di progresso e innovazione, dall’altro cresce la richiesta di regolamentare i rapporti con i paesi esteri, nel nome della trasparenza, dell’integrità accademica e del rispetto dei valori democratici.

Come beneficiano le università americane dagli investimenti arabi

Le università americane ricevono finanziamenti significativi da paesi arabi come Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Questi investimenti portano diversi vantaggi, ma anche potenziali rischi. Vediamoli nel dettaglio:

🏫 1. Sostegno finanziario

  • Donazioni consistenti: Paesi come il Qatar hanno donato centinaia di milioni di dollari a università di alto livello. Ad esempio, il Qatar ha finanziato il campus della Texas A&M a Doha e quello di medicina della Cornell.
  • Sviluppo infrastrutturale: Le donazioni aiutano a costruire strutture moderne, laboratori e centri di ricerca.

🎓 2. Sviluppo internazionale

  • Apertura di campus esteri: Le università statunitensi aprono sedi in luoghi come “Education City” a Doha, ampliando la loro visibilità globale.
  • Nuove iscrizioni: Attirano studenti benestanti dal Golfo, spesso paganti l’intera retta, migliorando la sostenibilità economica.

🧪 3. Ricerca e collaborazione accademica

  • Finanziamento di progetti scientifici: I governi arabi finanziano ricerche in energia, medicina, tecnologia.
  • Borse di studio e cattedre: Supportano lo studio dell’Islam, della lingua araba e della politica mediorientale.

🌍 4. Diplomazia culturale

  • Scambi interculturali: Collaborazioni e presenze di studenti stranieri promuovono il dialogo culturale.
  • Partnership strategiche: Rafforzano i rapporti diplomatici ed economici tra Stati Uniti e paesi del Golfo.

⚠️ I Rischi

Anche se i benefici sono reali, si possono individuare diversi potenziali problemi:

  • Influenza sui contenuti accademici: Alcuni donatori potrebbero cercare di indirizzare programmi o ricerche secondo i propri interessi.
  • Autocensura e pressione politica: Studenti e docenti potrebbero sentirsi limitati nel criticare i paesi finanziatori.
  • Reputazione e propaganda: I regimi autoritari possono usare questi legami per ripulire la loro immagine internazionale (“reputation laundering”).

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Oltre ai paesi arabi, la Cina è l’altro grande investitore.

Università americane e fondi dalla Cina: tra investimenti, soft power e rischi per la sicurezza nazionale

Dopo anni di crescenti rapporti accademici e culturali, gli investimenti della Cina nelle università statunitensi sono oggi al centro di un dibattito sempre più acceso su trasparenza, libertà accademica e tutela della sicurezza nazionale. Mentre Pechino rafforza la sua proiezione globale, gli Stati Uniti si interrogano sull’impatto di tali relazioni sul proprio sistema educativo.

💰 Contratti e finanziamenti milionari

Secondo un’indagine del Wall Street Journal, tra il 2012 e il 2024 circa 200 università americane hanno sottoscritto accordi con entità cinesi per un valore complessivo di 2,32 miliardi di dollari. Le collaborazioni spaziano dalla ricerca congiunta allo sviluppo di campus e infrastrutture accademiche. L’università più finanziata risulta essere New York University, grazie alla sua presenza a Shanghai.

A questo si aggiunge un altro canale di sostegno economico indiretto ma significativo: gli studenti cinesi iscritti negli Stati Uniti. Le loro rette universitarie rappresentano un flusso annuo di circa 12 miliardi di dollari, secondo dati del Congresso.

🏫 Gli Istituti Confucio: cultura o propaganda?

Al centro della controversia anche i Confucius Institutes, programmi finanziati dal governo cinese per promuovere la lingua e la cultura cinese all’interno dei campus statunitensi. Se inizialmente accolti come strumenti di scambio culturale, nel tempo sono stati accusati di veicolare propaganda politica e di imporre limiti alla libertà accademica, in particolare su temi sensibili come Tiananmen, Taiwan o il Tibet.  Il Congresso americano ha reagito con decisione, introducendo misure per limitare i fondi federali alle università che ospitano questi istituti. In molti casi, le università hanno deciso di chiuderli autonomamente per evitare problemi reputazionali e politici.

Preoccupazioni per la sicurezza nazionale

Le autorità statunitensi temono che i rapporti accademici con la Cina possano fungere da canale per la trasmissione di tecnologie sensibili e furto di proprietà intellettuale. In diversi casi, la stampa ha documentato come la ricerca finanziata da fondi pubblici americani abbia finito per favorire lo sviluppo militare cinese, suscitando interrogativi sul controllo dei progetti congiunti.

In risposta, il Congresso e alcune agenzie federali hanno avviato un percorso legislativo volto a rafforzare la trasparenza e il monitoraggio dei fondi stranieri ricevuti dalle università americane.

Filantropia e ricerca: un terreno ambiguo

Oltre agli accordi istituzionali, si segnalano anche ingenti donazioni filantropiche individuali da parte di miliardari cinesi. È il caso dell’Istituto Tianqiao e Chrissy Chen, che ha stanziato un miliardo di dollari per progetti di neuroscienze presso il Caltech e altri centri di ricerca. Se da un lato tali contributi hanno favorito importanti progressi scientifici, dall’altro pongono interrogativi sulla neutralità della ricerca e sull’influenza silenziosa del potere economico cinese.

