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Ucciso Al-Zawahiri: cosa accadrà ad al-Qa’ida? Rispondono Bertolotti e Vidino (Adnkronos)

Per analisti al-Qaeda forte dopo al-Zawahiri, successore dall’Africa?

di Melissa Bertolotti, ADNKRONOS

Intervista originale pubblicata su ADNKRONOS

Per Bertolotti dell’Ispi è ”verosimile aspettarsi una reazione contro gli Usa”. Vidino vede tra i possibili successori l’egiziano Saif al-Adel o Abdal-Rahman al-Maghrebi, ma anche leader di gruppi in Africa dove il jihad si sta espandendo.

”Per al-Qaeda non cambia nulla” con l’uccisione del suo leader, l’ideologo egiziano Ayman al-Zawahiri, ”non è che la morte di un vecchio leader carismatico”. Perché ”oggi finisce la guerra al terrore, ma non finisce il terrore”, e a livello politico ”si chiude un’epoca storica, un capitolo importante già chiuso con il ritiro fallimentare dall’Afghanistan”. Ma sul terreno ”al-Qaeda è più forte che mai”, perché abbandonato ”l’idealismo e la visione globale di Osama Bin Laden” si è trasformata in ”una realtà regionale più concreta sul campo proprio grazie a Zawahiri”. Ne è convinto Claudio Bertolotti, analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), che con l’Adnkronos riflette invece su come l’uccisione di al-Zawhiri ”cambi le cose per Biden. Tra tre mesi ci sono le elezioni e i democratici hanno bisogno di avere un presidente che abbia ottenuto dei risultati”.

Al contrario, la morte del successore di Osama Bin Laden ”non avrà un impatto diretto sulle capacità di al-Qaeda”. Anzi, ”ogni volta che un leader del movimento jihadista viene colpito, la reazione non si fa attendere”, così come non tarda ad arrivare ”un nuovo capo che in genere cerca di imporsi con la pianificazione nuovi attentati”. E’ quindi è ”verosimile aspettarsi una reazione di al-Qaeda contro gli Stati Uniti”, afferma Bertolotti, che ricorda come al-Zawahiri considerasse ”controproducente il jihad globale e idealista voluto da Bin Laden, criticava la sua volontà di colpire il Grande Satana, gli Stati Uniti, ovunque, anche in casa sua. Perché ogni azione provoca una reazione”.

La ”rivoluzione” che al-Zawahiri attua dal 2014 porta al-Qaeda a legarsi sempre più a gruppi di opposizione armata, ricorda Bertolotti, citando gli al-Shabab in Somalia e al-Qaeda nel Maghreb islamico nel Nord Africa, la presenza della Rete nell’Africa Sub sahariana e quella nel continente indiano. ”Tutte realtà che si rafforzano e fondano le loro radici con le istanze locali”, creando ”generazioni di combattenti che daranno il via in un futuro ipotetico alla nuova al-Qaeda”, spiega.

Su chi prenderà il posto di Zawahiri alla guida di al-Qaeda, l’analista esclude che possa essere l’attuale ministro degli Interni del governo dei Talebani, Sirajuddin Haqqani, che ospitava il leader terroristico nella sua casa in centro a Kabul dove è stato ucciso. ”Troppo furbo per prendere il posto di al-Zawahiri – spiega Bertolotti – Resterà leader dell’Haqqani network, organizzazione interna ai Talebani, ma autonoma. Non ha alcun interesse a diventare il nuovo capo al-Qaeda”.

Piuttosto, a succedere ad al-Zawahiri potrebbe essere un ”suo amico fraterno, l’ex colonnello egiziano Saif al-Adel”. Oppure Abdal-Rahman ”al-Maghrebi, capo della comunicazione mediatica di al-Qaeda” e genero di al-Zawahiri. In ogni caso si parla di ”un nuovo ideologo, di qualcuno che tenga viva l’al-Qaeda idealista e che non si occupi di far operare le truppe sul territorio”.

