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Charlie Hebdo: una riflessione a 10 anni dall’attacco jihadista

di Claudio Bertolotti.


A dieci anni da Charlie Hebdo: lo spartiacque del terrorismo in Europa. Inauguriamo oggi la rubrica “Officina Geopolitica” di START InSight con il video commento di Claudio Bertolotti.

Il 7 gennaio 2015, dieci anni fa, un attacco terroristico colpì la redazione parigina di Charlie Hebdo, lasciando dietro di sé una scia di sangue e dodici vittime. I due assalitori, vestiti di nero, irruppero negli uffici del giornale satirico, aprendo il fuoco come ritorsione per le vignette su Maometto. Nonostante il tragico evento, lo spirito e la missione della rivista non si sono mai spenti. Charlie Hebdo rimane un simbolo di libertà di espressione, continuando a pubblicare con la stessa irriverenza che l’ha resa famosa.

L’attacco a Charlie Hebdo, rivendicato dalla branca yemenita di al-Qāʿida (o Ansar al-Sharia), si inserisce in una lunga sequenza di attentati terroristici che hanno colpito l’Europa dopo il 2001. Eventi come quelli di Madrid nel 2004, Londra nel 2005 e Bruxelles nel 2014 fanno parte di questa tragica scia. E tanti altri che sarebbero seguiti nei dieci anni intercorsi da allora: da Nizza e Berlino nel 2016 a Brokstedt e Magdeburgo in Germania nel 2023 e 2024. L’attentato a Parigi causò la morte di 17 persone, tra cui figure di spicco del giornale satirico.

Dopo l’attacco a Charlie Hebdo e l’omicidio del poliziotto Ahmed Merabet, i due terroristi jihadisti, i fratelli Saïd e Chérif Kouachi, si diedero alla fuga a bordo di un’auto. Nonostante l’allarme diffuso nella regione parigina, riuscirono a nascondersi nei boschi a nord del Paese. Il 9 gennaio, vennero individuati e, dopo un assedio da parte delle forze di polizia e militari, ed eliminati.

Il 9 gennaio 2015, Amedy Coulibaly, complice dei fratelli Kouachi e affiliato allo Stato Islamico, si barricò in un supermercato kosher a Parigi dopo aver ucciso una poliziotta il giorno precedente. Durante il sequestro, quattro ostaggi vennero uccisi. Coulibaly venne ucciso a seguito dell’irruzione da parte della polizia. Successivamente emerse che l’attacco era parte di un piano più ampio, con altri complici fuggiti verso la Siria.

L’11 gennaio 2015, milioni di persone si riversarono per le strade di Parigi per manifestare solidarietà dopo gli attacchi terroristici contro Charlie Hebdo e l’Hyper Cacher. La marcia, simbolo di difesa della libertà di espressione, vide la partecipazione di leader mondiali e rappresentanti di varie nazioni. Pochi giorni dopo, il nuovo numero di Charlie Hebdo, realizzato dai sopravvissuti, venne pubblicato in diverse lingue e distribuito a milioni di copie in tutto il mondo, sottolineando la resistenza contro il terrorismo e l’importanza della libertà di stampa.

L’attacco del 7 gennaio 2015 fu un atto di natura politica e segnò l’inizio di una serie di attentati che avrebbero sconvolto la Francia nei mesi successivi. Le stragi del 13 novembre 2015 a Parigi e del 14 luglio 2016 a Nizza confermarono la vulnerabilità del Paese. Nel 2020, il processo per l’attacco a Charlie Hebdo si concluse con 14 condanne, segnando un passo importante nella lotta contro il terrorismo. A dieci anni di distanza, Charlie Hebdo resta un simbolo della libertà di espressione, resistente alle minacce e alla violenza.

Il terrorismo oggi: opportuna riflessione.

Il terrorismo attuale, ponendo le proprie radici nella profondità di un’evoluzione storica molto complessa, rappresenta una minaccia ideologica diffusa. E la minaccia del terrorismo jihadista è oggi particolarmente rilevante, collegata alle dinamiche storiche, conflittuali, delle relazioni internazionali e della competizione in Medio Oriente, in Africa e alla violenza discendente dalla lettura radicale dell’Islam; una dinamica conflittuale che oggi si associa sempre più spesso alla ricerca di identità di gruppi e individui attraverso l’opposizione culturale di una componente non marginale degli immigrati maghrebini di seconda e terza generazione in Europa. E parliamo di una galassia jihadista frammentata e caratterizzata da diverse ideologie e approcci pratici, tanto da indurre una riflessione sul concetto di terrorismo contemporaneo che si impone come fenomeno sociale molto diverso dai terrorismi che lo hanno preceduto.

Una necessaria riflessione che ci invita a riflettere sull’opportunità di un cambio di paradigma nella stessa definizione di terrorismo, non più da intendere come azione volta ad ottenere risultati politici attraverso la violenza, dunque nelle intenzioni. Bensì come effetto della violenza applicata: è terrorismo la manifestazione di violenza, privo di un’organizzazione alle spalle. È terrorismo nella manifestazione, non nell’organizzazione.

All’interno della stessa galassia jihadista, il terrorismo si impone come strumento di lotta, di resistenza e di prevaricazione, e lo fa con diversi gradi e modelli di violenza: da quella individuale, a quella organizzata, a quella ispirata e ancora al terrorismo insurrezionale che ben abbiamo conosciuto in Afghanistan e in Iraq, in Siria e, in parte, stiamo osservando nelle sue manifestazioni nella Striscia di Gaza dove l’esercito israeliano si confronta con il gruppo Hamas (Bertolotti, 2024).

E proprio l’esperienza afghana, che l’Autore del presente articolo ha avuto modo di studiare da vicino per molti anni, a cui si è sommata l’ondata di violenza conseguente all’appello di Hamas a colpire Israele e i suoi alleati, e la successiva vittoria islamista in Siria, hanno svolto un ruolo determinante nella ripresa di un terrorismo ispirato ed emulativo a livello globale, che si basa sull’esperienza vittoriosa dei talebani contro l’Occidente, da un lato, e, dall’altro, sulla rabbia veicolata attraverso la strategia comunicativa di Hamas che trova in alcune minoranze ideologizzate occidentali una cassa di risonanza che sovrappone, confondendola, l’agenda violenta e terrorista di Hamas alla legittima istanza palestinese: due elementi a cui si somma l’entusiasmo della galassia jihadista conseguente alla vittoria del gruppo islamista Hay’at Tahrir al-Sham in Siria, che ben è riuscito a mascherarsi agli occhi occidentali attraverso un pragmatico opportunismo. Eventi sul piano delle Relazioni internazionali che, attraverso la retorica jihadista, sono sfruttati per dimostrare la bontà e la fondatezza del jihad, e dunque del terrorismo come strumento di lotta, di vittoria, di giustizia.

E oggi, dopo e insieme all’Afghanistan, all’Iraq, alla Striscia di Gaza e alla Siria, a svolgere questo ruolo di spinta ideologica e coinvolgimento di massa, sono le dinamiche conflittuali in Medioriente e il terrorismo mediaticamente amplificato di Hamas; da questo discendono le manifestazioni emulative di violenza che il terrorismo ai danni di Israele ha in parte provocato e potrebbe sempre più provocare in Europa come nei paesi del Nord Africa, dell’Africa subsahariana e del Sahel.[1]

Terrorismo di successo o fallimentare? Elementi di analisi dell’operazione terroristica contro Charlie Hebdo: azione tattica, obiettivo strategico.

Dall’articolo originale di C. Bertolotti pubblicato il 12 gennaio 2015 su ITSTIME

Parigi, 7-9 gennaio 2014: 15 morti (12 vittime e tre terroristi jihadisti). Dopo Canada, Stati Uniti e Australia, i due episodi in Francia, collegati o meno tra di loro, forniscono alcuni utili elementi di valutazione sul “terrorismo jihadista” contemporaneo.

