La sponda inesistente?
di Melissa de Teffè, dagli Stati Uniti – Giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense.
La Sveglia di Draghi dopo il discorso di JD Vance
C’è qualcosa di quasi tragico nel crescente divario transatlantico riguardo alle reali dinamiche geopolitiche. Il Vicepresidente JD Vance, pronuncia un discorso che potrebbe essere riassunto come un mix di nostalgia isolazionista e realismo spietato, avvolto nella tipica spavalderia che sempre più caratterizza i dibattiti della politica estera americana. Il suo messaggio? Gli Stati Uniti sono stanchi di pagare il conto per la sicurezza dell’Europa mentre il continente indugia e non si assume le proprie responsabilità. Ma ci siamo dimenticati che già John F Kennedy sollecitò l’Europa a contribuire maggiormente finanziariamente alla Nato. Durante una conferenza stampa disse: “Nel 1779, prima che la Francia entrasse nella Guerra d’Indipendenza, qualcuno disse a Benjamin Franklin- È un grande spettacolo quello che state mettendo in scena in America,”e Franklin rispose: “Sì, ma il problema è che gli spettatori non pagano.” – Oggi non siamo spettatori. Stiamo tutti contribuendo, siamo tutti coinvolti, qui in questo paese, in questa comunità, nell’Europa occidentale, nel mio stesso paese e in tutto il mondo, dove è nostra responsabilità dare il massimo contributo. Grazie.” (JFK- 2 giugno, 1961 a Parigi).
Negli ultimi 30 anni, l’Europa ha accettato tutte le scelte politiche degli Stati Uniti, che la riguardassero, i quali hanno sempre sostenuto il processo di adesione della NATO. Questa strategia ha comportato l’integrazione di ex nazioni del blocco orientale e di stati post-sovietici nell’alleanza, estendendo così l’influenza della NATO verso est.
Nel 1997, durante l’amministrazione Clinton, la NATO ha invitato Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca ad aderire, segnando la prima espansione dalla Guerra Fredda. Questa decisione faceva parte di un più ampio sforzo per integrare i paesi dell’Europa centrale e orientale nelle strutture politiche e di sicurezza occidentali. Le successive inclusioni portano all’adesione di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004, seguita da Albania e Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020. L’idea teorica dietro a questo accorpamento era di voler ottenere maggiore stabilità regionale e prevenire la rinascita dell’autoritarismo.
Tuttavia, questa apertura verso est è stata un punto di contesa importante con la Russia, che l’ha percepita come una minaccia alla propria sfera d’influenza e al suo “benessere” fisiologico, (rammentiamo tutti la reazione di Kennedy quando Krushev fece giungere i missili a testata nucleare a Cuba). Documenti declassificati rivelano che i funzionari statunitensi erano consapevoli delle preoccupazioni della Russia riguardo all’allargamento della NATO, riconoscendo che ciò avrebbe potuto rappresentare una minaccia per la sicurezza russa. In sintesi, negli ultimi tre decenni, la politica degli Stati Uniti è stata determinante nell’espansione della NATO con l’obiettivo di mantenere una loro egemonia regionale. Questa strategia, pur raggiungendo i suoi obiettivi, ha anche contribuito ad accrescere le tensioni con la Russia, evidenziando le complesse dinamiche delle relazioni internazionali nel periodo post-Guerra Fredda.
Il conflitto tra Russia e Ucraina è iniziato molto prima del 2022. Fu nel 2014, che la Russia ha annesso la Crimea e ha sostenuto i movimenti separatisti in Donetsk e Luhansk, dando il via a una guerra nell’Ucraina orientale. Nonostante gli accordi di cessate il fuoco, i combattimenti non si sono mai realmente fermati. La Russia ha continuato a fornire supporto militare e logistico ai separatisti. Poi il conflitto è escalato drammaticamente nel 2022, quando la Russia ha lanciato un’invasione su larga scala, trasformando una crisi regionale in un confronto globale.
Se il conflitto tra Russia e Ucraina ha avuto inizio nel 2014, affondando però le sue radici molto più indietro nel tempo, l’espansione della NATO verso est, avviata sotto l’amministrazione Clinton, ha alimentato nella Russia la sindrome da “fortezza sotto assedio” da alleanze militari occidentali. Questa doppia dinamica – la reazione russa nei confronti dell’Ucraina e la crescente insofferenza verso la NATO – ha creato la tempesta perfetta, trasformando un conflitto regionale latente in uno scontro geopolitico di portata cruciale.
Il Presidente Vladimir Putin, prima dell’invasione dell’Ucraina, in un discorso del 24 febbraio 2022, ha dichiarato: “L’ulteriore espansione dell’infrastruttura della NATO e l’inizio dello sviluppo militare nei territori dell’Ucraina sono per noi inaccettabili.”
