#ReaCT2022: il 3° Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa. Online il 24 febbraio
Disponibile dal 24 febbraio, in italiano e inglese, su osservatorioreact.it e su startinsight.eu (link diretto): presentazione, in collaborazione con Formiche.net, giovedì 24 febbraio 2022 sul canale web di Formiche.
È disponibile dal 24 febbraio in formato digitale e cartaceo #ReaCT2022 – La Rivista, il 3° Rapporto sul terrorismo e il radicalismo in Europa, che offre al lettore uno studio sulla sua evoluzione, le sue tendenze ed effetti, attraverso un approccio quantitativo, qualitativo e comparativo. Curato dall’Osservatorio ReaCT, il documento è composto da 15 contributi d’analisi su jihadismo e altre forme di estremismo violento che caratterizzano il panorama attuale e che durante la pandemia hanno acquisito ulteriore forza e visibilità, proponendo nel contempo casi studio, prospettive e riflessioni volte a portare un contributo concreto e a intavolare un dialogo continuativo con tutte quelle realtà -accademiche e istituzionali- che si occupano della questione e delle sue problematiche pratiche. #ReaCT2022 vuole essere uno strumento utile messo a disposizione di operatori per la sicurezza, sociali ed istituzionali, di giornalisti, studenti e del più ampio pubblico.
I numeri del terrorismo
jihadista. Come ogni anno, il Rapporto si apre con la fotografia aggiornata del
terrorismo di matrice jihadista in Europa, grazie alle informazioni raccolte
nel database di START InSight, curato da Claudio Bertolotti, direttore
esecutivo di ReaCT. Se la violenza di matrice jihadista può essere considerata
marginale in termini assoluti, rispetto cioè al totale delle azioni portate
avanti da gruppi e militanti di varie ideologie, essa continua ad essere rilevante
sia per le conseguenze, che per il numero di vittime. La minaccia rimane dunque
significativa ed è rappresentata oggi in particolar modo dagli attacchi da
parte di individui che agiscono in modo autonomo, indipendente, spesso senza un
legame diretto con l’organizzazione terroristica ma mobilitati da narrative
jihadiste globali.
Nel
2021 gli eventi jihadisti sono stati 18, in lieve flessione rispetto ai 25
attacchi dell’anno precedente ma con un aumento di azioni di tipo “emulativo”,
ossia ispirate da altri attacchi nei giorni precedenti: dal 48% del totale di azioni
emulative nel 2020 al 56% nel 2021 (erano il 21% nel 2019). Il 2021 ha inoltre
confermato la predominanza delle azioni individuali, non organizzate, in genere
improvvisate e fallimentari che hanno progressivamente sostituito le azioni
strutturate e coordinate caratterizzanti il “campo di battaglia” urbano europeo
negli anni 2015-2017. Il terrorismo si conferma inoltre un fenomeno prevalentemente
maschile: su 207 attentatori (dal 2014), il 97% sono uomini mentre l’età media è
di 26 anni. Di rilievo negli ultimi anni è stato anche il ruolo di recidivi, attentatori
già noti alle forze dell’ordine o con precedenti detentivi. Infine, va
ricordato che anche quando fallimentare, un attacco terroristico ottiene un
risultato favorevole che consiste nell’imporre costi economici e sociali alla
collettività e nel condizionarne i comportamenti nel tempo. La limitazione
della libertà dei cittadini è un risultato misurabile, che il terrorismo
ottiene attraverso le proprie azioni: questo è il “blocco funzionale”, ottenuto
nell’82% dei casi: un risultato che conferma il vantaggioso rapporto
costo-beneficio a favore del terrorismo.
Estremismi violenti, radicalizzazione e casi
studio. I contenuti del Rapporto. I contenuti complessivi del Rapporto 2022 spaziano
dalla presentazione dei numeri e profili dei terroristi jihadisti in Europa, alla
discussione sul Nuovo Terrorismo Insurrezionale (NIT), che trae ulteriore
vigore e motivazione anche dal ritorno dei Talebani in Afghanistan; dall’esame
del contesto sub-sahariano, dove operano organizzazioni jihadiste caratterizzate
da una retorica globalista ma che restano profondamente connesse a dinamiche locali,
all’impegno europeo nella prevenzione del radicalismo violento nei Balcani
Occidentali; dai processi per terrorismo di cui si è occupato il Tribunale
Penale Federale in Svizzera dal 2001 ad oggi, alle dinamiche delle comunità
jihadiste online; dai nuovi orizzonti della radicalizzazione, che si sono
allargati ulteriormente durante la pandemia e richiedono che si presti
maggiore attenzione alle dinamiche di
gruppo e ai problemi sociali collegati alla violenza; ai focus sull’estrema
destra, l’anti-semitismo di ritorno, il cospirazionismo, il movimento NoVax; fino
ai casi studio sul reinserimento sociale dei minori radicalizzati e la
deradicalizzazione nel contesto neo-nazista, che mettono in evidenza anche
l’approccio e il lavoro portato avanti
dalle autorità italiane. Infine, il documento include considerazioni riguardo l’aggiornamento
dei Terrorism Risk Assessment Instruments (TRA-I), che
sono sviluppati con lo scopo di poter meglio valutare la minaccia rappresentata
dai processi di radicalizzazione e dalle attività ad essi affini; riflessioni
sugli scenari delle guerre future; la recensione del volume “Understanding radicalisation,
terrorism and de-radicalisation. Historical, socio-political
and educational perspectives from Algeria, Azerbaijan and Italy”.
ReaCT
nasce su iniziativa di una ‘squadra’ composta da esperti e professionisti della
società svizzera di ricerca e produzione editoriale START InSight di Lugano, del Centro di ricerca ITSTIME dell’Università Cattolica di Milano, del Centro di Ricerca CEMAS dell’Università La Sapienza e della SIOI sempre a Roma. A ReaCT hanno anche aderito come partner Europa Atlantica e il Gruppo Italiano Studio Terrorismo (GRIST).
L’Osservatorio ReaCT è composto da una Direzione, un
Comitato Scientifico di indirizzo ed editoriale, un Comitato Parlamentare e un
Gruppo di lavoro permanente.
2001-2021: Vent’anni di guerra al terrore. Il nuovo libro
Geopolitica e sicurezza: l’Occidente e il terrorismo jihadista dall’11 settembre a oggi
START InSight ed Europa Atlantica hanno il piacere di annunciare l’uscita dell’ultimo libro collettaneo “2001-2021: Vent’anni di guerra al terrore. geopolitica e sicurezza: l’Occidente e il terrorismo jihadista dall’11 settembre a oggi“. Curato da Enrico Casini e Andrea Manciulli, con la prefazione di Marco Minniti.
24 contributi scritti dai principali esperti del settore a livello nazionale e internazionale: Enrico Casini, Andrea Manciulli, Niccolò Petrelli, Elio Calcagno, Alessandro Marrone, Matteo Bressan, Francesco Conti, Claudio Bertolotti, Chiara Sulmoni, Anna Maria Cossiga, Ciro Sbailò, David Simoni, Marco Tesei, Alessia Melcangi, Arturo Varvelli, Andrea Plebani, A. Roberta La Fortezza, Paolo Salvatori, Arije Antinori, Fabio Indeo, Beniamino Franceschini, Lorenzo Vidino.
con la prefazione di Marco Minniti
Venti anni dopo i drammatici attacchi terroristici a New York e Washington, e dopo l’inizio della guerra globale al terrore con l’avvio dell’intervento in Afghanistan, cosa è cambiato nel mondo e nel sistema internazionale? Quanto questi eventi hanno contribuito ad accelerare processi di cambiamento in atto a livello geopolitico, economico, sociale? Come è cambiato il terrorismo jihadista, le sue organizzazioni principali e come sono evolute le strategie di contrasto e di repressione messe in atto dai paesi occidentali?
A queste e ad altre domande cerca di rispondere la presente raccolta di analisi e di opinioni diverse, curata da Enrico Casini e Andrea Manciulli, Direttore e Presidente di Europa Atlantica, realizzata nell’anno del ventennale degli attacchi dell’11 settembre 2001 e dell’inizio della guerra al terrore a cui hanno contribuito alcuni dei massimi esperti italiani su questi temi.
Titolo: 2001-2021 vent’anni di guerra al terrore. Geopolitica e sicurezza: l’Occidente e il terrorismo jihadista dall’11 settembre a oggi Autore: AA.VV. a cura di Enrico Casini e Andrea Manciulli Pubblicazione: Saggio collettaneo/Analisi Collana: InSight Formato: 14×21, brossura, 270 pagine Editore: START InSight in collaborazione con Europa Atlantica Anno di edizione: 2022 Distribuzione: gratuita formato Pdf Distribuzione hard copy: Attualmente esaurita/non disponibile
Terrorismo: Bertolotti (Ispi), ‘oggi è post-Isis ed è in ascesa’ (ADNKRONOS)
Blinken a Roma, via al vertice anti Isis: il commento di C. Bertolotti
L’esperto: “Più pericoloso, Mediterraneo allargato è area calda”
“Oggi il terrorismo è post-Isis, molto più pericoloso”, perché “meno facile da monitorare, e dunque da contrastare”, un “fenomeno sociale sempre in ascesa, le cui capacità crescono”, in un periodo storico in cui “l’area calda” è il “Mediterraneo allargato”. Parte da queste premesse Claudio Bertolotti, esperto di Medio Oriente e Nord Africa, radicalizzazione e terrorismo dell’Ispi, nonché direttore di Start InSight, nel giorno della ministeriale plenaria della Coalizione globale anti-Isis co-presieduta a Roma dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken.