Si vogliono qui elencare sinteticamente gli elementi di forza caratterizzanti tale fenomeno (in fase di espansione e radicalizzazione), le vulnerabilità, gli elementi di minaccia, le opportunità e, infine, i “trade-off” – le variabili in grado di influire sugli sviluppi socio-politici e sulle procedure di sicurezza in atto e in fase di implementazione.

In primo luogo, i punti di forza del terrorismo jihadista emerso in concomitanza con l’espansione territoriale e comunicativa del fenomeno Stato islamico (2013-2017) si sono temporaneamente concretizzati nelle adeguate capacità informativa, organizzativa e di movimento a cui si sono uniti la forte motivazione e l’elevato livello operativo acquisito da quei foreign fighter “europei” che hanno fatto rientro dai teatri di guerra iracheno, siriano e libico. Tali soggetti sono stati in grado di sfruttare a proprio vantaggio la pressoché infinita disponibilità di obiettivi di tipo “soft target” da colpire e caratterizzati da un elevato livello di vulnerabilità; un vantaggio che si è accompagnato alla possibilità di reperimento di armi da guerra provenienti dal mercato nero (nulla a che vedere con le armi comuni regolarmente denunciate e detenute) e di equipaggiamenti reperibili dal libero commercio. Azioni di questa tipologia sono state in grado di indurre all’emulazione altri soggetti, indipendenti e non organizzati: gli emulatori, spesso indicati impropriamente come i lone wolf (lupi solitari o terroristi autoctoni).

Agli elementi forti fanno eco alcuni fattori di debolezza del terrorismo jihadistaIn primis, sul piano operativo, la marginale capacità di colpire con efficacia la maggior parte degli hard-target (obiettivi militari, infrastrutture strategiche, critiche e sensibili); sul piano informativo vi è invece una concreta vulnerabilità all’identificazione attraverso i social-network. Infine, su un piano più generale, permangono gli attriti latenti all’interno delle eterogenee dimensioni jihadiste, mentre si sono sviluppate le conflittualità tra i differenti brand del jihad, in particolare al-Qa’ida vs lo Stato islamico: una competizione che apre all’intensificazione delle azioni violente.

Ai fattori di debolezza del terrorismo jihadista, si contrappongono le vulnerabilità degli stati occidentali. Gli eventi registrati nel corso degli ultimi dieci anni, tendono a dimostrare come le forze di sicurezza e di intelligence non siano in grado di contrastare le manifestazioni di un fenomeno sempre più audace (e il verificarsi di un singolo episodio si impone su quelli prevenuti con efficacia); nel complesso vi è una sostanziale incapacità previsionale da cui derivano limiti oggettivi di azione preventiva – accentuati dai tagli alle spese della componente difesa-sicurezza – nei confronti dei potenziali obiettivi la cui salvaguardia richiede(rebbe) elevati costi in termini di risorse umane, economiche e materiali per garantirne la sicurezza fisica. Inoltre, pesa l’assenza di un adeguato quadro giuridico finalizzato a un efficace contrasto al “terrorismo fondamentalista di matrice jihadista” (che differisce dallo storico “terrorismo politico” di stampo europeo in ragioni, dinamiche, sviluppi e organizzazione).

Pesa, nel complesso, l’assenza di una classe dirigente competente in grado di definire una linea strategica per la sicurezza e che sia, al contempo, in grado di far fronte al crescente disagio sociale – in parte conseguenza di un alto tasso di disoccupazione – e alla pressione dell’opera di reclutamento e propaganda jihadista – sia globale via web, sia a livello locale. A ciò si aggiungono la diffusione del “terrore”, il condizionamento dell’opinione pubblica, l’esaltazione di sentimenti nazionalistici e la deriva estremista (su entrambi i fronti) e populista i cui effetti inducono a scelte politiche restrittive, tra le quale anche la limitazione di diritti individuali (privacy e sicurezza) e la sospensione di accordi internazionali (nel merito si cita la decisione del governo francese nel 2015, e dieci anni dopo quello tedesco, di limitare il libero movimento dei cittadini europei attraverso le proprie frontiere, in deroga al trattato di Shengen).

Significative le opportunità potenziali, su entrambi i fronti.

Le opportunità del terrorismo jihadista sono conseguenza del contesto in cui si è orientato a operare e della riorganizzazione strutturale.

Il contesto operativo è il “domestic urban warfare” (ambito urbano ad alta densità di popolazione) in grado, da un lato, di garantire la presenza di safe-areas di supporto e, dall’altro, di opporre una limitata capacità di reazione da parte di forze di polizia urbana dal basso profilo operativo.

Si è così imposta una nuova forma ibrida della guerra che ha indotto a una razionale riorganizzazione strutturale del terrorismo jihadista, su base individuale, rafforzata dall’attivazione di singoli soggetti pronti a colpire, in caso di appello o in risposta a eventi emotivamente o mediaticamente esaltanti, e già presenti in Europa o in aree di prossimità (come la Turchia che è al tempo stesso area di transito della “migrazione jihadista” e sostenitrice del fronte islamista siriano di Hay’at Tahrir al-Sham che con la forza insurrezionale ha posto termine al regime di Bashar al-Assad).

Le opportunità che possono essere colte dagli stati occidentali sono rappresentate, in primo luogo, da una collaborazione attiva delle agenzie intelligence funzionale alla possibile riorganizzazione di un modello di difesa-sicurezza di tipo “diffuso e condiviso”; a ciò si unisce l’opportunità di un maggiore coinvolgimento delle comunità musulmane. In secondo luogo, v’è da porre in evidenza l’opportunità rappresentata da un razionale, quanto efficace, impegno dell’Occidente nella lotta ad ampio spettro al gruppo Stato islamico e in un coerente ed equilibrato controllo delle frontiere lungo l’arco mediterraneo.

A fronte delle opportunità, vi sono le minacce. La prima è rappresentata dall’emergere di una condizione di tensione sociale derivante da azioni terroristiche reali o, più semplicemente, potenziali, a cui si contrappongono i limiti di capacità di reazione e contrasto dei governi europei. Limiti che saranno messi a dura prova dal probabile fenomeno di emulazione ampiamente registrato e dalla replicabilità di azioni dimostrative anche violente (ad esempio, l’incendio alla rivista tedesca “Hamburger Morgenpost” l’11 gennaio 2015, che nei giorni successivi all’attacco a Parigi pubblicò alcune vignette di Charlie Hebdo, e, lo stesso giorno, l’allarme bomba a Bruxelles alla sede del più importante quotidiano belga, “Le Soir”). Un livello di minaccia accentuato dalla natura inequivocabile del ruolo di “one-shot fighter” del “terrorista”, determinato dalla consapevolezza di andare incontro a morte altamente probabile o certa.

Infine, le scelte alternative (trade-off). Sul piano della sicurezza, non sono da escludere i potenziali effetti dinamizzanti derivanti dal processo di amplificazione mass-mediatica, a cui concorrono sia le striscianti quanto fantasiose teorie “complottistiche”, sia la diffusione virale di quei video-web postumi dei terroristi che possono alimentare le dinamiche di competizione dei gruppi di jihadisti ed esaltare improvvisati lone wolf. Significativa è la strategia finalizzata all’attenzione massmediatica che ha per scopi l’amplificazione del messaggio e la capacità attrattiva dei potenziali militanti (in particolare al-Qa’ida e Stato islamico, che in tale ottica hanno impresso un’accelerata recrudescenza di azioni mediaticamente sempre più appaganti; con ciò indicando un’escalation nell’intensità delle azioni su suolo europeo).

