I rischi dell’inevitabile operazione militare israeliana
di Claudio Bertolotti
La ragione della guerra sta nel processo di normalizzazione tra il mondo arabo (Arabia saudita in primis) e Israele, conseguente agli accordi di Abramo, che l’Iran sta cercando di boicottare.
L’operazione militare offensiva a Gaza è, per Israele, inevitabile; basta leggere la strategia di sicurezza nazionale israeliana del 2015 per comprendere come l’approccio primario sia quello militare offensivo funzionale a ottenere risultati militari netti mantenendo così il vantaggio relativo.
ma i rischi di un’operazione militare israeliana, oltre che sul campo di battaglia vero e proprio, si collocano sul piano delle relazioni internazionali e, in particolare, sugli equilibri di potenza e influenza a livello regionale e globale.
è l’evento determinante per il prossimo assetto politico-strategico dell’intero arco mediorientale.
Spostandoci così dal campo di battaglia a quello politico, osserviamo l’interesse e il coinvolgimento, diretto e indiretto, di attori globali, dagli Stati Uniti alla Russia, dall’Iran alla Cina, dall’Arabia Saudita al Qatar alla Turchia e tutti i paesi arabi e musulmani. Di fatto ci troviamo ad osservare l’evento determinante per il prossimo assetto politico-strategico dell’intero arco mediorientale.
Cause e conseguenze spesso si sovrappongono: ostilità Israele-Iran è il primo dei fattori dinamizzanti delle relazioni internazionali nell’arco mediorientale. La questione palestinese non lo è, è un tema di convergenza delle opportunità, mediatiche e politiche ma non è scatenante per il conflitto in corso.
Se guardiamo alla guerra Israele-Hamas con l’attenzione alla questione palestinese come a un elemento primario rischiamo di dare un’eccessiva importanza a un tema che non è più una priorità per le cancellerie occidentali come non lo è più per i paesi arabi, ma che ci distrare dal valutare la gravità della situazione e le dirette conseguenze.
E allora, per poter analizzare i rischi concreti che deriveranno da questa guerra dobbiamo partire da quello che è il punto di caduta iraniano, che si traduce nell’obiettivo granitico e inderogabile di “distruggere Israele” anche attraverso l’utilizzo di attori di prossimità, alleati, operazioni indirette. In questo quadro entrano in prima fila due soggetti, “Hamas” e “Hezbollah”, di fatto due eserciti in grado di operare in maniera autonoma con il supporto di Teheran.
Dunque il primo e principale di questi rischi è l’allargamento del conflitto che, riprendendo la visione israeliana espressa nella dottrina strategica della Difesa di Gerusalemme, si traduce in escalation orizzontale che vedrebbe tre principali fronti: il Hezbollah dal Libano, la Siria e, in ultima battuta, un intervento dell’Iran.
Coinvolgimento diretto dell’Iran che gli Ayatollah iraniani razionalmente non vogliono, ma che l’emotività associata ad eventi incontrollabili potrebbe indurre.
Il secondo di questi rischi è, dato il potenziale coinvolgimento di Hezbollah (spinto dall’Iran), il trascinamento nel conflitto del Libano e la conseguente opzione della guerra civile libanese che aprirebbe a una crisi ingestibile il cui esito sarebbe il collasso dello stato libanese. E infatti Israele sta agendo con forza per contrastare gli attacchi con razzi di Hezbollah.
Il terzo è l’allargamento alla Siria, spinta dall’Iran, e in questo senso si collocano le azioni dirette a colpire infrastrutture ed equipaggiamenti militari in territorio siriano, sia da parte di Israele sia statunitense, come confermano le distinte operazioni svolte dai due eserciti a danno di obiettivi legati all’Iran.
Il quarto, non l’ultimo, è multiplo ed è rappresentato dal rischio di rivolte in Cisgiordania, l’apertura del fronte interno con attacchi di affiliati o ispirati da Hamas e il protrarsi di un’offensiva nella striscia di Gaza e la successiva transizione politica.
Uno scenario definito, ma dai confini e dalle dinamiche non certe.
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