“Lo Stato islamico – evidenzia Bertolotti in un’intervista all’Adnkronos – ha rinunciato alla propria natura territoriale ben prima che la coalizione anti-terrorismo ne decretasse la sconfitta militare”. “Nel 2014 – osserva – l’allora autoproclamato ‘califfo’, Abu Bakr-al Baghdadi annunciò da Mosul la costituzione dello ‘Stato islamico’, una realtà anazionale, globale”. Secondo vari studiosi l’Isis era nato come reazione alle operazioni americane avviate in Iraq nel 2003 e a una politica considerata filo-sciita con le popolazioni sunnite che si sentivano marginalizzate. Secondo Bertolotti, che è anche direttore esecutivo dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT), “chiamarlo ancora Isis o Daesh dimostra che si sta per avviare questa nuova fase della guerra al terrore con una chiave di lettura superata”, dunque “non adeguata”.
E oggi “l’area calda” è quella del “Mediterraneo allargato”, con un “legame stretto tra criminalità organizzata e organizzazioni terroristiche”. Bertolotti parla di “traffico di droga, armi” e del “ricco business dell’immigrazione irregolare che di fatto alimentano un’economia parallela, spesso superiore all’economia degli Stati che attraversano”. Il pensiero va alle “aree dell’Africa sub-sahariana”, a quelle “periferiche dei Paesi del Nord Africa”, alla “Libia, in particolare”.
‘Ideologia Stato islamico non intaccata, si consolida dall’Afghanistan all’Africa’
E’
indispensabile, sottolinea, “contrastare questi traffici illeciti” per
“contribuire a indebolire la criminalità che li gestisce e le
organizzazioni terroristiche che hanno il controllo di alcune aree e vie
di comunicazione” e che “grazie ai proventi illeciti riescono ad
acquisire sempre più consenso da parte delle popolazioni locali”.
Persone che a queste organizzazioni e a questi gruppi “si affidano per
la propria sopravvivenza”.
In questi anni,
prosegue nella sua analisi, “la coalizione anti-terrorismo ha abbattuto
lo Stato islamico nella sua natura territoriale”, ma “non ne ha
minimamente intaccato l’ideologia, la sua capacità di penetrazione
sociale” e, in particolare, “la spinta all’emulazione”. Questo “porta,
da un lato singoli soggetti ad agire spesso in maniera improvvisata, in
nome del gruppo”, dice, con il pensiero rivolto all’Europa, e
“dall’altro a costituire forme opposizione armata strutturata laddove
gli Stati sono più deboli o assenti”, e si parla quindi di “fenomeno
insurrezionale” e “guerriglia”. Dall’Afghanistan al Sahel.
Non solo. “Lo Stato islamico – prosegue – non è stato cacciato dall’Iraq e dalla Siria, dove è nato e ha radici molto profonde nelle realtà sunnite periferiche e rurali, spesso marginalizzate dai governi nazionali”. Di qui l’allarme: “Oggi si sta consolidando sempre più in Paesi in crisi e aree di crisi, dall’Afghanistan all’Iraq, all’Africa”. Alla ministeriale della Coalizione anti-Isis, “con il sostegno degli Stati Uniti”, l’Italia – ha detto Di Maio – ha proposto la creazione di un “gruppo di lavoro specifico” per l’Africa e ha assicurato che “farà la propria parte” per la stabilità del continente e del Sahel, definito una “preoccupazione”.
‘Azione militare da sola non basta, cambiare approcci del passato’
Secondo Bertolotti, ad oggi “non abbiamo fatto abbastanza in termini di contrasto al terrorismo, inteso come impegno sociale, politico ed economico” per affrontare “le ragioni primarie del malcontento che porta all’adesione al terrorismo”. E, rileva, “difficilmente si potrà fare di più adottando i medesimi approcci utilizzati finora dove a un preponderante impegno in termini militari non corrisponde un pari impegno nella ricostruzione e nell’assistenza”.
Perché,
ripete, “se è vero che la lotta al terrorismo passa anche attraverso
un’azione militare incisiva, questa da sola non basta” e “l’aiuto alla
popolazione e alle istituzioni locali necessita di sostegno concreto
all’economia locale, di progetti infrastrutturali, di accesso al libero
mercato”. Il sostegno “militare deve essere un contorno efficace a tutto
questo, deve agevolare lo sviluppo economico e sociale, garantito dalla
sicurezza”, prosegue Bertolotti, che ricorda “l’infelice ritirata
statunitense del 2012 che aprì le porte al consolidamento di al-Qaeda”
nel Paese arabo “e alla successiva espansione dello Stato islamico a
livello regionale e poi globale”.
Per l’esperto, “si sta ripetendo quanto in parte già fatto in passato“. Dall’Iraq all’Afghanistan, dall’Afghanistan all’Iraq, “dove – afferma – lo Stato islamico si è rafforzato proprio dopo, e in conseguenza, del disimpegno militare della Coalizione”. Eppure, rileva, “il ritiro dall’Afghanistan”, cominciato a inizio maggio, è partito “con le stesse dinamiche e difficoltà con cui si lasciò l’Iraq”, dove l’Italia – come ha annunciato oggi Di Maio – manterrà un “significativo contingente militare” a supporto della popolazione e delle istituzioni locali. In Iraq, ricorda Bertolotti, “lo Stato islamico conquistò città intere, disarmò reparti interi dell’esercito nazionale e si impossessò dei carri armati e delle armi che gli Stati Uniti avevano lasciato alle forze armate nazionali”, mentre in Afghanistan oggi “i Talebani stanno facendo esattamente la stessa cosa”. “In pochi mesi – conclude – potrebbero decretare il collasso delle forze armate afghane e la caduta dello stesso governo di Kabul”.
Audizione su fenomeni di estremismo violento di matrice jihadista. Commissione parlamentare – Affari Costituzionali
COMMISSIONE PARLAMENTARE 1 – AFFARI COSTITUZIONALI: AUDIZIONE DI CLAUDIO BERTOLOTTI, DIRETTORE DI START INSIGHT
Alle ore 14 del 28 aprile 2021 la Commissione Affari costituzionali, nell’ambito dell’esame congiunto della proposta di legge recante “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista”, e della proposta di legge recante “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di estremismo violento o terroristico e di radicalizzazione di matrice jihadista”, ha svolto, in videoconferenza, l’audizione di Claudio Bertolotti, Direttore di START InSight e delll’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT).
TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO
Presidente, Signore/i Onorevoli buon pomeriggio e grazie per questo invito
Seguo da tempo il dibattito su una legge per la prevenzione e il contrasto del terrorismo ideologico, e posso dire di aver ben analizzato e sostenuto la necessità dei testi di legge oggi in discussione:
Sulla base della mia esperienza, confermo, come già fatto in altre sedi, l’opportunità di proseguire nella direzione intrapresa dal Parlamento in tema di prevenzione e contrasto ritenendo quelle fatte, proposte coerenti con quello che è l’attuale quadro relativo al fenomeno della radicalizzazione, della manifestazione violenta di matrice jihadista e del terrorismo di matrice ideologica in senso più ampio.
E lo faccio focalizzando il mio contributo di pensiero sui numeri del terrorismo europeo:
Dei quasi 500 attacchi terroristici, compresi quelli falliti e sventati, registrati nell’Unione Europea il 63% sono attribuiti a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 16% a movimenti della sinistra radicale (in aumento, in particolare in Italia, paese più colpito), il 2,8% a gruppi di estrema destra (in diminuzione nel 2019; in aumento nel 2020), il 18% sono azioni di matrice jihadista. Sebbene gli atti riconducibili al jihadismo siano una parte marginale, sono però causa di tutte le morti per terrorismo nel 2019 e di 16 uccisioni nel 2020.
L’onda lunga del terrorismo in Europa, emerso con il fenomeno “Stato islamico” a partire dal 2014, ha fatto registrare 147 azioni in nome del jihad dal 2014 ad oggi: 189 i terroristi che vi hanno preso parte (59 morti in azione), 407 le vittime decedute e 2.421 i feriti (database START InSight).
Nel 2020 gli eventi sono stati 25, contro i 19 dell’anno precedente e con un raddoppio di azioni di tipo “emulativo”, ossia ispirate da altri precedenti attacchi nei giorni precedenti: sono il 48% del totale le azioni emulative nel 2020 (erano il 21% l’anno precedente). E ciò evidenzia il rischio di “reazioni a catena” che possono conseguire dalla condotta di singole azioni terroristiche.