Fatte queste necessarie valutazioni iniziali, concludiamo con l’elenco (certamente parziale) degli effetti derivanti dalla singola azione portata a compimento a Parigi nel gennaio 2015 da due soli soggetti (a cui si aggiunge una seconda azione condotta da un singolo terrorista).

Sul piano tattico e operativo:

  • eliminazione degli obiettivi (dal forte valore simbolico);
  • capacità di tenere impegnate 88.000 unità della sicurezza nazionale (Forze Armate e di polizia), distraendole dai normali compiti di routine;
  • blocco della capitale di una delle più importanti nazioni a livello mondiale;
  • dimostrazione dei limiti dello strumento intelligence e di sicurezza.

Sul piano strategico e politico:

  • diffusione e amplificazione massmediatica del messaggio jihadista;
  • dimostrazione dell’imprevedibilità della minaccia;
  • generale consapevolezza di vulnerabilità (forte impatto psicologico);
  • terrore diffuso immediato e paura collettiva persistente;
  • scelta da parte degli attentatori del “martirio autonomamente scelto (istisshadi) e imposizione del ruolo di “martire” (shahid) di fronte alla propria comunità;
  • induzione alla polarizzazione “identitaria”;
  • fomento degli impulsi populisti e radicali;
  • mobilitazione della Comunità internazionale;
  • avvio del processo di revisione dei protocolli di sicurezza;
  • sospensione degli accordi di Shengen e possibile restrizione delle libertà individuali (privacy, mobilità).

In estrema sintesi, si tratta innegabilmente di un successo sui piani mediatico, politico, psicologico e su quello della sicurezza; un successo facilmente replicabile indipendentemente dagli effetti diretti su quel “campo di battaglia” del quale siamo parte, in veste di attori protagonisti o di semplici comparse.

In conclusione: il vero successo è a livello operativo: il “blocco funzionale”

Come abbiamo avuto modo di evidenziare in #ReaCT2024 – 5° Rapporto sul radicalismo e il terrorismo in Europa, anche quando un attacco terroristico non riesce, produce comunque un risultato significativo: impegna pesantemente le forze armate e di polizia, distraendole dalle loro normali attività o impedendo loro di intervenire a favore della collettività. Inoltre, può interrompere o sovraccaricare i servizi sanitari, limitare, rallentare, deviare o fermare la mobilità urbana, aerea e navale, e ostacolare il regolare svolgimento delle attività quotidiane, commerciali e professionali, danneggiando le comunità colpite. Questo riduce efficacemente il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo, nonché la capacità di resilienza. In generale, infligge danni diretti e indiretti, indipendentemente dalla capacità di provocare vittime. La limitazione della libertà dei cittadini è un risultato misurabile ottenuto attraverso queste azioni.

In sostanza, il successo del terrorismo, anche senza causare vittime, risiede nell’imporre costi economici e sociali alla collettività e nel condizionare i comportamenti nel tempo in relazione alle misure di sicurezza o limitazioni imposte dalle autorità politiche e di pubblica sicurezza. Questo fenomeno è noto come “blocco funzionale”. Nonostante la capacità operativa del terrorismo sia sempre più ridotta, il “blocco funzionale” rimane uno dei risultati più importanti ottenuti dai terroristi, indipendentemente dal successo tattico (uccisione di almeno un obiettivo). Dal 2004 a oggi, il terrorismo ha dimostrato di essere efficace nel conseguire il “blocco funzionale” nell’80% dei casi, con un picco del 92% nel 2020 e dell’89% nel 2021. Questo risultato impressionante, ottenuto con risorse limitate, conferma il vantaggioso rapporto costo-beneficio a favore del terrorismo, pur a fronte di una rilevata perdita progressiva di capacità che ha visto diminuire l’ottenimento del “blocco funzionale”, sceso al 78% nel 2022 e al 67% nel 2023.


[1] C. Bertolotti (2024), Il terrorismo jihadista in Europa e le dinamiche mediterranee: evoluzione storica, sociale e operativa in un’era di cambiamenti globali – i risultati dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (ReaCT), in “#ReaCT2024, 5° Rapporto sul Radicalismo e il Terrorismo in Europa”, ed. START InSight.


2001-2021: Vent’anni di guerra al terrore. Il nuovo libro

Geopolitica e sicurezza: l’Occidente e il terrorismo jihadista dall’11 settembre a oggi

START InSight ed Europa Atlantica hanno il piacere di annunciare l’uscita dell’ultimo libro collettaneo “2001-2021: Vent’anni di guerra al terrore. geopolitica e sicurezza: l’Occidente e il terrorismo jihadista dall’11 settembre a oggi“. Curato da Enrico Casini e Andrea Manciulli, con la prefazione di Marco Minniti.

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24 contributi analitici

24 contributi scritti dai principali esperti del settore a livello nazionale e internazionale: Enrico Casini, Andrea Manciulli, Niccolò Petrelli, Elio Calcagno, Alessandro Marrone, Matteo Bressan, Francesco Conti, Claudio Bertolotti, Chiara Sulmoni, Anna Maria Cossiga, Ciro Sbailò, David Simoni, Marco Tesei, Alessia Melcangi, Arturo Varvelli, Andrea Plebani, A. Roberta La Fortezza, Paolo Salvatori, Arije Antinori, Fabio Indeo, Beniamino Franceschini, Lorenzo Vidino.

con la prefazione di Marco Minniti

Venti anni dopo i drammatici attacchi terroristici a New York e Washington, e dopo l’inizio della guerra globale al terrore con l’avvio dell’intervento in Afghanistan, cosa è cambiato nel mondo e nel sistema internazionale? Quanto questi eventi hanno contribuito ad accelerare processi di cambiamento in atto a livello geopolitico, economico, sociale? Come è cambiato il terrorismo jihadista, le sue organizzazioni principali e come sono evolute le strategie di contrasto e di repressione messe in atto dai paesi occidentali?

A queste e ad altre domande cerca di rispondere la presente raccolta di analisi e di opinioni diverse, curata da Enrico Casini e Andrea Manciulli, Direttore e Presidente di Europa Atlantica, realizzata nell’anno del ventennale degli attacchi dell’11 settembre 2001 e dell’inizio della guerra al terrore a cui hanno contribuito alcuni dei massimi esperti italiani su questi temi.

Titolo: 2001-2021 vent’anni di guerra al terrore. Geopolitica e sicurezza: l’Occidente e il terrorismo jihadista dall’11 settembre a oggi
Autore: AA.VV. a cura di Enrico Casini e Andrea Manciulli
Pubblicazione: Saggio collettaneo/Analisi
Collana: InSight
Formato: 14×21, brossura, 270 pagine
Editore: START InSight in collaborazione con Europa Atlantica
Anno di edizione: 2022
Distribuzione: gratuita formato Pdf
Distribuzione hard copy: Attualmente esaurita/non disponibile

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Audizione su fenomeni di estremismo violento di matrice jihadista. Commissione parlamentare – Affari Costituzionali

COMMISSIONE PARLAMENTARE  1 – AFFARI COSTITUZIONALI: AUDIZIONE  DI CLAUDIO BERTOLOTTI, DIRETTORE DI START INSIGHT

Alle ore 14 del 28 aprile 2021 la Commissione Affari costituzionali, nell’ambito dell’esame congiunto della proposta di legge recante “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista”, e della proposta di legge recante “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di estremismo violento o terroristico e di radicalizzazione di matrice jihadista”, ha svolto, in videoconferenza, l’audizione di Claudio Bertolotti, Direttore di START InSight e delll’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT).

TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO

Presidente, Signore/i Onorevoli buon pomeriggio e grazie per questo invito

Seguo da tempo il dibattito su una legge per la prevenzione e il contrasto del terrorismo ideologico, e posso dire di aver ben analizzato e sostenuto la necessità dei testi di legge oggi in discussione:

Sulla base della mia esperienza, confermo, come già fatto in altre sedi, l’opportunità di proseguire nella direzione intrapresa dal Parlamento in tema di prevenzione e contrasto ritenendo quelle fatte, proposte coerenti con quello che è l’attuale quadro relativo al fenomeno della radicalizzazione, della manifestazione violenta di matrice jihadista e del terrorismo di matrice ideologica in senso più ampio.

E lo faccio focalizzando il mio contributo di pensiero sui numeri del terrorismo europeo:

Dei quasi 500 attacchi terroristici, compresi quelli falliti e sventati, registrati nell’Unione Europea il 63% sono attribuiti a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 16% a movimenti della sinistra radicale (in aumento, in particolare in Italia, paese più colpito), il 2,8% a gruppi di estrema destra (in diminuzione nel 2019; in aumento nel 2020), il 18% sono azioni di matrice jihadista. Sebbene gli atti riconducibili al jihadismo siano una parte marginale, sono però causa di tutte le morti per terrorismo nel 2019 e di 16 uccisioni nel 2020.

L’onda lunga del terrorismo in Europa, emerso con il fenomeno “Stato islamico” a partire dal 2014, ha fatto registrare 147 azioni in nome del jihad dal 2014 ad oggi: 189 i terroristi che vi hanno preso parte (59 morti in azione), 407 le vittime decedute e 2.421 i feriti (database START InSight).

Nel 2020 gli eventi sono stati 25, contro i 19 dell’anno precedente e con un raddoppio di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri precedenti attacchi nei giorni precedenti: sono il 48% del totale le azioni emulative nel 2020 (erano il 21% l’anno precedente). E ciò evidenzia il rischio di “reazioni a catena” che possono conseguire dalla condotta di singole azioni terroristiche.

Due gli aspetti rilevanti emersi dall’analisi dell’ultimo quadriennio:

1. Cresce il numero di terroristi recidivi – soggetti già condannati per terrorismo che compiono azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, in carcere: dal 3% del totale dei terroristi nel 2018, al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020. Ciò conferma la pericolosità sociale di soggetti che, a fronte di una condanna detentiva, non abbandonano l’intento violento ma lo posticipano; un’evidenza che suggerisce l’aumento della probabilità di azioni terroristiche nei prossimi anni, in concomitanza con la fine della pena dei molti terroristi attualmente detenuti.

2. A fronte di una partecipazione al terrorismo di soggetti nati e cresciuti in Europa (prime e seconde generazioni e comunque immigrati regolari) del periodo 2014-2018, è stato verificato l’aumento del numero di immigrati irregolari tra i terroristi con ciò suggerendo un rischio potenziale di collegamento tra il terrorismo e l’aumento dei migranti irregolari. Nel 2020 il 20% dei terroristi sono immigrati irregolari. In Francia è aumentato il ruolo degli irregolari nella condotta di azioni terroristiche: se fino al 2017 nessuno degli attacchi era stato condotto da immigrati irregolari, nel 2020 il 40% dei terroristi è un irregolare.

Infine, una considerazione sulla minaccia emergente del terrorismo associato a gruppi di estrema destra e cospirazionisti:

La violenza ideologica associata alla destra radicale è un fenomeno che sta fermentando da tempo e che negli ultimi anni si è manifestato in maniera concreta, come dimostrano i fatti di Capitol Hill negli Stati Uniti e gli eventi secondari associati al movimento QANon che si sono imposti in molti paesi europei, compresa l’Italia. Ad oggi gli attacchi terroristici associati all’estrema destra rappresentano meno del 3% del totale ma con un aumento progressivo registrato negli ultimi due anni.

QAnon desta serie preoccupazioni tra gli analisti per la velocità con la quale si diffonde. Inoltre, come evidenziato dal Prof. Andrea Molle nelle sue analisi sul fenomeno, esso ha già mostrato negli Stati Uniti il potenziale per azioni di stampo terroristico. Si consiglia pertanto un monitoraggio dei social media associati a tale movimento in Italia e di stabilire una rete di collaborazioni con istituzioni pubbliche e private che già si occupano di questo fenomeno in Europa come negli Stati Uniti.

Insieme agli analisti dell’Osservatorio che dirigo, rimango a vostra disposizione.

fonte sito web della Camera dei Deputati – Parlamento Italiano


Unione della sicurezza: un programma di lotta al terrorismo e un Europol più forte per potenziare la resilienza dell’UE

Bruxelles, 9 dicembre 2020: la Commissione ha presentato un nuovo programma di lotta al terrorismo affinché l’UE intensifichi la lotta contro il terrorismo e l’estremismo violento e diventi più resiliente nei confronti delle minacce terroristiche. Sulla base del lavoro svolto negli ultimi anni, il programma intende aiutare gli Stati membri a prevedere e prevenire meglio la minaccia terroristica e a proteggersi e reagire più efficacemente. Europol, l’agenzia dell’UE per la cooperazione nell’attività di contrasto, fornirà un migliore sostegno operativo alle indagini degli Stati membri in virtù del nuovo mandato proposto il 9 dicembre.

Un nuovo programma di lotta al terrorismo: prevedere, prevenire, proteggersi e reagire

Margaritis Schinas, Vicepresidente per la Promozione dello stile di vita europeo, ha dichiarato: “La nostra protezione più forte contro la minaccia terroristica risiede nelle fondamenta della nostra Unione, inclusive e basate sui diritti. Costruendo società inclusive in cui ciascuno possa trovare il suo posto, riduciamo l’attrattiva delle argomentazioni estremiste. Allo stesso tempo, lo stile di vita europeo non può essere messo in discussione: dobbiamo fare tutto il possibile per impedire a chi lo desidera di cancellarlo. Con il programma di lotta al terrorismo presentato oggi, investiamo nella resilienza delle nostre società combattendo più efficacemente la radicalizzazione e proteggendo gli spazi pubblici dagli attentati tramite misure mirate”.

Ylva Johansson, Commissario per gli Affari interni, ha dichiarato: “Il programma di lotta al terrorismo presentato oggi potenzia la capacità degli esperti di prevedere nuove minacce, aiuta lecomunità locali a impedire la radicalizzazione, dota le città dei mezzi per proteggere gli spazi pubblici con una valida progettazione e garantisce che possiamo reagire rapidamente e più efficacemente agli attacchi commessi e tentati. Proponiamo inoltre di dotare Europol dei mezzi moderni necessari persostenere i paesi dell’UE nelle loro indagini“.

Misure per prevedere, prevenire, proteggere e reagire

La recente ondata di attentati perpetrati sul suolo europeo ci ha bruscamente ricordato che ilterrorismo rimane un pericolo reale ed attuale. Con l’evolvere di questa minaccia, deve evolvereanche la nostra cooperazione diretta a contrastarla. Il programma di lotta al terrorismo si prefigge i seguenti obiettivi:

Individuare le vulnerabilità e sviluppare la capacità di prevedere le minacce

Per prevedere meglio le minacce e individuare potenziali punti deboli, gli Stati membri accertarsi cheil Centro di situazione e di intelligence (ITCEN) possa contare su contributi di alta qualità al fine di aumentare la nostra conoscenza situazionale. Nell’ambito della sua imminente proposta sulla resilienza delle infrastrutture critiche, la Commissione organizzerà missioni consultive per aiutare gli Stati membri a svolgere valutazioni del rischio, basandosi sull’esperienza di un gruppo di consulenti UE sulla sicurezza protettiva. La ricerca in materia di sicurezza contribuirà a migliorare l’individuazione precoce delle nuove minacce, mentre gli investimenti nelle nuove tecnologie manterranno all’avanguardia la reazione dell’Europa al terrorismo.

