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Trump e lo Alien Enemies Act del 1798: il rimpatrio dei membri di gang venezuelane come “guerra irregolare”.

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

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Lo Alien Enemies Act del 1798 è una legge federale che concede al presidente degli Stati Uniti l’autorità di detenere o deportare cittadini stranieri provenienti da nazioni considerate ostili in tempi di guerra. Promulgata il 6 luglio 1798 come parte degli Alien and Sedition Acts, il suo obiettivo principale è quello di proteggere la sicurezza nazionale in un contesto di conflitto armato.

Alla fine del XVIII secolo, le tensioni tra Stati Uniti e Francia aumentarono, alimentando timori di spionaggio e sovversione interna. Per rispondere a queste preoccupazioni, il Congresso, controllato dai Federalisti, approvò quattro leggi collettivamente note come Alien and Sedition Acts. Queste includevano il Naturalization Act, che aumentava il requisito di residenza per la cittadinanza statunitense da cinque a quattordici anni; lo Alien Friends Act, che autorizzava il presidente a deportare qualsiasi straniero ritenuto pericoloso per la sicurezza nazionale; lo Alien Enemies Act, che permetteva al presidente di detenere o deportare cittadini maschi di una nazione ostile, di età pari o superiore ai quattordici anni, durante i periodi di guerra; e il Sedition Act, che rendeva un crimine la pubblicazione di scritti “falsi, scandalosi e maligni” contro il governo o i suoi funzionari. A differenza degli altri tre atti, che furono abrogati o scaddero entro il 1802, lo Alien Enemies Act rimane in vigore ancora oggi, sebbene in una forma modificata. La sua stessa presenza continua nel diritto statunitense alimenta dibattiti su libertà civili e l’equilibrio tra sicurezza nazionale e diritti individuali.

Nel corso della storia degli Stati Uniti, lo Alien Enemies Act è stato invocato solo durante conflitti significativi. Durante la Guerra del 1812, fu applicato ai cittadini britannici residenti negli Stati Uniti. Nella Prima Guerra Mondiale, prese di mira cittadini della Germania e dei suoi alleati. Nella Seconda Guerra Mondiale, giustificò l’internamento di cittadini giapponesi, tedeschi e italiani, nonché di cittadini americani di origine giapponese, segnando una delle applicazioni più controverse della legge. In ogni caso, l’atto ha facilitato la detenzione, il trasferimento o la deportazione di individui sulla base della loro nazionalità in tempo di guerra.

Nel marzo 2025, il presidente Donald Trump ha invocato lo Alien Enemies Act per accelerare la deportazione di migranti venezuelani sospettati di affiliazione con gang criminali, in particolare il gruppo Tren de Aragua. Questo ha segnato un’inedita applicazione della legge in tempo di pace, poiché gli Stati Uniti non sono ufficialmente in guerra con il Venezuela. Sebbene l’inizio delle deportazioni non sia stato fermato, un giudice federale ha emesso un’ordinanza restrittiva di quattordici giorni, aprendo un dibattito legale sull’ambito e l’applicabilità della legge nel contesto contemporaneo.

L’invocazione del Alien Enemies Act del 1798 per deportare membri di gang venezuelane suggerisce che l’amministrazione Trump stia inquadrando l’attività criminale come una forma di guerra irregolare. Questo si allinea con precedenti passi volti a classificare alcuni cartelli della droga come organizzazioni terroristiche, riflettendo un più ampio cambiamento nel modo in cui gli attori non statali coinvolti nel crimine organizzato sono percepiti all’interno della politica di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Trattando le organizzazioni criminali come attori di guerra irregolare piuttosto che come semplici imprese criminali, l’amministrazione probabilmente cerca di espandere gli strumenti legali e militari disponibili per combatterle.

La guerra irregolare è generalmente intesa come un conflitto che coinvolge attori non statali che utilizzano tattiche asimmetriche, tra cui insurrezione, guerriglia e terrorismo, per sfidare l’autorità statale. I cartelli della droga e le gang transnazionali, pur non essendo insurrezioni ideologiche nel senso tradizionale, esercitano violenza, controllo territoriale e sfruttamento economico che destabilizzano le regioni e minacciano la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Equiparare l’attività delle gang alla guerra irregolare potrebbe giustificare misure più forti, come interventi militari, operazioni di intelligence e l’applicazione di poteri straordinari tipici del tempo di guerra, comprese deportazioni accelerate e potenzialmente detenzioni a tempo indeterminato.

Esistono diversi potenziali vantaggi in questo approccio. In primo luogo, consente una risposta più aggressiva e coordinata contro organizzazioni criminali che operano oltre i confini e hanno legami con reti terroristiche. Se i cartelli e le gang transnazionali vengono trattati come minacce paragonabili alle insurrezioni, allora possono essere applicate strategie di controterrorismo e controinsurrezione per smantellarli. Ciò potrebbe migliorare la sicurezza lungo il confine tra Stati Uniti e Messico e nelle aree urbane colpite dalla violenza delle gang, riducendo potenzialmente i crimini e le morti legate alla droga. Potrebbe anche esercitare pressione sui governi stranieri, come quelli di Messico e Venezuela, affinché prendano misure più forti contro i gruppi criminali operanti nei loro territori.

Tuttavia, esistono anche rischi significativi e potenziali conseguenze negative. Dal punto di vista legale, l’ampia applicazione di poteri straordinari in un contesto di pace potrebbe creare un precedente pericoloso, erodendo le libertà civili e le garanzie del giusto processo. L’uso del Alien Enemies Act contro individui non affiliati a uno stato nemico riconosciuto solleva preoccupazioni sulla sua costituzionalità e sulla possibilità di discriminazione razziale o etnica. Inoltre, l’espansione del concetto di guerra irregolare per includere l’attività delle gang potrebbe portare alla militarizzazione delle forze dell’ordine domestiche, aumentando l’uso della forza, le potenziali violazioni dei diritti umani e le tensioni tra comunità e autorità governative.

A livello internazionale, trattare cartelli e gang come organizzazioni terroristiche o combattenti nemici potrebbe aumentare le tensioni con i governi stranieri. Se gli Stati Uniti iniziassero a prendere di mira questi gruppi attraverso operazioni militari o di intelligence, ciò potrebbe essere visto come una violazione della sovranità nazionale, specialmente in America Latina. Paesi come il Messico hanno già resistito agli sforzi statunitensi di designare i cartelli come organizzazioni terroristiche, temendo che ciò possa giustificare azioni militari unilaterali da parte degli Stati Uniti nei loro territori. Questo approccio potrebbe anche provocare ritorsioni da parte delle organizzazioni criminali, aumentando la violenza contro cittadini americani e forze dell’ordine. In conclusione, mentre la classificazione dell’attività delle gang come guerra irregolare può offrire vantaggi tattici nella lotta contro il crimine organizzato, essa comporta profondi rischi legali, etici e geopolitici che devono essere attentamente valutati. È necessario trovare un equilibrio tra la sicurezza nazionale e il rispetto dello stato di diritto, delle libertà civili e della cooperazione internazionale. Inoltre, le conseguenze a lungo termine della ridefinizione delle organizzazioni criminali come minacce militari potrebbero modellare la politica degli Stati Uniti in modi difficili da controllare o invertire.


La telefonata Trump-Zelensky sulla pace in Ucraina: leggiamo tra le righe

di Claudio Bertolotti.

Dall’intervista a “Effetto Notte” – Radio24, ospite di Roberta Giordano (puntata del 19 marzo 2025).

La dichiarazione al termine della conversazione telefonica è stata concordata e allineata, una copia l’una dell’altra. Dalla convergenza sulla riconosciuta importanza degli incontri negoziali di Gedda alla decisione di accettare un cessate il fuoco incondizionato, il che equivale a cedere alla Russia. Quello di un’Ucraina provata dei territori conquistati da Mosca è lo scenario che prospettiamo da almeno due anni ma di cui si è preferito non parlare prediligendo una narrazione ideale e non realistica volta alla liberazione dell’Ucraina tout court. Purtroppo.

C’è una differenza sottile però nelle dichiarazioni di Washington e Kiev: Zelensky ha ribadito la necessità di rinforzare la difesa contraerea. Trump ha concordato su questa necessità, evidenziando però che farà il possibile per trovare in Europa la risposta a tale necessità. Dunque passando la palla agli europei, o quantomeno richiamando l’UE a un ruolo che, a parole, pretende ma che nella pratica ha giocato Washington fo dal principio. Forse non in termini economici, ma certamente in termini di forniture materiali di armi ed equipaggiamenti. Inoltre, Zelensky non l’ha fatto, Trump si, è stata ventilata l’ipotesi di un passaggio di proprietà del settore energetico ucraino a favore di aziende statunitensi. Interessante, poiché questo potrebbe essere un limite all’eventuale aggressiva pretesa futura da parte di Mosca.

Di fatto l’Ucraina ha incassato il colpo piegandosi alla volontà statunitense, non potendo fare altrimenti e non essendoci una reale alternativa.

Dunque l’opzione che si prospetta all’orizzonte è quella di un’Ucraina ridimensionata, territorialmente, in termini di risorse naturali, e privata di un eventuale possibilità di inclusione all’interno dell’Alleanza atlantica, ma non dell’Unione europea: un’opzione che, però, sarebbe molto vantaggiosa per la Russia che, nell’Europa, non intravede un baluardo invalicabile.


Trump: pressioni sull’Iran per colpire la Cina.

di Claudio Bertolotti.

L’amministrazione Trump ha deciso di intensificare la propria politica di massima pressione nei confronti dell’Iran, colpendo direttamente il settore petrolifero e le relative infrastrutture logistiche. Le recenti azioni statunitensi mirano a ridurre significativamente le esportazioni iraniane di petrolio, specialmente verso la Cina, per limitare il finanziamento delle attività destabilizzanti del regime iraniano in Medio Oriente.
Il Dipartimento di Stato ha imposto nuove sanzioni contro tre società che hanno facilitato trasferimenti illeciti di petrolio iraniano mediante operazioni navali ship-to-ship (STS) svolte al largo dei porti nel Sud-est asiatico. Contemporaneamente, sono state individuate tre navi utilizzate per queste operazioni, dichiarandole beni soggetti a blocco. Queste misure puntano a bloccare il flusso finanziario che consente a Teheran di sostenere i suoi programmi nucleari e missilistici, oltre al sostegno ai gruppi terroristici regionali.
Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro ha colpito direttamente il Ministro del Petrolio iraniano, Mohsen Paknejad, figura chiave nelle operazioni petrolifere iraniane, accusato di usare le risorse energetiche nazionali a favore delle attività illecite del regime. Sono state inoltre sanzionate diverse compagnie coinvolte nel trasporto e nella vendita del petrolio iraniano, soprattutto verso la Cina.
Le società colpite dalle sanzioni hanno operato con navi registrate in vari Paesi, nascondendo l’origine reale del petrolio trasportato, disattivando o manipolando i sistemi di identificazione automatica (AIS) per eludere i controlli internazionali. Tra queste società vi sono la PT. Bintang Samudra Utama (Bintang), la Shipload Maritime Pte. Ltd. e la PT. Gianira Adhinusa Senatama (Gianira), che hanno rispettivamente gestito le navi CELEBES, MALILI e MARINA VISION. Queste navi sono state coinvolte in un’importante operazione di trasferimento STS di petrolio iraniano il 25 dicembre 2024 nei pressi di Nipa, in Indonesia.
Gli analisti sottolineano che questa strategia riflette una consolidata tattica statunitense, volta non solo a bloccare le principali entrate economiche di Teheran ma anche a scoraggiare società e stati terzi dal collaborare direttamente o indirettamente con il regime iraniano. Questo genere di sanzioni genera un forte effetto dissuasivo, aumentando i costi e i rischi per gli operatori internazionali che cercano di aggirare le restrizioni imposte dagli USA.
Sul piano economico e strategico, questa ulteriore stretta punta dunque ad azzerare progressivamente le entrate petrolifere dell’Iran, indebolendo la capacità del regime di finanziare sia le proprie forze armate convenzionali sia le reti di milizie e gruppi affiliati, considerati da Washington come fattori principali di instabilità regionale.
È prevedibile che l’intensificazione delle sanzioni porti a un ulteriore aumento della tensione internazionale, ribadendo però la determinazione dell’amministrazione Trump a proseguire con la politica di massima pressione, con l’obiettivo finale di costringere l’Iran a rivedere le proprie strategie regionali e le proprie ambizioni nucleari e missilistiche.