Due gli aspetti rilevanti emersi dall’analisi dell’ultimo quadriennio:
1. Cresce il numero di terroristi recidivi – soggetti già condannati per terrorismo che compiono azioni violente a fine pena detentiva e, in alcuni casi, in carcere: dal 3% del totale dei terroristi nel 2018, al 7% (2) nel 2019, al 27% (6) nel 2020. Ciò conferma la pericolosità sociale di soggetti che, a fronte di una condanna detentiva, non abbandonano l’intento violento ma lo posticipano; un’evidenza che suggerisce l’aumento della probabilità di azioni terroristiche nei prossimi anni, in concomitanza con la fine della pena dei molti terroristi attualmente detenuti.
2. A fronte di una partecipazione al terrorismo di soggetti nati e cresciuti in Europa (prime e seconde generazioni e comunque immigrati regolari) del periodo 2014-2018, è stato verificato l’aumento del numero di immigrati irregolari tra i terroristi con ciò suggerendo un rischio potenziale di collegamento tra il terrorismo e l’aumento dei migranti irregolari. Nel 2020 il 20% dei terroristi sono immigrati irregolari. In Francia è aumentato il ruolo degli irregolari nella condotta di azioni terroristiche: se fino al 2017 nessuno degli attacchi era stato condotto da immigrati irregolari, nel 2020 il 40% dei terroristi è un irregolare.
Infine, una considerazione sulla minaccia emergente del terrorismo associato a gruppi di estrema destra e cospirazionisti:
La violenza ideologica associata alla destra radicale è un fenomeno che sta fermentando da tempo e che negli ultimi anni si è manifestato in maniera concreta, come dimostrano i fatti di Capitol Hill negli Stati Uniti e gli eventi secondari associati al movimento QANon che si sono imposti in molti paesi europei, compresa l’Italia. Ad oggi gli attacchi terroristici associati all’estrema destra rappresentano meno del 3% del totale ma con un aumento progressivo registrato negli ultimi due anni.
QAnon desta serie preoccupazioni tra gli analisti per la velocità con la quale si diffonde. Inoltre, come evidenziato dal Prof. Andrea Molle nelle sue analisi sul fenomeno, esso ha già mostrato negli Stati Uniti il potenziale per azioni di stampo terroristico. Si consiglia pertanto un monitoraggio dei social media associati a tale movimento in Italia e di stabilire una rete di collaborazioni con istituzioni pubbliche e private che già si occupano di questo fenomeno in Europa come negli Stati Uniti.
Insieme agli analisti dell’Osservatorio che dirigo, rimango a vostra disposizione.
fonte sito web della Camera dei Deputati – Parlamento Italiano
#ReaCT2021 – Introduzione del Direttore: i terrorismi all’epoca del Covid-19
Il rapporto, che offre una sintetica analisi sull’evoluzione delle ideologie radicali e della minaccia terroristica in linea con la direttiva dell’Unione Europea 2017/541 sul contrasto al terrorismo, si inserisce nel dibattito generale come utile contributo all’armonizzazione delle divergenze presenti tra gli Stati membri dell’UE in merito a ciò che debba essere riconosciuto e gestito come un “atto di terrorismo”.
L’Osservatorio ReaCT, prevalentemente concentrato sul fenomeno di matrice jihadista, non manca di studiare e analizzare le altre forme di terrorismo, di radicalizzazione ideologica e di devianza sociale violenta, così come le nuove “teorie cospirazioniste” che potrebbero sfociare in forme di violenta opposizione.
#ReaCT2021 raccoglie i contributi degli Autori che hanno sviluppato le loro valutazioni tenendo conto dei riflessi delle dinamiche sociali e conflittuali legate alla pandemia da Covid-19.
E proprio la pandemia sembrava aver messo il terrorismo in secondo piano quando, improvvisamente, l’ottobre del 2020 ha riproposto una minaccia che “sembrava” essere superata: tra i primi giorni di settembre e l’inizio di novembre si è dipanata una catena di eventi che ha evidenziato con chiarezza uno scenario drammatico e articolato. Sessanta giorni di paura che ci dicono che il terrorismo è ormai un fenomeno “normale” piuttosto che “eccezionale”, quale strumento del conflitto in corso e perdurante.
L’evoluzione del terrorismo jihadista europeo all’alba del 2021
Nel 2019 Europol ha registrato 119 tra attacchi di successo, sventati o fallimentari: di questi 56 sono attribuiti a gruppi etno-nazionalisti e separatisti, 26 a gruppi di estrema sinistra radicale e anarco-insurrezionalisti, 6 a gruppi di estrema destra; 24 sono quelli di natura jihadista, di cui 3 di successo e 4 fallimentari. Il database START InSight ha identificato invece 19 azioni terroristiche e azioni di violenza di matrice jihadista portate a termine nello stesso anno (contro le 7 di Europol), mentre il 2020 si è chiuso con 25 eventi.
Nel 2019 tutte le vittime di terrorismo in Europa sono il risultato di attacchi jihadisti: secondo i dati di Europol sarebbero 10 i morti e 26 i feriti (1 ferito in seguito a un attacco attribuito a gruppi di estrema destra). START InSight rivela un numero superiore di feriti, che sono 48, prevalentemente vittime di attacchi secondari ed emulativi. Nel 2020 vi è stato un significativo aumento di morti rispetto all’anno precedente: 16 persone uccise e 55 ferite.
L’onda lunga del terrorismo associato al fenomeno “Stato islamico”, ha fatto registrare 146 azioni dal 2014 al 2020: 188 i terroristi che vi hanno preso parte (59 morti in azione), 406 le vittime decedute e 2.421 i feriti (START InSight). Nel 2020 sono aumentati i terroristi recidivi: quasi tre terroristi su dieci. Così come sono aumentati i terroristi già noti all’intelligence (54% del totale nel 2020) e quelli con precedenti penali.
È stato verificato, inoltre, l’aumento del rischio potenziale di terrorismo con l’aumento dei migranti irregolari. Nel 2020 il 20% dei terroristi sono immigrati irregolari. In Francia è aumentato il ruolo degli irregolari nella condotta di azioni terroristiche: se fino al 2017 nessuno degli attacchi era stato condotto da immigrati irregolari, nel 2020 il 40% dei terroristi è un irregolare.
La propaganda terroristica online dello Stato Islamico e di al-Qa’ida durante l’emergenza Covid-19.
Le molteplici attività di propaganda svolte durante l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, e soprattutto gli attentati di Parigi, Nizza e Vienna, hanno ricordato quanto il terrorismo associato allo Stato islamico e ad al-Qa’ida sia attivo anzitutto attraverso Internet. In particolare, lo Stato Islamico ha confermato una narrazione aggressiva, identificando il Coronavirus come un “soldato di Allah”. Un alleato capace di offrire un’opportunità per colpire gli infedeli, in particolar modo i militari e le Forze di polizia a supporto dell’emergenza sanitaria.
Il concetto e l’importanza della prevenzione e del contrasto
Prevenzione e contrasto all’estremismo violento (PVE/CVE) sono oggi una parte integrante dell’architettura globale anti-terrorismo, ma per essere efficaci e avere una continuità, è necessario un dialogo costante fra ricercatori, operatori sul territorio, forze dell’ordine e legislatori che includa anche una discussione su priorità e aspettative. Misurare i risultati di queste attività rimane un esercizio complesso ma numerosi think tank europei si stanno occupando dell’argomento.
Il contrasto alla radicalizzazione e al terrorismo attraverso il diritto penale
Per sua stessa natura, il diritto penale antiterrorismo non incide sulle cause della radicalizzazione e del terrorismo. Il ricorso a un diritto penale onnicomprensivo e sproporzionato può anzi produrre effetti collaterali criminogeni. Inoltre, le modalità di esecuzione della pena carceraria prevalenti avrebbero dimostrato la loro inadeguatezza, evidenziando come la radicalizzazione debba essere affrontata come un processo reversibile.
La minaccia terroristica nel Regno Unito: è sempre più difficile identificare, definire, arrestare e condannare
Un esempio di difficoltà nel coordinamento tra attività investigativa, giudiziaria e preventiva è il caso britannico. La complessità della minaccia terroristica con cui si confronta la Gran Bretagna è stata recentemente messa in evidenza da alcuni casi giudiziari che hanno reso vani gli sforzi delle forze di sicurezza e intelligence. Gli eventi terroristici più recenti sono totalmente scollegati dai network terroristici, pianificano azioni talmente casuali e gli strumenti utilizzati dal terrorismo sono così banali che è diventato quasi impossibile riuscire a proteggersi totalmente dalla minaccia. Ciò sta producendo una nuova generazione di radicalizzati che le autorità hanno difficoltà a identificare, definire, arrestare e condannare.
