L’inimmaginabile: Lutnick, Trump e la sfida delle tariffe per rifondare l’America

di Melissa de Teffé dagli Stati Uniti
esperta di politica USA
accreditata presso il Dipartimento di Stato
per START InSight
THE BLITZKRIEG – LA GUERRA LAMPO
È di questi giorni un sondaggio della NBC che rileva la percentuale di gradimento e non del presidente Trump. Sicuramente ha registrato il più alto consenso mai raggiunto durante i suoi due mandati, con una media del 47% di americani che approva il suo operato e il 44% che ritiene che il Paese stia procedendo nella giusta direzione. Un record personale per Trump.
Ma nonostante questi dati incoraggianti, la maggioranza degli americani continua a non sostenerlo, rendendo il suo indice di gradimento complessivamente negativo. Trump aveva iniziato la sua presidenza con un bilancio positivo, ma nelle ultime settimane la percentuale di consensi è tornata lentamente a ridursi e, e anche con l’attuale picco di popolarità, Trump rimane comunque il presidente meno apprezzato della storia moderna americana, rispetto a qualsiasi altro presidente nello stesso periodo iniziale. Mentre i consensi per il presidente Trump sono in calo, il Partito Democratico tenta di affrontare una crisi di popolarità ancora più grave: solo il 27% degli elettori registrati ha attualmente un’opinione positiva dei Democratici, a fronte del 55% che esprime giudizi negativi. È il livello più basso mai raggiunto dal partito, dove il 38% degli intervistati dichiara addirittura una visione “estremamente negativa”.
Guardando i numeri al Congresso: i repubblicani detengono attualmente una maggioranza di 53-47 al Senato, mentre alla Camera detengono una maggioranza di 218-213, piccoli margini che hanno obbligato Trump a ritirare e quindi dover ripensare alla nomina ad ambasciatore presso le Nazioni Unite, di Alice Stefanick, deputata per lo Stato di New York. Ecco perché i primi cento giorni sono cruciali, non solo per poter usufruire del minimo risicato di maggioranza (qualsiasi Executive Order presidenziale deve essere approvato dal Congresso), ma anche per dimostrare che quanto promesso in campagna elettorale è vero e quindi aumentare il consenso del pubblico.
I NUMERI
Tralasciando le teatralità, parliamo di economia che è alla base di quasi tutte le decisioni politiche ad oggi prese per il paese. Gli Stati Uniti sono il Paese più ricco al mondo, con un bilancio annuale di 6.500 miliardi di dollari ed entrate per 4.500 miliardi, il che genera una perdita annuale di circa 2.000 miliardi. Con un PIL di 29.000 miliardi di dollari e un debito complessivo di 36.000 miliardi, gli USA possono però contare su un valore patrimoniale stimato tra i 500 e i 1.000 trilioni di dollari, un patrimonio che li rende estremamente solidi dal punto di vista economico.
“Secondo questa visione, non sarebbe necessario ridurre nemmeno di un centesimo i fondi destinati ai cittadini che hanno realmente diritto ai benefici sociali, come la previdenza (Social Security), Medicaid o Medicare. La vera sfida sarebbe invece quella di eliminare le inefficienze, smettendo di inviare denaro pubblico a chi approfitta del sistema assistenziale, ad esempio persone che ricevono assegni di invalidità per decenni pur svolgendo altre attività lavorative. In sintesi, gli Stati Uniti dovrebbero semplicemente iniziare a monetizzare e sfruttare in modo efficace i propri immensi asset per ristabilire la responsabilità fiscale”, racconta Lutnick, il neoeletto Segretario del Dipartimento per il commercio.
HOWARD LUTNICK
Ma chi è Lutnick? Howard Lutnick è un imprenditore di origini ebraiche noto principalmente come presidente e amministratore delegato della Cantor Fitzgerald, nota per essere una delle principali società di servizi finanziari a livello globale, oggi con oltre 12.500 dipendenti distribuiti in più di 60 uffici in 20 paesi. Riconosciuta come uno dei 24 operatori primari autorizzati a negoziare titoli di Stato con la Federal Reserve Bank di New York, occupava gli ultimi cinque piani di una delle Torri Gemelle quando, l’11 settembre 2001, fu tragicamente colpita dagli attentati terroristici, in cui morirono 658 dipendenti, inclusi il fratello Gary, e il suo migliore amico, Doug. Cantor Fitzgerald guadagnava circa un milione di dollari al giorno, ed era stata costruita sulla filosofia di assumere persone attraverso il passaparola dei dipendenti stessi, creando così un ambiente di lavoro coeso e motivato. Dopo la tragedia, il chairman Lutnick decise di aiutare economicamente tutte le famiglie delle vittime, donando il 25% degli utili aziendali. Nonostante l’impatto devastante, Lutnick è riuscito a ricostruire la società, principalmente grazie alla totale assenza di debiti. Questa sua esperienza di gestione delle crisi e il suo approccio pragmatico lo hanno reso una figura nota al pubblico, anche fuori dal settore finanziario.
