La guerra di religione di Vladimir Putin
articolo di Andrea Molle
Pubblicato il 9 marzo su dissipatio.it
In Occidente abbiamo la certezza che Putin abbia invaso l’Ucraina unicamente per ragioni geopolitiche, strategiche o economiche e ci dimentichiamo di un fattore fondamentale della politica russa contemporanea: la religione. Ciò accade perché, purtroppo, in Occidente si considera la religione come un elemento irrazionale, o al più un’esperienza privata e comunque slegata dalle dinamiche della politica.
In realtà si potrebbe affermare, a mio avviso, che l’invasione è per Putin un atto profondamente religioso. O meglio una tappa nel suo progetto di ricreare uno stato imperiale cristiano sul modello degli antichi imperi pre-industriali: un’entità statuale che unisca il potere temporale e quello spirituale, proponendosi poi come unico riferimento internazionale per coloro che rifiutano la laicità, sia essa di tipo individualista neoliberale occidentale, o di tipo collettivista socialista della Cina.
Il disegno di Putin si inserisce in un quadro più complesso di controrivoluzione che vede convergere le frange tradizionaliste dell’ortodossia russa, del protestantesimo evangelico americano e del tradizionalismo cattolico nel quadro di un’unità sopranazionale ispirata dalla cristianità medioevale. Il denominatore comune di tale aggregazione è la volontà di riaffermare la purezza della fede cristiana opponendosi alla laicità, decadente, del mondo occidentale e al potere crescente della Cina e del mondo islamico, come immaginato da Samuel Huntington.
In quest’ottica possiamo anche comprendere le dinamiche dell’azione di disinformazione promossa dal Cremlino in questi anni. Se ne analizziamo i contenuti sia testuali che visuali (meme) possiamo evidenziare delle linee di tendenza che si basano ampiamente sul fondamentalismo cristiano. Per questo motivo esse hanno da subito raccolto il consenso dei movimenti tradizionalisti e identitari. Negli anni hanno anche alimentato l’idea che Putin sia una sorta di figura messianica, unico soggetto politico oggi in grado di contrastare il presunto degrado e l’immoralità della civiltà occidentale riportandola ai fasti di una presunta età dell’oro.
Negli Stati Uniti il nazionalismo cristiano si è incarnato sia nel mondo eversivo del suprematismo bianco che in quello istituzionale della corrente theocon e della cosiddetta alt-right promossa inizialmente da Steve Bannon e che vede oggi diversi rappresentanti politici sedere nel congresso americano. L’Europa cattolica ha invece rappresentato un serio problema per la realizzazione di questa convergenza transnazionale. L’elezione di Papa Francesco nel 2013 si è dimostrata in grado di arginare la formazione di un asse trasversale tra le due sponde dell’atlantico. Nonostante i tanti tentativi messi in atto sia da parte americana, ad esempio con il sostegno alla Brexit o l’apertura di un think tank guidato dallo stesso Bannon a Roma, sia da parte Russa, con i frequenti viaggi in Europa del filosofo politico ed esponente della corrente mistica e neopagana in seno all’Ortodossia Aleksandr Gelyevich Dugin, il progetto non ha mai preso realmente piede nel vecchio continente. Si è assistito tuttavia alla nascita di una corrente tradizionalista, quantitativamente rilevante, in seno alla Chiesa Cattolica che però non è mai riuscita a creare la massa critica sufficiente a promuovere un vero e proprio scisma. Qui, guardacaso, troviamo molti dei sostenitori europei di Putin.
In Russia, anche grazie all’applicazione dei precetti della Quarta Teoria Politica di Dugin, Putin è riuscito nell’intento di promuovere la Chiesa Ortodossa come punto di riferimento di questo movimento, ottenendo così sia le simpatie degli evangelici americani che l’interesse dei tradizionalisti europei. Negli ultimi anni Putin ha visto crescere la sua popolarità come riferimento morale di questo mondo. E qui nasce, a mio avviso, la questione ucraina: la Chiesa Ortodossa ucraina non ha mai riconosciuto la pretesa di primato di Mosca e questo è un problema serio per Putin, perché, nella teologia ortodossa che ha abbracciato, Kiev è religiosamente seconda solo a Gerusalemme.