L’Alleanza dei Five Eyes e l’erosione della fiducia sotto la politica di Trump.

di Andrea Molle, dagli Stati Uniti.

L’Alleanza dei Five Eyes, formata nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, è una delle reti di condivisione di informazioni più potenti al mondo. Composta da Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, i Five Eyes rappresentano un raro esempio di cooperazione internazionale nel mondo oscuro dell’intelligence e della sicurezza. I suoi membri condividono dati riservati, conducono operazioni congiunte e valutano regolarmente le minacce globali. In questo modo, si scambiano le informazioni critiche necessarie per proteggere gli interessi nazionali, prevenire il terrorismo e rispondere alle sfide militari.

Per quasi otto decenni, le nazioni dei Five Eyes hanno operato sulla base della fiducia reciproca. Questa fiducia ha permesso loro di cooperare senza problemi, condividendo non solo informazioni di intelligence, ma anche priorità strategiche. Tuttavia, gli sviluppi recenti sotto la leadership di Donald Trump hanno sollevato preoccupazioni che questa partnership potrebbe essere sull’orlo del collasso.

Dall’inizio del suo attuale mandato, le politiche e la retorica di Trump hanno gettato una lunga ombra sulle relazioni degli Stati Uniti con i suoi alleati più stretti. La sua decisione di ritirare il supporto militare e di intelligence all’Ucraina, ad esempio, ha segnato un cambiamento drammatico nella politica estera americana. Questo ritiro, avvenuto in un periodo di crescente aggressività russa, ha lasciato gli alleati degli Stati Uniti perplessi e ansiosi riguardo l’affidabilità degli Stati Uniti come partner. Sebbene la decisione di Trump fosse apparentemente motivata dal desiderio di concentrarsi sugli interessi americani, ha ulteriormente indebolito la fiducia tra le nazioni dei Five Eyes.

Infatti, mentre gli Stati Uniti si ritirano dai loro impegni, paesi come il Regno Unito e il Canada si trovano a dover colmare il divario. Ci sono già piani per aumentare la spesa per la difesa e intensificare gli aiuti all’Ucraina. Ma la domanda più grande è: cosa significa per i Five Eyes quando uno dei suoi membri fondatori, gli Stati Uniti, segnala che non condivide più lo stesso livello di impegno verso gli obiettivi comuni dell’alleanza?

Le radici del problema non risiedono solo nelle decisioni controverse di politica estera di Trump, ma anche nella sua gestione avventata delle informazioni sensibili. Diversi episodi, tra cui la fuga di materiale riservato a leader stranieri e la cattiva gestione di documenti, hanno sollevato dubbi sull’affidabilità degli Stati Uniti nella salvaguardia dell’intelligence. Se gli Stati Uniti non possono proteggere i propri dati riservati, come si può fare affidamento su di loro per gestire i segreti degli alleati dei Five Eyes?

Questa nuova postura ha avuto un effetto a catena sull’alleanza. I paesi che un tempo erano desiderosi di condividere informazioni con gli Stati Uniti si trovano ora a chiedersi se valga la pena correre il rischio. Funzionari britannici e canadesi hanno espresso preoccupazione che la loro intelligence possa essere mal gestita o abusata, con gravi conseguenze per la sicurezza nazionale. E forse ancor più preoccupante è il crescente senso che gli Stati Uniti non stiano più dando priorità alla sicurezza a lungo termine dei loro alleati. I Five Eyes hanno sempre operato sul principio del “rischio condiviso”; quando uno dei partner è compromesso, tutti i partner ne sentono l’impatto.

La retorica di “America First” di Trump ha anche contribuito a un cambiamento nelle dinamiche di potere globali, mentre gli Stati Uniti si ritirano sempre più in se stessi. Sotto la sua leadership, gli Stati Uniti non solo hanno ridotto il loro supporto per alleanze tradizionali come la NATO, ma hanno anche mostrato scarso rispetto per l’ordine internazionale più ampio. Le conseguenze di questo approccio non sono solo teoriche: sono già evidenti. I leader europei, in particolare nel Regno Unito, sono stati costretti a riconsiderare i loro accordi di sicurezza. Alcuni stanno addirittura contemplando la possibilità di formare alleanze alternative senza gli Stati Uniti, in risposta alla politica estera imprevedibile di Trump.

Per paesi come il Regno Unito, questa è una situazione particolarmente difficile. L’Alleanza dei Five Eyes è stata la pietra angolare delle operazioni di intelligence britanniche per decenni, offrendo un accesso senza pari alle capacità di intelligence degli Stati Uniti. Ma alla luce del comportamento erratico di Trump, ora si sta diffondendo la consapevolezza che la Gran Bretagna potrebbe dover diversificare le proprie partnership di intelligence per tutelare i propri interessi di sicurezza. Questo potrebbe portare a un riallineamento delle alleanze, con le potenze europee che cercano legami più stretti con i membri della NATO al di fuori degli Stati Uniti o addirittura esplorando la cooperazione con altri attori globali.

Le ripercussioni delle politiche di Trump sono evidenti anche nel suo approccio ai conflitti globali. Il suo ritiro del supporto all’Ucraina, ad esempio, ha lasciato le nazioni europee in una posizione scomoda. Con gli Stati Uniti che si ritirano dal campo di battaglia, i membri della NATO come il Regno Unito e la Francia hanno dovuto assumere un ruolo più attivo nel supportare la difesa dell’Ucraina contro l’aggressione russa. Questo ha aumentato il senso di incertezza tra i partner dei Five Eyes riguardo l’affidabilità degli Stati Uniti come alleato. Se gli Stati Uniti sono disposti ad abbandonare i propri impegni verso uno dei suoi alleati più stretti di fronte all’espansionismo russo, cosa accadrà quando emergerà la prossima crisi globale?

C’è anche la pressante questione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, che ha ulteriormente complicato la capacità dei Five Eyes di mantenere la coesione. L’approccio di Trump verso la Cina—caratterizzato da una guerra commerciale e da tentativi di minare l’ascesa tecnologica di Pechino—ha avvicinato gli Stati Uniti a un confronto con la Cina. Ciò ha costretto le nazioni dei Five Eyes a schierarsi. Mentre l’Australia e il Regno Unito hanno sostenuto la posizione degli Stati Uniti sulla Cina, paesi come il Canada e la Nuova Zelanda hanno mostrato riluttanza nell’adottare un approccio duro, in parte a causa dei loro legami economici con la Cina. Questa spaccatura potrebbe minare il quadro di condivisione dell’intelligence che è stato il marchio di fabbrica dei Five Eyes, soprattutto mentre le dinamiche globali di potere cambiano.

Guardando al futuro, il destino dell’Alleanza dei Five Eyes è incerto. L’aumento dell’imprevedibilità della politica estera degli Stati Uniti sotto Trump—unito alle preoccupazioni per la gestione impropria delle informazioni e l’isolazionismo diplomatico—ha lasciato molti a chiedersi se l’alleanza possa continuare nella sua forma attuale. Se gli Stati Uniti rimarranno riluttanti o incapaci di riaffermare i propri impegni verso i suoi alleati, i Five Eyes potrebbero dover subire una trasformazione significativa. L’alleanza potrebbe evolversi per fare più affidamento sui suoi membri europei, con nuovi accordi forgiati al di fuori dell’orbita degli Stati Uniti. In conclusione, mentre l’Alleanza dei Five Eyes è stata una forza potente nella sicurezza globale per decenni, lo stato attuale della politica estera degli Stati Uniti sotto Donald Trump ha messo a rischio questa partnership. Se la fiducia continua a erodersi, le fondamenta stesse dell’alleanza potrebbero crollare, costringendo i suoi membri a tracciare un nuovo corso. La domanda rimane: possono i Five Eyes rimanere uniti di fronte a un ordine mondiale in cambiamento, o saranno costretti ad adattarsi a un futuro senza gli Stati Uniti al centro?


Dazi, la strategia di Trump: “tit for tat”.

di Melissa de Teffè, dagli Stati Uniti – Giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense.

Mentre sabato scorso il Wall Street Journal titola: “Inizia l’effetto della più stupida guerra commerciale”, Rupert Murdoch, fondatore di News Corp e proprietario del giornale, osserva in silenzio, con un piccolo sorriso di assenso, sereno, affianco a Larry Ellison, fondatore di Oracle mentre Donald Trump firma decreti esecutivi. I due sono seduti in due poltroncine ottocentesche, a pochi metri dalla scrivania presidenziale, nell’ufficio ovale, nel cuore del potere politico. Trump, concentrato e deciso, a metà della conferenza stampa, di fronte a un gruppetto di 10 giornalisti e fotografi, li presenta seppure spieghi agli astanti che non sono lì in relazione alla sua politica commerciale, né a testimonianza dei suoi decreti.  Un messaggio inequivocabile: sono tutti dalla mia parte.

Nella carrellata di decreti esecutivi firmati, l’argomento è sempre lo stesso: “Soldi”. Spesi bene o spesi male, questo il fil rouge della tattica trumpiana che si fonda sul principio della teoria dei giochi.  Donald Trump ha adottato una strategia commerciale basata sul principio “tit for tat”, una tecnica mutuata dalla teoria dei giochi che si può tradurre in “occhio per occhio, dente per dente” o più elegantemente sul principio di reciprocità economica, con l’obiettivo di creare un equilibrio di cooperazione leale. La strategia trova le sue radici nel dilemma del prigioniero, un concetto centrale nella teoria dei giochi*.

(*In questo scenario, due prigionieri devono scegliere se collaborare o tradirsi a vicenda. La scelta ottimale sarebbe che entrambi cooperino, ma ogni prigioniero ha l’incentivo a tradire per evitare il peggior risultato. Così, l’auto-protezione attraverso la non-cooperazione porta entrambi a una posizione subottimale. La teoria del “tit for tat”, elaborata da Robert Axelrod e Alvin Rapoport, è una delle soluzioni più efficaci al dilemma del prigioniero, soprattutto in interazioni ripetute. Secondo Rapoport, la chiave del successo di questa strategia è la sua semplicità: iniziare con la cooperazione e poi rispondere con una reazione speculare a ogni interazione successiva).