”Il futuro di al-Qaeda potrebbe essere in Africa”. E’ lì che si sta rafforzando ed è da lì, probabilmente, che arriverà il nuovo leader dopo l’uccisione di Ayman al-Zawahiri. Anche perché la rete fondata da Osama Bin Laden ”ha perso molto valore sullo scenario globale”, anche se ”ne ha guadagnato con l’ascesa dei Talebani in Afghanistan”. E ”il fatto che Zawahiri sia stato ucciso in centro a Kabul in una casa di proprietà del braccio destro del ministro degli Interni del governo dei Talebani lo dimostra, dimostra che al-Qaeda può operare liberamente nel Paese e ha un suo santuario in Afghanistan”. E’ quanto spiega all’Adnkronos Lorenzo Vidino, direttore del Program on Extremism della George Washington University. ‘

‘Il luogo dove Zawahiri è stato ucciso dimostra che sono veri i timori legati al fatto che il governo dei Talebani avrebbe fatto operare liberamente al-Qaeda”, afferma Vidino, notando ”le implicazioni di policy che questo comporta” anche per il fatto che ”i Talebani vogliamo ricevere fondi dalla comunità internazionale…”.

Insomma, è ”un deja vu, come era successo undici anni fa con Bin Laden ucciso in una villa a poche centinaia di metri da una caserma dell’esercito pachistano”. Ma è anche ”una prova schiacciante, ma non sconvolgente” della protezione che i Talebani forniscono ad al-Qaeda. E’ una ”chiara violazione degli accordi di Doha” perché la casa in cui viveva Zawahiri era di proprietà della rete Haqqani ”che fa da trait d’union tra i Talebani e al-Qaeda”. Ora ”bisognerà vedere questo cosa comporterà, anche se la situazione non cambia. A comandare sono i Talebani e se bisogna interagire con loro alla fine bisogna farlo”, al di là delle ”evidenze di supporto al terrorismo o delle violazioni dei diritti umani e delle donne”.

Sul ”toto candidati per la leadership” di al-Qaeda Vidino vede ”varie possibilità” a partire da ”un paio di candidati interni, il numero 2 Saif al Adel e il numero tre al-Maghrebi, genero di Zawahiri, entrambi pare siano in Iran”. Ma Vidino sottolinea anche che ”negli ultimi anni c’è stato un trend di crescita potenziale di alcuni affiliati, come gli al-Shabab in Somalia, e una perdita di valore di al-Qaeda globale”. Quindi ”potrebbe anche essere possibile che il nuovo leader del gruppo venga dalle affiliazioni”, considerato anche ”il riposizionamento jihadista globale sullo scenario africano”. L’analista spiega come ”il mondo jihadista e al-Qaeda stiano guadagnando terreno in Africa e meno sugli scenari classici come il Medio Oriente”. In ogni caso occorre ”in tempi rapidi trovare un successore” per dimostrare che ”il colpo inferto non sia letale” e ”lo spin che daranno è lo stesso del post morte Bin Laden, ovvero che la scomparsa di un leader non cambia nulla nell’importanza del concetto di Jihad, perché quello che conta sono gli obiettivi e non le persone”.

Comunque sia, al-Qaeda perde ”un suo personaggio importante, leader per 11 anni nonché uno dei fondatori”. Notizia accolta positivamente anche in Arabia Saudita, dove Vidino si trova. ”Nel Golfo, a livello governativo, è cambiato molto rispetto a 20 anni – spiega – Quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e del Golfo non hanno più le ambiguità forti del passato per quanto riguarda il jihadismo. Anche se sicuramente esistono sacche di simpatia”. A fare eccezione è ”il Qatar, non a caso è un tramite con i Talebani e gli accordi sono stati firmati a a Doha”. Ma in Arabia Saudita ”la notizia della morte di Zawahiri è stata data dai telegiornali, come notizia di un giorno e nulla di eclatante”.

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Odessa: obiettivo russo o piano d’inganno? Il commento di C. Bertolotti a RaiNews24 (5 marzo 2022)

Si sta realizzando la conquista russa di una larga parte dei territori ad est del fiume Dnepr con l’esercito ucraino che riesce in parte a rallentarne l’offensiva e si paventa la possibilità di un nuovo fronte a sud con obiettivo la città portuale di Odessa – a meno che non si tratti di uno specifico piano d’inganno per disperdere le difese ucraine: si realizzerebbe così la linea di azione russa più pericolosa e penalizzante per Kiev che potrebbe privare il paese dello sbocco al mare, andando a creare una cornice russa attorno a quella che di fatto sarebbe una enclave terrestre ucraina. Ciò avverrebbe attraverso un’ipotetica operazione anfibia nell’area di Odessa, un eventuale intervento russo dal corridoio della Transnistria e il ricongiungimento delle truppe sull’area di Dniepro.