Uno sguardo alle porte dell’Europa: i Balcani
L’attacco terroristico a Vienna, del 2 novembre 2020, ha riportato l’attenzione sulla presenza dello Stato islamico in Europa e i possibili legami nei Balcani, dove sono da tempo presenti soggetti jihadisti, tanto da poter guardare all’area come a un potenziale hub logistico per il jihadismo europeo.
Il Kosovo, piccola nazione dei Balcani occidentali, è uno dei paesi dell’area ad aver fornito il maggior numero di foreign fighter allo Stato islamico. Il Kosovo, nell’aprile del 2019, ha rimpatriato dalla Siria 110 connazionali, divenendo uno dei pochi paesi ad aver rimpatriato propri cittadini ex membri dello Stato Islamico ma lasciando aperta la questione del reinserimento degli ex combattenti terroristi.
Gli altri terrorismi: estrema destra, sinistra radicale e il nuovo fenomeno QAnon ai tempi della pandemia
La pandemia da Covid-19 ha avuto effetti rilevanti anche sulle strategie e le metodologie relazionali e comunicative tipiche sia degli ambienti di estrema destra ed estrema sinistra.
L’estremismo violento di destra si sta evolvendo verso una dimensione transnazionale, mentre sviluppa una preoccupante relazione simbiotica e una stretta interdipendenza con l’estremismo di matrice islamista. La relazione tra i due fenomeni, che si rafforzano vicendevolmente, rappresenta una nuova minaccia per la sicurezza Europea.
Una minaccia per la democrazia è rappresentata, inoltre, dal fenomeno emergente denominato QAnon: il movimento cospirazionista diffuso in più di 70 paesi che presenta un elevato rischio di radicalizzazione in Europa e che, per questo, necessita di un attento monitoraggio al fine di prevenire il rischio potenziale di azioni violente di stampo terroristico.
Grazie a tutti gli Autori che hanno contribuito alla realizzazione di #ReaCT2021. Un ringraziamento speciale va ai due co-editori che hanno contribuito alla realizzazione e alla pubblicazione di #ReaCT2021: Chiara Sulmoni, Presidente di START InSight, e Flavia Giacobbe, Direttore responsabile di Formiche e Airpress.
Unione della sicurezza: un programma di lotta al terrorismo e un Europol più forte per potenziare la resilienza dell’UE
Bruxelles, 9 dicembre 2020: la Commissione ha presentato un nuovo programma di lotta al terrorismo affinché l’UE intensifichi la lotta contro il terrorismo e l’estremismo violento e diventi più resiliente nei confronti delle minacce terroristiche. Sulla base del lavoro svolto negli ultimi anni, il programma intende aiutare gli Stati membri a prevedere e prevenire meglio la minaccia terroristica e a proteggersi e reagire più efficacemente. Europol, l’agenzia dell’UE per la cooperazione nell’attività di contrasto, fornirà un migliore sostegno operativo alle indagini degli Stati membri in virtù del nuovo mandato proposto il 9 dicembre.
Un nuovo programma di lotta al terrorismo: prevedere, prevenire, proteggersi e reagire
Margaritis Schinas, Vicepresidente per la Promozione dello stile di vita europeo, ha dichiarato: “La nostra protezione più forte contro la minaccia terroristica risiede nelle fondamenta della nostra Unione, inclusive e basate sui diritti. Costruendo società inclusive in cui ciascuno possa trovare il suo posto, riduciamo l’attrattiva delle argomentazioni estremiste. Allo stesso tempo, lo stile di vita europeo non può essere messo in discussione: dobbiamo fare tutto il possibile per impedire a chi lo desidera di cancellarlo. Con il programma di lotta al terrorismo presentato oggi, investiamo nella resilienza delle nostre società combattendo più efficacemente la radicalizzazione e proteggendo gli spazi pubblici dagli attentati tramite misure mirate”.
Ylva Johansson, Commissario per gli Affari interni, ha dichiarato: “Il programma di lotta al terrorismo presentato oggi potenzia la capacità degli esperti di prevedere nuove minacce, aiuta lecomunità locali a impedire la radicalizzazione, dota le città dei mezzi per proteggere gli spazi pubblici con una valida progettazione e garantisce che possiamo reagire rapidamente e più efficacemente agli attacchi commessi e tentati. Proponiamo inoltre di dotare Europol dei mezzi moderni necessari persostenere i paesi dell’UE nelle loro indagini“.
Misure per prevedere, prevenire, proteggere e reagire
La recente ondata di attentati perpetrati sul suolo europeo ci ha bruscamente ricordato che ilterrorismo rimane un pericolo reale ed attuale. Con l’evolvere di questa minaccia, deve evolvereanche la nostra cooperazione diretta a contrastarla. Il programma di lotta al terrorismo si prefigge i seguenti obiettivi:
Individuare le vulnerabilità e sviluppare la capacità di prevedere le minacce
Per prevedere meglio le minacce e individuare potenziali punti deboli, gli Stati membri accertarsi cheil Centro di situazione e di intelligence (ITCEN) possa contare su contributi di alta qualità al fine di aumentare la nostra conoscenza situazionale. Nell’ambito della sua imminente proposta sulla resilienza delle infrastrutture critiche, la Commissione organizzerà missioni consultive per aiutare gli Stati membri a svolgere valutazioni del rischio, basandosi sull’esperienza di un gruppo di consulenti UE sulla sicurezza protettiva. La ricerca in materia di sicurezza contribuirà a migliorare l’individuazione precoce delle nuove minacce, mentre gli investimenti nelle nuove tecnologie manterranno all’avanguardia la reazione dell’Europa al terrorismo.
Prevenire gli attentati combattendo la radicalizzazione
Per contrastare la diffusione delle ideologie estremiste online è importante che il Parlamento europeo e il Consiglio adottino con urgenza le norme sulla rimozione dei contenuti terroristici online. La Commissione sosterrà poi la loro applicazione. Il Forum dell’UE su Internet elaborerà linee guida sulla moderazione dei contenuti disponibili al pubblico per i materiali estremisti online. Promuovere l’inclusione e offrire opportunità tramite l’istruzione, la cultura, lo sport e le misure per i giovani può contribuire a rendere le società più coese e prevenire la radicalizzazione. Il piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione aiuterà a sviluppare la resilienza delle comunità. Il programma si prefigge inoltre di rafforzare l’azione preventiva nelle carceri, con particolare attenzione alla riabilitazione e al reinserimento dei detenuti con idee radicali, anche dopo il loro rilascio. Per diffondere conoscenze e competenze sulla prevenzione della radicalizzazione, la Commissione proporrà la creazione di un polo di conoscenze dell’UE che riunisca responsabili politici, operatori e ricercatori. Consapevole dei problemi specifici relativi ai combattenti terroristi stranieri e ai loro familiari, la Commissione favorirà la formazione e la condivisione delle conoscenze per aiutare gli Stati membri agestire il loro rimpatrio.
Promuovere la sicurezza fin dalla progettazione e ridurre le vulnerabilità per proteggere le città e la popolazione
Molti dei recenti attentati perpetrati nell’UE sono stati commessi in luoghi densamente popolati o di elevato contenuto simbolico. L’UE intensificherà l’impegno per garantire la protezione fisica degli spazi pubblici, compresi i luoghi di culto, mediante la sicurezza fin dalla progettazione. La Commissione proporrà di raccogliere le città intorno a un impegno dell’UE sulla sicurezza e la resilienza urbane e metterà a disposizione finanziamenti per aiutarle a ridurre le vulnerabilità degli spazi pubblici. La Commissione proporrà inoltre misure volte a rendere più resilienti le infrastrutture critiche, quali nodi di trasporto, centrali elettriche od ospedali. Per potenziare la sicurezza aerea, la Commissione esplorerà le opzioni per un quadro giuridico europeo che permetta la presenza di agenti di sicurezza sugli aerei. Tutti coloro che entrano nell’UE, che siano o meno cittadini dell’UE, devono essere controllati consultando le banche dati pertinenti. La Commissione aiuterà gli Stati membri a predisporre tali verifiche sistematiche alle frontiere. La Commissione proporrà inoltre un sistema per impedire, colmando una lacuna esistente, che una persona a cui è stata negata l’autorizzazione ad acquisire un’arma da fuoco per motivi di sicurezza in uno Stato membro possa presentare una richiesta analoga in un altro Stato membro.
