Generale David Petraeus: senza truppe straniere i talebani potrebbero rovesciare il governo afghano (L’intervista)
L’intervista di Claudio Bertolotti al Generale statunitense David Petraeus, già comandante del Surge in Iraq, dell’US Central Command, delle Forze della Coalizione in Afghanistan ed ex direttore della CIA
Il generale David H. Petraeus, che forse non tutti sanno ha prestato servizio in Italia (Vicenza) per circa tre anni e mezzo all’inizio della sua carriera, è una delle figure militari statunitensi più importanti dell’era post-11 settembre 2001 ed è stato descritto come uno dei “grandi capitani di battaglia” della storia militare americana. Dopo il suo servizio militare, che lo ha visto ricoprire posizioni di alto comando in Iraq e in Afghanistan, è stato direttore della CIA. Ora è presidente del KKR Global Institute.
Durante la sua carriera come ufficiale dell’Esercito degli Stati Uniti, il generale Petraeus è stato ampiamente riconosciuto per la sua leadership nella Forze Armate; leadership che si è confermata nella redazione del manuale di counter-insurgency dell’Esercito degli Stati Uniti che ha portato alla revisione di tutti gli aspetti della preparazione e dell’addestramento dei comandanti di tutti i livelli e delle unità dell’Esercito americano per il dispiegamento in aree di crisi e teatri operativi. La sua azione di comando e le sue intuizioni accompagnate dall’applicazione operativa in occasione del Surge in Iraq, hanno consentito di recuperare una situazione disperata riducendo drasticamente il livello di violenza nel paese; analogo risultato è stato ottenuto grazie a lui, nel periodo in cui ha ricoperto il ruolo di comandante delle forze della Coalizione in Afghanistan, con l’azione di contrasto all’offensiva e all’espansione talebana avviando così quel necessario passaggio di responsabilità alle forze e alle istituzioni afghane.
Dopo aver lasciato l’Esercito, il generale Petraeus ha ricoperto l’incarico di direttore della CIA che, sotto la sua guida, ha ottenuto grandi risultati nella guerra globale al terrorismo; in tale veste Petraeus ha definito un piano strategico per l’Agenzia e perseguito investimenti in quello che lui stesso definisce l’elemento più importante dell’Agenzia: il suo capitale umano.
Generale Petraeus, le guerre contemporanee sono sempre più caratterizzate da una rilevante componente non militare in cui, in particolare, ha un peso notevole il ruolo della popolazione civile nel contrasto ai fenomeni insurrezionali. Quali sono oggi le sue valutazioni in merito alla strategia WHAM (Winning Hearts and Minds) che ha caratterizzato in particolare la sua leadership nelle guerre afghana e irachena?
Come abbiamo sottolineato nel manuale dell’Esercito per la contro-insurrezione (Counterinsurgency, Field Manual 3-24, scritto da David H. Petraeus e James F. Amos, NdA), “il fattore decisivo” in tale impresa è il “terreno umano”. Una campagna di contro-insurrezione si concentra necessariamente sulle persone, fornendo loro sicurezza e consolidando le basi della sicurezza stessa, aiutando a ripristinare i servizi di base, riparando le infrastrutture danneggiate, ristabilendo la governance locale, rilanciando le economie locali e così via. Questo per mostrare alle persone che le loro vite saranno migliori se decidono di sostenere il governo e le forze della Coalizione invece di appoggiare attivamente o tacitamente gli insorti. E nel tempo, man mano che la sicurezza e la situazione migliorano, le persone comprendono la logica e i benefici di questo sostegno, rifiutando di aiutare e alimentare le istanze e le ambizioni degli insorti e dei gruppi di opposizione armata.
L’accordo Stati Uniti-talebani e il disimpegno militare dall’Afghanistan: si sente deluso da come è finita o ritiene che fosse l’unico risultato che si potesse ottenere oggi considerando le dinamiche politiche nazionali e internazionali?
L’accordo recentemente siglato a Doha offre l’opportunità, da tempo ricercata, di trasformare l’Afghanistan da un problema che richiede una gestione militare perpetua degli Stati Uniti a una situazione che può essere risolta politicamente una volta per tutte. Ma i rischi che questa scommessa porta con sé sono enormi così come i segnali che giungono all’indomani dell’accordo e a distanza di alcuni mesi – come i continui attacchi talebani e lo stato di grave difficoltà in cui versa il governo afghano – non sono incoraggianti.
La veemente insistenza dei talebani sulla necessità di ritiro di tutte le truppe statunitensi dall’Afghanistan lascia fortemente intravvedere che lo scopo nei colloqui di pace non sia tanto quello di trasformare le relazioni dei talebani con gli Stati Uniti, ma di allontanarne le forze così da poter rovesciare il governo afghano senza ostacoli. L’accordo, così come siglato, sembrerebbe dare ai talebani uno scarso incentivo a dialogare seriamente con il governo internazionalmente riconosciuto di Kabul, poiché la posizione di quest’ultimo diverrà progressivamente più debole con il completamento del ritiro militare internazionale. Invece di gettare le basi per un compromesso intra-afghano, già di per sé molto difficile, l’accordo sembra implicitamente anticipare “la fine del gioco” così come gli stessi insorti hanno costantemente perseguito dal 2001: una riconquista talebana del paese.
Una considerazione personale sulla guerra in Afghanistan
Siamo andati in Afghanistan per un motivo: eliminare il santuario di Al-Qāʿida in un Afghanistan sotto il dominio dei talebani in cui erano stati pianificati gli attacchi dell’11 settembre e dove veniva condotto l’addestramento iniziale degli aggressori. E siamo rimasti per un motivo: per garantire che Al-Qāʿida non riuscisse a ristabilire quel santuario, cosa che il gruppo terrorista ha ripetutamente cercato di fare da quando i talebani e altri ribelli sono tornati nel Paese, compiendo ripetutamente attacchi violenti contro il popolo afghano, le loro forze di difesa e sicurezza e i loro partner della Coalizione.
Generale Petraeus, l’autore di questa intervista ha avuto l’onore di servire il suo paese in Afghanistan insieme alle truppe statunitensi, inquadrato nella missione ISAF e prima ancora nell’operazione Enduring Freedom. Qual è la sua opinione sull’impegno italiano in Afghanistan?
È stato un privilegio avere gli eccezionali contingenti italiani in Afghanistan, così come lo è stato avere un comandante e un quartier generale italiani al Comando Regionale Ovest (RC-West), a Herat. Durante il mio periodo come capo del comando centrale degli Stati Uniti (CENTCOM, 2008-2010) e poi come comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza in Afghanistan (ISAF, 2010-2011), le forze italiane di RC-West hanno condotto operazioni di contro-insurrezione da manuale. Tutti gli italiani dovrebbero essere molto orgogliosi degli uomini e delle donne che hanno indossato l’uniforme del loro paese in Afghanistan.
Vuole aggiungere qualcosa che ritiene importante?
“Claudio, ci terrei che mettessi in risalto, per i nostri lettori, che tra le mie decorazioni straniere c’è la Croce d’oro al merito dei Carabinieri”.
Scarica la biografia del generale David H. Petraeus.
Intervista pubblicata in origine in lingua inglese su START InSight e in italiano sulla Rivista Militare dell’Esercito Italiano, n. 3/2020
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