Chaos a Capitol Hill: cosa è mancato
di Luca Tenzi, Security and Resilience Strategist e Andrea Molle, START InSight
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La storia ci insegna che l’assalto coordinato al Campidoglio, avvenuto mercoledì 6 Gennaio 2021 a Washington DC, è stato tutto fuorché imprevedibile. Nonostante si tratti di eventi poco conosciuti al pubblico, il Campidoglio è stato in passato l’obiettivo di diversi attacchi. Nel 1954, ad esempio, un gruppo di separatisti provenienti dallo Stato libero associato, cioè un territorio non incorporato degli Stati Uniti, aprirono il fuoco all’interno dell’edificio, ferendo cinque membri del Congresso. Nel 1998, invece, un singolo individuo armato riuscì a superare tutti i controlli di sicurezza del Campidoglio uccidendo due poliziotti prima di essere fermato. Infine, il Campidoglio fu probabilmente il quarto obiettivo, fortunatamente non raggiunto, dei dirottatori del 9/11 2001. Da allora, la possibilità di un attentato terroristico all’edificio è stata presa seriamente in considerazione. O almeno avrebbe dovuto esserlo.
Nella sottovalutazione della minaccia, ha sicuramente inciso il fatto che nella storia americana recente non si erano mai avute delle dimostrazioni di tale violenza dirette verso un luogo governativo. Neppure durante manifestazioni di protesta, vere e proprie rivolte, contro la guerra del Vietnam i dimostranti presero d’assalto i luoghi simbolo dello Stato, men che meno il Campidoglio. Infine, nemmeno le più recenti dimostrazioni organizzate del movimento Black Lives Matter, pur arrivando fino alla soglia dei palazzi del potere americano, avevano mai infranto la sottile linea di demarcazione tra la disubbidienza civile e l’atto di sovversione nei confronti di un governo legittimo e democraticamente eletto.
Tuttavia, tutto faceva presagire che non sarebbe stata una manifestazione come le altre. Nei giorni precedenti al 6 gennaio, si erano registrati molti segnali che avrebbero dovuto allarmare la comunità dell’intelligence americana. Fonti di open-source intelligence avevano lanciato l’allarme che i sostenitori di Donald Trump stavano condividendo, sui social media, piani per la giornata e, tra le discussioni monitorate, vi erano thread sospetti, tra i quali, ad esempio, una discussione sui modi per introdurre illegalmente armi nella Capitale federale. In casi come questo, non solo di semplici manifestazioni di protesta ma con la concreta possibilità di episodi violenti, le agenzie locali e federali, in totale circa una dozzina, avrebbero dovuto prestare molta attenzione alla pianificazione e al coordinamento delle operazioni. La raccolta di informazioni e la pianificazione delle misure di sicurezza preventiva avviene, di norma, sotto la guida dell’FBI o dell’NSA (National Security Agency), ma non è chiaro quanto di tutto ciò sia avvenuto nel caso del 6 Gennaio.
Va sottolineato che la capitale Americana, Washington DC, vive di vita propria relativamente alle forze di sicurezza, con una moltitudine di agenzie locali, statali e federali che si occupano della protezione dei simboli e dei rappresentati del governo. Come da protocollo, la sicurezza è stata inizialmente gestita dalla sola Capitol Police, una forza di polizia di circa 2.000 membri sotto il controllo diretto del Congresso e dedicata unicamente alla protezione del Campidoglio. Il Capo della Capitol Police, che viste le forti pressioni politiche si è dimesso con decorrenza dal 16 Gennaio, ha dichiarato di aver presentato la richiesta di rinforzi ben due giorni prima della rivolta, avendo ricevuto e esaminato l’intelligence che indicava che la manifestazione sarebbe stata più grande e potenzialmente più violenta di quanto previsto. Per ragioni che ancora oggi rimangono poco chiare, gli altri elementi del vasto apparato di sicurezza del governo federale degli Stati Uniti hanno ignorato la richiesta e non sono intervenuti per tempo.