Rafforzare il sostegno operativo, l’azione penale e i diritti delle vittime per reagire meglio agli attentati
La cooperazione di polizia e lo scambio di informazioni nell’UE sono cruciali per reagire efficacemente agli attentati e consegnare i responsabili alla giustizia. Nel 2021 la Commissione proporrà un codice di cooperazione di polizia dell’UE per rafforzare la cooperazione tra le autoritàdi contrasto, anche nella lotta contro il terrorismo. Una parte sostanziale delle indagini sulla criminalità e sul terrorismo comporta informazioni cifrate. La Commissione collaborerà con gli Stati membri per individuare le possibili soluzioni giuridiche, operative e tecniche per l’accesso legittimo e promuoverà un approccio che mantenga l’efficacia della cifratura nella protezione della privacy e della sicurezza delle comunicazioni, permettendo al contempo una valida risposta alla criminalità e al terrorismo. Al fine di favorire meglio le indagini e l’azione penale, la Commissione proporrà di creare una rete di investigatori finanziari antiterrorismo, comprendente Europol, per contribuire a seguire le tracce del denaro e identificarele persone coinvolte. La Commissione, inoltre, aiuterà ulteriormente gli Stati membri a usare le informazioni raccolte sul campo di battaglia per identificare, scoprire e perseguire i combattenti terroristi stranieri di ritorno. La Commissione lavorerà per rafforzare la protezione delle vittime degli atti terroristici, anche per aumentare l’accesso al risarcimento. L’attività volta a prevedere, prevenire, proteggere e reagire al terrorismo coinvolgerà i paesi partner, nel vicinato dell’UE e nel resto del mondo, e si baserà su una collaborazione più intensa con le organizzazioni internazionali. La Commissione e l’Alto rappresentante/Vicepresidente rafforzeranno, ove opportuno, la cooperazione con i partner dei Balcani occidentali nel settore dellearmi da fuoco, negozieranno accordi internazionali con i paesi del vicinato meridionale per lo scambio di dati personali con Europol, e intensificheranno la cooperazione strategica e operativa con altre regioni come il Sahel, il Corno d’Africa, altri paesi africani e le principali regioni dell’Asia. La Commissione nominerà un coordinatore antiterrorismo incaricato di coordinare la politica e i finanziamenti dell’UE nel settore della lotta al terrorismo nell’ambito della Commissione stessa, e in stretta cooperazione con gli Stati membri e il Parlamento europeo.
Un mandato più forte per Europol
La Commissione propone oggi di rafforzare il mandato di Europol, l’agenzia dell’UE per la cooperazione nell’attività di contrasto. Dato che i terroristi abusano spesso di servizi offerti da imprese private per reclutare seguaci, pianificare attentati e diffondere propaganda che inciti a nuovi attacchi, il mandato riveduto aiuterà Europol a cooperare efficacemente con soggetti privati e trasmettere le prove agli Stati membri. Ad esempio, Europol potrà agire come punto focale qualora non sia chiaro quale Stato membro abbia la competenza giurisdizionale. Il nuovo mandato permetterà inoltre a Europol di trattare serie di dati ampie e complesse, di cooperare meglio con la Procura europea e con paesi terzi e di contribuire a sviluppare nuove tecnologie che soddisfino le esigenze delle autorità di contrasto. Rafforzerà altresì il quadro di Europolper la protezione dei dati e il controllo parlamentare.
Contesto
Il programma odierno fa seguito alla strategia dell’UE sull’Unione della sicurezza per il periodo 2020-2025, nella quale la Commissione si è impegnata a concentrarsi sui settori prioritari in cui l’UE può apportare un valore aggiunto per aiutare gli Stati membri a rafforzare la sicurezza di tutti coloro che vivono in Europa. Il programma di lotta al terrorismo si basa sulle misure già adottate per sottrarre ai terroristi i mezzi per commettere attentati e rafforzare la resilienza nei confronti delle minacce terroristiche, tra cui le norme dell’UE sulla lotta contro il terrorismo e il finanziamento del terrorismo e sull’accesso alle armida fuoco.
Nel pomeriggio di martedì 24 novembre in un centro commerciale di Lugano una donna svizzera di 28 anni si è avventata su due clienti, afferrandone una al collo e ferendo l’altra gravemente, sempre al collo, con un coltello apparentemente prelevato poco prima nel reparto ‘casalinghi’. Secondo una testimonianza riportata dalla stampa, l’assalitrice, arrestata dopo essere stata bloccata da altre due persone presenti sulla scena, avrebbe urlato “sono dell’ISIS”. In seguito la Polizia Federale confermerà che la persona fermata era nota alle autorità già dal 2017, quando era apparsa in un’indagine collegata al jihadismo.
Il Ministero pubblico della Confederazione ha aperto un’inchiesta per Violazione della legge federale che proibisce i gruppi Al-Qaida e ISIS. È in seguito emerso come l’autrice, convertita all’Islam, fosse stata intercettata anche dai servizi di sicurezza di altri paesi europei.
START InSight: tra i jihadisti che hanno colpito in Europa fra il 2004 e il 2020, le donne sono il 4%
Un precedente attacco di questo genere nella Confederazione – si era trattato anche in quel caso di un’aggressione con coltello in luogo pubblico – aveva avuto luogo nel mese di settembre a Morges, nel Canton Vaud, ad opera di un cittadino svizzero-turco che pare intendesse “vendicarsi” dello Stato Svizzero da un lato, e vendicare il profeta Maometto dall’altro. Secondo un copione ormai collaudato, l’individuo era conosciuto ai servizi e aveva dei trascorsi in carcere per altri reati.
L’ultimo Rapporto dell’intelligence svizzera (2020) aveva ribadito come il rischio all’interno del paese rimanesse elevato -una condizione che perdura dal 2015-. Aveva inoltre attirato l’attenzione su come, sempre più spesso, si annoverino “autori la cui radicalizzazione e propensione alla violenza vanno ricercate in crisi personali o problemi psichici piuttosto che in un’opera di convincimento ideologico. In generale, la frequenza di atti di violenza che presentano un nesso marginale con l’ideologia o i gruppi jihadisti rimarrà costante o potrebbe addirittura aumentare”. Gli aggiornamenti di FedPol sul caso di Lugano sembrano avvalorare questa pista -la donna, innamoratasi di un combattente e intenzionata a seguirlo in Siria (ma fermata al confine turco e rimpatriata), soffriva all’epoca di problemi psicologici ed era stata anche ricoverata in una struttura psichiatrica. Le modalità dell’attacco – sconclusionato e apparentemente senza la ricerca, fondamentale, del martirio – farebbe pensare a un atto dettato dall’attrattiva per la narrativa dello Stato Islamico piuttosto che da solide motivazioni religiose o ideologiche. Ma il fatto che si trattasse di una persona già monitorata e comunque “ferma” nei propri intenti, solleverà molti interrogativi – anche polemici – su come sia riuscita ad eludere ogni controllo. Al di là dell’aspetto securitario, per migliorare la comprensione del fenomeno e la valutazione del rischio, sarebbe utile capire se nel frattempo fossero stati messi in campo degli interventi o dei tentativi di de-radicalizzazione. La realistica consapevolezza di come riabilitazione e reintegrazione di estremisti e foreign fighters sia una sfida incerta, di lunga durata e difficile, è ad ogni modo ben chiara alle autorità.
La radicalizzazione nella Confederazione
Secondo i dati dei Servizi Informativi, a maggio 2020 gli individui considerati un rischio per la sicurezza interna (non solo jihadisti) erano 57, mentre dal 2012 ad oggi 670 individui hanno diffuso propaganda jihadista in/dalla Svizzera o sono entrati in contatto con individui che condividono le stesse idee. La Confederazione avrebbe un numero di foreign fighters pro-capite più alto dell’Italia. Dal 2001 al 2017 sono partiti in 92 per raggiungere vari fronti di guerra. Di questi, 32 sono morti mentre 16 sono rientrati e – scrive l’intelligence nel suo Rapporto 2020 – si starebbero comportando “discretamente”, salvo poche eccezioni (!). Su questo sito avevamo già scritto nel 2019 di un procedimento d’accusa e di un’imponente operazione anti-terrorismo nei Cantoni di Berna, Zurigo e Sciaffusa che avevano coinvolto alcuni individui recidivi e/o di ritorno dai territori del Califfato.
Il 2 ottobre 2020 il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha disposto altre tre perquisizioni nel Cantone di Friborgo e arrestato quattro persone. Attualmente i procedimenti penali aperti sono 70, principalmente “per presunta propaganda o reclutamento a favore di organizzazioni terroristiche, per il finanziamento di tali organizzazioni e nei confronti di viaggiatori con finalità jihadiste, compresi quelli di ritorno”.
Anche il Ticino era stato interessato da un imponente blitz anti-terrorismo. Le indagini avevano messo in luce alcune ramificazioni verso l’Italia e collegamenti con la cosiddetta “cellula insubrica”
Inoltre, inchieste dei quotidiani Le Temps (di cui abbiamo parlato qui) e Sunday Times hanno svelato l’esistenza di piani targati Stato Islamico, diretti dalla Siria e fortunatamente sventati o mai messi a segno, per colpire depositi di combustibile e oleodotti a Basilea e a Ginevra fra il 2018 e il 2019, con l’obiettivo di arrecare gravi danni economici.
