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L’Europa al bivio: può difendersi senza il supporto degli Stati Uniti?

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

Con l’intensificarsi delle tensioni geopolitiche e la possibilità di un ritiro parziale o completo degli Stati Uniti dalla NATO, l’Europa si trova di fronte a una domanda urgente: può difendersi senza il sostegno americano? La risposta, sebbene non impossibile, comporta costi enormi e un lungo e incerto cammino verso l’indipendenza militare.

Per decenni, l’Europa ha beneficiato della protezione degli Stati Uniti, che hanno rappresentato la spina dorsale della sua strategia di difesa. Washington fornisce non solo la deterrenza nucleare, ma anche le capacità logistiche, tecnologiche e di intelligence che i paesi europei faticano a replicare autonomamente. Un’uscita degli Stati Uniti dalla NATO lascerebbe l’Europa con un vuoto di sicurezza che richiederebbe un aumento drammatico della spesa militare e una coesione politica—entrambi aspetti tutt’altro che garantiti.

I numeri sono preoccupanti. Oggi, i bilanci di difesa combinati dell’Unione Europea e del Regno Unito ammontano a circa 380 miliardi di dollari all’anno. Tuttavia, gli esperti stimano che, per compensare la perdita delle capacità statunitensi, l’Europa dovrebbe investire un ulteriore 300-400 miliardi di dollari in espansione militare. Per sostenere questo, i paesi europei dovrebbero aumentare la loro spesa annuale per la difesa al 3-4% del PIL, rispetto all’attuale 1,5-2%.

Per l’Italia, la sfida è particolarmente difficile. Destinando attualmente circa l’1,5% del PIL alla difesa, circa 30 miliardi di euro all’anno, Roma dovrebbe probabilmente raddoppiare la sua spesa a 60 miliardi di euro annui per mantenere una postura di sicurezza credibile. Non è una piccola impresa per un paese con un rapporto debito/PIL superiore al 140%, dove la spesa per la difesa storicamente è stata subordinata ad altre priorità sociali ed economiche.

Tuttavia, l’Italia è un attore cruciale della NATO, data la sua posizione strategica nel Mediterraneo. Ma senza il supporto degli Stati Uniti, il Paese si troverebbe ad affrontare gravi lacune nel potere navale, nella superiorità aerea e nelle capacità di intelligence. L’Italia dovrebbe espandere ulteriormente la sua flotta, richiedendo investimenti di almeno 20-30 miliardi di euro in portaerei, sottomarini e cacciatorpediniere aggiuntivi per tutelare la sicurezza del Mediterraneo. Roma dipende fortemente dagli F-35 e dai sistemi missilistici costruiti dagli Stati Uniti, e uno scenario post-NATO comporterebbe la necessità di una costosa spinta per la produzione domestica o una maggiore dipendenza dalla Francia e dalla Germania. Inoltre, l’Italia ospita attualmente armi nucleari statunitensi sotto il programma di condivisione della NATO. Se questo programma dovesse essere terminato, Roma sarebbe costretta a prendere la difficile decisione se investire in una propria deterrenza nucleare—un’opzione economicamente e politicamente complessa—o fare affidamento sull’arsenale francese per la protezione. Affidarsi all’arsenale nucleare della Francia sarebbe un’opzione quasi inaccettabile per l’Italia, poiché i due paesi non condividono molti interessi strategici, e tale dipendenza potrebbe subordinare Roma a Parigi, minando l’autonomia dell’Italia nelle questioni di difesa e limitando la sua capacità di agire in modo indipendente sulla scena internazionale. Questo complicherebbe ulteriormente la politica estera dell’Italia, poiché dovrebbe allinearsi più strettamente con le priorità francesi, che potrebbero non coincidere sempre con le proprie.

Oltre agli ostacoli finanziari e tecnologici, la questione del personale è di primaria importanza. Le forze armate europee si sono ridotte significativamente dalla fine della Guerra Fredda, con molti paesi che si sono orientati verso eserciti più piccoli e professionisti piuttosto che la coscrizione di massa. L’Italia, come gran parte d’Europa, dovrebbe espandere rapidamente le proprie Forze Armate per soddisfare le esigenze di una difesa autosufficiente. Ciò significa non solo reclutare più soldati, ma anche formare e mantenere personale qualificato in settori chiave come la guerra cibernetica, l’intelligence e la logistica. Senza la forza lavoro per operare e mantenere una infrastruttura militare ampliata, anche i sistemi d’arma più avanzati sarebbero di scarsa utilità. La leva militare, da tempo abbandonata, potrebbe dover essere riconsiderata—un passo politicamente sensibile ma forse necessario se l’Europa vuole sostenere una prontezza militare a lungo termine.

Inoltre, costruire un sistema di difesa europeo autonomo richiederebbe decenni. A breve termine, i primi cinque anni richiederebbero un’accelerazione dei bilanci e una riorganizzazione delle alleanze, sebbene l’Europa rimarrebbe altamente vulnerabile. A medio termine, entro cinque-dieci anni, potrebbe emergere un’alternativa funzionale ma più debole alla NATO, con operazioni congiunte ampliate e un rapido approvvigionamento di nuovi beni di difesa. A lungo termine, entro dieci-venti anni, potrebbe essere operativo un corpo di difesa europeo completamente indipendente, sebbene rimarrebbero sfide legate alla frammentazione, alle inefficienze e alle difficoltà economiche.

Oltre ai vincoli finanziari, le nazioni europee—compresa l’Italia—faticano con le divisioni politiche sulle questioni militari. La Germania ha solo recentemente iniziato a invertire decenni di sotto-investimento nella difesa, mentre l’Italia ha a lungo dovuto affrontare lo scetticismo pubblico sull’espansione militare. Senza una forte volontà politica e una leadership decisiva, il cammino dell’Europa verso l’autonomia difensiva sarà lento e frammentato. Il peso economico è un’altra grande preoccupazione. Mentre Francia e Germania potrebbero assorbire costi di difesa più alti, paesi come Italia, Spagna e Grecia potrebbero trovarlo quasi impossibile senza sacrifici significativi in altri settori, come infrastrutture, programmi sociali e investimenti energetici.

Un’altra possibilità è ovviamente che Roma garantisca il continuo supporto militare e strategico americano. Tuttavia, un allineamento con Washington allontanerebbe alcuni dei partner europei dell’Italia che potrebbero preferire un quadro di difesa più autonomo, potenzialmente mettendo a rischio l’unità europea. Inoltre, rafforzerebbe la dipendenza dell’Italia dagli Stati Uniti per la sicurezza, lasciandola vulnerabile alle priorità mutevoli della politica estera americana, limitando al contempo la sua influenza all’interno dell’Unione Europea su questioni di difesa e sicurezza. Indipendentemente dall’opzione scelta, questo segnerebbe un cambiamento radicale nella strategia militare, comportando aumenti della spesa per la difesa, espansione navale e una possibile rivalutazione del suo ruolo nella deterrenza nucleare.

In conclusione, la frammentazione politica e le limitazioni economiche potrebbero rendere difficile sostituire le capacità della NATO. L’Europa deve ora decidere: prenderà in mano la propria difesa o rimarrà vulnerabile in un mondo sempre più volatile? Una cosa è certa: senza il supporto degli Stati Uniti, il costo della sicurezza esploderà, e per paesi come l’Italia, la posta in gioco non è mai stata così alta.

Foto in copertina: www.difesa.it