Libia: nulla di fatto a Berlino
di Claudio Bertolotti
Il vertice europeo di Berlino del 19 gennaio 2020 avrebbe dovuto segnare un primo passo per la risoluzione del conflitto militare e politico in Libia, caratterizzato da numerosi ostacoli e molteplici attori coinvolti. Il 27 gennaio l’incontro di Berlino è stato archiviato: il Consiglio presidenziale del Governo di Accordo Nazionale libico (GNA), riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez al Serraj, ha detto ufficialmente che dovrà “riconsiderare la sua partecipazione a qualsiasi dialogo a causa delle violazioni del cessate il fuoco” da parte dell’LNA – Libyan National Army, guidato dal generale Khalifa Haftar che, dal 4 aprile dello scorso anno, assedia Tripoli nel tentativo di prendere il potere con la forza.
Russia (con Egitto e UAE) e Turchia, pur a fronte di generici impegni orientati a una non ingerenza negli affari libici, non hanno di fatto ridefinito le proprie ambizioni e attività a sostegno delle due parti libiche. Tra i sostenitori di Haftar, gli Emirati Arabi Uniti, sono l’attore più attivo sebbene meno sotto i riflettori internazionali: sponsor principale di Haftar, gli UAE sono impegnati nella condotta di attacchi aerei mediante l’utilizzo di droni: si citano, tra le principali azioni, i bombardamenti dell’aeroporto di Misurata, all’interno del quale è presente il contingente militare italiano.
Gli USA paiono non essere intenzionati a lasciare un vuoto, così come (temporaneamente) fatto in Siria, a fronte del timore di un ruolo crescente della Russia nel Mediterraneo e, sebbene in maniera non evidente, di una Cina sempre più presente nel continente africano e nell’area mediterranea. L’Italia, debole sul piano delle relazioni internazionali, è a rischio marginalizzazione nel processo di stabilizzazione della Libia.
Di fatto a Berlino fin da subito sono mancati gli elementi fondamentali per poter avviare un dialogo negoziale funzionale alla cessazione delle ostilità: non c’è stato accordo di pace tra i due contendenti libici (che non si sono incontrati e non hanno siglato la dichiarazione congiunta), non c’è stata la deposizione delle armi (nessuna tregua o cessate il fuoco), né è stato avviato un processo politico per l’unificazione dei due parlamenti.
Tenendo in considerazione le ambizioni strategiche dei sostenitori esterni del premier al-Sarraj e del Generale Haftar, i quali, da soli, non sono in grado di condurre operazioni militari risolutive, appare evidente come lo stato di conflittualità cronica trovi ragione d’essere nelle ambizioni e negli interessi nazionali di supporter esterni sempre più impegnati in quella che è una war by proxy sempre più simile al conflitto siriano, a causa della crescente presenza di gruppi combattenti stranieri. Preoccupa la presenza di mercenari sudanesi (valutati in circa 2.000 unità) a supporto delle forze di Haftar, alle quali si contrappongono i circa 3.000 islamisti reduci dalla guerra in Siria che sarebbero stati trasferiti in Tripolitania, a sostegno del GNA, dalla Turchia. Presenti anche circa 1.000 contractor della compagna russa Wagner e alcune decine di ufficiali tirchi con funzione di “consulenza” e “supporto” (Fonte START InSight).
Il blocco del petrolio e la pressione di Haftar
La compagnia petrolifera statale libica afferma che la produzione è diminuita del 75% a causa del blocco delle esportazioni, che ha portato alla chiusura dei principali campi petroliferi e porti nell’est e nel sud del paese, imposto dal cosiddetto “Esercito nazionale Libico” (LNA) guidato dal generale Kalifa Haftar. Le esportazioni sono state sospese nei porti di Brega, Ras Lanouf, Al-Sidra, Al-Hariga e Zweitina nella “mezzaluna petrolifera” del paese, corridoio in cui transita la maggior parte delle esportazioni di greggio libico. La NOC (National Oil Company) ha anche denunciato la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio nel sud-ovest, che portato all’interruzione della produzione nei principali campi di Al-Sharara e Al-Fil.
Un’azione che, nel complesso, avrebbe causato perdite stimate per 256 milioni di dollari con una produzione passata da 1,2 milioni di barili al giorno a poco più di 320.000 (Fonte NOC,). Nel complesso, la produzione di petrolio della Libia è precipitata di circa tre quarti dal 19 gennaio, in concomitanza con l’infruttuoso dialogo sulla Libia di Berlino.
Una scelta strategica, quella di Haftar, volta a ridurre la principale fonte di reddito del paese in risposta alla decisione della Turchia di inviare consiglieri e addestratori militari a sostegno del Governo di Unità Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj. Una mossa che, a dispetto delle dichiarazioni congiunte in occasione del dialogo di Berlino, non ha trovato l’opposizione di Russia, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto, sostenitori di Haftar.
Il Commento per RaiNews24 di Claudio Bertolotti, Direttore START InSight
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