Nel 2023 Trump, che lui chiama simpaticamente DJT, gli chiede di affiancarlo per risanare il debito pubblico americano. Lutnick, fino a quel momento non coinvolto nella politica, accetta, decidendo di impegnarsi personalmente e finanziariamente. Lutnick affronta l’incarico con sistematicità, studia, legge, s’informa su ogni dettaglio che spieghi il funzionamento della Casa Bianca, le politiche commerciali in essere e delinea così le strategie finanziarie necessarie per equilibrare il bilancio federale.
PRIMA IDEA – DOGE
Da imprenditore, decide di focalizzarsi su come risanare il bilancio federale, in particolare su una revisione approfondita della spesa pubblica, che è pari a circa quattro trilioni di dollari l’anno. Lutnick è certo che non essendoci mai stata verifica, almeno il 25% di queste spese potrebbero essere ridotte semplicemente eliminando errori o frodi, per un risparmio stimato di circa un trilione di dollari annuo. Inoltre, Lutnick ritiene possibile generare un ulteriore trilione di dollari attraverso nuove entrate, come i dazi doganali. È lui che decide di coinvolgere Elon Musk nel progetto, ed è lui che inventa l’acronimo DOGE (Department of Government Efficiency). Musk, la cui rapidità di azione e i cui tagli drastici una volta acquisito Twitter sono noti, accetta con entusiasmo, suggerendo una riduzione fino all’80% della forza lavoro governativa, paragonando la situazione del governo federale alla sua esperienza. Lutnick presenta DOGE come una fornitura gratuita di strumenti e tecnologie innovative al governo, senza dover passare per le tradizionali procedure burocratiche.
SECONDA IDEA – I DAZI DOGANALI
Storicamente, fino al 1913 gli Stati Uniti non avevano imposte sul reddito e questa tassazione viene introdotta per finanziare lo sforzo bellico per la Prima Guerra Mondiale. In seguito dopo la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale, Truman con il Piano Marshall (1948), decide consapevolmente di abbassare i propri dazi doganali per favorire la ripresa economica degli altri Paesi devastati dal conflitto, accettando che questi ultimi imponessero tariffe elevate sui prodotti statunitensi. Tuttavia, secondo Lutnick, “ci siamo dimenticati che questa era una strategia temporanea e l’abbiamo mantenuta anche quando non era più necessaria”. Esemplare è il caso del Kuwait, (qui tutti ricordano ancora la storia di Red Adair, eroe americano, il ‘pompiere’ dei pozzi petroliferi), che dopo essere stato liberato grazie all’aiuto militare con una spesa di cento miliardi di dollari, è il paese che, da allora, ha imposto le tariffe in assoluto più alte.
In questo contesto, Donald Trump emerge come l’unico politico americano ad aver compreso profondamente la necessità di cambiare rotta e inserisce sempre grazie a Lutnick un aspetto umano, perché suo nonno lavorava nell’industria automobilistica, in stabilimenti situati nel Midwest. “Grazie a questi lavori, intere generazioni di operai come loro potevano godere di una vita stabile e dignitosa”. – “In tanti ricordano gli accordo NAFTA creati da Clinton, che permisero alle grandi aziende americane di trasferire le loro fabbriche in Messico, causando una devastante perdita di lavoro e dignità per intere generazioni di operai soprattutto nell’industria automobilistica del Midwest. È per difendere proprio queste persone, che Trump sostiene con convinzione la politica di reintrodurre tariffe adeguate, proteggendo così i lavoratori americani e favorendo il ritorno della produzione negli Stati Uniti”. Secondo Lutnick, il concetto di commercio internazionale realmente “libero ed equo” non esiste, poiché ogni Paese protegge il proprio mercato con tariffe doganali, come ad esempio l’India, che applica una tariffa media del 50%, mentre gli Stati Uniti restano fermi ad appena il 4%. Anche la Cina è un esempio significativo: pur essendo una grande economia con un PIL di circa 10 trilioni di dollari, consuma principalmente i propri prodotti e applica alte tariffe ai beni importati, limitando fortemente l’accesso ai mercati esteri.