Claudio Bertolotti

Mentre il grosso delle truppe russe attende l’ordine di assediare e poi lanciare il possibile assalto su Kiev, aumentano le preoccupazioni per la città costiera di Odessa: obiettivo militare o piano d’inganno? Il commento de l Direttore Claudio Bertolotti a RaiNews24 (5 marzo 2022).


Segni di cedimento nella difesa ucraina: il rischio di accerchiamento russo. Il commento di C. Bertolotti a RaiNews24 (marzo 2022).

Nonostante le difficoltà logistiche e le azioni di disturbo ucraine, la manovra russa procede da est e da sud. Se Odessa cadesse, Kiev perderebbe lo sbocco al mare. Intanto, con la minaccia dell’assalto alla capitale, sul tavolo negoziale Putin può far pesare una posizione di forza.

Claudio Bertolotti

Il commento di Claudio Bertolotti, Direttore di START InSight, a RaiNews24 il 3 marzo 2022.


Non si ferma l’avanzata russa. Il commento di C. Bertolotti a SKY Tg24 (3 marzo 2022)

Avanzano le truppe russe in Ucraina. L’area urbana di Kherson è caduta nelle mani russe. Mariupol offre una strenua resistenza ma è destinata a soccombere. Kharkiv è martellata dai bombardamenti. Kiev continua a essere colpita da attacchi con razzi. Si prospetta un fronte senza soluzione di continuità, da est a sud per le truppe russe che, allargando il fronte meridionale a Odessa, possono chiudere lo sbocco al mare dell’Ucraina, anche fino alla Transnistria. Riprende il tavolo negoziale dove prevale la posizione di forza conquistata dalla Russia sul campo che “concede” l’apertura di corridoi umanitari (funzionale a drenare possibili resistenti e a presentare una Russia benevola). La resistenza ucraina si distingue per volontà, ma la reale capacità di difesa è limitata e potrebbe presto cedere in seguito all’urto della seconda ondata offensiva di Mosca.


RAI News 24: “Afghanistan: il ritiro della NATO anticipa il caos”. Intervento di C. Bertolotti

Usa e Nato si ritirano dall’Afghanistan. Bertolotti (Start InSight): “Fallimento di una guerra lunga 20 anni”

Le truppe Usa e quelle della Nato si ritirano dall’Afghanistan. La decisione è stata assunta ieri dal presidente Biden e dai vertici dell’Alleanza Atlantica. Dal 1° maggio all’11 settembre torneranno a casa 2.500 soldati americani, con loro anche altri mille operatori della difesa, 7.000 forze straniere, la maggior parte delle quali truppe della Nato. Tra loro anche 800 italiani. Si apre ora un nuovo capitolo della travagliata storia del Paese asiatico. Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight e tra i massimi esperti di Afghanistan, commenta la decisione del presidente Biden e descrive ciò che ne deriverà.


Afghanistan: il COVID19 colpisce la leadership talebana (il commento di C. Bertolotti a Radio24)

L’intervento del Direttore di START InSight Claudio Bertolotti a Radio 24, intervistato da Giampaolo Musumeci

Morto o gravemente malato il capo dei talebani per #COVID19? Lo avrebbe sostituito il mullah Yaqoub, figlio del mullah Omar, storico fondatore del movimento talebano. Cosa succede ora?

Il coronavirus ha gravemente colpito l’alta dirigenza talebana, rendendo di fatto il movimento privo dell’organo di guida e di quello negoziale. Anche se la notizia non è stata ancora confermata, è probabilmente morto il leader talebano mawlawi Hibatullah Akhundzada. Ecco le conseguenze politiche e militari di una successione.

La presunta morte del leader talebano Hibatullah Hakundzada: che cosa significa per il movimento?