Il periodo di transizione tra il governo uscente e la nuova amministrazione ha influenzato il processo decisionale. Il fatto che posizioni chiave, occupate ad interim da dirigenti prossimi a lasciare, ha sicuramente rallentato o addirittura indebolito la forza delle decisioni operative e tattiche. Ciò emerge anche dall’analisi delle tempistiche decisionali. La timeline degli eventi sembra prendere sempre più forma lasciando intendere che gli errori siano stati molti. Un funzionario della Difesa ha ad esempio dichiarato che il sindaco di Washington, Muriel Bowser, ha richiesto l’invio della Guardia Nazionale intorno alle ore 14:00 e cioè circa 45 minuti dopo che gli assalitori avevano superato la prima barricata del perimento esterno di sicurezza dell’edificio. Non è chiaro perché il sindaco lo dovesse fare, e non piuttosto il Capo della polizia del Campidoglio Steven Sund, a riprova del fatto che le linee gerarchiche, molto particolari, della capitale hanno sicuramente aggravato la confusione. Il segretario alla Difesa ad interim, Chris Miller, ha poi attivato la Guardia Nazionale, ma solo circa 30 minuti dopo la richiesta ricevuta dal sindaco e alla quale si sono anche aggiunti reparti tattici (SWAT) di polizia provenienti dagli Stati confinanti. A quel punto, purtroppo il Campidoglio era ormai indifendibile. Nonostante la presenza di un sottile perimetro di sicurezza esterna, non era stato previsto, apparentemente, nessuno perimetro di sicurezza all’interno dell’edificio, eccezione fatta per lo schieramento di alcuni agenti a difesa dei luoghi più importanti. Nessun corridoio era stato bloccato e una volta raggiunto l’interno, gli assalitori hanno potuto girare liberamente nell’edificio, inseguiti dalla polizia ormai in preda alla confusione.
Durante la fase interna dell’assalto, nella Rotunda, l’iconica sala circolare situata sotto la cupola del Campidoglio, sono state distribuite maschere antigas. È noto che la polizia abbia anche usato spray al peperoncino e gas lacrimogeni per rallentare il movimento dei manifestanti, trovandosi chiaramente in inferiorità numerica. Allo stesso tempo, il servizio segreto procedeva all’evacuazione del vicepresidente Mike Pence e, questa volta la polizia, dei diversi membri del Congresso tra cui la Speaker Nancy Pelosi. Le forze di sicurezza hanno anche cercato di barricare le porte con espedienti di fortuna, usando ad esempio i mobili degli uffici e dell’aula parlamentare. Una credenza, ad esempio, è stata spinta davanti alle porte dell’aula, mentre i parlamentari si nascondevano sotto le scrivanie in attesa di essere estratti.
A vent’anni dal 9/11, si stima che il budget annuale del dipartimento della sicurezza del Campidoglio sia triplicato e si assesti sui $450 milioni. Ma allora cosa non ha funzionato nella difesa del Campidoglio? Tra le cose importanti da sottolineare, la prima è l’impreparazione della Capitol Police nel gestire una situazione di vera e propria guerriglia nel Campidoglio che si sovrappone a una debolezza strutturale dell’edificio. Si tratta di una lacuna fondamentalmente addestrativa, ma che non lascia molto spazio a soluzioni alternative. Gli agenti sono infatti principalmente addestrati allo scopo di tenere eventuali manifestanti lontani dai gradini esterni del Campidoglio e proteggere il complesso alla stregua di una cittadella. L’obiettivo di difendere i gradini è giustificato dal fatto che il complesso del Campidoglio, risalente al 19° secolo, è caratterizzato dalla presenza di molte porte e finestre. È difficile pertanto pensare che una forza di polizia, sebbene numerosa, possa difenderle tutte contemporaneamente. Una volta conquistati i gradini, come purtroppo prevedibile, gli assalitori hanno avuto gioco facile per trovare una via di ingresso nell’edificio. La seconda debolezza, questa volta operativa, è che la Capitol Police dispone di piani di contingenza unicamente per quelle che vengono definite, legalmente, come “attività previste del Primo Emendamento” e cioè attività di protesta, anche moderatamente violenta, ma che non si configurano come un attacco di stampo terroristico o come un’operazione di guerriglia.
Le dimostrazioni di protesta e gli atti di disubbidienza civile dei sostenitori repubblicani erano state certamente ipotizzate, e in un certo senso date per scontate per la dialettica confrontazionale impostata dal Presidente uscente, ma la violenza che si è risolta in un vero e proprio assalto ha sorpreso tutti gli esperti sia nazionali che stranieri. Tale veemenza fisica e dialettica, ha scioccato il mondo proprio per la facilità con cui è stato violato un luogo che veniva reputato tra i più sicuri in assoluto e che invece ha dimostrato una imperdonabile debolezza.
