Le sanzioni occidentali falcidiano le fortune dei miliardari russi
di Marco Cochi
Dallo scorso 24 febbraio, quando la Russia ha iniziato la sua aggressione militare all’Ucraina, i miliardari russi hanno visto diminuire le loro immense fortune in modo cospicuo. Il 2 marzo, dopo una sola settimana dall’inizio dell’invasione, il patrimonio netto degli ultra-ricchi russi riportato dal Bloomberg Billionaires Index, il paniere creato nel 2012 che monitora quotidianamente lo stato dei patrimoni più facoltosi del mondo, era di 88 miliardi di dollari in meno rispetto al 23 febbraio.
Così il 3 marzo, cinque miliardari russi sono stati estromessi dalla speciale graduatoria di Bloomberg, dopo che le loro perdite sono più che raddoppiate da quando la Russia ha invaso l’Ucraina.
Tra questi il più penalizzato è Vagit Alekperov, il presidente della Lukoil, la più grande compagnia petrolifera indipendente della Russia. Alekperov, che nel 1990 fu il più giovane vice ministro dell’Energia nella storia dell’Unione Sovietica, ha perso oltre il 60% della sua fortuna personale prima di uscire dalla lista di Bloomberg. Il giorno dopo la sua epurazione dalla superclassifica dei re Mida, il proprietario della Lukoil aveva chiesto di porre fine rapidamente al conflitto tra Russia e Ucraina, diventando così la prima grande compagnia nazionale ad opporsi alla guerra di Putin.
Il passivo astronomico subito dai miliardari è in gran parte dovuto al crollo del mercato azionario russo e alla svendita delle loro attività nei mercati internazionali. Già nel periodo precedente la guerra Russia-Ucraina, le conseguenze dell’ondata prodotta dalla variante Omicron del SARS-Cov-2 e la debolezza del rublo avevano depresso i mercati finanziari locali, ma i “paperoni” russi hanno subito la maggior parte delle loro perdite dopo il 24 febbraio.
Tra il 23 febbraio e il 3 marzo, l’uomo più ricco della Russia, Vladimir Potanin, ha visto calare vertiginosamente le azioni della sua società Norilsk Nickel, gigante minerario primo produttore mondiale di palladio e tra i maggiori fornitori dei metalli più ricercati per la transizione energetica, come nickel, rame e cobalto. La società, quotata alla Borsa di Londra, nella settimana successiva all’invasione è affondata di oltre il 50%, provocando alla fortuna del magnate moscovita una perdita di 4,5 miliardi di dollari. E dallo scorso 3 marzo, il titolo è stato sospeso dalle contrattazioni del London Stock Exchange.
Perdite ancora più elevate sono state sostenute da Alexey Mordashov, principale azionista e presidente di Severstal, un conglomerato russo con interessi nel metallo, energia e miniere, che detiene una partecipazione nella compagnia di viaggi tedesca Tui.
Anche il fondatore del Volga Group, Gennady Timchenko, che controlla cospicui interessi nel gas naturale, trasporti, infrastrutture e nei prodotti chimici, oltre ad avere stretti legami con Putin, ha visto scendere di 11,3 miliardi di dollari il suo patrimonio netto, che ora equivale a 11,1 miliardi di dollari.
Un altro dei miliardari epurati dal Bloomberg Billionaires Index è Leonid Mikhelson, Ceo e principale azionista di Novatek, il secondo produttore di gas naturale della Russia, dopo il colosso Gazprom. Nella settimana successiva all’aggressione militare all’Ucraina, Mikhelson ha totalizzato 11 miliardi di dollari di passivo.
Alle pesantissime perdite registrate nei mercati azionari, che finché non vengono liquidate le posizioni detenute dai magnati russi sono temporanee, vanno ad aggiungersi le draconiane sanzioni inflitte ai ricchi russi da Regno Unito, Unione europea e Stati Uniti.
Il numero uno del Cremlino da molti anni aveva avvertito i suoi fedelissimi che avrebbero dovuto proteggersi da eventuali misure restrittive, in particolare dopo l’annessione della Crimea, quando le relazioni con gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione europea si sono inasprite.
Mentre alcuni uomini d’affari della ristretta cerchia del presidente Putin hanno seguito il suo consiglio e hanno mantenuto i loro investimenti in Russia, altri hanno collocato i loro soldi in sontuose proprietà all’estero e in squadre di calcio, mentre le loro società sono rimaste quotate nelle borse estere.
Ora si trovano in enorme difficoltà per mantenere i loro beni, confiscati con le sanzioni economiche più dure imposte nell’era moderna. Tra questi, uno dei più famosi in Europa è il miliardario russo Roman Abramovich, dal 2003 proprietario della squadra di calcio londinese del Chelsea.
Dal 23 febbraio, Abramovich ha perso circa il 12% della sua fortuna, sebbene sia stato sanzionato più tardi di altri, forse perché sarebbe meno influente di altri alleati di Putin. Anche se il suo ascendente sul Cremlino è molto dibattuto tra chi suggerisce che sia semplicemente tollerato da Putin e chi, come il Regno Unito, che crede che i due siano vicini.
Da parte sua Abramovich nega fermamente di avere stretti legami con Putin, ciononostante la parte britannica della sua fortuna stimata di 12,4 miliardi di dollari è ora congelata. Poco prima dell’annuncio delle sanzioni britanniche, ha messo in vendita il Chelsea per 3 miliardi di sterline e anche la sua lussuosa residenza a Kensington Palace Gardens, valutata 150 milioni di sterline.
Abramovich ha creato la sua fortuna negli anni novanta ed è stato uno dei primi oligarchi durante la presidenza di Boris Eltsin. Il suo indiscutibile fiuto per gli affari gli ha fatto acquistare la compagnia petrolifera Sibneft a un prezzo stracciato per poi rivenderla nel 2005 al gigante russo Gazprom, di proprietà statale, per 13 miliardi di dollari.
Tra le sue proprietà c’è l’Eclipse, il terzo yacht più lungo del mondo, e una altro megayacht, Solaris, in rada nel Mediterraneo. Negli ultimi anni aveva iniziato a ritirarsi dal Regno Unito, tanto che nel 2018 ha deciso di non richiedere il rinnovo del visto britannico e ha invece utilizzato il passaporto israeliano appena acquisito per visitare Londra.
Mentre un tempo era solito presenziare a tutte le partite casalinghe del Chelsea, negli ultimi anni è stato visto raramente allo Stamford Bridge. E dopo che gli è stato vietato di entrare nel Regno Unito, non potrà più assistere a nessun incontro di calcio di squadre inglesi.