Competizione tra gruppi di potere all’interno del Consiglio Supremo talebano, la shura di Quetta. Così come accadde nel 2015 quando fu resa nota la morte del mullah Omar, lo storico fondatore del movimento, deceduto due anni prima. Allora il movimento fu scosso da lotte intestine, scontri aperti e uccisioni di leader di importante livello. Prevalse il mullah Mansour, già braccio destro di Omar, ma fu presto eliminato da un attacco drone statunitense con il sospetto che a dare la sua posizione siano stati gli stessi talebani in collaborazione con il Pakistan.

Dunque un rischio concreto di frammentazione in più correnti.

E la figura del mullah Yaqoub pare essere forse l’unica al momento a garantire una tenuta della leadership. Non è un caso, anche se ai più è sfuggito che da semplice mullah sia stato promosso, almeno sui media ufficiali dei talebani al rango di mawlawì, il massimo livello religioso lo stesso Hibatullah Akundzada

Secondo un report di UNODC i talebani starebbero continuando a sostenere al-Qaeda. Se così fosse?

I talebani hanno bollato come falso il rapporto delle Nazioni Unite. C’era da aspettarselo. E che vi sia un legame consolidato e duraturo, al di la delle promesse e delle premesse dell’accordo negoziale, non sorprende, né dobbiamo farci illusioni su un possibile allontanamento di al-qa’ida dall’Afghanistan dei talebani almeno nel breve periodo. Troppo stretti i rapporti tra le due organizzazioni, troppo stretti i rapporti personali e in alcuni casi anche famigliari. Haqqani network, componente radicale all’interno del Supremo Consiglio talebano, ha assimilato l’anima qaedista e ad essa è votato seppur con un’adesione di opportunità e sulla base di priorità afghane e non di jihad globale. Credo che l’opzione di una scissione tra i talebani, che non è da escludere, possa essere funzionale al mantenimento di un legame con AQ e una parte del fronte talebano.

Qualche giorno fa Mujib Mashal sul New York Times descriveva bene la decentralizzazione dei taliban, fluidi e veloci nel reclutare, tante piccole cellule. Ce la faranno nel lungo periodo a diventare più strutturati e “governativi”? Cambieranno anima? E se sì, saranno più forti o più deboli rispetto ala capacità di governo del Presidente Ghani?

I talebani hanno dimostrato una grande capacità organizzativa come movimento insurrezionale, addirittura migliore di quella del 1996-2001 quando governavano nominalmente l’Afghanistan. Il problema è il passaggio da movimento insurrezionale a forza di governo di uno Stato sostanzialmente fallito. I talebani oggi basano la propria forza finanziaria sulla gestione del narco-traffico; come Stato non potranno più farlo direttamente, questo perché la comunità internazionale negherebbe qualunque tipo di riconoscimento formale e di sostegno sostanziale. E allora la capacità del movimento talebano sarà proprio quella di creare una condizione favorevole a trarre vantaggio da tutte le opportunità: e lo faranno convincendo la stessa comunità internazionale che con i talebani si dovrà interfacciare. Non mancheranno gli aiuti da parte degli stati amici, Pakistan e Cina in primis; così come non mancherà il supporto statunitense, almeno fino a quando i talebani si dimostreranno in grado di garantire un minimo livello di sicurezza nel Paese. Il problema è che i talebani al governo del paese potrebbero arrivarci attraverso la cancellazione dello stato afghano e della sua costituzione così come oggi noi li conosciamo sebbene è prevedibile che l’apparato statale, almeno una parte, verrà conservato.


Afghanistan. Raggiunto l’accordo di governo, ma le tensioni non calano. Il Commento di C. Bertolotti alla Radio Vaticana

Radio Vaticana, 19 maggio 2020

C. Bertolotti: “Mentre i talebani conquistano il paese, i due rivali che si contendono il potere accettano un compromesso che conferma e lascia aperte le stesse problematiche del 2014, senza risolverle, e apre a un altro lungo periodo di ingovernabilità di fatto, sebbene ciò significhi conferma del cospicuo aiuto economico statunitense.
Dialogo negoziale ad Abdullah, che si è sempre detto contrario all’apertura ai talebani: come reagirà il movimento talebano? Facile immaginare uno stallo negoziale, non molto diverso dall’attuale situazione.
Scenario futuro? Intensificazione della guerra civile, aumento della violenza, consolidamento del potere talebano nelle aree sotto il loro controllo e maggiore influenza in quelle contese.