Anche il Ticino – che ha ‘dato’ al Califfato due combattenti – nel 2017 era stato interessato da un imponente blitz anti-terrorismo (possiamo solo presumere si tratti dello stesso che ha visto emergere il nome della donna di Lugano). Le indagini, sfociate in una condanna per attività di reclutamento e indottrinamento, avevano messo in luce alcune ramificazioni verso l’Italia, fra cui collegamenti con una precedente inchiesta (2016) relativa alla cosiddetta “cellula insubrica” che si muoveva fra Lugano, Varese e Lecco, di cui faceva parte fra l’altro il campione svizzero di kick-boxing Abderrahim Moutaharrik (sul ring con la maglia nera e il vessillo dello Stato Islamico) e Abderrahman, fratello di Oussama Khachia, il futuro foreign fighter che era stato espulso dall’Italia e si era trasferito a Lugano prima di proseguire verso il territorio del Califfato in Iraq-. Il gruppo era composto da unità famigliari che coinvolgevano anche Alice Brignoli, appena rimpatriata dalla Siria.
Un panorama radicale centrifugo
A caratterizzare la geografia jihadista svizzera sono precisamente i contatti transnazionali che si estendono nelle nazioni limitrofe o verso i paesi di origine dei vari soggetti, nel caso di passato migratorio. Le strade della radicalizzazione infatti si fermano davanti alle barriere linguistiche, ciò che rende più difficile la nascita e la condivisione di una ‘scena’ interna alla Confederazione. Legami svizzeri emergono spesso anche nel corso di indagini condotte all’estero, come avvenuto con il recente attentato di Vienna e l’inchiesta sulle turiste scandinave uccise nel 2018 in Marocco (dove a scontare una pena c’è uno svizzero, anch’egli convertito).
Donne in armi
Verso la Siria e l’Iraq (dati dell’intelligence) sono partite circa 12 donne aventi un legame con la Svizzera. Le attentatrici rimangono però un’eccezione. Il Database di START InSight ha rilevato che tra i jihadisti che hanno colpito in Europa fra il 2004 e il 2020, le donne rappresentano il 4%.Una ricerca dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW) di cui abbiamo scritto anche qui, sottolinea che tra i profili dei radicalizzati svizzeri, le donne figurano in numero inferiore rispetto alla media europea. Tuttavia, un recente studio delle Nazioni Unite mette criticamente in rilevo come i sistemi giudiziari tendano ad essere meno severi, a causa di un falso stereotipo che considera le donne meno attive o pericolose degli uomini. In questo modo, ricevono meno attenzioni anche per ciò che riguarda la riabilitazione e reintegrazione, esponendole a un rischio maggiore di recidivismo. Le dinamiche della cellula insubrica, ma anche diversi altri casi esteri, dimostrano che le donne possono ricoprire un ruolo importante nella diffusione della propaganda, nella radicalizzazione reciproca, e nell’occuparsi di aspetti logistici.
Secondo lo studio svizzero summenzionato, basato sulle informazioni relative a 130 casi di cui si sono occupati i servizi nel corso degli ultimi dieci anni è emerso che il fenomeno della radicalizzazione jihadista in Svizzera coinvolge soprattutto gli uomini (90% circa dei profili forniti). L’età media è di 28 anni. I convertiti rappresentano il 20%. I radicalizzati tendono a vivere in aree urbane. Oltre la metà nella Svizzera tedesca, più del 40% nella Svizzera francese e poco meno del 4% nel Canton Ticino. L’intelligence ha recentemente indicato come solo un terzo dei viaggiatori con finalità jihadiste detenga la nazionalità svizzera. I problemi personali dei singoli individui – famiglie spezzate, lutti, episodi di discriminazione, uso di droghe, problemi psichiatrici, identità fragile etc.- fanno spesso da sfondo. I dati a disposizione non confermano la teoria del ‘crime-terror nexus’ – cioè il rapporto fra radicalizzazione jihadista e passato criminale; poche indicazioni anche riguardo a processi di radicalizzazione iniziati dentro il carcere. I casi di reati precedenti legati alla violenza fisica (aggressioni) sono predominanti. La radicalizzazione lampo rappresenta l’eccezione; nel 72% dei casi il processo ha avuto una durata di oltre un anno. Due terzi degli individui presi in esame sono entrati nel radar della sicurezza fra il 2013 e il 2015 ed erano impegnati principalmente in attività di propaganda.
Il rischio oggi
Con la perdita del territorio in Siria e in Iraq, il Califfato si è trasformato in un movimento terroristico e insurrezionale globale composto sia da cellule in contatto fra loro che da attentatori autonomi (ma non ‘solitari’!) che si ispirano allo Stato Islamico e per questo particolarmente difficili da intercettare anche a causa della pressione sulle forze di sicurezza. I radicalizzati da monitorare in Europa sono decine di migliaia. La frammentazione e la decentralizzazione della propaganda e delle attività jihadiste, hanno accresciuto la minaccia. Il fattore emulativo ha una forte incidenza: come rileva il database di START InSight, il 29% degli attentati avviene negli 8 giorni successivi ad un attacco ‘ispiratore’. Fra le armi privilegiate, si trovano proprio i coltelli (67% del totale). Fra il marzo del 2019 e il giugno del 2020 il Counter Extremism Group ha registrato una media di due attacchi di matrice islamista al mese in Europa, tra riusciti e sventati. Nel solo 2020 START InSight ha contato 21 eventi di matrice islamista. Un trend in deciso aumento.
Se nel complesso il terrorismo fa meno vittime e si appoggia anche alle azioni di individui che agiscono sulla spinta di motivazioni prettamente personali, riesce ad ogni modo ad incidere sulla percezione della sicurezza. La tranquilla Lugano ora si guarderà le spalle, e per il movimento jihadista, è già un successo di cui si potrà appropriare.
Contrasto al terrorismo internazionale (SIOI, Comunità Internazionale n. 4/2019)
Pubblicato e disponibile lo studio sulla Rivista trimestrale della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, Comunità Internazionale N.° 4/2019, comprensivo di due contributi a cura di START InSight
CONTRASTO AL TERRORISMO INTERNAZIONALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL FENOMENO DEI FOREIGN FIGHTERS
Introduzione di: FRANCO FRATTINI, Presidente della SIOI – Società Italiana per l’organizzazione Internazionale
Contributi di:
ALESSANDRO POLITI – Il terrorismo della porta accanto. GERMANO DOTTORI – Stati e terrorismo. MATTEO BRESSAN – L’evoluzione della minaccia terroristica alla luce dell’uccisione di AlBaghdadi. CLAUDIO BERTOLOTTI – I numeri e la geografia del terrorismo jihadista in Europa. CHIARA SULMONI – Prospettive europee sulla radicalizzazione. Considerazioni da un tragitto in cinque Paesi. ALESSIA MELCANGI – Il caos libico e la minaccia jihadista: prospettive e mutamenti. MICHELA MERCURI – La Libia: il buco nero nella mappa del terrorismo. CINZIA BIANCO – Visioni, instabilità e lotta armata: l’Arabia Saudita al bivio. TIZIANO LI PIANI – Codifica quantitativa dell’input meccanico della minaccia terroristica per soft target in ambienti urbanizzati, basata sull’analisi comportamentale del carrier. GIUSEPPE CUSIMANO – Cyber e terrorismo. ANDREA MANCIULLI – Il futuro del terrorismo di matrice jihadista. Evoluzione della minaccia, strumenti di contrasto e strategie di prevenzione.
Introduzione di Franco Frattini
Sebbene da più di un anno i diversi protagonisti della lotta contro lo Stato Islamico ne abbiano a più riprese annunciato la sconfitta, il quadrante siriano e iracheno è ben lontano da una vera stabilizzazione. Persa la dimensione statuale con la quale lo Stato Islamico aveva raggiunto il suo apice di conquiste territoriali nel 2015, controllando all’incirca 200.000 Km², i combattenti rimasti dello Stato Islamico si starebbero radunando ed operando come cellule dormienti in Iraq, nella provincia nord orientale, al confine con l’Iran, di Diyala e in Siria, a Raqqa, nella provincia di Deir Al-Zour e nel deserto di Badia. Sebbene gli stessi vertici statunitensi che guidano la coalizione internazionale ritengano non adeguate alla riconquista di porzioni territoriali le attuali capacità dei combattenti dello Stato Islamico, la minaccia persiste. La storia dell’affermazione del DAESH è stata infatti caratterizzata dall’abilità di saper sfruttare da un lato il caos della guerra siriana con le relative divisioni tra le stesse fazioni delle forze di opposizione, dall’altro il collasso dell’esercito iracheno. Le attuali proteste e tensioni in Iran, così come l’opposizione delle milizie curde delle YPG alla presenza delle forze turche nel Nord Est della Siria, o anche la caotica situazione in Libia, potrebbero offrire nuovi margini di manovra ai combattenti ancora operanti sul campo di battaglia e distogliere, come in parte già sta accadendo da ottobre, le milizie curde dal contrastare efficacemente le residue forze del Califfato. L’elevata tensione tra Washington e Teheran nella regione e il rischio che l’Iraq possa nuovamente ripiombare in uno stato di insorgenza permanente, desta sempre più preoccupazione, specialmente a seguito dell’invito del Parlamento iracheno alle truppe straniere, anzitutto americane, a lasciare il Paese dopo il raid che ha ucciso il Generale Soleimani. Va inoltre evidenziato come a fronte di un importante sforzo militare che ha visto convergere contro lo Stato Islamico forze statunitensi, europee, russe, iraniane, forze arabo sunnite e curde, non si siano trovate risposte di natura “politica” ai problemi che avevano favorito l’ascesa e l’affermazione dello Stato Islamico. In assenza di un dialogo o di un negoziato con quei gruppi tribali che hanno appoggiato le forze dello Stato Islamico, così come in mancanza di una visione di lungo respiro da parte dei paesi occidentali che hanno contribuito alla sconfitta del Califfato, l’ISIS potrebbe, sotto forme anche differenti, tornare in gioco come attore locale. L’evoluzione del fenomeno terroristico non si limita certamente a quello che è stato definito il califfato dematerializzato, ma trova in Siria e più precisamente nella provincia di Idlib, l’epicentro del qaedismo. Un fenomeno che, seppur meno appariscente rispetto alla spettacolarizzazione mediatica dello Stato Islamico, continua a ramificarsi pericolosamente attraverso emirati islamici locali, in Mali, Algeria, Niger, Kenya, Somalia, Yemen, Afghanistan, Pakistan e Filippine. A completare l’analisi dei fenomeni terroristici e del rapporto tra Stato e terrore, oggetto della trattazione di questo volume monografico, va evidenziato il trend in aumento soprattutto in Europa, negli Stati Uniti e in Russia, degli attacchi riconducibili all’etno-nazionalismo, all’antisemitismo, all’estremismo anarchico e di estrema destra.