Adottando un approccio simile che persegue questo sistema, “in teoria” Trump, potrebbe nel contesto globale, avviare a un’escalation dannosa, soprattutto se venisse a mancare un sistema di fiducia reciproca supportato da un dialogo aperto e continuativo. In un mondo globalizzato, dove la cooperazione sarebbe l’approccio più vantaggioso per il medio e lungo termine, l’adozione della strategia “tit for tat” può risultare controproducente, poiché non favorisce la creazione di alleanze durature, ma alimenta una competizione senza fine, esattamente come nel dilemma del prigioniero. Però, se si guarda allo scenario negoziale, e quindi diciamo, nella versione “pratica”, dobbiamo guardare non solo le tariffe, ma è imperativo includere tutte quelle tematiche che nelle relazioni con Cina, Messico e Canada entrano in gioco, e che hanno un valore e un’importanza finanziaria per gli Stati Uniti enormi: l’immissione di fentanyl, l’immigrazione terroristica, criminale e la tratta umana. Ecco, quindi, che le tariffe o altre misure commerciali punitive, hanno un peso e assumono un significato diverso. Con l’introduzione di dazi elevati su una serie di beni, tra cui acciaio e alluminio, il presidente, vuole da un lato riequilibrare la bilancia commerciale, che al momento, dice essere in grave deficit, e dall’altro desidera obbligare questi Stati a muoversi efficacemente anche sulle altre problematiche citate, (per altro almeno con il Messico e il Canada sembra aver avuto un successo iniziale). Vediamo:

  • Messico: Le tariffe sulle importazioni messicane saranno sospese per un mese. Questo accordo è stato raggiunto dopo una conversazione con Claudia Sheinbaum, presidente del Messico, che ha promesso di allocare alla frontiera settentrionale 10.000 soldati della Guardia Nazionale per prevenire il traffico di droga, in particolare fentanyl, e per fermare il traffico umano da parte di gang organizzate. Le negoziazioni commerciali, proseguiranno con il team statunitense, guidato dal Segretario di Stato Marco Rubio, dal Segretario del Tesoro Scott Bessent e dal Segretario del Commercio Howard Lutnick, che lavoreranno insieme alle autorità messicane per affrontare questioni di sicurezza e commercio.
  • Canada: Trudeau, dopo aver parlato oggi con Trump ha pubblicato su X, di voler cooperare maggiormente per rendere i confini più sicuri. Il team negoziale canadese è guidato dal Primo Ministro Justin Trudeau e include rappresentanti di vari settori come l’automobilistico, i sindacati, l’industria e l’agricoltura. Tra i membri più noti ci sono Steve Verheul (ex capo negoziatore del Canada durante la rinegoziazione del NAFTA – National American Trade Agreement), e Kirsten Hillman (Ambasciatore del Canada negli Stati Uniti).
  • Cina: Mentre proseguono i negoziati con il Messico e il Canada, gli Stati Uniti hanno avviato anche un intenso dialogo con la Cina per affrontare le complesse questioni commerciali ancora irrisolte. In primis il dazio del 10% su tutte le importazioni cinesi, e poi il blocco dell’app TikTok, che seppure ancora aperta e usufruibile prevede per esistere, la creazione di una Joint Venture, USA 51% e Cina 49. I colloqui, condotti dal Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Katherine Tai, e dal Segretario al Commercio, Gina Raimondo, sono anche concentrati su altri temi cruciali come la protezione della proprietà intellettuale, le pratiche commerciali sleali e l’accesso reciproco ai mercati – questioni che da tempo preoccupano quasi tutte le economie occidentali. Obiettivo principale di queste trattative è ridurre le tensioni commerciali tra le due potenze, cercando di promuovere un flusso di scambi più equo. Se un accordo venisse raggiunto, le implicazioni sarebbero considerevoli, soprattutto considerando che gli Stati Uniti, nel corso degli anni, hanno delegato gran parte della loro produzione manifatturiera alla Cina.

Nel caso invece che le trattative fallissero, si rischia un ulteriore aumento dei dazi, con effetti negativi non solo sulle economie dei due paesi, ma sull’intero mercato globale, portando peraltro ad aumentare le tensioni geopolitiche, non solo tra i due paesi, ma anche a livello internazionale. Le decisioni prese durante questi negoziati influenzeranno il panorama globale del commercio internazionale.

Qualche dato alla mano pubblicato a gennaio dal Census Bureau statunitense:

Fonte: Census Bureau.

“Il deficit commerciale degli Stati Uniti in beni e servizi per novembre 2024 è stato di 78,2 miliardi di dollari, con un aumento di 4,6 miliardi rispetto ai 73,6 miliardi di ottobre. Le esportazioni sono aumentate di 7,1 miliardi, raggiungendo i 273,4 miliardi, mentre le importazioni sono salite di 11,6 miliardi, arrivando a 351,6 miliardi. Il deficit dei beni è aumentato di 5,4 miliardi, raggiungendo i 103,4 miliardi, mentre il surplus dei servizi è aumentato di 0,9 miliardi, arrivando a 25,2 miliardi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il deficit è aumentato del 13%”.   ft900.pdf

Sempre sulla traccia economica, e rilevante, Trump ha anche firmato un’ordinanza esecutiva, per la creazione del Sovereign Wealth Fund o Fondo Sovrano, (questi fondi sono uno strumento per investire il surplus delle riserve finanziarie con lo scopo di generare profitti a lungo termine). L’ordine incarica il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, e il Segretario al Commercio, Howard Lutnick, di sviluppare il piano per la creazione del fondo entro 90 giorni, con l’obiettivo di definire le strategie di finanziamento, gli approcci agli investimenti e la governance del fondo. Questo fondo sarà destinato a ottimizzare i vasti asset della nazione, attualmente valutati a 5,7 trilioni di dollari, e a generare ritorni finanziari per sostenere la sostenibilità fiscale a lungo termine, ridurre il carico fiscale e promuovere la sicurezza economica. Il fondo mira anche a rafforzare la leadership economica e strategica degli Stati Uniti. Questo progetto fa parte della visione economica presidenziale per sfruttare le risorse nazionali per la crescita futura, ispirandosi a modelli di altri paesi e di stati statunitensi che hanno propri fondi sovrani.  La sua creazione potrebbe comportare l’acquisizione di partecipazioni in aziende con contratti significativi con il governo degli Stati Uniti, come appunto nel caso di TikTok. Tuttavia, la struttura e le modalità di finanziamento del fondo non sono ancora chiare, e potrebbero richiedere l’approvazione del Congresso (Fact Sheet: President Donald J. Trump Orders Plan for a United States Sovereign Wealth Fund – The White House).

Per concludere non possiamo esimerci dal parlare del discolo del gruppo, Elon Musk. Con l’assenso del presidente, Bessent, Segretario del Tesoro, ha dato accesso a Musk al sistema di pagamento federale, che gestisce annualmente oltre 6 trilioni di dollari in benefici, sovvenzioni e rimborsi fiscali. Questa decisione consente al team di Musk, di esaminare e analizzare i pagamenti governativi. Questa decisione dà a Musk la possibilità di capire chi ha ricevuto cosa e dove sia necessario tagliare sia i pagamenti che il personale. Ci riferiamo anche e soprattutto ai tagli di sovvenzioni inutili o citando Trump “senza senso”. Musk ha così annunciato oggi la chiusura dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale – USAID. “La stiamo chiudendo “- l’agenzia), confermando che il presidente Donald Trump concorda con questa decisione. Gli impiegati di USAID sono stati istruiti a non andare in ufficio, riferendosi alla sede centrale in Washington, e l’accesso ai sistemi informatici dell’agenzia è stato chiuso per paura di sabotaggi interni. Questa decisione ha suscitato preoccupazioni tra i legislatori democratici, che accusano Trump e Musk di abuso di potere e di minare la politica estera degli Stati Uniti. USAID è stata fondata nel 1961 con l’obiettivo di fornire assistenza allo sviluppo e umanitaria in tutto il mondo. La sua chiusura rappresenta un cambiamento significativo nella politica estera degli Stati Uniti. Durante una conferenza stampa, sempre oggi, della portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, rispondendo alla domanda sul perché USAID venisse chiusa, la sua risposta ci ha sbalorditi con un elenco breve di esempi di dove fossero stati spesi i soldi dei contribuenti: $1.5 milioni per promuovere DEI (diversity, equality, inclusion, un programma federale che garantirebbe pari opportunità a tutte le persone, indipendentemente da razza, genere, etnia, orientamento sessuale o altre caratteristiche individuali e non sulla meritocrazia, che secondo il decreto presidenziale del 20 gennaio che chiude tutte le agenzie DEI, è la causa prima del malfunzionamento generale) nei luoghi di lavoro in Serbia; $70,000 per la produzione di un musical DEI in Irlanda, $47,000 per un’opera transgender in Colombia e $32,000 per un fumetto transgender in Perù. Ha criticato queste spese come sprechi di denaro dei contribuenti e ha sottolineato che Elon Musk è stato incaricato dal presidente Trump di porre fine a tali sprechi.


Rivoluzione Trump: a Davos l’appello al cambiamento globale.

di Melissa de Teffè dagli Stati Uniti – Giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense.

Nel discorso virtuale al Forum Economico Mondiale di Davos del 2025, il Presidente Donald Trump ha condiviso la sua audace visione per l’economia globale, la politica estera e la riduzione degli armamenti nucleari. Il suo discorso ha suscitato intense discussioni e, durante la sessione di domande e risposte, domande poste da quattro eminenti figure internazionali dove le risposte del Presidente hanno offerto una visione ancora più dettagliata della situazione.

L’Economia Globale, i Tassi di Interesse e l’Inflazione:

  1. Domanda di Steve Schwarzman (Blackstone Group*): “….Presidente Trump, molti uomini d’affari europei hanno espresso una grande frustrazione con il regime normativo nell’UE e attribuiscono la lentezza alla crescita dei tassi d’interesse a numerosi fattori, ma soprattutto alle regolamentazioni. Lei ha adottato un approccio completamente diverso. Potrebbe spiegarci la teoria di ciò che sta facendo, come intende farlo e quale risultato si aspetta? Grazie.”

* Il Blackstone Group è una delle più grandi società di gestione degli investimenti a livello globale, specializzata principalmente in private equity, immobili, hedge funds e crediti. Fondata nel 1985 da Stephen Schwarzman e Peter Peterson, la società ha sede a New York ed è conosciuta per la sua vasta portata e influenza nel settore finanziario.

