LIBRO. La Grande Illusione – L’Afghanistan in guerra dal 1979
(copertina di R. Martinis)
In libreria dal 5 dicembre 2019 per la collana Orizzonti Geopolitici dell’editore Rosenberg e Sellier, la nuova pubblicazione dedicata all’Afghanistan.
Con saggi di: Paolo Affatato , Giuliano Battiston, Andrea Carati, Enrico De Maio, Fabrizio Foschini, Emanuele Giordana, Elisa Giunchi, Antonio Giustozzi, Francesca Recchia, Nino Sergi, Alidad Shiri, Chiara Sulmoni e un saluto della principessa Soraya d’Afghanistan. Prefazione di Gianni Rufini, direttore di Amnesty Italia.
Sinossi del libro La Grande Illusione, L’Afghanistan in guerra dal 1979 a cura di Emanuele Giordana.
“Iniziata con l’invasione sovietica, l’ultima guerra afgana compie quarant’anni con attori diversi ma sempre con le stesse vittime: i civili. Una lunga guerra della quale Usa e alleati – tra cui l’Italia – sono tra i maggiori responsabili anche per per l’ennesima grande illusione: diritti, lavoro, dignità, uguaglianza. A diciotto anni dall’ultima fase del conflitto iniziato nel 2001, il disastroso bilancio è anche il manifesto di come si possa utilizzare la bandiera dei diritti per violarli ripetutamente. I saggi scritti da autorevoli osservatori delle vicende afgane disegnano illusioni e sofferenza, le responsabilità di guerriglia, governo e alleati stranieri, i giochi degli attori regionali e lo spregiudicato uso di una propaganda cui non credono più nemmeno i suoi inventori. Una fotografia in bianco e nero dove il nero trionfa. Un atto d’accusa che, pur riconoscendo la buona fede di molti, mette il dito nella piaga della malafede tipica di ogni conflitto.
Verso la fine del 1979 l’Unione Sovietica, inizialmente riluttante a inviare truppe in Afghanistan, invadeva il Paese dell’Hindukush con 80mila uomini e 1800 carri armati. Iniziava una guerra di logoramento durata dieci anni che alla fine fece decidere al Cremlino il ritiro. Ultimo conflitto della “Guerra Fredda” e terreno di scontro tra sovietici e americani, la campagna afgana era costata a Mosca 30mila morti e oltre 50mila feriti. Fu il colpo decisivo all’implosione dell’Urss. Ma agli afgani la guerra era costata molto di più: morte, distruzione, degrado e povertà. Finita una guerra però ne iniziavano altre: tra i mujahedin e il governo, quella interna alla guerriglia, quella poi condotta dai Talebani. Anche queste però erano solo l’anticipo di un conflitto ancora più lungo e non ancora concluso, iniziato con una nuova occupazione militare guidata dagli Stati Uniti e dagli alleati della Nato. La guerra infinita, che nel 2019 compie quarant’anni, segna uno dei più lunghi conflitti della Storia con il suo corollario di vittime civili e militari, distruzioni, miseria, illusioni e dolore a fronte di promesse non mantenute, di una ricostruzione incompiuta e di un fallimento delle speranze riposte dagli afgani in un intervento che, anziché essere risolutivo, si è manifestato come un ennesimo capitolo dell’epopea del “Grande Gioco”, iniziata nell’Ottocento tra Regno unito e Russia zarista. Tassello geopolitico ineludibile, schiacciato dalle mire egemoniche di Paesi vicini e lontani, l’Afghanistan è un caso emblematico di come un Paese di montagne e deserti, povero di risorse energetiche e naturali, possa diventare il teatro di un incubo spaventoso e apparentemente senza fine in cui da quarant’anni si agita il fantasma quotidiano della guerra.
I saggi di questo volume disegnano la storia recente del Paese e del suo ultimo conflitto. Le promesse e le speranze ma anche il cinismo e le ambizioni, gli errori umani e i calcoli politici. Con un solo grande protagonista da sempre utilizzato solo come comparsa: la sua popolazione civile. Inascoltata, repressa, ignorata.”
Breve estratto dal capitolo ‘Vittime civili. Protagoniste anonime della guerra‘, di Chiara Sulmoni
“A causa della sicurezza precaria, i diritti elementari degli afgani subiscono una continua erosione; molte famiglie sono costrette a lasciare case e averi in fretta e furia a causa dei combattimenti o hanno difficoltà a spostarsi anche di pochi chilometri, per la presenza di una varietà di gruppi armati. C’è chi salta sulle mine antiuomo, che nel solo 2018 hanno ucciso o mutilato 1451 persone, nell’80 per cento dei casi bambini. Si calcola che in dieci anni in Afghanistan abbiano perso la vita più di 32’000 civili, mentre i feriti sfiorano i 60’000. Secondo l’Afghanistan Human Rights and Democracy Organisation (Ahrdo), una ong che si batte per tenere acceso il ricordo delle vittime di guerra, fra il 1978 –data del colpo di stato comunista cui fece seguito l’invasione russa– e la fine del 2001 -quando venne rovesciato l’Emirato Talebano che era a sua volta succeduto a una brutale guerra civile- il numero dei morti può essere stimato nell’ordine dei due milioni; migliaia gli scomparsi, per non parlare dei poveri resti ritrovati nelle fosse comuni venute alla luce nel frattempo (…) La popolazione afgana, sfinita, desidera oggi soprattutto che la violenza abbia fine; il paese guida ormai la classifica delle nazioni più pericolose al mondo e secondo l’intelligence americana, dentro i suoi confini dimora la più alta concentrazione di gruppi terroristici regionali; una realtà che purtroppo lancia ombre scure sul futuro e ridimensiona anche le attese nei confronti dei già incerti negoziati con i Talebani. Il timore – e la probabilità – è che quelle afgane, siano destinate a rimanere ancora a lungo, vittime senza pace. Anche nel caso di un accordo.” (La Grande Illusione, p. 68)