Nonostante la presunta esistenza di molteplici meccanismi di contingenza, la sicurezza è stata evidentemente mal progettata, insufficiente, e affidata a una forza di polizia inadeguata al compito. La risposta è apparsa del tutto improvvisata al punto che i direttori dei Dipartimenti di Giustizia, Difesa, e Homeland Security hanno avviato un rigoroso procedimento di inchiesta relativo alle mancanze delle proprie agenzie durante l’assalto.
Sorvolando sulla dinamica del movimento di folla, se coordinato o meno, e lasciando per un momento da parte un’analisi più precisa della gestione da parte delle forze dell’ordine preposte all’intelligence e alla gestione dei facinorosi, ciò che stupisce è la fragilità delle difese fisiche dell’immobile. Anche le risorse umane, cosi come il materiale individuale e di gruppo a disposizione delle forze preposte alla difesa fa ben capire che lo scenario che si è realizzato davanti gli occhi, e le telecamere dei media e dei social media, non era mai stato veramente preso in considerazione.
Per misure fisiche si intendono sia gli elementi di tipo architettonico a difesa della struttura che i sistemi meccanici o manuali che avrebbero dovuto impedire, ritardare o anche solo limitare l’accesso all’edificio da parte del gruppo più violento dei manifestanti. Misure che nel mondo degli esperti della security e protezione di luoghi sensibili vengo riassunte nel paradigma delle 5D (deter, detect, deny, delay, defend), modello che è ormai considerato best practice da tutte le agenzie di sicurezza sia pubblica che privata. La loro mancanza lascia molto perplessi, proprio perché negli Stati Uniti, più che altrove, le misure di sicurezza relative alla protezione dei luoghi simbolo del governo sono notevolmente aumentate dopo gli eventi del 9/11. Nel “dopo 9/11”, tutti gli obiettivi sensibili, sia su suolo americano che all’estero come le sedi diplomatiche, hanno subito un completo restyling di sicurezza anche grazie all’incremento esponenziale dei budget dedicati. Le ambasciate Americane nel mondo vengo oggi prese ad esempio proprio per le loro misure di sicurezza, teutoniche e draconiane. Misure architettoniche, restyling urbanistico, nuove soluzioni tecniche, e presenza costante di personale armato sono oggi diventati la norma. L’uso dei concetti di prevenzione del crimine attraverso la progettazione ambientale (Crime prevention through environmental design, CPTED) sono tra gli elementi chiave della rivoluzione stilistica della sicurezza, che vede la sua apoteosi nella sede diplomatica americana a Londra. Qui l’approccio multi-disciplinare per sviluppare un deterrente al comportamento criminale è stato portato quasi al parossismo trasformando l’Ambasciata in una fortezza quasi inespugnabile.
Lo stesso non si può invece dire per molti dei luoghi chiave della politica americana nella capitale federale. Il Campidoglio rimane, come tanti altri luoghi governativi, parzialmente aperto al pubblico e questo lo rende un soft target. I visitatori, durante le visite guidate ma anche durante incontri con i propri rappresentanti governativi, possono tranquillamente osservare e raccogliere informazioni e muoversi quasi liberamente all’interno dell’edificio. Dove non arrivano le visite dirette lo fa internet con siti specialistici che pubblicano mappe estremamente dettagliate del Campidoglio. Mappe che vengono anche aggiornate ogni qualvolta si fanno delle modifiche o vi sono delle ristrutturazioni. Dopo i fatti del 6 Gennaio, persino le misure di sicurezza e gli spostamenti del Vice Presidente sono stati studiati, analizzati e mostrati dai mass media.
