Trump: via le truppe dall’Afghanistan. Cosa succede ora?
Dopo l’annuncio del ritiro delle truppe americane dalla Siria fatto dal presidente Donald J. Trump attraverso twitter, è la volta dell’Afghanistan.
Facciamo il punto con Claudio Bertolotti
L’amministrazione Trump ha ordinato al Pentagono di avviare il ritiro di circa 7.000 soldati dall’Afghanistan: un cambio significativo nella strategia per l’Afghanistan che, tra rinvii e variazioni nei numeri di soldati schierati dagli Stati Uniti e dalla Nato, sembra ora dirigersi verso un punto di non ritorno per una guerra che ormai sta entrando nel suo diciottesimo anno, la più lunga combattuta dagli Stati Uniti, da sempre.
Stupore e preoccupazione da parte afghana, il cui governo e le cui forze armate a fatica sopravvivono all’espansione inarrestabile dei talebani – ormai padroni di quasi metà del Paese – e della crescente violenza del franchise afghano dello Stato islamico.
Stupore e preoccupazione anche da parte degli alleati della Nato, non coinvolta, né informata preventivamente da Washington.
Il presidente Trump ha così deciso di dimezzare il contingente statunitense, da 14.000 unità a 7.000.
Da un lato la scelta statunitense prende atto dell’impossibilità di vincere una guerra, da tempo palesemente persa; sebbene, a fronte di innumerevoli tentativi di coinvolgere i talebani in un processo negoziale non abbiano dato risultati soddisfacenti. E in fondo ai talebani non conviene scendere a patti sapendo di essere dalla parte che vincerà la guerra e annienterà il governo afghano che progressivamente si troverà sempre più solo e senza il fondamentale sostegno esterno. Ma una cosa importante è stata messa sul tavolo negoziale con questo annuncio, ossia dare ai talebani ciò che questi chiedono: il ritiro delle truppe straniere come premessa a qualunque accordo tra le parti.
Dall’altro lato impone numeri e ritmi non sostenibili: né da parte delle forze afghane, né da parte degli alleati della Nato, che da soli saranno in grado di garantire un livello di sicurezza minimale solamente per se stessi e per un periodo di tempo assai limitato.
L’annuncio del ritiro, caratterizzato da un certo grado di irrazionalità, come ormai ci ha abituati Trump, è arrivato poche ore dopo la comunicazione delle dimissioni del segretario alla Difesa Jim Mattis, che rimarrà in carica fino alla fine di febbraio, a causa dei disaccordi con il presidente in merito al suo approccio alla politica in Medio Oriente.
“La riduzione delle forze americane in Afghanistan” – ha dichiarato il portavoce del Pentagono – “è volta a rendere le forze afghane indipendenti e non vincolate al sostegno occidentale”. Ma la realtà è esattamente l’opposto: le truppe afghane, per le quali il supporto aereo e di terra statunitense è fondamentale per poter operare, collasseranno lasciando tutte le strade aperte all’insurrezione armata e al nuovo terrorismo che, dalla Siria e dall’Iraq, ha fatto affluire migliaia di reduci dello Stato islamico e pericolosi jihadisti che oggi combattono anche tra i talebani.
Quali truppe ritirerà: truppe convenzionali o forze speciali? Questo fa la differenza poiché da un lato c’è lo sforzo di Freedom’s Sentinel, operazione di contro-terrorismo focalizzata sull’annientamento di al-Qa’ida e dello Stato islamico; dall’altro lato c’è il contributo delle truppe che operano sotto la bandiera della NATO in attività di assistenza, addestramento e consulenza per le forze di sicurezza afghane.
Cosa faranno gli alleati della Nato? Gli alleati sono ora svincolati dall’impegno statunitense. Un ‘liberi tutti’ che rischia di abbandonare il paese al caos che a fatica si sta tentando di contenere (ma non fermare, data l’elevata capacità di conquistare terreno da parte della galassia talebana). Un altro fattore da porre in evidenza è il ruolo delle truppe che rimarranno: con buona probabilità garantiranno il controllo delle basi strategiche di cui gli Stati Uniti hanno il diritto di utilizzo fino a tutto il 2024 e facilmente rinnovabile).
Cosa potranno fare le forze afghane? Non molto purtroppo. Il cronico stato di incapacità operativa, le forti perdite in termini di morti, feriti, diserzioni e mancati rinnovi della ferma hanno portato nell’ultimo anno a sostituire soldati con un minimo di preparazione ad essere sostituiti con nuove reclute senza esperienza operativa. Molte delle aree periferiche del paese sono state abbandonate al loro destino, e la stessa capitale Kabul è in una sorta di assedio permanente sempre più colpita da attacchi terroristici, azioni suicide e gruppi insurrezionali.
Quale Afghanistan nel post-ritiro? Lo dico da anni: un Afghanistan molto diverso da quello che ci saremmo aspettati nel 2001. Sino ad ora è mancato il coraggio di fare una scelta e ammettere la sconfitta; Trump non arriverà a tanto per ragioni di consenso interno, ma il messaggio che sta lanciando è molto chiaro: l’impegno in Afghanistan va rimodulato perchè costa troppo in termini di risorse economiche, materiali ed umane.