Prevenire gli attentati combattendo la radicalizzazione

Per contrastare la diffusione delle ideologie estremiste online è importante che il Parlamento europeo e il Consiglio adottino con urgenza le norme sulla rimozione dei contenuti terroristici online. La Commissione sosterrà poi la loro applicazione. Il Forum dell’UE su Internet elaborerà linee guida sulla moderazione dei contenuti disponibili al pubblico per i materiali estremisti online. Promuovere l’inclusione e offrire opportunità tramite l’istruzione, la cultura, lo sport e le misure per i giovani può contribuire a rendere le società più coese e prevenire la radicalizzazione. Il piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione aiuterà a sviluppare la resilienza delle comunità. Il programma si prefigge inoltre di rafforzare l’azione preventiva nelle carceri, con particolare attenzione alla riabilitazione e al reinserimento dei detenuti con idee radicali, anche dopo il loro rilascio. Per diffondere conoscenze e competenze sulla prevenzione della radicalizzazione, la Commissione proporrà la creazione di un polo di conoscenze dell’UE che riunisca responsabili politici, operatori e ricercatori. Consapevole dei problemi specifici relativi ai combattenti terroristi stranieri e ai loro familiari, la Commissione favorirà la formazione e la condivisione delle conoscenze per aiutare gli Stati membri agestire il loro rimpatrio.

Promuovere la sicurezza fin dalla progettazione e ridurre le vulnerabilità per proteggere le città e la popolazione

Molti dei recenti attentati perpetrati nell’UE sono stati commessi in luoghi densamente popolati o di elevato contenuto simbolico. L’UE intensificherà l’impegno per garantire la protezione fisica degli spazi pubblici, compresi i luoghi di culto, mediante la sicurezza fin dalla progettazione. La Commissione proporrà di raccogliere le città intorno a un impegno dell’UE sulla sicurezza e la resilienza urbane e metterà a disposizione finanziamenti per aiutarle a ridurre le vulnerabilità degli spazi pubblici. La Commissione proporrà inoltre misure volte a rendere più resilienti le infrastrutture critiche, quali nodi di trasporto, centrali elettriche od ospedali. Per potenziare la sicurezza aerea, la Commissione esplorerà le opzioni per un quadro giuridico europeo che permetta la presenza di agenti di sicurezza sugli aerei. Tutti coloro che entrano nell’UE, che siano o meno cittadini dell’UE, devono essere controllati consultando le banche dati pertinenti. La Commissione aiuterà gli Stati membri a predisporre tali verifiche sistematiche alle frontiere. La Commissione proporrà inoltre un sistema per impedire, colmando una lacuna esistente, che una persona a cui è stata negata l’autorizzazione ad acquisire un’arma da fuoco per motivi di sicurezza in uno Stato membro possa presentare una richiesta analoga in un altro Stato membro.

Rafforzare il sostegno operativo, l’azione penale e i diritti delle vittime per reagire meglio agli attentati

La cooperazione di polizia e lo scambio di informazioni nell’UE sono cruciali per reagire efficacemente agli attentati e consegnare i responsabili alla giustizia. Nel 2021 la Commissione proporrà un codice di cooperazione di polizia dell’UE per rafforzare la cooperazione tra le autoritàdi contrasto, anche nella lotta contro il terrorismo. Una parte sostanziale delle indagini sulla criminalità e sul terrorismo comporta informazioni cifrate. La Commissione collaborerà con gli Stati membri per individuare le possibili soluzioni giuridiche, operative e tecniche per l’accesso legittimo e promuoverà un approccio che mantenga l’efficacia della cifratura nella protezione della privacy e della sicurezza delle comunicazioni, permettendo al contempo una valida risposta alla criminalità e al terrorismo. Al fine di favorire meglio le indagini e l’azione penale, la Commissione proporrà di creare una rete di investigatori finanziari antiterrorismo, comprendente Europol, per contribuire a seguire le tracce del denaro e identificarele persone coinvolte. La Commissione, inoltre, aiuterà ulteriormente gli Stati membri a usare le informazioni raccolte sul campo di battaglia per identificare, scoprire e perseguire i combattenti terroristi stranieri di ritorno. La Commissione lavorerà per rafforzare la protezione delle vittime degli atti terroristici, anche per aumentare l’accesso al risarcimento. L’attività volta a prevedere, prevenire, proteggere e reagire al terrorismo coinvolgerà i paesi partner, nel vicinato dell’UE e nel resto del mondo, e si baserà su una collaborazione più intensa con le organizzazioni internazionali. La Commissione e l’Alto rappresentante/Vicepresidente rafforzeranno, ove opportuno, la cooperazione con i partner dei Balcani occidentali nel settore dellearmi da fuoco, negozieranno accordi internazionali con i paesi del vicinato meridionale per lo scambio di dati personali con Europol, e intensificheranno la cooperazione strategica e operativa con altre regioni come il Sahel, il Corno d’Africa, altri paesi africani e le principali regioni dell’Asia. La Commissione nominerà un coordinatore antiterrorismo incaricato di coordinare la politica e i finanziamenti dell’UE nel settore della lotta al terrorismo nell’ambito della Commissione stessa, e in stretta cooperazione con gli Stati membri e il Parlamento europeo.

Un mandato più forte per Europol

La Commissione propone oggi di rafforzare il mandato di Europol, l’agenzia dell’UE per la cooperazione nell’attività di contrasto. Dato che i terroristi abusano spesso di servizi offerti da imprese private per reclutare seguaci, pianificare attentati e diffondere propaganda che inciti a nuovi attacchi, il mandato riveduto aiuterà Europol a cooperare efficacemente con soggetti privati e trasmettere le prove agli Stati membri. Ad esempio, Europol potrà agire come punto focale qualora non sia chiaro quale Stato membro abbia la competenza giurisdizionale. Il nuovo mandato permetterà inoltre a Europol di trattare serie di dati ampie e complesse, di cooperare meglio con la Procura europea e con paesi terzi e di contribuire a sviluppare nuove tecnologie che soddisfino le esigenze delle autorità di contrasto. Rafforzerà altresì il quadro di Europolper la protezione dei dati e il controllo parlamentare.

Contesto

Il programma odierno fa seguito alla strategia dell’UE sull’Unione della sicurezza per il periodo 2020-2025, nella quale la Commissione si è impegnata a concentrarsi sui settori prioritari in cui l’UE può apportare un valore aggiunto per aiutare gli Stati membri a rafforzare la sicurezza di tutti coloro che vivono in Europa. Il programma di lotta al terrorismo si basa sulle misure già adottate per sottrarre ai terroristi i mezzi per commettere attentati e rafforzare la resilienza nei confronti delle minacce terroristiche, tra cui le norme dell’UE sulla lotta contro il terrorismo e il finanziamento del terrorismo e sull’accesso alle armida fuoco.

Per ulteriori informazioni:

Comunicazione sul programma di lotta al terrorismo dell’UE: prevedere, prevenire, proteggere, reagire
Proposta di regolamento che rafforza il mandato di Europol
Rafforzare il mandato di Europol – Valutazione d’impatto
Rafforzare il mandato di Europol – Sintesi della valutazione d’impatto
Un programma di lotta al terrorismo per l’UE e un mandato più forte per Europol: domande e risposte
Comunicato stampa: strategia dell’UE sull’Unione della sicurezza: integrare le singole misure in unnuovo ecosistema della sicurezza, 24 luglio 2020
Unione della sicurezza – sito web della Commissione

Illustration 2020/2
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Camera dei Deputati – Analisi degli attacchi terroristici in Europa tra “blocco funzionale” e spinta all’emulazione

La relazione alla Camera dei Deputati di Claudio Bertolotti, Direttore esecutivo dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo – ReaCT e Direttore di START InSight, in occasione del convegno “Il futuro del terrorismo di matrice jihadista”, martedì 29 ottobre (VIDEO).