Camera dei Deputati – Analisi degli attacchi terroristici in Europa tra “blocco funzionale” e spinta all’emulazione
La relazione alla Camera dei Deputati di Claudio Bertolotti, Direttore esecutivo dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo – ReaCT e Direttore di START InSight, in occasione del convegno “Il futuro del terrorismo di matrice jihadista”, martedì 29 ottobre (VIDEO).
Il successo del terrorismo: “blocco funzionale” e spinta all’emulazione
Il terrorismo non è il problema. Il terrorismo è la manifestazione violenta di un problema oggettivo che è la diffusione dell’ideologia jihadista; un’ideologia che si muove su un piano comunicativo estremamente efficace e che coinvolge un numero importante di soggetti che possono rappresentare una minaccia seria e concreta alla sicurezza.
L’ideologia jihadista alimenta il fenomeno della radicalizzazione. È dunque sull’ideologia (anche attraverso la contro-narrativa) che devono essere concentrati gli sforzi maggiori, così da contenerne o sconfiggerne le manifestazioni violente.
La nostra generazione è testimone di un fenomeno che si è imposto mediaticamente, ancor più che su quei campi di battaglia che dall’Afghanistan all’Iraq alla Siria sono giunti sino alle porte di casa, in Nord Africa e poi nel cuore stesso dell’Europa con gli attacchi principali di Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino, ecc…. e dei tantissimi attacchi secondari a bassa intensità che portano a un totale di 116 azioni violente “in nome del jihad” registrate dal 2014 a oggi.
Parliamo certamente di terroristi che hanno importato la violenza in Europa, ma parliamo di un numero ben superiore di individui che invece, nati e cresciuti in Europa, sono cittadini europei o comunque regolarmente residenti in Europa, e dall’interno hanno colpito. Parliamo di soggetti prevalentemente immigrati regolari o di seconda o terza generazione appartenenti, prevalentemente, alle comunità Marocchina, Algerina, Tunisina – con un’età mediana di 22 anni (44 percento di età inferiore ai 26 anni). Solo una minima parte sono “irregolarmente entrati all’interno dell’Unione Europea: l’11 percento del totale.
In tale scenario, e in particolare nel momento in cui lo Stato islamico nel 2014 fa appello per entrare a far parte del proto-stato teocratico e sunnita che si impone in Siria e Iraq, e dunque a trasferirsi, dall’Europa rispondono in migliaia all’appello. E l’Europa diviene dunque esportatrice di terrorismo, con oltre 5.000 volontari che vanno a combattere in Siria.
Ma quel terrorismo che in Europa si impone, violentemente nelle nostre quotidianità, lo fa con una violenza micidiale e con numeri ben superiori, per quanto limitati, rispetto all’attenzione mediatica sugli stessi. Parliamo di 116 azioni, portate a termine in Europa dal 2014 a oggi da 157 terroristi (dei quali 56 sono deceduti) e che hanno provocato la morte di 388 persone e il ferimento di altre 2353: l’ultimo il 3 ottobre in Francia, a Parigi.
Ma soltanto 11 del totale sono attacchi terroristici ad alta intensità (con un numero di vittime superiore a 20); gli altri sono eventi che classifichiamo come eventi a media intensità con un numero di vittime compreso tra 3 e 20 (il 36 percento del totale,) e a bassa intensità, meno di due vittime (il 56 percento – circa 6 su 10).
Ma al di là del numero dei morti e dei feriti, o degli attentatori che effettivamente hanno portato a compimento le azioni terroristiche, quali i risultati effettivi del terrorismo jihadista in Europa all’epoca dello Stato islamico che fu di Abu Bakr al Baghdadi? Attraverso l’analisi del dataset sul terrorismo di START InSight, ci concentreremo su questo aspetto, tra i tanti interessanti: quello del terrorismo è successo o insuccesso?
il successo degli attacchi terroristici: ottenuto il “blocco funzionale” nel 74 percento dei casi
In primo luogo, gli anni di maggior espansione territoriale e mediatica dello Stato islamico sono stati quelli in cui vi sono i principali attacchi terroristici in Europa: 2016-2017 e 2018. Nel 2017 si concentrano gli attacchi che percentualmente hanno maggior successo (4 su 10 provocano almeno una morte).
Ma nel complesso, guardando all’intero periodo, il 24 percento sono attacchi fallimentari (nessuna vittima, solo feriti o nulla); il 34 percento ottengono “successo tattico” (almeno una vittima deceduta); il 18 percento ottengono successo strategico (blocco traffico aereo, mobilitazione delle Forze armate, coinvolgimento opinione pubblica a livello internazionale).
Ma un aspetto ancora più importante, che in genere non viene riconosciuto, sia sul piano divulgativo-informativo, sia su quello tecnico-accademico è quello che abbiamo voluto chiamare “blocco funzionale”: il più importante dei risultati ottenuti dai terroristi sul moderno campo di battaglia europeo.
All’interno di questa categoria sono inseriti tutti quegli eventi che hanno influito in maniera significativa sul livello operativo delle forze di sicurezza, pensiamo alla mobilitazione militare conseguente all’attacco parigino del Bataclan, ma anche sulla limitazione o lo svolgimento regolare delle normali attività quotidiane degli apparati pubblici, o di mobilità urbana a danno delle comunità colpite. Si tratta di ripercussioni dirette sulle attività delle forze di sicurezza e sulle comunità in grado di agire sulla libertà di accesso a determinate aree, imponendo tempistiche dilatate e, ancora, riducendo in maniera efficace il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo.
I risultati sono tangibili e, a livello operativo, gli attacchi hanno ottenuto dal 2004 a oggi, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 74 percento dei casi (84 percento nel 2017). Un risultato impressionante considerando le limitate risorse messe in campo dai gruppi, o dai singoli terroristi. E sono danni, quelli provocati dagli attacchi terroristici, che si traducono in costi elevati per la collettività.
un terzo degli attacchi terroristici sono “emulativi”
Un altro aspetto interessante è il ruolo di “attivatore” giocato dagli eventi ad alta intensità che, in relazione al numero di vittime provocato, stimola soggetti autonomi ad agire con atti “EMULATIVI”. Guardando all’elenco degli attacchi ad alta e media intensità (quelli che cioè provocano un maggiore numero di vittime) ci rendiamo subito conto di una concentrazione di eventi a bassa intensità entro gli otto giorni successivi ai principali eventi (quelli che ottengono maggiore attenzione mediatica): il 27percento.
Questi eventi, secondari, spesso fallimentari, raramente ottengono l’attenzione dei media che vada oltre il livello locale ma suggeriscono come il coinvolgimento di soggetti “autonomi” avvenga attraverso lo stimolo emotivo alimentato dall’attenzione mediatica e dalla narrativa utilizzata dai gruppi terroristi attraverso i social.
Questo, in estrema sintesi, può essere letto sul terrorismo in Europa, un fenomeno che, a livello di manifestazione si è significativamente ridotto, ma che sul piano potenziale continua ad essere una grandissima sfida su cui è necessario agire con crescente impegno sul piano della prevenzione. Tanto più che con la morte del leader jihadista, Abu Bakr al-Baghdadi, la struttura multipla dello Stato Islamico gli sopravvive.
Perché in Europa la minaccia del terrorismo jihadista è ancora alta?
