Formazione degli Imam in Europa. I limiti della proposta
di Andrea Molle
In seguito ai recenti attentati di Nizza e Vienna, Macron si incontra con i capi di stato e di governo di Austria, Olanda, Germania e ai vertici della UE per promuovere una serie di iniziative comuni in tema di controllo e prevenzione della minaccia terroristica, di riforma degli accordi di Schengen e di irrobustimento delle frontiere esterne dell’Unione. Tra le prime conseguenze dell’incontro spicca una vecchia ossessione francese: delineare un sistema di formazione e certificazione statale degli Imam, o magari a livello sovra nazionale, come rilanciato qualche giorno fa dal Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. In questo modo, secondo la teoria francese che sta facendo breccia nelle istituzioni dell’Unione, si ridurrebbe il rischio di ingerenze straniere e di infiltrazioni di elementi radicalizzati, e radicalizzanti, nel tessuto religioso islamico europeo. Si tratta di un approccio tipicamente transalpino, che in Francia è applicato con discreto successo in diversi settori della società civile: dalle professioni alle federazioni sportive, passando per le scuole di formazione. Ma l’estensione di questo principio alla religione è una sostanziale novità persino nel panorama francese. Se ad una prima lettura può sembrare una buona idea, vi sono ragioni per ritenere questa svolta molto più pericolosa del problema che si propone di risolvere. Quello della formazione interna, con certificazione statale, dei leader religiosi è un tema molto spinoso. Da un lato è certamente vero che sono le stesse comunità a volersi dotare, “dal basso”, di percorsi di formazione che prescindano da strutture, gerarchie e supporti economici riconducibili a paesi stranieri. Ma dall’altro è altrettanto vero che qualora lo Stato si facesse soggetto agente, in posizione dominante, dei percorsi di formazione e soprattutto diventasse l’unica fonte di legittimità, questi stessi processi sarebbero vissuti come l’ennesimo tentativo di ingerenza in quelle stesse comunità laddove la radicalizzazione è proprio una reazione alla percezione di marginalizzazione, deprivazione relativa e aumento del controllo statale. Soprattutto se il sistema non venisse ad essere esteso a tutte le religioni praticate, incluso il Cristianesimo, questa ingerenza finirebbe per incrementare il rischio di radicalizzazione.
se ad una prima lettura può sembrare una buona idea, vi sono ragioni per ritenere questa svolta molto più pericolosa del problema che si propone di risolvere
Una svolta decisamente statalista e per certi versi ipocrita se applicata dagli stessi governi che la condannano quando a farlo sono Russia e Cina, verrebbe inoltre a scontrarsi con due realtà già chiare a chi si occupa di questi fenomeni. In primo luogo è puro wishful thinking che la centralizzazione risulti in una diminuzione del rischio di radicalizzazione. Il primo problema di questa proposta, come affermano oggi i leaders dell’Islam francese, è che la presenza di un sistema di formazione degli “Imam di Stato” non beneficerebbe di alcuna legittimazione teologica da parte del mondo mussulmano. Il secondo limite della proposta è che molto difficilmente porterebbe alla scomparsa di gruppi guidati da leader non riconosciuti dal governo, magari sponsorizzati da paesi stranieri, la cui autorità religiosa sarebbe più legittima. É piuttosto probabile che finirebbero per tramutarsi in gruppi underground maggiormente suscettibili alle infiltrazioni e ancora di più difficile monitoraggio.
un sistema di formazione degli “Imam di Stato” non beneficerebbe della legittimazione teologica da parte del mondo mussulmano
A questi limiti oggettivi va aggiunto che l’assunto secondo cui i luoghi religiosi sono deliberatamente creati come luoghi di radicalizzazione è solo un mito, che riposa sulla concezione francese di religione come fatto privato irrazionale, intrinsecamente prono alla violenza. Questa è un’idea molto diffusa politicamente, ma che non è affatto corroborata da evidenze scientifiche. La letteratura scientifica suggerisce piuttosto che i luoghi di culto, una risposta di per sé sana alla crisi sociale delle seconde e terze generazioni dell’immigrazione extra-europea, siano diventati con il tempo facile preda del radicalismo proprio perché ignorati, quando non apertamente osteggiati, dai governi occidentali. Sembrerebbe insomma che l’ortodossia francese in tema di separazione tra Stato e Chiesa sia una concausa più che una soluzione al problema del radicalismo. Questo è quanto suggerisce anche Chems-Eddine Hafiz, Rettore della Grande Moschea di Parigi, che insiste su come il problema fondamentale sia che la mancanza di tutela dell’Imam e la mancata professionalizzazione della sua figura producano la necessità di ricorrere a figure e soprattutto risorse finanziarie straniere.
sembrerebbe che l’ortodossia francese in tema di separazione tra Stato e Chiesa sia una concausa più che una soluzione al problema del radicalismo
Una recente proposta di legge patrocinata dallo stesso Presidente francese sembrava andare nell’ottima direzione di integrare finalmente l’Islam, e le altre religioni minoritarie, in un quadro di accettazione della dimensione pubblica ed educativa della religione abbandonando l’ortodossia laicista, basata appunto sul mito della secolarizzazione. È quindi ancor più palese che la proposta odierna ci riporterebbe indietro di almeno un decennio nella lotta alla radicalizzazione. Invece che ricorrere ai monopoli di stato, una soluzione migliore e più coerente con le conoscenze scientifiche di settore potrebbe essere piuttosto quella di liberalizzare, aumentando la possibilità per gruppi e soggetti indipendenti, tendenzialmente moderati, di accedere al “mercato religioso” francese.
la proposta odierna ci riporterebbe indietro di almeno un decennio nella lotta alla radicalizzazione
Questi elementi finirebbero quasi certamente per isolare le esperienze più estremiste e violente tramite i normali meccanismi di concorrenza di libero mercato. Sembra invece che Macron, insieme a molti suoi colleghi Capi di Stato, sia caduto nella trappola tesa dai recenti attentati di Nizza e Vienna. Laddove l’Austria pensa addirittura di mettere fuori legge l’Islam politico, ignorando quanto esso sia estremamente difficile da definire e operazionalizzare, e la riunione dei ministri dell’Interno dell’Unione preannuncia una nuova stretta sui controlli e sulla propaganda online, a nostro avviso il vero vincitore è proprio il radicalismo islamico. In linea con gli obiettivi più classici del terrorismo, cioé provocare una reazione eccessiva e scomposta guidata da logiche di politica interna, temiamo che il nuovo corso dell’Europa finirà per beneficiare solo il radicalismo incrementandone il bacino di reclutamento.