Il successo del terrorismo: “blocco funzionale” e spinta all’emulazione

Il terrorismo non è il problema. Il terrorismo è la manifestazione violenta di un problema oggettivo che è la diffusione dell’ideologia jihadista; un’ideologia che si muove su un piano comunicativo estremamente efficace e che coinvolge un numero importante di soggetti che possono rappresentare una minaccia seria e concreta alla sicurezza.

L’ideologia jihadista alimenta il fenomeno della radicalizzazione. È dunque sull’ideologia (anche attraverso la contro-narrativa) che devono essere concentrati gli sforzi maggiori, così da contenerne o sconfiggerne le manifestazioni violente.

La nostra generazione è testimone di un fenomeno che si è imposto mediaticamente, ancor più che su quei campi di battaglia che dall’Afghanistan all’Iraq alla Siria sono giunti sino alle porte di casa, in Nord Africa e poi nel cuore stesso dell’Europa con gli attacchi principali di Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino, ecc…. e dei tantissimi attacchi secondari a bassa intensità che portano a un totale di 116 azioni violente “in nome del jihad” registrate dal 2014 a oggi.

Parliamo certamente di terroristi che hanno importato la violenza in Europa, ma parliamo di un numero ben superiore di individui che invece, nati e cresciuti in Europa, sono cittadini europei o comunque regolarmente residenti in Europa, e dall’interno hanno colpito. Parliamo di soggetti prevalentemente immigrati regolari o di seconda o terza generazione appartenenti, prevalentemente, alle comunità Marocchina, Algerina, Tunisina – con un’età mediana di 22 anni (44 percento di età inferiore ai 26 anni). Solo una minima parte sono “irregolarmente entrati all’interno dell’Unione Europea: l’11 percento del totale.

In tale scenario, e in particolare nel momento in cui lo Stato islamico nel 2014 fa appello per entrare a far parte del proto-stato teocratico e sunnita che si impone in Siria e Iraq, e dunque a trasferirsi, dall’Europa rispondono in migliaia all’appello. E l’Europa diviene dunque esportatrice di terrorismo, con oltre 5.000 volontari che vanno a combattere in Siria.

Ma quel terrorismo che in Europa si impone, violentemente nelle nostre quotidianità, lo fa con una violenza micidiale e con numeri ben superiori, per quanto limitati, rispetto all’attenzione mediatica sugli stessi. Parliamo di 116 azioni, portate a termine in Europa dal 2014 a oggi da 157 terroristi (dei quali 56 sono deceduti) e che hanno provocato la morte di 388 persone e il ferimento di altre 2353: l’ultimo il 3 ottobre in Francia, a Parigi.

Ma soltanto 11 del totale sono attacchi terroristici ad alta intensità (con un numero di vittime superiore a 20); gli altri sono eventi che classifichiamo come eventi a media intensità con un numero di vittime compreso tra 3 e 20 (il 36 percento del totale,) e a bassa intensità, meno di due vittime (il 56 percento – circa 6 su 10).

Ma al di là del numero dei morti e dei feriti, o degli attentatori che effettivamente hanno portato a compimento le azioni terroristiche, quali i risultati effettivi del terrorismo jihadista in Europa all’epoca dello Stato islamico che fu di Abu Bakr al Baghdadi? Attraverso l’analisi del dataset sul terrorismo di START InSight, ci concentreremo su questo aspetto, tra i tanti interessanti: quello del terrorismo è successo o insuccesso?

il successo degli attacchi terroristici: ottenuto il “blocco funzionale” nel 74 percento dei casi

In primo luogo, gli anni di maggior espansione territoriale e mediatica dello Stato islamico sono stati quelli in cui vi sono i principali attacchi terroristici in Europa: 2016-2017 e 2018. Nel 2017 si concentrano gli attacchi che percentualmente hanno maggior successo (4 su 10 provocano almeno una morte).

Ma nel complesso, guardando all’intero periodo, il 24 percento sono attacchi fallimentari (nessuna vittima, solo feriti o nulla); il 34 percento ottengono “successo tattico” (almeno una vittima deceduta); il 18 percento ottengono successo strategico (blocco traffico aereo, mobilitazione delle Forze armate, coinvolgimento opinione pubblica a livello internazionale).

Ma un aspetto ancora più importante, che in genere non viene riconosciuto, sia sul piano divulgativo-informativo, sia su quello tecnico-accademico è quello che abbiamo voluto chiamare “blocco funzionale”: il più importante dei risultati ottenuti dai terroristi sul moderno campo di battaglia europeo.

All’interno di questa categoria sono inseriti tutti quegli eventi che hanno influito in maniera significativa sul livello operativo delle forze di sicurezza, pensiamo alla mobilitazione militare conseguente all’attacco parigino del Bataclan, ma anche sulla limitazione o lo svolgimento regolare delle normali attività quotidiane degli apparati pubblici, o di mobilità urbana a danno delle comunità colpite. Si tratta di ripercussioni dirette sulle attività delle forze di sicurezza e sulle comunità in grado di agire sulla libertà di accesso a determinate aree, imponendo tempistiche dilatate e, ancora, riducendo in maniera efficace il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo.

I risultati sono tangibili e, a livello operativo, gli attacchi hanno ottenuto dal 2004 a oggi, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 74 percento dei casi (84 percento nel 2017). Un risultato impressionante considerando le limitate risorse messe in campo dai gruppi, o dai singoli terroristi. E sono danni, quelli provocati dagli attacchi terroristici, che si traducono in costi elevati per la collettività.

un terzo degli attacchi terroristici sono “emulativi”

Un altro aspetto interessante è il ruolo di “attivatore” giocato dagli eventi ad alta intensità che, in relazione al numero di vittime provocato, stimola soggetti autonomi ad agire con atti “EMULATIVI”. Guardando all’elenco degli attacchi ad alta e media intensità (quelli che cioè provocano un maggiore numero di vittime) ci rendiamo subito conto di una concentrazione di eventi a bassa intensità entro gli otto giorni successivi ai principali eventi (quelli che ottengono maggiore attenzione mediatica): il 27percento.

Questi eventi, secondari, spesso fallimentari, raramente ottengono l’attenzione dei media che vada oltre il livello locale ma suggeriscono come il coinvolgimento di soggetti “autonomi” avvenga attraverso lo stimolo emotivo alimentato dall’attenzione mediatica e dalla narrativa utilizzata dai gruppi terroristi attraverso i social.

Questo, in estrema sintesi, può essere letto sul terrorismo in Europa, un fenomeno che, a livello di manifestazione si è significativamente ridotto, ma che sul piano potenziale continua ad essere una grandissima sfida su cui è necessario agire con crescente impegno sul piano della prevenzione. Tanto più che con la morte del leader jihadista, Abu Bakr al-Baghdadi, la struttura multipla dello Stato Islamico gli sopravvive.