Risposta di Donald Trump:

“Voglio parlare dell’Unione Europea. Ho molti amici leader di vari paesi, e quasi tutti sono assai frustrati da quanto tempo sia necessario per ottenere le approvazioni richieste. Per esempio, prima ancora di entrare in politca, avevo un progetto in Irlanda approvato dagli irlandesi in una settimana, ma quando ho dovuto richiedere quella della UE, mi hanno detto che ci sarebbero voluti dai cinque ai sei anni. Non ho nemmeno inoltrato la richiesta. Questo è un problema enorme, e mi sono reso conto che l’UE ha un sistema burocratico lentissimo che frena le opportunità economiche……Dal punto di vista americano, gli Stati Uniti sono trattati molto ingiustamente. Ci sono tariffe pesanti sui prodotti americani, ma l’UE esporta massicciamente verso di noi e senza gli stessi ostacoli. Anche in ambito agricolo e automobilistico, ci sono politiche commerciali inique, con l’UE che non accetta i nostri prodotti agricoli e non compra le nostre auto, ma continua a inviarci milioni di auto. La situazione crea un deficit commerciale che ammonta a centinaia di miliardi di dollari. Molti dei miei amici vogliono poter competere meglio, ma non possono farlo con un sistema così farraginoso. Voglio essere costruttivo, perché amo l’Europa e le sue nazioni, ma le politiche e i processi sono troppo complicati e l’UE tratta gli Stati Uniti in modo molto ingiusto, soprattutto con le tasse sul valore aggiunto e altre imposte.”

Rivedendo i numeri l’UE ha acquistato 12,3 miliardi di dollari di esportazioni agricole statunitensi per il 2023, rendendola il quarto mercato dopo Cina, Messico e Canada. Mentre se i produttori automobilistici statunitensi hanno spesso avuto difficoltà a competere in Europa, secondo un rapporto del dicembre 2023 dell’Associazione dei Costruttori Automobilistici Europei, l’UE è il secondo mercato di esportazione più grande per i veicoli statunitensi, importando 271.476 veicoli nel 2022, per un valore di quasi 9 miliardi di euro (alcuni di questi veicoli sono prodotti da case automobilistiche europee in stabilimenti negli Stati Uniti). Trump ha anche menzionato le multe milionarie a Meta e Apple, senza però specificare che avevano evaso le tasse dell’Unione – sono stati multati dall’UE per pratiche fiscali considerate elusione delle normative fiscali europee: Apple per aver ricevuto aiuti fiscali illegali dall’Irlanda, riducendo artificialmente le sue imposte; allo stesso modo, Meta è stata multata per aver creato strutture societarie in Europa che permettevano di ridurre in modo significativo le imposte da pagare, violando le leggi fiscali comunitarie.

2. Energia e sicurezza degli approvvigionamenti:

Domanda di Patrick Pouyanné, CEO di TotalEnergies:
“Signor Presidente, come sappiamo, l’energia è in cima alla sua agenda e per me è un onore rappresentare l’industria energetica in questo gruppo. TotalEnergies è infatti la quarta, più grande compagnia al mondo, nel settore petrolifero, del gas e dell’elettricità. Non le chiederò nulla riguardo ai prezzi del petrolio, è abbastanza chiaro cosa si aspetta da noi – nel suo discorso Trump ha chiesto a tutti i produttori di petrolio mondiali di abbassare i prezzi. Passando al gas, la nostra compagnia è il principale esportatore di GNL (gas naturale liquefatto) degli Stati Uniti. Siamo un contributore forte e investiamo in progetti GNL in Texas, con un investimento di 20 miliardi di dollari. Non sono 200 miliardi, ma sono comunque 20 miliardi, e contribuiamo alla fornitura per l’Europa esportando gas. Alcuni esperti temono che, se si sviluppano troppi progetti simili negli Stati Uniti, questo potrebbe avere un impatto inflazionistico sui prezzi del gas domestico e suggeriscono una moratoria. Le chiedo: qual è la sua opinione su una tale moratoria sugli investimenti in GNL negli Stati Uniti? Cosa accadrebbe se osservassimo un aumento dei prezzi del gas domestico a causa delle esportazioni? Infine, una domanda importante per l’Europa: sarebbe disposto a garantire la certezza di approvvigionamento energetico dagli Stati Uniti verso l’Europa?”

Risposta di Donald Trump:

“Sì, in risposta alla sua domanda, sì, garantirei la fornitura, se facciamo un accordo, lo manterremo, perché molte persone hanno avuto questo problema: fanno un accordo ma non riescono a garantire l’approvvigionamento a causa dei problemi legati alla guerra o altre difficoltà. Garantiamo… Uno dei primi problemi che ho affrontato durante il primo mandato fu con due impianti enormi in Louisiana che stavano subendo lunghi ritardi nelle approvazioni ambientali, da più di dieci anni. Questi impianti avrebbero dovuto costare circa 12-15 miliardi di dollari, ma non riuscivano a ottenere i permessi, e io ho accelerato il processo portandoli a termine in meno di una settimana. È stato fatto grazie al mio intervento diretto, senza l’aiuto dei consulenti. Daremo approvazioni molto rapide negli Stati Uniti, come per gl’impianti per l’AI. Sarà una cosa enorme. Costruiremo impianti elettrici, e io li farò approvare tramite la “dichiarazione di emergenza”. Posso ottenere approvazioni personalmente (come Presidente ndt), senza dover aspettare anni. Il grande problema è che abbiamo bisogno di doppia energia rispetto a quella che abbiamo attualmente negli Stati Uniti. Immaginate cosa succederebbe se l’AI diventasse davvero grande come vogliamo. Quindi farò una “dichiarazione di emergenza” in modo che possano iniziare subito i lavori… – Trump aggiunge qui un’altra sua idea riguardo alla necessità di molti impianti di avere fonti energetiche più potenti e affidabili – …Penso che sia stata principalmente una mia idea…, ma dissi di costruire un impianto elettrico accanto al loro stabilimento, come un edificio separato ma collegato. E loro mi dissero: ‘Davvero?, ma stai scherzando?’ E io dissi: ‘No, non sto scherzando. Non dovete collegarvi alla rete, che è vecchia e potrebbe essere eliminata o rompersi. Se viene eliminata, non avrete elettricità.’ Così permetteremo loro (i proprietari degli impianti) di costruire velocemente il loro impianto e la centrale elettrica. Possono alimentarla con qualsiasi cosa vogliano, e potrebbero anche usare il carbone come riserva. Carbone pulito, se ci fosse un problema con una conduttura, per esempio, nel caso in cui una conduttura di gas o petrolio venga distrutta, alcune aziende negli Stati Uniti hanno carbone proprio accanto agli impianti, quindi se ci fosse un’emergenza, potrebbero usare quel carbone pulito a breve termine. È qualcosa che molte persone non sanno, ma niente può distruggere il carbone, né il maltempo né una bomba. Potrebbe ridursi un po’, o cambiare forma, ma il carbone è molto forte…, e non costerà molto di più. Abbiamo più carbone di chiunque altro, e anche più petrolio e gas di chiunque altro. Quindi faremo in modo che gli impianti abbiano le proprie strutture di generazione elettrica direttamente collegate agli impianti, senza doversi preoccupare di una esterna pubblica.”  Un’idea certamente innovativa.

  • Domanda di Brian Moynihan, CEO di Bank of America:
    “Signor Presidente, se ricorda, cinque anni fa è venuto qui e abbiamo conosciuto più di 150 CEO, da tutto il mondo, abbiamo discusso con loro delle sue politiche e delle sue procedure. Questa settimana è stata memorabile a partire dai decreti esecutivi che ha menzionato prima: letteralmente una serie di decreti per l’immigrazione, il commercio e molte altri. Come rappresentante degli Stati Uniti qui, mi hanno posto molte domande su cosa significhi tutto questo e come il presidente intenda conciliare tutto ciò con il suo chiaro obiettivo di crescita, prosperità, crescita dei mercati, crescita del mercato azionario, un buon mercato obbligazionario e la riduzione dei prezzi. Come pensa che gli impatti di tutti questi decreti s’intrecceranno con il suo impegno per continuare la crescita del PIL, abbattere l’inflazione e avere anche un buon apprezzamento dei prezzi delle azioni per i cittadini americani?”

Risposta di Donald Trump:

“Penso che in realtà questo abbasserà l’inflazione, aumenterà l’occupazione, avremo molti posti di lavoro e molte aziende che si trasferiranno qui. Sai, Brian, siamo scesi dal 40% al 21%, ho ridotto l’imposta sulle società dal 40% al 21%, e se guardi a livello statale e cittadino, in molti casi era anche più alta del 40%. L’ho portato al 21% e ora lo abbasseremo dal 21% al 15%, ma c’è un grande ‘se’: se produci il tuo prodotto negli Stati Uniti. Quindi avremo la tassa più bassa, quasi la più bassa, sarà il 21% che è già bassa a livello mondiale, il 15% è praticamente il minimo che si possa ottenere, e di gran lunga la più bassa per un paese grande, ricco e potente, non c’è competizione. Quindi la abbasseremo al 15% se produci il tuo prodotto negli Stati Uniti. Questo creerà un’energia incredibile. Probabilmente torneremo anche alla deduzione annuale, come facevamo in passato. La deduzione annuale che si accumulava nel tempo e poi scadeva. Ma torneremo su questo quando faremo il rinnovo del piano fiscale Trump. Dobbiamo farlo approvare dai Democratici, ma se i Democratici non lo approveranno, non so come possano sopravvivere a un aumento delle tasse del 45%, perché sarebbe così. E penso che lo approveranno. Penso che sia molto difficile per un gruppo politico dire: ‘Facciamo pagare alla gente il 45% in più’. In realtà stiamo facendo una riduzione per le aziende e le piccole imprese, dove la tassa scenderà al 15%, che è davvero qualcosa di notevole.

Per quanto ti riguarda, hai fatto un lavoro fantastico, ma spero che inizi ad aprire le tue banche ai conservatori, perché molti conservatori si lamentano che le banche non permettono loro di fare affari con la banca, e questo include Bank of America. Questi conservatori non accettano affari conservatori e non so se i regolatori lo abbiano imposto a causa di Biden o cosa, ma tu, Jamie e tutti gli altri, spero che apriate le vostre banche ai conservatori, perché quello che state facendo è sbagliato*.”

*Il Presidente Donald Trump ha recentemente accusato Bank of America e JPMorgan Chase di discriminare i clienti conservatori negando loro i servizi bancari. In risposta, entrambe le banche hanno emesso dichiarazioni negando queste accuse. Bank of America ha sottolineato che non ha un “test litmus politico” e che serve oltre 70 milioni di clienti, accogliendo anche i conservatori. JPMorgan Chase si è difesa affermando che non ha mai chiuso un conto per motivi politici e che segue la legge e le direttive degli enti regolatori.

Entrambe hanno dovuto affrontare critiche riguardo alle loro politiche sui conti, con accuse di “de-banking” nei confronti dei clienti conservatori. Ad esempio, nel 2020, Bank of America ha chiuso i conti di Timothy Two Project International, una ONG con sede negli Stati Uniti, affermando che l’organizzazione “gestiva un tipo di attività che abbiamo scelto di non servire”.
In risposta a queste preoccupazioni, un gruppo di 15 procuratori generali di vari Stati ha inviato una lettera a Bank of America, chiedendo un rapporto sulle sue politiche e pratiche relative ai conti, in particolare riguardo a termini come “tolleranza al rischio”, “rischio reputazionale”, “odio” e “intolleranza”. Hanno anche richiesto che la banca aggiornasse i suoi termini di servizio per dichiarare esplicitamente che non discrimina i clienti in base a opinioni religiose o politiche.