I Paesi europei affrontano una minaccia terroristica estremamente concreta a causa dell’alto numero di foreign terrorist fighter, della presenza di reti jihadiste sviluppate e della vicinanza geografica alle zone di guerra
A giugno, due attentatori suicidi si sono fatti esplodere nel centro di Tunisi: l’azione è stata seguita dalla rivendicazione dello Stato islamico. A luglio è stato diffuso, attraverso il web, un video edito dal franchise tunisino dello Stato islamico in cui compaiono alcuni uomini armati che, dichiarandosi seguaci del “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, hanno incitato all’azione attraverso la condotta di attacchi violenti.
Alla fine di giugno, in ottemperanza alla misura cautelare in carcere emessa dal Gip di Brescia per il reato di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo, la Polizia di Stato di Brescia, coordinata dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione e con il supporto dell’Fbi statunitense, ha arrestato il foreign terrorist fighter Samir Bougana. L’arrestato è un 25enne italo marocchino che nel 2013, partendo dalla Germania per la Siria, è accusato di essersi unito prima alle milizie associate ad al-Qa’ida e poi allo Stato Islamico. Bougana era stato catturato dalle milizie curde in Siria il 27 agosto 2018.
Casi, tra i tanti, che mantengono i riflettori accesi sulla minaccia del terrorismo jihadista associato allo Stato islamico, a conferma della strategia post-territoriale di ciò che fu l’Isis. Ora le cellule nascoste, i singoli “combattenti”, l’effetto emulativo, l’aumento della propaganda e il reclutamento in tutto il mondo, sono le principali armi su cui il gruppo terrorista sta concentrando gli sforzi, così come evidenziato nell’ultimo video in cui al-Baghdadi ha chiesto ai “lupi solitari” di colpire con “coltelli e veicoli” lanciati contro civili inermi, trasferendo così il campo di battaglia dal Medio Oriente all’Occidente.
Degli oltre 5mila foreign terrorist fighter “europei” partiti per combattere in Medio Oriente (di cui il 14% donne), mille sarebbero caduti in Siria e Iraq. Un numero significativo è però sopravvissuto; un terzo (1500) sarebbero tornati nei propri Paesi, altri 2500 avrebbero trovato rifugio in Paesi terzi unendosi ai gruppi jihadisti locali (dall’Afghanistan alla Libia, dall’Africa all’Asia centrale). Circa 800 al momento sono detenuti nelle carceri curde in Iraq: molte le donne e i bambini. Una condizione di “prigionia” che ha sollevato ampi e legittimi dibattiti in Europa e negli Stati Uniti sull’opportunità di limitare loro la possibilità di rientro nei Paesi di origine, a cui ha fatto seguito la decisione di molti Paesi europei di togliere loro la nazionalità così da non permetterne il ritorno.
Un problema di sicurezza collettiva che, seppur limitato nei numeri e interessante principalmente quattro paesi (Francia, Regno Unito, Germania e Belgio da cui sono partiti almeno 3mila e 700 dei 5000 combattenti), si muove su due binari paralleli e in competizione tra di loro che hanno portato al bipolarismo dello jihadismo globale, diviso tra due principali attori in competizione per il potere e l’influenza: da un lato al-Qa’ida, dall’altro l’evoluzione dello Stato islamico.
Le reti jihadiste ispirate ad al-Qa’ida hanno costituito la base dell’emigrazione jihadista dall’Europa alla Siria e all’Iraq sino a tutto il 2015: le reti europee collegate al movimento Sharia4 hanno rappresentato il punto di riferimento per i gruppi radicali europei impegnati nell’inviare combattenti e supporto finanziario in Siria e Iraq. L’ascesa al potere dello Stato islamico a partire dalla fine del 2014, è poi riuscita a far (temporaneamente) eclissare al-Qa’ida dal panorama jihadista, almeno quello comunicativo.
Ma se lo Stato islamico ha perso, insieme alla sua natura territoriale, anche parte della spinta mediatica e comunicativa, la maggior parte dei social network e dei leader di al-Qaida in Europa è riuscita a sopravvivere all’Isis, dando inizio a una nuova battaglia, quella per “i cuori e le menti”, che è appena all’inizio.
A guardare l’attuale situazione in Europa, Medio Oriente e in Nord Africa, ci possiamo rendere conto di come i principali modelli organizzativi dell’attività del terrorismo islamista – in termini di struttura, reclutamento e formazione – non siano cambiati in modo significativo, ma si siano evoluti in maniera estremamente efficace.
La fine territoriale dello Stato islamico ha portato il movimento a reinterpretare la propria natura originale, basata su un approccio insurrezionale clandestino (principalmente nelle aree sunnite in Iraq) a cui si sono affiancati due linee d’azione: da un lato la delocalizzazione e i franchise in Afghanistan, Libia e in Africa i cui attori principali sono i gruppi locali a cui si sono uniti i reduci fuggiti dal fronte siriano; dall’altro lato l’espansione all’interno dell’arena globale, inclusa l’Europa, in cui le azioni sono lasciate all’iniziativa individuale e delle cellule.
JIHADISTI IN EUROPA
Relativamente a età e genere, il 70% dei terroristi europei sono nati negli anni Ottanta e Novanta, dunque relativamente giovani, sebbene un 20% sia costituito da soggetti nati prima del 1980: un elemento interessante poiché pone in evidenza la presenza di una quota importante di uomini di “mezza età” al fianco della massa più giovane.
Le donne hanno svolto e svolgono un ruolo molto più attivo di quanto non sia stato posto in evidenza, e rappresentano una minaccia crescente; delle circa 650 partite dall’Europa per il fronte siriano e iracheno, 21 hanno fatto rientro in Belgio e 28 in Francia.
I bambini al di sotto dei dieci anni rappresentano un problema estremamente serio e una potenziale minaccia alla sicurezza europea per il futuro. Delle centinaia di bambini che avrebbero lasciato l’Europa, 16 sono rientrati in Belgio e 68 in Francia; gli altri sono detenuti in Iraq e Siria, altri trasferiti in paesi terzi con almeno uno dei genitori, ma della maggior parte non si sa nulla.
Se da un lato i convertiti radicalizzati pongono seri problemi in termini securitari, ma anche culturali e sociali, va posta una particolare attenzione alle carceri che continuano a svolgere un ruolo fondamentale sia nell’attivazione che nel rafforzamento del processo di radicalizzazione.
L’origine etnica e geografica dei terroristi jihadisti si impone come importante elemento e strumento di analisi e nel monitoraggio delle reti e delle cellule jihadiste. I gruppi principalmente afflitti dall’adesione al modello jihadista sono quelli marocchini (in Belgio, Spagna e Italia), algerini (in Francia), turchi (in Germania e Paesi Bassi).
Infine, una considerazione sulla questione che si concentra sul possibile collegamento tra immigrati e terrorismo: dal gennaio 2014, 44 rifugiati o richiedenti asilo sono stati coinvolti in 32 complotti jihadisti in Europa. Sebbene la maggior parte di questi soggetti si sia radicalizzata prima dell’ingresso in uno dei Paesi europei, tuttavia i processi di radicalizzazione avviati dopo l’arrivo in Europa sono divenuti più comuni a partire dall’autunno del 2016. Nel complesso, il periodo di latenza tra l’arrivo in Europa e la partecipazione a un’azione terrorista in genere associata allo Stato islamico (di successo o sventata) è di 26 mesi.
In conclusione, più della metà dei jihadisti sono nati in un Paese dell’Unione Europea, l’11% sono immigrati naturalizzati o di prima generazione, mentre solo il 17% sono terroristi “stranieri”, cioè cittadini non comunitari che non avevano precedentemente vissuto in Europa.
LA SITUAZIONE IN EUROPA
Sebbene gli attacchi diretti ed effettivamente collegati allo Stato islamico abbiano meno probabilità di verificarsi nei Paesi europei dove la sicurezza è stata significativamente rafforzata, gli attacchi emulativi ispirati allo Stato islamico rappresentano una minaccia potenzialmente in crescita. Usando la sofisticata ed efficace propaganda, gli jihadisti si rivolgono direttamente ai potenziali “combattenti” del jihad incitandoli ad agire nel paese di residenza. È un quadro in cui il terrorismo nostrano definisce una tendenza alla violenza particolarmente preoccupante e in cui la minaccia futura dipende da come l’uditorio, a cui il sedicente “califfo” al-Baghdadi si rivolge, seguirà i suoi appelli ad aderire alla “guerra di logoramento” contro le nazioni “crociate”, al centro delle nuove minacce di terrorismo che provengono dallo Stato islamico. A tale fattore si inserisce la volontà di al-Qa’ida di riconquistare quel terreno perso negli anni dello Stato islamico territoriale; una volontà che potrà manifestarsi attraverso la condotta di azioni spettacolari ed eclatanti, dal forte impatto mediatico e comunicativo.
Nel complesso i Paesi europei affrontano una minaccia terroristica estremamente concreta a causa dell’alto numero di foreign terrorist fighter, della presenza di reti jihadiste sviluppate e della vicinanza geografica alle zone di guerra.
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