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Siria: dopo gli accordi per Idlib la Russia è in vantaggio sulla Turchia

La partecipazione di 38 compagnie russe alla fiera internazionale di Damasco conferma che l’attività economico-commerciale sarà un passe-partout della Russia in Medioriente

L’analisi di C. Bertolotti per l’Osservatorio Strategico del Ce.Mi.S.S. n. 1/2018

di Claudio Bertolotti

scarica l’intero contributo pubblicato sull’Osservatorio Strategico Ce.Mi.S.S. 1/2018

Il 17 settembre scorso, Russia e Turchia hanno concordato di istituire una zona demilitarizzata nella regione della Siria nord-occidentale di Idlib, ultima grande roccaforte dei circa 60.000 componenti i gruppi di opposizione armata e ribelli anti-governativi, tra questi anche le formazioni jihadiste di area qaedista Hayat Tahrir al-Sham (Levant Liberation Committee) e Jabhat Fateh al-Sham che controllano due terzi della cosiddetta area cuscinetto e più di metà di Idlib.

Accordi di Sochi: Naji al-Mustafa, portavoce dei quindici gruppi componenti il Fronte nazionale per la liberazione, ha confermato l’adesione all’iniziativa russo-turca

L’area demilitarizzata, in base agli accordi, avrebbe dovuto essere definita entro il 15 ottobre e avere una profondità variabile di 15-20 chilometri prevedendo, al suo interno, la condotta di pattugliamenti coordinati di unità russe, turche e della Nato; l’accordo prevede che i gruppi radicali debbano lasciare l’area, al contrario dei gruppi ribelli non inseriti nell’elenco dei gruppi terroristi che però si sono impegnati a trasferire fuori dall’area demilitarizzata gli armamenti pesanti e a consegnarne una parte alle forze governative siriane. Questo l’esito dell’incontro di Sochi tra il presidente Vladimir Putin e l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan. Un accordo che alla fine di ottobre non ha visto la realizzazione della zona cuscinetto ma ha comunque evitato di provocare una crisi umanitaria che avrebbe interessato circa tre milioni di abitanti nel caso fosse stata avviata la prevista e annunciata offensiva militare: Naji al-Mustafa, portavoce dei quindici gruppi componenti il Fronte nazionale per la liberazione, il 6 ottobre ha confermato l’adesione all’iniziativa russo-turca mentre il giorno seguente il Free Idlib Army ha iniziato la smobilitazione degli schieramenti di artiglieria in prossimità dell’abitato di Maaret al-Numan, benché sia possibile immaginare che parte degli armamenti possa essere stata più opportunamente nascosta; anche il National Liberation Front, sostenuto dalla Turchia, ha aderito all’accordo. Tra i gruppi qaedisti, Horas al-Din, (i “guardiani della religione”) e Ansar al-Din (“Partigiani della religione”) hanno da subito rifiutato la soluzione negoziale proposta, mentre Hayat Tahrir al-Sham solamente il 14 ottobre ha comunicato il proprio apprezzamento per il cessate il fuoco, ma ha ribadito la propria volontà di continuare a combattere il jihad fino all’estremo sacrificio.

Gli accordi preannunciano che la campagna per Idlib seguirà la linea tracciata dalle precedenti campagne: dividere il fronte insurrezionale

In pratica i termini dell’accordo aggiungono sostanza all’idea che la campagna per Idlib seguirà la linea tracciata dalle precedenti campagne, come quella per Daraa, riuscendo a dividere il fronte ribelle-jihadista con conseguente riduzione della capacità operativa del nemico sul campo; una mossa a conferma della visione strategica del regime siriano e dei suoi alleati che, in maniera sistematica, ha portato gli esitanti gruppi di opposizione armata a dividersi in più parti distribuite sul territorio, così da essere combattute senza un eccessivo dispendio di forze e limitando gli effetti collaterali in termini di danni alle popolazioni civili. La prossima mossa da parte siriana, una volta conclusa la liberazione dell’area di Idlib, sarà il controllo dell’area a est dell’Eufrate, strappata lo scorso anno al gruppo Stato islamico da parte dalle milizie curde che compongono le Syrian Democratic Forces sostenute dagli Stati Uniti.

L’accordo offre vantaggi significativi per i firmatari, ma ad avvantaggiarsene sarà la Russia

Nel complesso l’accordo offre vantaggi significativi per i firmatari. Ma se per la Turchia il vantaggio principale è stato quello di evitare che nella zona si concentrassero le truppe governative siriane, è però vero che Ankara dovrà far fronte al mantenimento di una sorta di protettorato turco su forze ribelli che sono sempre più in difficoltà; e se quella contro Jabhat Fateh al-Sham e gli altri gruppi jihadisti sarà una campagna di successo, la Turchia avrà un ulteriore onere poiché dovrà trovare il modo di garantire loro una via d’uscita dalla Siria. In tale quadro non stupisce la dichiarazione di Erdogan del 4 ottobre, in cui il presidente turco ha annunciato la propria intenzione di non voler lasciare il territorio siriano finché non saranno svolte le elezioni.