  • Domanda di Ana Botín, presidente esecutivo di Banco Santander:

“Signor Presidente, congratulazioni per una vittoria storica. Credo che lei non mi conosca tanto bene quanto i miei colleghi qui presenti, quindi mi permetta di darle qualche fatto. Santander è una delle banche più grandi al mondo per numero di clienti, 170 milioni, che sono più di quelli del mio amico Brian o del mio amico Jamie. Siamo un grande investitore negli Stati Uniti, con milioni di clienti e 12.000 dipendenti, siamo uno dei maggiori finanziatori di auto e recentemente abbiamo lanciato una banca completamente digitale chiamata Open Bank. Crediamo fermamente che le banche abbiano un ruolo fondamentale nell’economia e che possano accelerare la crescita e aiutare molti più clienti. Questo è ciò che stiamo facendo negli Stati Uniti. Come ha sottolineato Brian, apprezziamo molto il suo impegno per la deregolamentazione e la riduzione della burocrazia. La mia domanda è: quali sono le sue priorità in merito e quanto velocemente si realizzeranno? La ringrazio molto.”

Risposta di Donald Trump:

“Sò molto della vostra banca e avete fatto un lavoro fantastico, congratulazioni. Ci muoveremo molto rapidamente, ci stiamo già muovendo rapidamente. Abbiamo fatto cose negli ultimi tre giorni che nessuno pensava fossero possibili in anni, e tutto sta prendendo forma, avrà un enorme impatto sull’economia, un enorme impatto positivo. I soldi venivano sprecati in cose folli. Voglio dire, il Green New Deal è stato un totale disastro. Com’è stato perpetrato e concepito da persone che erano studenti mediocri, anzi, meno che mediocri, aggiungerei, e che non avevano nemmeno mai seguito un corso sull’energia o l’ambiente. Ricordate, il mondo doveva finire in 12 anni, vi ricordate? Ebbene, i 12 anni sono passati e se ne sono andati. Queste persone hanno davvero spaventato i Democrati, ma è stato uno spreco enorme di denaro. Durante i miei quattro anni abbiamo avuto l’aria più pulita, l’acqua più pulita, eppure avevamo l’economia più produttiva nella storia del nostro paese, fino a quando è arrivato il Covid. Avevamo l’economia più produttiva della nostra storia, di gran lunga. E, in realtà, se guardiamo a livello globale, stavamo battendo tutti, dalla Cina a tutti gli altri. E ora pensiamo che, con quello che abbiamo imparato e tutto il resto che è successo, pensiamo di poter superare quella performance, anzi, di molto, ma c’è una cosa che chiederemo: chiederemo il rispetto dalle altre nazioni. Con il Canada abbiamo un enorme deficit, non lo avremo più, non possiamo più farlo. Non so se sia buono per loro. Come sapete probabilmente, dico sempre che possono diventare uno stato, diventare il nostro 51° stato, così non avremo più il deficit, non dovremo tariffarli, ma le trattative con il Canada sono state complesse per anni ed è ingiusto avere un deficit di 200 o 250 miliardi di dollari. Non abbiamo bisogno che facciano le nostre auto, non abbiamo bisogno del loro legname perché abbiamo le nostre foreste, non abbiamo bisogno del loro petrolio e gas, ne abbiamo più di chiunque altro. …. Non c’è praticamente nessuna nazione al mondo che non abbia approfittato di noi, e lo attribuisco a noi, ai politici che per qualche motivo, probabilmente principalmente per stupidità, ma si potrebbe anche dire per altri motivi, ma principalmente stupidità, hanno permesso che altre nazioni approfittassero di noi e non possiamo permetterlo più. Abbiamo un debito, è molto piccolo se lo confrontiamo con il valore delle risorse che possediamo. Vogliamo che il debito venga annientato, e saremo in grado di farlo abbastanza rapidamente.

Mi piacerebbe davvero poter incontrare il Presidente Putin presto e fermare questa guerra. E questo non dal punto di vista economico o altro, ma dal punto di vista di milioni di vite che vengono sprecate, bellissimi giovani vengono uccisi sul campo di battaglia. Sapete, la pallottola vola in terra piatta, come ho detto, e la pallottola va, non c’è modo di nascondersi, l’unica cosa che può fermare la pallottola è un corpo umano. E dovete vedere le foto di quello che sta succedendo, è una carneficina e dobbiamo davvero fermare quella guerra, è orribile, e non sto parlando di economia, non sto parlando di risorse naturali, sto parlando del fatto che ci sono così tanti giovani che vengono uccisi in questa guerra, e questo senza contare le persone che sono morte mentre le città venivano distrutte, edificio per edificio.

Conclusione:

Il discorso del Presidente Trump a Davos ha come sempre suscitato contrasti a seconda di quali interessi sia andato a toccare. Ma fra tutte le idee che ha esposto non possiamo negare la validità di due che se vedessero la luce del sole sarebbero per certo un passo gigante per i risultati positivi che rappresentano a livello globale:

  1. Riduzione del costo del petrolio:

“Chiederò anche all’Arabia Saudita e all’OPEC di abbassare il costo del petrolio. Onestamente, sono sorpreso che non l’abbiano fatto prima delle elezioni… Se il prezzo scendesse, la guerra tra Russia e Ucraina finirebbe immediatamente. Adesso il prezzo è abbastanza alto e quindi la guerra continua. Bisogna abbassare il prezzo del petrolio, bisogna fermare quella guerra. Avrebbero dovuto farlo tanto tempo fa, sono molto responsabili, in effetti, per quello che sta accadendo. Milioni di vite vengono perse. Abbassando il prezzo del petrolio, chiederò che i tassi di interesse scendano immediatamente e allo stesso modo dovrebbero scendere in tutto il mondo. I tassi di interesse dovrebbero seguirci ovunque. Tutto il progresso che vedete sta accadendo grazie alla nostra vittoria storica.”

  • Denuclearizzazione:

Trump vuole lavorare per ridurre gli arsenali nucleari, aggiungendo che Russia e Cina sono concordi nel supportare la riduzione delle proprie capacità nucleari.
“Vorremmo vedere la denuclearizzazione… e vi dirò che il presidente Putin ha davvero apprezzato l’idea di ridurre notevolmente gli armamenti nucleari.”

Trump, durante il suo primo mandato, non è riuscito a coinvolgere la Cina nelle negoziazioni per estendere un trattato di controllo degli armamenti nucleari con la Russia, chiamato New START, che impone limiti chiave sugli armamenti nucleari schierati e scadrà nel febbraio 2026.  Questa presidenza ha espresso l’impegno continuo per rimodellare le relazioni internazionali e garantire un futuro più stabile per le generazioni a venire. Questa volta ci sono buone chances che funzioni.


L’eredità di Joe Biden: una valutazione della sua presidenza.

di Melissa de Teffè dagli Stati Uniti – Giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense.

La presidenza di Joe Biden, iniziata a gennaio del 2021 e conclusasi venerdì 18, 2025, ha segnato un periodo significativo nella storia americana, sfortunatamente più per le controversie interne e internazionali che per le innovazioni e i progressi che le società oggi richiedono. Sicuramente le sfide che questa amministrazione ha dovuto affrontare sono state molteplici e gravi. Il Covid, due guerre militari da distinguere da quelle economiche, lo spionaggio cinese sfacciato e aggressivo,  e infine, la malattia di Biden, che da prima del famoso dibattito con Trump, (pensiamo alle immagini di Biden che vaga durante il G7 in Puglia) ci ha portati a porci questa domanda: “Ma chi sta governando gli Stati Uniti?”. L’eredità di qualsiasi presidente è definita dalla sua leadership durante periodi storici difficili e sicuramente Biden è stato il protagonista di questo. Se i primi due anni sono stati vissuti, almeno dalla popolazione, come una rinascita positiva, dove il grande Padre della nazione iniziava a prendersi cura del “popolo” afflitto dall’inflazione, dalla perdita di lavoro per il Covid, e da un’economia internazionale ferma, l’arrivo di milioni di immigrati illegali le cui sovvenzioni federali hanno prosciugato diverse casse dello Stato. Qui analizziamo in sintesi i pro e i contro.

L’avvio: ripresa economica e vittorie legislative  

Uno degli aspetti più significativi della politica Biden è stato il suo ruolo nel guidare l’economia degli Stati Uniti dopo le conseguenze della pandemia di COVID-19. Quando Biden è entrato in carica nel gennaio 2021, il paese stava ancora affrontando le ripercussioni economiche della pandemia, che aveva causato una diffusa perdita di posti di lavoro, interruzioni nelle catene di approvvigionamento e una grave crisi sanitaria pubblica. L’amministrazione Biden ha subito iniziato a lavorare per stabilizzare l’economia.

  1. American Rescue Plan (ARP):

Nel marzo del 2021, Biden ha approvato l’American Rescue Plan, un pacchetto di stimolo da 1,9 trilioni di dollari progettato per dare assistenza finanziaria diretta alla popolazione, sovvenzionare la distribuzione dei vaccini e supportare le economie di quegli Stati federali o città in gravi difficoltà economiche. Il piano includeva incentivazioni come l’estensione dei benefici di disoccupazione e altre misure di soccorso volte a mitigare l’impatto finanziario della pandemia. L’ARP è stato accreditato per aver aiutato milioni di americani ad affrontare la tempesta economica, portando a una rapida ripresa della spesa dei consumatori e a una riduzione dei tassi di povertà.

  • Crescita economica e creazione di posti di lavoro:
    Gli sforzi di recupero economico di Biden sono stati in gran parte efficaci nella creazione di posti di lavoro. Alla fine del 2021, l’economia degli Stati Uniti aveva assicurato 6,6 milioni di posti di lavoro, segnando così una svolta storica. Il tasso di disoccupazione, che durante la pandemia era salito alle stelle, è sceso sotto la leadership di Biden, raggiungendo i livelli pre-pandemia già a metà del 2021, con una crescita economica complessiva per il 2021 del 5,9%, il tasso più alto in quasi quattro decenni.
  •  Investimenti in infrastrutture:
    The infrastructure Investment Act and the Job Act.  A novembre 2021 sono stati allocati 1,2 trilioni di dollari per progetti infrastrutturali in tutto il paese. Questo storico disegno di legge ha finanziato la riparazione e l’aggiornamento di strade, ponti, trasporti pubblici e reti a banda larga, tra le altre infrastrutture critiche, creando quindi anche posti di lavoro. Questo disegno di legge, acclamato perchè  più che necessario, è stato visto come un importante successo per l’agenda politica interna di questa amministrazione.

Contemporaneamente, la Federal Reserve, sotto la guida di Jerome Powell, ha adottato politiche monetarie espansive, abbassando i tassi di interesse e acquistando asset per garantire liquidità nei mercati finanziari. Questo ha stabilizzato l’economia momentaneamente. Nel complesso, le politiche economiche di Biden hanno stimolato una rapida ripresa, con una crescita del PIL del 5,9% nel 2021 e una significativa riduzione della disoccupazione. Tuttavia, l’aumento dei prezzi al consumo, secondo il CPI (l’Indice dei Prezzi al Consumo) depurato dagli aggiustamenti stagionali, è del 19,4% da quando Biden è entrato in carica, evidenziando la difficoltà di gestire gli effetti collaterali delle politiche di stimolo in un contesto di forte crescita.