TARIFFE
Rispondendo alla preoccupazione che le tariffe possano causare inflazione, Lutnick precisa che quest’ultima deriva principalmente dall’aumento della quantità di moneta in circolazione, e non dalle tariffe in sé. La critica comune degli economisti secondo cui le tariffe porterebbero all’inflazione e alla recessione è, per Lutnick, basata su un contesto teorico di scambi liberi ed equi, che in realtà non esiste. Pur riconoscendo che alcuni prodotti importati possono diventare più costosi a causa delle tariffe, Lutnick afferma che ciò equivale semplicemente a una tassa sui consumi e non genera inflazione generalizzata. L’obiettivo centrale delle politiche tariffarie di Trump è infatti riportare la produzione negli Stati Uniti – reshoring – creando posti di lavoro più qualificati e meglio retribuiti. Già nelle prime settimane della nuova amministrazione Trump, aziende come TSMC hanno investito circa 2 trilioni di dollari in nuovi impianti produttivi sul territorio per evitare le nuove tariffe.
Ad oggi ecco l’elenco delle principali aziende che hanno annunciato importanti investimenti in nuovi stabilimenti produttivi negli Stati Uniti, con i relativi importi:
- Apple: Ha annunciato nel febbraio 2025 un investimento complessivo di oltre 500 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni, in settori come l’intelligenza artificiale e l’ingegneria dei semiconduttori.
- Hyundai Motor Group: Nel marzo 2025 ha comunicato investimenti pari a circa 21 miliardi di dollari, inclusa la costruzione di una nuova acciaieria da 5,8 miliardi in Louisiana.
- TSMC (Taiwan Semiconductor): Sta investendo circa 100 miliardi di dollari per espandere la capacità produttiva negli Stati Uniti, concentrandosi sulla produzione di semiconduttori.
- Eli Lilly and Company: Ha deciso di raddoppiare gli investimenti negli stabilimenti americani, portandoli a 1,7 miliardi di dollari, con nuovi impianti in North Carolina e Indiana.
- Meta Platforms: Ha annunciato un investimento di 10 miliardi di dollari per la costruzione del suo più grande data center, situato in Louisiana.
- Samsung Electronics: Ha confermato la realizzazione di una fabbrica di semiconduttori in Texas, con un investimento pari a 17 miliardi di dollari, prevista operativa dalla seconda metà del 2024.
- Intel: Ha pianificato investimenti iniziali di circa 20 miliardi di dollari per la realizzazione di nuove fabbriche di semiconduttori in Ohio, con possibilità di espansione fino a 100 miliardi.
- Micron Technology: Ha annunciato la costruzione di un nuovo stabilimento produttivo di semiconduttori nello stato di New York con un investimento iniziale di 20 miliardi di dollari, potenzialmente espandibile a 100 miliardi in due decenni.
- Texas Instruments: Ha avviato investimenti che potrebbero raggiungere i 30 miliardi di dollari per nuovi impianti produttivi di semiconduttori in Texas.
- Wolfspeed: Nel settembre 2022, ha annunciato un investimento di circa 1,3 miliardi di dollari per realizzare la più grande fabbrica al mondo di semiconduttori al carburo di silicio, situata in North Carolina.
Infine, Lutnick riconosce che esiste una gamma limitata di prodotti altamente tecnologici e specializzati, come alcune attrezzature per semiconduttori prodotte da ASML, che non potranno essere prodotte facilmente negli Stati Uniti per almeno altri cinque o sei anni. Per queste specifiche categorie, suggerisce quindi di adottare soluzioni più mirate e flessibili, riconoscendo la necessità di un approccio tariffario più equilibrato per tali settori strategici.