E l’Unione Europea cosa ha fatto in tutti questo decennio 2014-2024? l’UE ha adottato un approccio cauto, concentrandosi sugli sforzi diplomatici, sostenendo gli Accordi di Minsk nel tentativo di stabilire un cessate il fuoco e ridurre le tensioni. Tuttavia, questi accordi non sono mai stati pienamente attuati e il ruolo dell’UE è rimasto in gran parte reattivo piuttosto che proattivo. Dopo l’annessione della Crimea, sono state imposte sanzioni economiche alla Russia, seguite da ulteriori misure dopo l’invasione su larga scala del 2022. Tuttavia, oltre alle risposte economiche e diplomatiche, l’invio di armi e aiuti umanitari per 132 miliardi di euro e più, l’UE ha fatto ben poco per sviluppare una strategia di sicurezza forte e indipendente, ma si è affidata principalmente agli Stati Uniti che soprattutto durante l’amministrazione Biden è andata in escalation militare, senza prevedere incontri diplomatici per cercare una chiusura al conflitto.
Il Lamento Europeo
Se dunque il discorso di JD Vance per alcuni era prevedibile, ciò che è seguito non lo è stato. La vera risposta, ma non tanto agli americani, quanto agli europei tutti, sia venuta dall’ex presidente della BCE, nostro Primo Ministro e attuale consulente del Parlamento europeo, Mario Draghi, che durante la Settimana parlamentare europea 2025, evento annuale dedicato alle sfide e alle opportunità dell’UE, in un discorso al Parlamento, ha evidenziato la necessità di un’azione unitaria veloce, chiara, sottolineando l’urgenza di investimenti strategici per affrontare la concorrenza globale e promuovere una crescita sostenibile. Il suo intervento, è stato più “gentile” di quello di Vance, e più digeribile per l’orgoglioso club europeo, (è sempre più facile ascoltare le critiche da un membro di famiglia che da altri). Draghi ha voluto spronare l’Europa affinché abbandoni vecchi comportamenti burocratici e passivi con azioni che rafforzino la propria posizione economica e geopolitica. Insomma un richiamo necessario alla realtà per l’establishment europeo, ormai incancrenito e spesso intrappolato in un ciclo di lamentele (come dimostrano le reazioni della Germania e di altri paesi alle dichiarazioni di JD Vance), impegnato più in rituali diplomatici privi di sostanza, mentre gli Stati Uniti, in meno di un mese dall’insediamento della nuova presidenza, stanno rivoluzionando tutti gli equilibri. È il momento di assumersi le proprie responsabilità, ma come disse Churchill, “questo è il prezzo della grandezza”.
Da anni, i leader europei osservano i mutamenti della politica statunitense con un misto di inquietudine e frustrazione. Ogni cambio di amministrazione porta nuove incertezze, eppure l’UE continua ad agire come se Washington, mamma Washington, sia sempre lì pronta a consolarla, comprarle le sue eleganti invenzioni e a regalarle qualche bonus quando in visita.
Seppure la NATO rimane eccessivamente dipendente dal potere militare statunitense, e sebbene la spesa per la difesa dell’UE sia in aumento, manca ancora una coerenza strategica. Anche di fronte a crisi come quella ucraina, il processo decisionale europeo è lento, frammentato e eccessivamente dipendente dalla leadership americana.
JD Vance, riflettendo l’ala più nazionalista e transazionale della politica statunitense, ha semplicemente articolato ciò che molti a Washington—su entrambi i fronti politici—pensano da tempo: l’Europa deve smetterla di aspettarsi che gli Stati Uniti si facciano carico di tutto. Le sue parole riflettono un crescente consenso bipartisan in America, secondo cui l’Europa deve agire o rischia di essere messa da parte. Vance dice: “Accogliete ciò che il vostro popolo vi dice, anche quando vi stupisca o anche quando non siete d’accordo. E se lo farete, potrete affrontare il futuro con certezza e fiducia, sapendo che la nazione è al vostro fianco. E questo, per me, è il grande miracolo della democrazia.”
Quindi cosa vogliono gli elettori europei?
Il richiamo all’azione di Draghi descrive la profonda inerzia politica che impedisce a questa Unione di divenire un vero attore globale. Draghi ha ricordato al Parlamento europeo che lamentarsi dell’imprevedibilità americana non è una strategia. L’azione lo è.
Le parole dell’ex Presidente del Consiglio dovrebbero servire come un momento di svolta. Se l’Europa continua lungo il percorso della dipendenza passiva, rischia l’irrilevanza in un mondo sempre più definito dalla forza e dal realismo politico. Non basta più lamentarsi dei cambiamenti della politica americana, l’Europa deve creare una propria visione strategica indipendente e coerente. Ciò significa accelerare l’integrazione della difesa, investire nelle capacità tecnologiche e industriali e avere la volontà di agire – anche quando il consenso è difficile da raggiungere.
L’Europa ascolterà questa volta? O il richiamo alla realtà di Draghi sarà solo un altro avvertimento ignorato in una lunga storia di opportunità mancate? Concludo con un detto americano: “If you can’t run with the big dogs, stay on the porch” che tradotto sarebbe: “Se non puoi stare al gioco, è meglio che stai a guardare.” – Osserveranno gli europei le scelte russe, cinesi o americane o diventeranno il quarto giocatore in questa partita di vita?