4. Inflation Reduction Act (IRA):
Ad agosto del 2022, Biden ha firmato l’ Inflation Reduction Act in legge. Nonostante il nome, l’oggetto della legge era quello di combattere il cambiamento climatico, abbassare i prezzi dei farmaci da prescrizione e riformare il codice fiscale. L’IRA è forse meglio conosciuto per il suo storico investimento in energie rinnovabili, con disposizioni volte a ridurre le emissioni di gas serra e promuovere fonti di energia alternative. Supportato da ambo i partiti questa legislazione è stata uno dei principali successi di Biden nell’ambito della politica climatica e della sanità.

Politiche sociali: progressi nei diritti civili: La presidenza di Biden si è occupata anche di diritti civili e giustizia sociale.

1. Respect for Marriage Act:
Nel dicembre 2022, Biden ha firmato in legge il Respect for Marriage Act. Questa legislazione cruciale ha abrogato il Defense of Marriage Act e ha sancito nel diritto federale il matrimonio tra persone dello stesso sesso e tra persone di razze diverse, offrendo protezione legale per le coppie LGBTQ+ e per quelle interrazziali. Questo è stato visto come una vittoria monumentale per il movimento per i diritti LGBTQ+ e ha segnato un cambiamento storico nel panorama giuridico riguardo all’uguaglianza matrimoniale negli Stati Uniti. (*Il Defense of Marriage Act (DOMA) era una legge federale degli Stati Uniti, firmata dal presidente Bill Clinton nel 1996, che definiva il matrimonio come l’unione esclusiva tra un uomo e una donna, impedendo così il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso a livello federale. Inoltre, la legge permetteva agli stati di non riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati in altri Stati. Nel 2013, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale una parte fondamentale del DOMA, affermando che impedire il riconoscimento federale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso violava il principio di uguaglianza protetto dalla Costituzione. Di conseguenza, il DOMA è stato progressivamente smantellato, e nel 2022, la Respect for Marriage Act ha abrogato definitivamente il DOMA, garantendo il riconoscimento federale del matrimonio tra persone dello stesso sesso.)

2. Diritti LGBTQ+:
L’amministrazione Biden ha preso misure rapide per proteggere i diritti LGBTQ+ in vari ambiti, tra cui l’istruzione, la sanità e il lavoro. La sua amministrazione ha annullato politiche discriminatorie, tra cui il divieto per le persone transgender di servire nell’esercito, e ha adottato misure per proteggere gli studenti LGBTQ+ nelle scuole dalla discriminazione. Biden ha anche emesso ordini esecutivi per garantire l’accesso all’assistenza sanitaria per gli individui LGBTQ+, affrontare le disparità sanitarie e combattere la discriminazione contro gli LGBTQ+.

Politica estera: la scena globale

La politica estera di Biden è stata segnata da molte controversie. Il suo approccio radicato nel rinnovato impegno con il mondo dopo la dottrina “America First” dell’amministrazione Trump, si è concentrato sul multilateralismo, inizialmente capovolgendo quasi tutte le scelte fatte dall’amministrazione precedente e cercando di affrontare le molteplici sfide globali come il cambiamento climatico e l’autoritarismo.

1. Risposta all’invasione russa dell’Ucraina:
Uno degli aspetti definitivi della politica estera di Biden è stata la sua risposta all’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Biden ha rapidamente imposto una serie di sanzioni economiche contro la Russia, incluso il congelamento dei beni di funzionari e oligarchi russi in mano agli americani,  ha coordinato il supporto internazionale per l’Ucraina, guidando gli alleati NATO nel fornire armamenti, finanziamenti miliardari e aiuti umanitari. Il sostegno di Biden all’Ucraina ha consolidato la sua posizione come leader impegnato a difendere la democrazia contro l’aggressione autoritaria.

2. Posizionamento riguardo la Cina:
L’amministrazione Biden ha preso diverse azioni contro la Cina, sia dirette che indirette, concentrandosi su una serie di settori strategici che vanno dalla sicurezza, alla difesa militare ed economica della nazione, ai diritti umani. Ecco alcune delle principali azioni:

3. Politica di Confronto sulla Sicurezza e la Difesa:

  • AUKUS (2021): Come parte della strategia per contrastare l’influenza crescente della Cina nell’Indo-Pacifico, Biden ha collaborato con il Regno Unito e l’Australia per creare l’alleanza AUKUS, che include la fornitura di sottomarini nucleari all’Australia e altre iniziative di cooperazione militare. Questa alleanza costituisce un contrappeso alla potenza navale crescente della Cina nella regione.
  • Quad (2021): L’amministrazione Biden ha rafforzato l’alleanza del Quad (Stati Uniti, Giappone, India e Australia), che mira a rafforzare la cooperazione in ambito di sicurezza, commercio, e altre aree strategiche, rispondendo così alle crescenti sfide poste dalla Cina nell’Indo-Pacifico.
  • Tecnologia 5G e cyber security: La Cina è vista come una minaccia alla sicurezza digitale, e Biden ha sostenuto iniziative per difendersi da attacchi informatici provenienti dalla Cina. Ha vietato la partecipazione di Huawei nelle reti 5G.
  • Sanzioni contro aziende cinesi:  Queste misure proibiscono alle aziende americane di vendere tecnologie e componenti critici a queste società, limitando l’accesso a componenti essenziali per la costruzione di infrastrutture 5G e la produzione di semiconduttori avanzati. L’obiettivo principale di queste restrizioni è ridurre il rischio di spionaggio e sabotaggio informatico, proteggendo così le reti e i sistemi sensibili degli Stati Uniti. Inoltre, l’amministrazione ha introdotto nuove limitazioni, come l’inserimento di ulteriori aziende cinesi nella lista nera del Dipartimento del Commercio, vietando loro l’accesso al mercato statunitense.
  • TikTok e Preoccupazioni sulla Sicurezza dei Dati: TikTok, una delle piattaforme social più popolari al mondo, è di proprietà della compagnia cinese ByteDance ed è in questo momento soggetto incriminato per la manipolazione di dati di milioni di americani.  La legge richiede che la società madre di TikTok, ByteDance, venda l’applicazione a un acquirente approvato dagli Stati Uniti entro il 19 gennaio 2025, altrimenti la famosa app  sarà rimossa dagli store di applicazioni statunitensi.  Il presidente eletto, Donald Trump, ha dichiarato che è probabile che conceda un’estensione di 90 giorni, una volta assunto l’incarico. La situazione rimane incerta.  

4. Diplomazia e Alleanze Globali:

  • Rinnovato impegno con alleati globali: Biden ha lavorato per rafforzare le alleanze con alleati storici come l’Unione Europea, il Giappone, e l’India, cercando di costruire una coalizione contro le politiche economiche e geostrategiche della Cina. L’obiettivo è rendere più efficace una risposta collettiva alle pratiche commerciali cinesi percepite come sleali.

5. Diritti Umani:

  • Sostegno alla causa dei diritti umani in Xinjiang: Biden ha preso una posizione forte contro le violazioni dei diritti umani in Xinjiang, denunciando la repressione della minoranza uigura e definendo le azioni cinesi come genocidio. Ha imposto sanzioni contro i funzionari cinesi accusati di essere responsabili di abusi.
  • Hong Kong e le libertà civili: Biden ha denunciato la crescente repressione delle libertà civili a Hong Kong, dopo l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale da parte della Cina. L’amministrazione ha imposto sanzioni a funzionari cinesi e hongkonghesi coinvolti nella repressione.

Aspetti negativi: critiche e sfide

A partire dal 2022, l’amministrazione Biden ha dovuto affrontare le conseguenze negative delle scelte politico-economiche adottate all’inizio del suo mandato, con un impatto diretto sul contesto interno del paese.

1. Inflazione e difficoltà economiche:
Nonostante le scelte economiche iniziali abbiano risposto a necessità urgenti, a partire dalla seconda metà del suo mandato, il paese ha affrontato una crescente inflazione. Le misure di stimolo fiscale e monetario, sebbene necessarie per sostenere l’economia durante la pandemia, hanno aumentato la domanda aggregata.  Secondo la Banca Centrale Europea, l’inflazione negli Stati Uniti è stata più persistente a causa di una componente interna più forte, legata a una ripresa dei consumi più rapida rispetto all’Eurozona.  Inoltre, l’aumento dei prezzi dell’energia, aggravato dalla guerra in Ucraina, ha avuto un impatto significativo sull’inflazione. Le interruzioni nelle catene di approvvigionamento hanno portato a un aumento dei costi delle materie prime e dei semilavorati, influenzando i prezzi al consumo. Di conseguenza, la presidenza di Biden ha affrontato critiche per non essere riuscita a contenere l’inflazione, che ha avuto un impatto diretto sul potere d’acquisto delle famiglie americane.

2. Problemi di confine e immigrazione:
La politica sull’immigrazione è stata un altro punto di contesa e nonostante la sistuazione ereditata fosse complessa e volatile soprattutto al confine meridionale, la gestione della crisi al confine ha suscitato forti critiche, e molte divisioni. Accusati di mal governo l’amministrazione solo in ultimis ha messo in atto una politica di controllo restrittiva, ma soprattutto per le continue pressioni nazionali. L’impatto economico e la sicurezza pubblica ne hanno risentito in modo significativo, diventando una chiara testimonianza di questa cattiva gestione. Includo due esempi esplicativi.

New York City: Crisi Finanziaria e Sociale

New York City, una delle principali città santuario, (non tutte le città o gli Stati hanno deciso di alloggiare gl’immigrati, come ad esempio la Florida), ha affrontato una crisi migratoria senza precedenti. Dal 2022, la città ha accolto oltre 100.000 migranti, con un costo stimato di 12 miliardi di dollari entro il 2025.  Il sindaco Eric Adams ha dichiarato che la crisi migratoria “sta distruggendo” la città, sottolineando la necessità di un supporto federale e statale per affrontare l’emergenza che sta causando la bancarotta.

Aurora, Colorado: Invasione e Occupazione di Edifici e Problemi di Sicurezza

Aurora, una città suburbana di Denver, ha vissuto un aumento significativo della criminalità legata all’afflusso di migranti, in particolare quelli provenienti da Venezuela. Un esempio drammatico di questo fenomeno è stato l’invasione e l’occupazione di due palazzi da parte di gruppi di migranti delinquenti. Questi edifici, sono stati occupati illegalmente. I residenti  hanno denunciato atti di violenza, traffico di droga e altri crimini, attribuiti a una banda organizzata come il “Tren de Aragua”, un gruppo criminale che si sta espandendo anche in altre aree degli Stati Uniti. L’incapacità delle autorità locali di intervenire ha esacerbato la situazione. Questo caso ha sollevato una serie di interrogativi sul controllo della migrazione e sul tipo di supporto dato dalle città rifugio non a migranti “meritevoli”, ma a veri e propri delinquenti, dove, chi ne paga le conseguenze sono residenti espropriati dei loro averi e della casa.