Un primo elemento di debolezza è che, pur avendo in passato stabilito una prima linea di difesa in occasione delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter, sembra che in questo caso non si sia pensato di fare lo stesso utilizzando barriere antisfondamento e anti-scavalcamento. Di fatto le barriere usate il 6 Gennaio erano di tipo classico, come quelle usate solitamente per direzionare le folle, come nel caso del pubblico di un concerto, e non certo le barriere viste a difesa del Campidoglio e della Casa Bianca successivamente alle proteste collegate alla morte di George Floyd. In quell’occasione la reazione dell’apparato di sicurezza fu probabilmente anche esagerata. Va ricordato che allora il presidente Trump fece costruire una cancellata molto alta a protezione della Casa Bianca e anche che durante le proteste vi fu una famosa photo ops dove si vedevano i manifestanti rimossi manu militari dalla Guardia Nazionale. Paradossalmente, la cosa fu accolta con orrore da molti osservatori perché, a loro dire, la Casa Bianca deve rimanere un simbolo accessibile al popolo che ha diritto costituzionalmente a manifestare in protesta.
Un secondo aspetto che ci sorprende è la presenza di alcuni punti d’ingresso mal protetti e facilmente accessibili. Parliamo, ad esempio, di come le finestre ai piani inferiori non fossero protette né anti-sfondamento. Dalle immagini diffuse abbiamo potuto osservare come solo un limitato numero di vetri sulle porte principali lo fossero, e altre siano state sfondate con dei semplici oggetti disponibili sul campo, es. sedie o sbarre di metallo. Questo ha facilitato l’accesso di alcuni elementi sovversivi che hanno poi permesso di dare indicazioni e sicuramente liberare porte che fossero state chiuse dall’interno. Le porte interne, per esempio, non erano anti-sfondamento, né i vetri erano balistici. L’immagine degli agenti a difesa della sala del senato con le armi in pugno, con quello che sembra essere un armadio a difesa della porta, ce lo conferma. Così come anche la morte della manifestante a causa di un colpo sparato attraverso una porta finestra da parte di un agente di polizia. Da mesi inoltre il Campidoglio è parzialmente ricoperto da impalcature per lavori di conservazione delle facciate. Impalcature mal protette che hanno fatto da torre temporanea d’assalto, facilitando l’accesso ai piani superiori fino al tetto e fornendo armi improprie agli aggressori. Impalcatura e cantiere che non erano protetti o difesi e, sembra, di facile accesso.
In conclusione, se la democrazia ha dimostrato grandi capacità di tenuta, la sicurezza ha fallito e in modo spettacolare. L’inadeguatezza dimostrata dalla mancanza di pianificazione operativa e fisica, oltre che dalla presenza di problemi sistemici nella catena di comando dell’apparato di sicurezza di Capitol Hill non può che far riflettere sul fatto che gli Stati Uniti sono sostanzialmente impreparati ad affrontare una minaccia eversiva interna ad opera di individui appartenenti alla maggioranza della popolazione – cioè rappresentata da cittadini americani di classe medio-bassa e di razza caucasica.
Questo non solo a causa dei ritardi nella comunità dell’intelligence nell’adeguare la propria percezione del rischio a un target che non sia lo stereotipo del jihadista straniero, di origine medio-orientale, ma anche e forse soprattutto per la presenza di un vizio ab originem racchiuso nella stessa Costituzione del paese. Il primo e il secondo emendamento garantiscono rispettivamente infatti, ai cittadini ed ai residenti permanenti, il diritto ad esprimere anche in modo aggressivo la propria opinione e di possedere armi da fuoco, organizzandosi nella forma di milizie per rispondere alle minacce esterne e interne comprese, nell’immaginario collettivo, quelle provenienti da un governo considerato dittatoriale. Questa miscela infiammabile ha contribuito a causare i fatti del 6 Gennaio e contribuisce anche oggi a fare di obiettivi high profile, come il Campidoglio ma anche la stessa Casa Bianca, dei soft target.
Come vi è stato un prima e dopo 9/11, vi sarà un prima e dopo 1/6. Laddove i diritti costituzionali sanciti dal primo e secondo emendamento non potranno probabilmente essere modificati, possiamo ipotizzare e auspicare che i movimenti nazionalisti e le milizie diventeranno osservati speciali. Avremo inoltre discussioni, anche animate, su quali possono e dovranno essere le misure di sicurezza per gli edifici governativi aperti al pubblico, in primis proprio il Campidoglio. Discussioni che a ben vedere sono già iniziate nei giorni seguenti all’assalto, quando la Speaker Democratica Nancy Pelosi ha ordinato, non senza proteste e defezioni, che Capitol Police introducesse dei controlli simili a quelli aereoportuali anche per l’accesso di parlamentari e senatori al Congresso.
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