#ReaCT2021 – Estremismo di matrice jihadista in Europa. Il concetto e l’importanza della prevenzione e del contrasto
di Chiara Sulmoni, START InSight
I concetti della prevenzione e del contrasto all’estremismo violento (PVE e CVE nel linguaggio specialistico) hanno acquisito progressivamente rilievo con la crescita della radicalizzazione cosiddetta homegrown fino a diventare parte integrante dell’architettura globale anti-terrorismo, di cui costituiscono il lato non-coercitivo. La mobilitazione di migliaia di foreign fighters, di simpatizzanti e di aspiranti jihadisti che dal 2015 hanno dato il via a una lunga stagione di attentati in Europa ha portato le due sigle al centro dell’agenda delle organizzazioni internazionali e regionali (Nazioni Unite e UE in primis) nonché dei singoli paesi. Oggi PVE e CVE rappresentano un vero e proprio settore professionale che può contare su reti collaborative interdisciplinari, lo scambio di know-how fra esperti e non da ultimo, fondi cospicui.
Dietro l’impegno nella prevenzione e nel contrasto c’è la consapevolezza che le misure di controterrorismo basate sulla forza militare o di polizia non sono sufficienti per affrontare il problema come lo conosciamo. Esse non vanno infatti ad incidere su origini e natura del fenomeno (ne possono piuttosto rafforzare le motivazioni); inoltre, la vastità numerica e la complessità dei profili non permette di combatterlo con il solo strumento repressivo e di intelligence; soprattutto quando a colpire sono individui singoli, che entrano in azione anche sulla semplice spinta dell’emulazione. La minaccia oggi in Occidente è fluida e stratificata e può materializzarsi sia attraverso attacchi legati a un contesto islamista/jihadista ben definito, sia per mezzo di soggetti che mostrano disagi personali piuttosto che un’ideologia radicata. Europol sottolinea che a volte i sospetti arrestati per reati legati alla propaganda, hanno alle spalle una lunga storia di coinvolgimento in attività jihadiste, inclusi tentativi di raggiungere lo Stato Islamico al fronte e pianificazioni di azioni violente. Uno studio su prigioni e terrorismo che prende in esame la situazione in 10 paesi europei (ICSR, 2020) indica che negli ultimi 5 anni sono stati pianificati 22 attacchi legati all’ambiente delle carceri; di questi, 12 portati avanti da jihadisti rilasciati da poco. Le reali proporzioni del recidivismo e come affrontarlo sono argomenti di dibattito. Secondo Neil Basu, capo della Polizia anti-terrorismo della Gran Bretagna, “the real way to prevent terrorism is to get it right at the start of the radicalisation cycle”.
Limiti e opportunità
Essenzialmente, con PVE si fa riferimento alle iniziative avviate nell’intento di anticipare i processi di radicalizzazione; ad esempio, attività sul territorio che promuovono la coesione sociale o educative. L’acronimo CVE indica invece le politiche e i programmi che agiscono su un estremismo manifesto per impedire il passaggio all’atto e ridurre il rischio del terrorismo (la de-radicalizzazione e la contro-narrativa rientrano in questa categoria). Per essere efficaci, i progetti avviati in entrambi i settori devono conoscere a fondo la realtà sulla quale vogliono incidere e la sua evoluzione costante. Da qui, l’importanza di un dialogo e ascolto reciproco fra ricercatori, operatori sul territorio, forze dell’ordine e legislatori che converga su temi quali i meccanismi e i contesti che determinano i processi di radicalizzazione e di reclutamento ma anche sulle priorità, le aspettative, l’aspetto formativo, le metodologie e la supervisione, affinché questo lavoro che implica una collaborazione con attori diversi (ONG, istituzioni pubbliche e private, società civile) e una vasta gamma di ‘proposte’ dal potenziale preventivo, possano trovare una continuità e un valore che va al di là dell’esperimento virtuoso. Come avviene con la de-radicalizzazione, anche la prevenzione non dà esiti facilmente quantificabili; provare la rilevanza di un intervento che ha come obiettivo quello di evitare che un ‘fatto’ avvenga è un esercizio complesso, che deve tenere conto di molte variabili -dalla psicologia del singolo alle difficoltà organizzative o finanziarie di un programma. La questione sta già impegnando numerosi think tanks europei.