L’esperienza italiana nel contrasto al terrorismo: il ruolo e l’evoluzione del C.A.S.A.

di Alessandro Boncio Osservatorio ReaCT

 

 

 

 

Cosa è il C.A.S.A: tra prevenzione e azione

Nel maggio del 2018 quattordici persone vennero arrestate in due diverse operazioni di controterrorismo in Italia. La Guardia di Finanza portò a termine un’indagine su un circuito internazionale di finanziamento hawala che aveva raccolto oltre due milioni di euro, frutto di attività di riciclaggio e destinato a finanziare l’acquisto di armi da fuoco per uso terroristico; nello stesso tempo, l’indagine della Polizia di Stato svelò la presenza di una cellula logistica in Sardegna, responsabile dell’invio del denaro raccolto al gruppo terrorista di Jabhat al-Nusra . Infine, personale sotto copertura, in collaborazione con le agenzie di intelligence riuscì a penetrare entrambe le organizzazioni, raccogliendo informazioni decisive per corroborare le attività investigative .
Questa è solo una delle recenti operazioni antiterrorismo promosse e coordinate dal Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo. Il suo acronimo, C.A.S.A., identifica perfettamente la natura del Comitato, ovvero un luogo di condivisione e approfondimento istituzionale in cui le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence possano analizzare in tempo reale informazioni vitali per il contrasto del terrorismo .
Molte parole sono state spese sul perché – e come – l’Italia rappresenti un’eccezione rispetto agli altri paesi europei, avendo evitato negli ultimi anni attentati terroristici sul proprio territorio. Diversi analisti e ricercatori hanno giustificato questa “peculiarità” evidenziando le differenze sociali e demografiche esistenti tra il nostro paese e le altre nazioni europee.

L’Italia è stata inoltre spesso descritta più come centro logistico per le attività dei jihadisti piuttosto che come obiettivo delle stesse, mentre altri ancora hanno addirittura menzionato il crimine organizzato come barriera contro tale minaccia.

Tuttavia, un aspetto spesso sottovalutato nell’interpretazione dell’efficienza italiana nel contrasto ad una minaccia in costante evoluzione, è il contesto istituzionale che Roma ha istituito per affrontare il problema.

Il C.A.S.A., nel tempo, si è dimostrato particolarmente utile nel rafforzare la sinergia tra tutti gli attori coinvolti nelle attività di controterrorismo, diventando nel contempo un polo fiorente per “istituzionalizzare” la cultura del sistema di sicurezza nazionale originata dalle precedenti esperienze nel contrasto al terrorismo interno e ai gruppi criminali organizzati.

Nei suoi quindici anni di esistenza, il C.A.S.A. è stato più volte elogiato per il suo valore strategico e la sua aderenza alle minacce più attuali; la condivisione in tempo reale di informazioni aggiornate tra tutte le agenzie coinvolte nel contrasto al terrorismo ha permesso all’Autorità Politica di prevenire episodi di violenza e fronteggiare la minaccia terroristica interna ed internazionale .

Lezione appresa: la creazione dei centri di coordinamento

I cosiddetti centri di coordinamento antiterrorismo furono inizialmente introdotti negli Stati Uniti dopo i catastrofici eventi dell’11 settembre 2001 quando l’efficace cooperazione e condivisione delle informazioni divennero argomenti di discussione urgenti negli USA. Gli attentati terroristici compiuti a Madrid (2004) e Londra (2005) fornirono successivamente anche agli europei la consapevolezza del mutato panorama jihadista in ambito internazionale con l’emergere del fenomeno del terrorismo homegrown ; ciò comportò la valutazione delle strutture antiterrorismo esistenti e la creazione dei centri di coordinamento per il contrasto al fenomeno anche nel nostro continente.
Nel novembre del 2003, un attentato suicida contro il contingente militare italiano impiegato ad Al-Nassiriya (Iraq) provocò 28 vittime (19 tra Carabinieri e personale dell’Esercito) oltre al ferimento di altre 58 persone. L’Autorità Politica dell’epoca prese coscienza della necessità di creare una struttura ad hoc per prevenire attacchi terroristici nel paese e all’estero, attraverso la condivisione e l’analisi in tempo reale di tutte le informazioni pertinenti provenienti dagli attori coinvolti nel contrasto al terrorismo.
Nel maggio 2004, dopo un periodo di prova, venne istituito ufficialmente il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo con un decreto del Ministro degli Interni, che disciplina il Piano nazionale per la gestione degli eventi terroristici . Il Comitato è direttamente collegato all’Unità di Crisi Nazionale, altro organismo convocato dal Ministro degli Interni in vista di eventi con implicazioni sulla sicurezza nazionale.

Il mandato giuridico del C.A.S.A. vincola l’intera struttura delle informazioni per la sicurezza italiana a collaborare con il Comitato. Questo è un organo permanente, che riferisce direttamente al Ministro degli Interni, con riunioni tenute su base settimanale in cui si condividono e analizzano le informazioni più attuali associate alla minaccia terroristica sul territorio italiano e contro gli interessi ed assetti del nostro paese all’estero.

Il Ministro dell’Interno può inoltre convocare delle riunioni straordinarie ogniqualvolta lo ritenga opportuno, a causa di eventi in corso o imminenti, ritenuti rilevanti per la sicurezza nazionale .

Le competenze: analisi in tempo reale

La competenza principale del C.A.S.A. è quella di analizzare in tempo reale le informazioni provenienti dalle forze dell’ordine e dalle agenzie di intelligence oltre che dai contributi qualificati forniti da ufficiali di collegamento o nell’ambito di rapporti di cooperazione internazionale.

Durante le riunioni settimanali vengono discusse e valutate le indagini e le attività di monitoraggio in corso, prevedendo i possibili sviluppi futuri e analizzando eventuali provvedimenti da intraprendere. Le segnalazioni ricevute vengono esaminate ogni settimana e le diverse agenzie vengono successivamente incaricate di valutare l’attendibilità delle notizie e l’affidabilità delle fonti informative, arricchendo poi il dato informativo con una analisi di contesto.

Un’altra responsabilità di C.A.S.A è quella di pianificare e coordinare attività per la prevenzione di incidenti terroristici sul suolo italiano, monitorando (tra gli altri) i potenziali hub e gli individui a rischio di radicalizzazione, oltre che la propaganda terroristica sul web.

Un gruppo di lavoro tecnico – composto da rappresentanti del Comitato – stabilisce inoltre le procedure per l’attuazione di iniziative di prevenzione dell’estremismo violento, approvate dal C.A.S.A. e delegate alle Autorità di Polizia sul territorio nazionale .
Il mandato del Comitato lo autorizza ad implementare relazioni bilaterali con altri centri di coordinamento antiterrorismo, anche al di fuori dei confini europei. L’Italia e gli Stati Uniti ad esempio, hanno siglato un accordo di cooperazione per condividere informazioni e monitorare le persone indagate per attività terroristiche; i dati e le informazioni ricevute dal partner USA vengono gestite direttamente dal C.A.S.A., che fornisce alle forze dell’ordine tutti i dati necessari per l’espletamento delle loro attività.

Composizione ed evoluzione del ruolo del C.A.S.A.

Il Comitato è rappresentato da un tavolo operativo condiviso presieduto dal Direttore Centrale della Polizia di Prevenzione o dallo stesso Ministro dell’Interno, e ospita i più alti rappresentanti nel contrasto al terrorismo delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, della Guardia di Finanza e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.).