Le forze dell’ordine locali hanno intensificato gli sforzi per affrontare queste sfide, ma le risorse sono limitate. Inoltre, la collaborazione tra le autorità locali e le agenzie federali, come l’ICE, (U.S. Immigration and Customs Enforcement), è stata più che carente per motivi cos’ detti etici. Questa politica di accoglienza ha avuto risvolti inaspettati apportando sfide significative in termini di risorse economiche e sicurezza pubblica.

3. Valutazioni di approvazione e polarizzazione politica:
Le valutazioni di approvazione di Biden sono fluttuate durante la sua presidenza, principalmente a causa di fattori come l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia e la continua polarizzazione politica. Una volta iniziato il periodo elettorale, agli inizi del 2024, i valori di approvazione sono diminuiti drasticamente, soprattutto sapendo che il contendente era Donald Trump e la sua nota imprevedibilità. Da quel momento l’America si è divisa.

4. Il ritiro dall’Afghanistan:
Il ritiro dall’Afghanistan, già considerato un fallimento, merita una riflessione approfondita. Le modalità con cui è stato gestito hanno suscitato ampie critiche da parte di entrambe le fazioni politiche. La decisione di Biden di ritirare le forze americane entro settembre 2021 è stata vista come una grave mancanza di responsabilità, poiché non è riuscito a garantire una transizione pacifica e ordinata oltre al non dare il tempo necessario per traslocare la grande quantità di armamenti in loco. Questo errore ha avuto ripercussioni devastanti non solo nel contesto internazionale, ma ha minato la propria immagine all’interno sia del mondo militare che quello civile dimostrando l’incapacità di gestire crisi complesse e di mantenere la stabilità in questa regione strategica del mondo.

Un episodio che ha ulteriormente acuito le critiche sul ritiro è avvenuto durante il discorso sullo Stato dell’Unione del 2024, quando, verso la fine, Steven Nikoui, padre di Kareem Nikoui, un marine statunitense ucciso durante l’attacco all’Abbey Gate di Kabul nel 2021, è stato arrestato per aver urlato “Signor Presidente si ricordi di Abbey Gate” e “dei Marines americani”,  in riferimento all’attacco terroristico che ha causato la morte di suo figlio e di altri 12 soldati americani, oltre a diversi civili afghani. L’arresto, seppur temporaneo, ha evidenziato il fallimento nel proteggere i diritti e le vite dei propri soldati e dei cittadini afghani. La scena ha scatenato indignazione, ha accentuato le divisioni all’interno della società americana, minando ulteriormente la leadership di Biden.

5. Politica Transgender

La politica sulla questione dei diritti delle persone transgender, in particolare nello sport, ha subìto un significativo contraccolpo durante la presidenza di Joe Biden. Da subito sono state sostenute le richieste degli atleti mashi transgender di partecipare alle competizioni femminili. La questione è divenuta sempre più divisiva, con ampi settori della società e della politica che hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla parità di opportunità per le donne cisgender. Ad opporsi da ambo i versanti politici sono stati in tanti che si è culminato con la decisione della Camera dei Rappresentanti, che il 14 gennaio 2025 ha approvato il “Protection of Women and Girls in Sports Act”. La legge vieta alle atlete transgender di partecipare a competizioni sportive femminili nelle scuole e università che ricevono fondi federali, ribaltando così le politiche sostenute dall’amministrazione Biden. Questa decisione rappresenta un evidente fallimento delle politiche pro-transgender del presidente, mettendo in luce l’ampia opposizione che continua a esistere sia a livello legislativo che sociale riguardo ai diritti delle persone transgender.

Conclusioni: un’eredità mista

La presidenza di Joe Biden è stata segnata da alcuni temporanei successi e da sfide significative. Le soluzioni adottate per affrontare i disastri economici causati dalla pandemia, gli sforzi di recupero economico, gli investimenti in infrastrutture e le vittorie legislative in ambiti come il cambiamento climatico e una riforma sanitaria piuttosto limitata (senza dimenticare che la principale causa di bancarotta personale è l’incapacità di pagare i farmaci prescritti) saranno presto dimenticate. Sulla bilancia pesano l’inflazione, la criminalità di immigrati illegali, gli assalti sessuali di ragazzini dichiaratisi falsamente trans nei bagni pubblici femminili, i morti di Abbey Gate in Afghanistan, l’incapacità di dialogare e con Putin e con Netanyahu, senza poi dimenticare d’aver dato la grazia totale e incondizionata al figlio cocainomane condannato a 17 anni di carcere.

Come per tutti i presidenti, l’eredità di Biden sarà valutata nel tempo. Sebbene alcune delle sue politiche abbiano gettato le basi per miglioramenti a lungo termine nel posizionamento globale, le turbolenze della seconda metà del suo mandato soprattutto riguardo alle politiche interne, probabilmente plasmeranno la narrativa storica. Alla fine, la presidenza di Biden rappresenta un periodo di confusione identitaria, di violenze verbali mai vissute prima, una volontà di obnubilare le radici storiche di questa nazione, ma senza una linea politica chiara. Ai posteri la sentenza finale.


Elezioni USA. Trump-Harris: Un dibattito al ritmo di colpi e contraccolpi.

di Melissa de Teffè.

Finito il dibattito il primo commento che balza alla mente è che la Harris è stata per Trump pruriginosa. Dopo una breve introduzione in cui racconta d’essere cresciuta con solo la mamma divorziata che l’ha mantenuta fino alla fine degli studi, si è subito lanciata nel suo “programma” politico incentrato nel voler sollevare la classe media, la stessa di sua provenienza, dalle pressanti difficoltà economiche in cui versa. La strategia della squadra Harris è stata quella di irritare il più possibile Trump, obbligandolo di fatto a stare sulla difensiva. Non c’è stato un momento in cui Trump non sia stato in qualche modo denigrato o preso in giro, come quando gli è stato detto che durante la sua presidenza si scambiava lettere d’amore con il presidente Kim della Corea del Nord, o che la guerra tra Russia e Ucraina finirebbe per i suoi interessi compiacenti con Putin. Oppure ancora che molti capi di Stato lo considerano un personaggio “vergognoso”.  Queste solo alcune delle critiche, farcite per altro da evidenti gesti continui con la testa, di disapprovazione, di sfottò e di presa in giro.

Trump dal canto suo ha dimostrato, confrontando altri momenti di suoi exploit, molto controllato, ma sempre sulla difensiva. Insomma, tanti colpi bassi, tante denigrazioni, ma pochissima sostanza. 

Partirei quindi dalle conclusioni di ambo i candidati che danno una chiara visione di questa battaglia politica in stallo. 

Harris: “Quindi, penso che questa sera abbiate sentito due visioni molto diverse per il nostro Paese: una concentrata sul futuro, e l’altra concentrata sul passato e su un tentativo di riportarci indietro. 

Ma noi non torneremo indietro, e credo davvero che il popolo americano sappia che abbiamo molto più in comune di quanto ci divida, e possiamo tracciare una nuova strada in avanti, una visione che includa avere un piano, il capire le aspirazioni, i sogni, le speranze e le ambizioni del popolo americano. 

Ecco perché intendo creare un’economia di opportunità, investendo nelle piccole imprese, nelle nuove famiglie, e in ciò che possiamo fare per proteggere gli anziani, ciò che possiamo fare per dare sollievo a chi lavora duramente e ridurre il costo della vita. Credo in ciò che possiamo fare insieme per sostenere la posizione dell’America nel mondo e garantire il rispetto che meritiamo, incluso il rispetto per il nostro esercito e l’assicurazione di avere l’esercito più letale al mondo.

Sarò un presidente che proteggerà i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali, incluso il diritto di una donna di prendere decisioni sul proprio corpo senza che il governo le dica cosa fare.

 Vi dico che ho iniziato la mia carriera come procuratrice. Sono stata procuratrice distrettuale, procuratrice generale, senatrice degli Stati Uniti e ora vicepresidente. 

 Ho avuto solo un cliente: il popolo. E vi dico, come procuratrice, non ho mai chiesto a una vittima o a un testimone: ‘Sei repubblicano o democratico?’ L’unica cosa che ho mai chiesto è stata: ‘Stai bene?’ E questo è il tipo di presidente di cui abbiamo bisogno in questo momento, qualcuno che si preoccupi di voi e che non metta sé stesso al primo posto. 

Intendo essere un presidente per tutti gli americani e concentrarmi su ciò che possiamo fare nei prossimi 10 e 20 anni per ricostruire il nostro Paese, investendo ora in voi, il popolo americano.”

Trump: “Ha appena iniziato dicendo che farà questo, farà quello. Farà tutte queste cose meravigliose.  Perché non le ha fatte? È lì da tre anni e mezzo. 

Hanno avuto tre anni e mezzo per sistemare il confine. Hanno avuto tre anni e mezzo per creare posti di lavoro e fare tutte le cose di cui abbiamo parlato. Perché non le ha fatte?

Dovrebbe uscire di qui e andare subito in quella bellissima Casa Bianca, andare al Campidoglio, radunare tutti e fare le cose che vuole fare.  Ma non l’ha fatto, e non lo farà perché crede in cose in cui il popolo americano non crede. 

Crede in cose come ‘non trivelleremo, non utilizzeremo i combustibili fossili, non faremo cose che ci renderanno forti’, che vi piaccia o no. La Germania lo ha fatto, e nel giro di un anno sono tornati a costruire centrali energetiche tradizionali… Non possiamo sacrificare il nostro Paese per una visione sbagliata.

Ma faccio solo una semplice domanda: perché non lo ha fatto?  Siamo una nazione in declino. Siamo una nazione che sta vivendo un grave declino.

Ci deridono in tutto il mondo, in tutto il mondo. Ridono di noi. Conosco molto bene i leader. Vengono a trovarmi. Mi chiamano. Ci deridono in tutto il mondo. Non capiscono cosa ci sia successo, come nazione, non siamo più leader, non abbiamo idea di cosa ci stia succedendo.

Abbiamo guerre in corso in Medio Oriente, abbiamo guerre in corso tra Russia e Ucraina. Finiremo in una Terza Guerra Mondiale, e sarà una guerra come nessun’altra, a causa delle armi nucleari, della potenza bellica.   

Io ho ricostruito tutto il nostro esercito. Lei ne ha regalato una gran parte ai talebani. L’ha dato all’Afghanistan.  Quello che queste persone (Biden-Harris ndt), hanno fatto al nostro Paese, e forse la cosa più difficile di tutte, è permettere a milioni di persone di entrare nel nostro Paese. 

Molti di loro sono criminali e stanno distruggendo il nostro Paese. Il peggior presidente, la peggiore vicepresidente nella storia del nostro Paese.”