Per farla breve, nel 980 il principe Vladimiro il Grande unificò in un unico regno le attuali Russia, Bielorussia e Ucraina. Guardando a Costantinopoli, Vladimiro decise di convertirsi al cristianesimo, sposando una delle principesse imperiali e portando l’intero regno sotto la chiesa bizantina. Da quel momento in poi Kiev divenne un centro nevralgico dell’Impero bizantino, come può testimoniare la sua ricca architettura religiosa. Anche per questo, nel tredicesimo secolo, la città subì i tentativi di conquista degli altri principi Russi, e degli invasori mongoli, che finirono poi per stabilirsi in quella che è oggi Mosca, dando vita alla Chiesa ortodossa Russa, che divenne col tempo una delle chiese più ricche e potenti del mondo orientale. La profonda tensione tra il seggio patriarcale di Mosca e la Chiesa ucraina finì per protrarsi fino alla caduta dell’URSS, quando quest’ultima iniziò nuovamente a guardare verso Kiev. A partire dalla dissoluzione del blocco sovietico iniziarono le ben note tensioni etniche che portarono alla nascita di spinte autonomiste tra le minoranze russe, come ad esempio in Crimea e oggi nel Donbas, per le quali la religione ha sempre rappresentato un elemento fondante della propria identità etnica. Nel 2018 l’unificata Chiesa Ortodossa Ucraina si rese completamente indipendente da Mosca, riattivando l’antico seggio patriarcale di Kiev con il placet del patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Putin e le autorità religiose russe protestarono vivamente e cercarono di imporre il proprio primato appropriandosi della figura di Vladimiro il Grande, arrivando anche a sostenere che non fosse ucraino ma russo. La vicinanza di Kiev al patriarcato di Costantinopoli, che si pone da sempre come vertice dell’ortodossia e ha nel tempo adottato posizioni progressiste su diversi temi religiosi e sociali, fu vista come una minaccia diretta al potere del patriarcato di Mosca, che al contrario ambisce a diventare il simbolo del conservatorismo e del tradizionalismo cristiano mondiale. Per il presidente russo, la cui fortuna politica si deve anche alla sua capacità di fare leva sul sentimento religioso del suo popolo, schierarsi contro Kiev era necessario per legittimare le proprie aspirazioni politiche e religiose. Vladimir Putin iniziò dunque a considerarsi realmente l’erede di Vladimiro il Grande, concependosi come una sorta di Vladimiro II, impegnato in una missione per ricostruire l’anima e i confini della Santa Madre Russia.
Ciò spiega perché l’esistenza stessa dell’Ucraina come stato indipendente e pretendente al ruolo di unificatrice e cristianizzante dei popoli russi è letta da Putin quasi come un’offesa personale. Per Putin e la Chiesa moscovita l’invasione è diventata pertanto una parte indispensabile nella crociata per riconquistare la terra santa dell’ortodossia, in cui Kiev figura come una seconda Gerusalemme. In questo senso si spiega anche la forzata partecipazione della Bielorussia al conflitto. Non a caso, inoltre, se ascoltiamo attentamente i discorsi di Putin, sono tantissimi i riferimenti pseudo-religiosi ed escatologici con riferimento a questo conflitto. Infine, un elemento molto importante è la frequenza e la quasi intimità dei suoi contatti passati e presenti con Israele (Gerusalemme), la Turchia (Costantinopoli) e l’Italia (Roma): paesi che forse considera segretamente gli unici degni di interagire quasi alla pari della Russia, in quanto eredi di quegli stessi imperi cui lui fa evidentemente riferimento. In questo senso l’Italia dovrebbe forse occupare un ruolo di primo piano nelle trattative, invece che finire come sempre oscurata da Francia e Germania, paesi nei confronti dei quali Putin non nasconde un certo paternalistico disprezzo.
È difficile fare previsioni sul futuro del conflitto, ma è certo che le sanzioni basate sul concepire la Russia come un attore razionale influenzabile unicamente da fattori economici non bastano. Putin considera la sua battaglia come una crociata contro l’eresia e la decadenza morale occidentale, laddove la rinascita della Russia è ispirata e approvata da Dio. Per questo trovare una soluzione alla crisi con gli strumenti cui siamo stati abituati fino ad ora sarà molto difficile visto che Putin non può nemmeno lontanamente pensare di cedere alle sue pretese sull’Ucraina.
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