Gli Stati Uniti sono la principale economia consumatrice globale, con un PIL di 29 trilioni di dollari, di cui ben 20 trilioni rappresentano acquisti effettuati dagli americani stessi. Questo rende l’America il principale cliente mondiale, essenziale per l’economia globale. Di conseguenza, gli altri paesi, che dipendono dal mercato statunitense, dovrebbero pagare tariffe per accedervi. Introducendo tariffe sui prodotti esteri, l’America potrebbe generare nuove entrate che permetterebbero al governo federale di ridurre le tasse interne per i cittadini americani. Questa nuova entrata esterna viene chiamata ironicamente da Lutnick “External Revenue Service”, (il fisco americano si chiama Internal Revenue Service), un’idea che ha presentato personalmente a Trump e che è stata accolta con entusiasmo. Lutnick vede in questo meccanismo un ritorno alla prosperità economica americana precedente al 1913, quando il paese prosperava attraverso tariffe, senza tasse sul reddito. Infine, abbassando le tasse interne, il costo effettivo del lavoro diminuirebbe, poiché i lavoratori sarebbero più motivati se gli stipendi fossero esentasse. Questa strategia potrebbe migliorare significativamente la competitività economica degli Stati Uniti e la qualità della vita dei suoi lavoratori.
Ma l’altra grande novità che con probabilità verrà istituita è l’introduzione di un nuovo sistema software per gestire le tariffe doganali: Lutnick vuole creare un sistema tecnologico avanzato basato sull’intelligenza artificiale (AI), progettato per automatizzare e semplificare radicalmente il processo di riscossione dei dazi doganali negli Stati Uniti. Il sistema funzionerà in questo modo:
- Identificazione automatica del prodotto: Utilizzando tecnologie avanzate come il riconoscimento fotografico e l’intelligenza artificiale, il software sarà in grado di identificare rapidamente ogni prodotto importato, semplicemente analizzando un’immagine della merce.
- Calcolo automatico delle tariffe: Una volta identificato il prodotto, il sistema consulterà automaticamente un database aggiornato per determinare la tariffa doganale appropriata da applicare, secondo la categoria merceologica e le regole commerciali vigenti.
- Misurazione precisa del peso: Il sistema includerà bilance estremamente accurate, in grado di misurare il peso del prodotto con grande precisione (fino a 13 cifre decimali, come avviene per l’oro). Questo metodo assicurerà che non vi siano errori nel calcolo del peso e, di conseguenza, nelle tariffe applicate.
- Eliminazione delle verifiche manuali: Grazie all’accuratezza dell’identificazione automatizzata e alla precisione delle bilance, non sarà più necessario aprire fisicamente i pacchi per verificare il contenuto, riducendo enormemente i tempi e aumentando l’efficienza.
- Collaborazione con aziende tecnologiche: Lutnick ha già ottenuto l’impegno gratuito da parte delle principali aziende tecnologiche americane (tra cui Google, Amazon, Microsoft ed Elon Musk con le sue società) per sviluppare questo software. Queste aziende contribuiranno volontariamente, riconoscendo il vantaggio strategico di sviluppare tecnologie che, se adottate dagli Stati Uniti, potranno essere successivamente esportate in tutto il mondo.
In sintesi, questo sistema mira a rivoluzionare la gestione delle tariffe doganali, rendendo il processo più rapido, accurato e sicuro, aumentando contemporaneamente gli introiti per gli Stati Uniti, eliminando inefficienze e riducendo drasticamente le possibilità di frodi ed errori amministrativi.
L’annuncio di tariffe del 25% sulle auto importate ha provocato reazioni negative nei mercati finanziari globali, con gli analisti che prevedono un aumento dei prezzi e una possibile stagnazione della produzione. Inoltre, la volatilità dei mercati riflette l’incertezza generata da queste misure protezionistiche, con gli investitori che mettono in dubbio la sostenibilità di tali politiche nel lungo termine. Secondo un articolo del Wall Street Journal, l’imposizione di nuovi dazi su acciaio e alluminio ha significativamente perturbato le catene di approvvigionamento manifatturiere, aumentando i costi sia per i prodotti importati che per quelli domestici. I dirigenti del settore manifatturiero hanno espresso preoccupazione, evidenziando che gli Stati Uniti non dispongono di una capacità produttiva sufficiente per materiali come fili di acciaio, viti e altri elementi di fissaggio. WSJ
Concludendo, se l’espansione delle guerre commerciali ha portato a un aumento delle misure protezionistiche a livello globale, rallentando la crescita economica e indebolendo la cooperazione internazionale, tuttavia non l’ha annullata.
Chissà che questa strategia non rimanga solo un esercizio solitario, ma venga adottata anche da altri paesi nel tentativo di trovare soluzioni al debito pubblico, risollevando le rispettive economie..?
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