Talvolta vengono invitati alle riunioni periodiche anche gli ufficiali di collegamento delle polizie di altri paesi, in grado di fornire contributi qualificati all’analisi informativa richiesta. La struttura ridotta e compatta e gli incontri settimanali rendono il C.A.S.A. un organo snello ed adattabile alle contingenze, che opera contemporaneamente sia come strumento di analisi bottom-up che come dispositivo esecutivo top-down.
Relativamente agli attori presenti stabilmente all’interno del Comitato, entrambe le forze dell’ordine italiane (Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato) hanno una giurisdizione generale sulle indagini di controterrorismo, con unità specializzate nazionali, regionali e provinciali a cui l’Autorità Giudiziaria delega le attività investigative di contrasto al terrorismo interno ed internazionale.
Per quanto attiene alle agenzie di intelligence (Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Interna – AISI e Agenzia per le Informazioni e Sicurezza Esterna – AISE), il loro compito principale relativamente alla lotta al terrorismo è quello della raccolta ed analisi informativa (anche in collaborazione con analoghe agenzie estere) fornita alle forze dell’ordine, per dare impulso alle indagini di polizia e valutare le priorità nel contrastare la minaccia.
La Guardia di Finanza, per la sua competenza specialistica viene invece di solito incaricata dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo per lo svolgimento di indagini relative al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo .
Infine, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è responsabile per il monitoraggio e le investigazioni sui detenuti accusati o condannati per reati di terrorismo, così come per i criminali comuni ritenuti a rischio di radicalizzazione violenta .
Fin dalla sua istituzione, il Comitato esamina le segnalazioni ricevute e le indagini in corso per valutare la presenza di minacce terroristiche attuali o potenziali. Nel tempo, tuttavia, le competenze del Comitato si sono evolute e adattate alla mutata minaccia terroristica, così che il C.A.S.A. può essere oggi considerato allo stesso tempo come uno strumento strategico e tattico di prevenzione e contrasto del terrorismo.

A livello strategico il Comitato “analizza e valuta le informazioni rilevanti relative al terrorismo interno e internazionale” in una cornice di cooperazione internazionale, fornendo all’Autorità Politica tutti gli elementi necessari per determinare lo stato della minaccia e dare origine alle direttive esecutive.

In un modello top-down, attraverso il C.A.S.A. viene rispettato il coordinamento nelle attività investigative e vengono discusse le best practices implementate in altri paesi . Inoltre, il livello nazionale di allerta sul terrorismo è fissato dal Ministro dell’Interno sentito il parere del Comitato dopo la sua valutazione complessiva della situazione .
A livello tattico invece, gli incontri settimanali consentono la discussione sulle indagini e sull’attività di intelligence in corso. Le informazioni bottom-up che le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence forniscono relativamente ai soggetti ritenuti a rischio di radicalizzazione violenta, assicurano al Ministro degli Interni i dati per valutare l’adozione di possibili linee d’azione e limitare la minaccia terroristica. Un importante aspetto correlato a questa a questa attività e connesso alla minaccia jihadista, è lo strumento dell’espulsione per ragioni di sicurezza dello Stato, utilizzato anche per prevenire la diffusione di ideologie jihadiste; il livello di radicalizzazione raggiunto dalle persone monitorate viene esaminato durante le riunioni del C.A.S.A. con successiva proposta di decreto di espulsione per le persone ritenute potenzialmente pericolose per la sicurezza nazionale .
Dal 2014 il Comitato redige infine un elenco che comprende i foreign terrorist fighters del nostro paese (cittadini italiani, stranieri residenti in Italia e cittadini italiani residenti all’estero), mappando percorsi da e verso le zone di combattimento, i facilitatori e altre informazioni investigative pertinenti, sempre nell’ottica della cooperazione internazionale di polizia, in considerazione della minaccia transnazionale rappresentata sia dai potenziali foreign terrorist fighters, che dai reduci di ritorno dai teatri di conflitto .
Evidenziando i numeri e le attività del C.A.S.A., nel solo 2017 il Comitato ha tenuto cinquanta riunioni regolari e dieci incontri di emergenza; Sono stati inoltre esaminati 806 argomenti, sono state valutate 420 segnalazioni (warnings) e sono stati emessi 105 decreti di espulsione a seguito di consultazioni in commissione.

Conclusioni: le peculiarità del Comitato

La “nuova” minaccia terroristica è attualmente fluida e transnazionale, rappresentata spesso più da individui che simpatizzano con le ideologie jihadiste piuttosto che da veri e propri affiliati alle compagini terroristiche; è inoltre una minaccia cibernetica, ultramoderna e spesso tangenziale alla criminalità comune. Per contrastare un fenomeno così complesso e sfaccettato, il C.A.S.A. rappresenta lo strumento centrale e più idoneo allo scopo, assicurando una perfetta sinergia tra tutti gli attori coinvolti nella lotta al terrorismo.

Il Comitato rappresenta perfettamente la cultura del sistema di sicurezza nazionale originata dalla pregressa esperienza contro il terrorismo interno e nella lotta alle differenti forme di criminalità organizzata . Il C.A.S.A. si dimostra uno strumento flessibile ed efficiente che, nonostante il suo incardinamento istituzionale, non risulta gravato da pericolose pastoie burocratiche.

Le peculiarità del Comitato, quale struttura strategica e organismo operativo incaricato di analisi investigative e di intelligence, lo rendono a pieno titolo uno strumento duttile ed efficace, caratterizzato dalla rapidità nell’acquisizione, condivisione e verifica delle informazioni; ciò consente il miglioramento dell’analisi operativa e dello scambio di informazioni a livello centrale, per poi riversare il prodotto finale del ciclo di intelligence ai reparti interessati sul territorio. Come ha affermato un ex direttore dell’intelligence italiana, “abbiamo imparato una dura lezione durante gli anni della lotta al terrorismo interno; da ciò abbiamo tratto l’esperienza di quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l’intelligence e le forze dell’ordine “.
A causa del minor numero di eventi legati al terrorismo in Italia, c’è solo una percezione generica del C.A.S.A. nell’opinione pubblica, in quanto il Comitato viene solo saltuariamente menzionato come strumento sinergico di contrasto al terrorismo. Tuttavia, il mondo politico e giudiziario loda la struttura come modello virtuoso e gli stessi analisti di controterrorismo sono ben consapevoli del suo valore intrinseco. Questo breve elaborato voluto evidenziare il ruolo fondamentale della struttura e l’evoluzione della stessa nei suoi 15 anni di esistenza, che riflette la trasformazione del terrorismo anche in Italia. Ciò a conferma dell’immutato impegno della nostra nazione nella prevenzione dei rischi e nel contrasto alla minaccia terroristica, frutto delle lezioni apprese e delle esperienze maturate dall’organizzazione per la sicurezza nazionale .

 

Tutte le informazioni della presente pubblicazione sono state pubblicate su fonti aperte e derivano da ricerche e studi personali dell’autore. La ricerca originale originale è stata utilizzata come contributo per un report pubblicato in lingua inglese dall’International Centre for Counter Terrorism – The Hague; R. van der Veer, W. Bos, L. van der Heide, “Fusion Centres in Six European Countries: Emergence, Roles and Challenges”, International Centre for Counter Terrorism – The Hague, February 4, 2019; quella qui riportata è una versione aggiornata e tradotta in italiano. Le opinioni espresse così come eventuali errori e imprecisioni sono da imputare solamente all’autore.


Frattura radicale

Reportage radiofonico trasmesso dal programma Laser della RSI (Radiotelevisione svizzera di lingua italiana) sul tema del radicalismo islamico e dello jihadismo, con prospettive da Londra.

L’approfondimento si sofferma sui contesti e sui meccanismi che possono contribuire alla svolta radicale, e per ciò che concerne la prevenzione, sulle difficoltà che possono esserci nelle relazioni fra chi si muove sul territorio e le istituzioni inglesi.

ASCOLTA LA PUNTATA:  ‘FRATTURA RADICALE’

Scarica e ascolta il podcast Laser – “Frattura Radicale” RSI Rete 2

A entrare nel merito della scena inglese sono Raffaello Pantucci, direttore degli studi sulla sicurezza internazionale del Royal United Services Institute (RUSI); Douglas Weeks, ricercatore e consulente specializzato nelle dinamiche della radicalizzazione e Hanif Qadir, ex-militante di al-Qaeda e poi fondatore della ONG Active Change Foundation.

Reportage di Chiara Sulmoni.