L’intensificarsi della competizione tra Stati Uniti e Cina ha ormai travolto anche il mondo accademico. In gioco non c’è solo la libertà di ricerca, ma la capacità delle istituzioni americane di difendere i propri valori democratici in un contesto sempre più interconnesso e geopoliticamente instabile.

L’infiltrazione cinese nel mondo accademico statunitense non rappresenta un caso isolato, ma si inserisce in una strategia più ampia di Pechino volta a esercitare influenza su settori chiave della società americana. Oltre alle università, anche le grandi piattaforme tecnologiche sono diventate canali privilegiati di penetrazione, sia economica che ideologica. È in questo contesto che si inseriscono le rivelazioni di Sarah Wynn-Williams, ex dirigente di Meta, che ha denunciato pubblicamente presunti rapporti di cooperazione tra il colosso di Menlo Park e il governo cinese. L’ex direttrice delle politiche pubbliche globali di Facebook (ora Meta) è al centro di un acceso dibattito dopo aver pubblicato il mese scorso le sue memorie:

📘 “Careless People: A Cautionary Tale of Power, Greed, and Lost Idealism””: un memoir esplosivo

L’11 marzo scorso la Wynn-Williams ha pubblicato Careless People. un libro che offre uno sguardo critico sull’evoluzione di Facebook in Meta. Nel testo, l’autrice descrive un ambiente aziendale dominato da ambizione e mancanza di scrupoli, accusando i vertici di aver collaborato con il Partito Comunista Cinese per sviluppare strumenti di censura e di aver preso decisioni che potrebbero compromettere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Meta ha cercato di impedirne la promozione, ottenendo un’ingiunzione arbitrale che vietava a Wynn-Williams di discutere pubblicamente del contenuto dell’opera. Nonostante ciò, il libro è in testa a tutte le classifiche di vendita.

🏛️ Testimonianza al Congresso

In seguito, alcuni giorni fa, esattamente il 9 aprile 2025, la Wynn-Williams ha testimoniato davanti alla Sottocommissione per il Crimine e il Controterrorismo del Senato, presieduta dal senatore Josh Hawley. 

Invitata dal senatore quale presidente della Sottocommissione, Sarah ha dato uno spaccato su Meta e i rapporti della società con paesi esteri agghiaccianti. Durante le due ore di domande e risposte, l’ex dirigente di Facebook ha mosso accuse gravi nei confronti del colosso tecnologico, sostenendo che Meta avrebbe collaborato attivamente con il governo cinese per sviluppare strumenti di censura destinati al mercato asiatico. Wynn-Williams ha affermato che l’azienda avrebbe anche trasmesso dati sensibili a ricercatori legati all’Esercito Popolare di Liberazione cinese, contribuendo – secondo le sue parole – a progetti potenzialmente dannosi per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Ha raccontato di episodi concreti di interferenza straniera, come la cancellazione dell’account di un dissidente cinese su richiesta delle autorità di Pechino, e ha espresso forti riserve su un progetto di cavo sottomarino che, se approvato, avrebbe potuto facilitare l’accesso della Cina ai dati degli utenti americani. Ha rivelato che Meta avrebbe preso di mira adolescenti vulnerabili con campagne pubblicitarie studiate in base al loro stato emotivo, sfruttando momenti di insicurezza per promuovere prodotti o contenuti, una pratica che ha definito “profondamente immorale” o giovani madri in stato depressivo, sempre con lo stesso scopo. Queste rivelazioni hanno avuto ampio eco nell’opinione pubblica e al Congresso, alimentando richieste bipartisan di maggiore regolamentazione delle Big Tech e di indagini formali sui rapporti di Meta con regimi autoritari.

La Williams ha definito Zuckerberg un pagliaccio che cambia di vestito a seconda delle sue personali esigenze, che a parer suo, sono esclusivamente concentrate nel voler stare accanto al “Potere” – “tutto è disegnato per avere sempre più potere a livello globale”.

🧾 Reazioni e conseguenze

Meta ha respinto le accuse, definendole infondate e obsolete, e ha sottolineato che Wynn-Williams è stata licenziata nel 2017 per scarso rendimento e comportamento tossico. Tuttavia, la sua testimonianza ha suscitato un intenso dibattito pubblico e lei stessa ha invitato i membri della Commissione di Congresso a chiedere ulteriori indagini sulle pratiche dell’azienda. Nonostante le pressioni legali, Wynn-Williams ha dichiarato di aver deciso di parlare “a rischio personale considerevole” perché ritiene che il pubblico americano abbia il diritto di conoscere la verità sulle operazioni di Meta.

Sarah Wynn-Williams

Dalle università alle piattaforme digitali, ciò che emerge con chiarezza è una strategia coordinata di penetrazione da parte di potenze straniere come Cina e Qatar, che cercano di esercitare influenza sui luoghi in cui si formano il pensiero, il consenso e l’identità democratica americana.

In questo scenario, i finanziamenti accademici opachi, le alleanze tecnologiche silenziose e le pratiche di censura travestite da cooperazione rappresentano un rischio sistemico. Non si tratta solo di proteggere l’autonomia delle istituzioni – scuole, centri di ricerca, aziende – ma anche di resistere a un modello alternativo di controllo e conformismo che avanza con logiche autoritarie e mezzi sottili.

Proteggere significa costruire regole, vigilanza, trasparenza. La vera posta in gioco non è solo la sovranità tecnologica o educativa, ma la tenuta stessa della cultura democratica su cui si fondano gli Stati Uniti.




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