Per la Russia e per la Siria, l’accordo offre invece la possibilità di mettere in sicurezza l’autostrada strategica che attraversa Idlib e collega la Siria settentrionale con le altre città; è previsto che il transito lungo le autostrade Aleppo-Latakia e Aleppo-Hama debba essere ripristinato entro la fine del 2018. Inoltre, il 15 ottobre, la Siria ha confermato la progressiva capacità di controllo del territorio riaprendo i passaggi di frontiera con Israele (Queneitra, chiuso dall’inizio della guerra nel 2011) e con la Giordania (Nassib, chiuso nel 2015); in particolare il passaggio di Nassib attraverso la Giordania rappresenta un importante passo per il ripristino delle attività commerciali con le ricche nazioni del Golfo.

Ma è la Russia che esce ulteriormente avvantaggiata da questo accordo, in particolare sul piano operativo, poiché le sue forze non solo possono continuare a combattere gli jihadisti e gli altri gruppi ribelli, ma ha pure la possibilità di schierare le sue truppe, insieme a quelle turche, nelle zone demilitarizzate per ridurre la presenza e gli arsenali di quelle forze ribelli che, fino a ora, sono state supportate da Ankara.

Stati Uniti: ai margini sia della guerra che della sua soluzione

Infine gli Stati Uniti, che rimangono ai margini sia della guerra che della sua soluzione. Come già avvenuto nel sud, a Daraa, il sostegno statunitense ai gruppi di opposizione nella provincia di Idlib appare limitato al fattore deterrenza contro un ipotetico utilizzo di armi chimiche al quale l’amministrazione americana potrebbe rispondere, sia pur in maniera limitata e a livello tattico. Nella sostanza, un aiuto poco più che simbolico a quei ribelli che anche Ankara vorrebbe poter continuare a sostenere.

Nella sostanza la guerra siriana continua, ma con l’accordo tra Putin ed Erdogan la spinta data al conflitto tende sempre più verso un vantaggioso consolidamento russo nell’area a favore di Damasco e di Teheran.

Analisi, valutazioni e previsioni

La Russia guarda con interesse a un nuovo ordine di sicurezza in Medio Oriente. Qualunque cosa accada ai ribelli nella provincia di Idlib, Mosca è determinata a mantenere la Siria saldamente ancorata all’interno della sua sfera di influenza – sia come punto d’appoggio nel Medio Oriente sia in un’ottica di contenimento statunitense (e dei suoi alleati): il vice ministro della Difesa della Russia, Alexander Fomin, nel suo intervento del 25 ottobre all’8° Beijing Xiangshan Forum di Pechino, ha posto particolare accento sulla situazione in Siria in termini di volontà russa di essere presente sino a quando la situazione non sarà stabilizzata e il terrorismo sconfitto. A conferma di tale approccio è il fatto che lo stesso giorno in cui i diplomatici russi firmavano l’accordo con la Turchia per l’istituzione della zona smilitarizzata nell’area di Idlib, decine di uomini d’affari russi siglavano a Damasco contratti commerciali per il dopoguerra siriano.

Russia: rimarremo sino a quando la situazione non sarà stabilizzata e il terrorismo sconfitto e saremo impegnati nel processo di ricostruzione

Il contributo delle forze armate russe, decisive nella lotta contro l’opposizione al governo di Bashar al-Assad e al gruppo Stato islamico, ha dato a Mosca un peso ben superiore a quello delle potenze occidentali. Russia che è stata così capace di imporsi sul piano diplomatico e delle relazioni internazionali come su quello militare, come dimostrato dalla recente vendita dei sistemi missilistici S-300 alla Siria, che vanno ad affiancarsi agli S-400 schierati dalle forze russe; un accordo che preoccupa l’altro importante attore regionale, Israele, da tempo impegnato in azioni di bombardamento aereo su territorio siriano in funzione di contenimento anti-iraniano e di contrasto al libanese Hezbollah.

E se sul fronte militare il ruolo russo è di primo piano, non è certo secondario l’impegno su quello della ricostruzione post-bellica, dove Mosca sarà impegnata nella riattivazione di strade e la ricostruzione di condutture strategiche e di beni immobiliari distrutti nei sette anni di guerra appena trascorsi.

Come dimostrato dalla partecipazione di 38 compagnie russe alla fiera internazionale di Damasco all’inizio di settembre, l’attività economico-commerciale sarà uno dei principali passe-partout della strategia di influenza russa nell’area mediorientale.

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