Nonostante l’accordo di governo raggiunto a Kabul tra il presidente Ashraf Ghani e il suo principale rivale Abdullah Abdullah, non accenna a diminuire l’impennata di violenza che da settimane ha colpito l’Afghanistan. L’accordo per la spartizione del potere lascia la presidenza a Ghani, che affronta così un nuovo mandato, mentre Abdullah ottiene la guida della Commissione di riconciliazione nazionale . Intanto, un rapporto delle Nazioni Unite ha reso noti i dati sulla crescita nel mese di aprile delle vittime civili del conflitto afghano. La recrudescenza delle violenze è imputabile anche ad una maggiore attività dei gruppi eversivi legati all’Isis e responsabili dell’attacco contro il reparto maternità dell’ospedale di Kabul.

Ospiti del programma:

Claudio Bertolotti – direttore Start Insight – think tank e centro di analisi sulla politica internazionale

Rebecca Gaspari – staff Emergency a Kabul

Conduce: Stefano Leszczynsk


Riprende l’offensiva afghana contro i talebani (C. Bertolotti a Radio 24)

L’intervento del Direttore di START InSight Claudio Bertolotti a Radio 24

Il presidente afghano, Ashraf Ghani, il 13 marzo, ha disposto che le forze armate debbano passare ad una “modalità offensiva” contro i talebani e gli altri gruppi di opposizione armata, a seguito dell’aumento delle violenze.

Quale la situazione sul terreno e quali le conseguenze della decisione di Ghani?

L’approccio offensivo annunciato da Ghani?

Prevedibile e previsto. È l’inizio della nuova fase della guerra civile.

Lo stato afghano, consapevole della possibilità di tracollo, gioca l’ultima carta: quella dell’offensiva militare. Ma l’esito è scontato: non sono riusciti gli Stati Uniti con 140.000 truppe e il supporto aereo (dagli elicotteri ai bombardieri), non ci riusciranno l’esercito e la polizia afghani, con 300.000 uomini mal addestrati, sotto equipaggiati e fortemente demotivati.

Prepariamoci al contro alla rovescia che ci porterà a uno scenario simile a quello che nel 1994 portò alla caduta del governo di Najibullah e consegnò il paese ai Mujaheddin.

I Talebani

La forza attuale dei talebani si attesta intorno a 60.000 militanti operativi sui circa 200.000 elementi totali.

L’Afghanistan risulta per il 70 percento presidiato dai talebani «con carattere permanente» e per un altro 17 percento «sostanziale» mentre il loro controllo effettivo sarebbe su quasi la metà del paese.

I talebani hanno una capacità di comando e controllo in 36 distretti (8,8 percento del territorio) popolati da almeno 2,5 milioni di persone, e che hanno la possibilità di porre sotto il proprio controllo altri 104 distretti “a rischio” (25,6 percento del territorio).

Finanze talebane: 1,5 miliardi di dollari, il 60% entrate dal business del narcotraffico, parliamo di centinaia di milioni di dollari.

Le Forze di sicurezza afghane

Sono poco più di 300.000 unità, tra forze armate e polizia: numeri importanti ma molto deludenti sul piano qualitativo.

Oltre il 60 percento dei 121 miliardi di dollari destinati dagli Stati Uniti per la ricostruzione dello Stato afghano è stato speso per le forze di sicurezza.

Sul piano operativo, le forze afghane sono deficitarie a livello di organici, equipaggiamento e addestramento, ossia quei fattori necessari a porre in sicurezza le aree sotto controllo dei talebani.

In particolare, l’esercito è in grave difficoltà: sul totale di 101 unità di fanteria, solo una è classificata come pienamente “pronta al combattimento”; su 17 battaglioni situati nelle province di Kandahar e Zabul, dove i talebani sono in grado di muoversi e operare senza essere contrastati, 12 unità hanno una capacità operativa classificata come “limitata”.