In queste due chiusure si riassume una visione e un’idea di ciascun candidato. Rimane sicuramente il rammarico dal punto di vista giornalistico dove gli interessi politici personali hanno preso il sopravvento e ambo candidati non sono stati intervistati dai moderatori su fatti e programmi in dettaglio per capire come porterebbero l’America di oggi fuori dall’inflazione, come cercherebbero di arginare il problema migratorio illegale, e come infine si porrebbero di fronte a due guerre che non vedono al momento soluzione alcuna. Infatti, se da un lato abbiamo tutti avuto la possibilità di vedere Trump al lavoro con i Talebani, i Cinesi, le due Coree, in termini non solo economici ma anche di equilibri internazionali, ad oggi l’amministrazione Biden-Harris non è riuscita a portare a casa alcun successo diplomatico e Harris avendo detto con enfasi, diverse volte, che lei non è Biden, discostandosi quindi da quella politica più a sinistra, non ci è ancora chiaro come si confronterebbe con le complessità interne ed internazionali che dovrebbe affrontare nell’eventualità di una vittoria. I moderatori hanno quindi fallito nel non farci raccontare attraverso domande argute e puntuali, quali strade i candidati percorrerebbero per soddisfare le richieste di un paese che è disperatamente alla ricerca di un leader.

Quindi per concludere non sembrano esserci né vinti né vincitori: i Trumpiani speravano in un Trump più brillante, gli Harris gioiscono per aver fatto una buona figura, date le premesse, e a distanza di qualche ora dal fatidico 11 settembre, nessuno se n’è appropriato. Una svista?   


PRESIDENZIALI USA: UNA CORSA IMPERVIA. DUE VICEPRESIDENTI AGLI ESTREMI.

di Melissa de Teffè.

Il duello per le presidenziali americane si sta inasprendo e posiziona i due candidati agli estremi dell’arco politico attraverso la scelta dei due Vice. Dopo il tanto atteso dibattito tra Kamala Harris e Donald Trump che li vedrà confrontarsi a settembre, Vance e Walz, si incontreranno per un faccia a faccia il primo ottobre prossimo. L’evento è organizzato dalla rete televisiva CBS.

Scrive Vance su X: “Il popolo americano merita il maggior numero possibile di dibattiti, ed è per questo che il Presidente Trump sfiderà Kamala in tre momenti diversi. Non solo accetto il dibattito della CBS del 1° ottobre, ma accetto anche il dibattito della CNN del 18 settembre. Non vedo l’ora di vederti a entrambi!”
Dei due compagni di squadra, conosciamo meglio, James David Vance o J.D. Vance, grazie alla sua autobiografia “Elegia americana – (Ed Harper, 2016 – Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis- la biografia di una famiglia e una cultura in crisi) e in seguito alla trasposizione su schermo per la regia di Ron Howard, con Glenn Close ed Amy Adams. Per chi non ha voglia di leggersi il libro, il film visionabile su Netflix, racconta la vita di questo giovane uomo che riesce a conquistare con enormi fatiche, mille rischi e facili inciampi, una posizione nella società, superando il maltrattamento psico-fisico di una madre alcolizzata, drogata, con quattro matrimoni falliti alle spalle, in un contesto sociale poverissimo e ignorante. Per sfuggire a questi orrori, si arruola nei Marines dal 2007 al 2013, e viene subito stanziato in Iraq. Al rientro si laurea in soli 2 anni in Scienze Politiche e filosofia con il massimo dei voti per poi proseguire grazie anche a una borsa di studio alla Yale University e diventa avvocato. Qui conosce sua moglie Usha, di origini indiane, e prima generazione americana. Ma a Vance non piace fare l’avvocato e abbandona quasi subito trasferendosi nella West Coast dove viene assunto come dirigente in una società di investimenti specializzata nelle tecnologie. Prosegue in questo ambiente e da San Francisco ritorna nell’Ohio, dove è cresciuto e qui tenta, fallendo, diverse imprese societarie. Entra poi in politica e viene eletto senatore a gennaio dell’anno scorso, 2023.
Sensibile al sociale segue linee politiche per aiutare chi, come lui e sua madre, viene da ceti bassi e fa fatica a trovare lavoro, e cade nel giro della droga, soprattutto il Fentanil, prodotto in Cina e venduto in grandi quantità a basso prezzo, anche grazie all’importazione attraverso l’immigrazione illegale gestita dai cartelli sudamericani della tratta di esseri umani.

Dall’altro lato dello spettro il Vice Presidente Harris, settimana scorsa, ha scelto come suo Vice, Tim Walz, governatore del Minnesota. È un veterano militare che non è mai andato in guerra. Anzi è proprio in questi giorni che ha dovuto ritrattare una sua dichiarazione su CNN “d’essere orgoglioso d’aver portato la pistola in guerra”, imbellettandosi e Vance, molto attento, lo ha chiamato fuori immediatamente, obbligandolo a spiegare l’affermazione.
Insegnante ed allenatore di football in un liceo pubblico, è entrato in politica come governatore nel 2018, rieletto come governatore per due mandati.
In una recente intervista, Michael Whatley, presidente del Comitato Nazionale Repubblicano ha dichiarato: “Tim Walz è davvero l’anima gemella ideologica (della Harris, ndt).” Progressista e socialista le sue politiche governatoriali sono pro-immigrazione. Infatti, ha più volte ha espresso la volontà di voler investire in una “fabbrica di scale da 30 piedi” per aiutare i migranti a scavalcare il muro di confine dell’ex presidente Trump; inoltre è il primo ad aver dato tutto il suo sostegno elargendo assistenza sanitaria e patenti di guida ai migrati senza documenti e presenti nel suo Stato. Invece Michael Tyler, uno dei portavoce della campagna di Harris, ha detto che scegliendo Walz, Harris ha “cementato la posizione politica offrendo un contrasto fondamentale in questa corsa tra il ticket Harris-Walz che lotta per le famiglie lavoratrici, mentre l’agenda Trump-Vance, al contrario causerebbe danni ineguagliabili in tutto il paese.” Ma fra le iniziative da applaudire c’è sicuramente la detassazione sui prodotti femminili per l’igiene intima così come la distribuzione di tamponi in tutti i bagni delle scuole pubbliche, inclusi quelli maschili, così da accontentare la comunità LGBTQ+, ma che gli è valso il nomignolo di Tampon Tim.
Ad ogni modo Walz è un candidato che può piacere molto, soprattutto nel Midwest. La sua parlata semplice, l’approccio diretto e una biografia da piccolo paese, ne spiega il fascino.

Nei prossimi mesi, la coppia Harris-Walz, viaggerà per il paese proponendo di “rafforzare la classe media invece di tagliare le tasse per i ricchi, e combattere per le libertà fondamentali, inclusa la libertà di abortive fino all’ultimo giorno di gestazione, di dare ai bambini la possibilità di scegliere di cambiare sesso senza avere necessariamente il permesso dei genitori, di naturalizzare immigranti illegali, supportare qualsiasi metodo di fecondazione.” Quando il presidente Biden ha annunciato il suo ritiro, Walz è stato velocissimo nel sostenere Harris, emergendo così come una sorta di pioniere per i Democratici. Poi i suoi attacchi al senatore J.D. Vance non appena nominato da Trump, soprannominandolo uno “strano.” – “Eppure,” controbatte Vance, “alla fine di un importante comizio, io ho abbracciato e baciato mia moglie, mentre Walz le ha stretto la mano come se fosse un’elettrice qualsiasi”. “Non le pare “strano” questo comportamento?”
Così la parola “strano” divenuta la parola d’ordine dei Democratici per il ticket repubblicano, vuole raccontare che se la scelta cadesse su Trump-Vance sarebbe una minaccia per la democrazia, perché insoliti, e fuori dal contesto dell’America stessa.
Quindi per ora la sinistra gode di un raro allineamento. Tutti, infatti, dalla rappresentante di New York Alexandria Ocasio-Cortez al senatore indipendente della Virginia Occidentale Joe Manchin, hanno elogiato la scelta di Walz, come ulteriore prova che i Democratici si sono “spostati così tanto a sinistra nel loro insieme che candidati estremi come Kamala Harris e Tim Walz, oggi, sono considerati mainstream,” – dice Whatley.

E per il capo del partito Democratico la piattaforma politica rimane invariata adesso che Walz è parte del “ticket”. Dietro le quinte i Repubblicani sono quasi entusiasti per questa scelta, invece, ad esempio, del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, che a parer loro, avrebbe reso la corsa alla Casa Bianca molto più ardua.
Infine, come ultima notizia, Tulsi Gabbard, deputata per le Hawaii, ex democratica, e veterana militare, e riservista, ha deciso di citare in giudizio l’amministrazione Biden-Harris, per aver scoperto, grazie ad informatori anonimi della Federal Air Marshal (Sezione di polizia federale dell’aviazione) che è stata segnalata e inserita nella lista di possibili individui pericolosi, secondo il programma Quiet Skies, facente parte del TSA (Transportation-Security-Administration) che ha il compito di identificare i viaggiatori che potrebbero rappresentare un rischio per la sicurezza dell’aviazione. Quelli in lista, possono volare, ma sono soggetti a controlli più stretti, messi sotto “scorta” non identificabile durante il transito, e, anonimamente, sono affiancati da uno Sceriffo armato quando in volo.
Nel caso di Gabbard, ogni volta che viaggia in aereo, viene automaticamente monitorata da: due squadre cinofile per la rilevazione di esplosivi, un addetto della sicurezza dei trasporti, anche lui specializzato in esplosivi, un supervisore della TSA in abiti civili e tre Sceriffi federali dell’aviazione. Che si sappia, non esistono motivi per cui Gabbard dovrebbe essere sulla lista di sorveglianza. A sua difesa, Gabbard ha pubblicato un video spiegando perché ha intrapreso le vie legali, sottolineando con queste parole il suo disgusto: “Il mio stesso governo, il mio presidente, il mio comandante in capo mi ha preso di mira come potenziale target terrorista. La parola che mi viene in mente è totale tradimento.” – “Dopo aver servito per oltre 21 anni e continuando a servire nelle forze armate del nostro paese, il mio stesso governo” ha aggiunto “usa gli Air Marshall come armi e pedine per perseguire i loro avversari politici.” “Ovviamente, non mi è stata fornita alcuna spiegazione, ed è per questo che stiamo ricorrendo alle vie legali,” ha sottolineato. “Ho parlato molto apertamente dei pericoli che l’amministrazione Biden-Harris rappresenta per la nostra democrazia, la nostra libertà e la nostra sicurezza nazionale. Queste le conseguenze” ha concluso.

Possiamo concludere usando le parole di Vance tratte dal suo libro già nel lontano 2016 che sembrano adatte a questo momento storico: “Questo paese è segregato per razza, geografia e reddito in un modo che non si vedeva da molto, moltissimo tempo.”
Possiamo solo augurarci che vinca la moderazione, per ora non c’è traccia.


L’Afghanistan di Biden – C. Bertolotti a Checkpoint RAINEWS24 – 26 gennaio 2021

Il ritiro parziale di Washington dall’Afghanistan è una mina che Trump ha lasciato al suo successore, sebbene il ritiro sia stato ordinato dall’allora presidente Barack Obama. Ora, Joe Biden potrebbe dover prendere una decisione impopolare: inviare ulteriori truppe allo scopo di impedire la conquista totale del Paese da parte talebana. E ancora: quale il ruolo della Cina?

Claudio Bertolotti, Direttore START InSight, ne ha parlato con Emma Farnè a Checkpoint – RAINEWS24

Link diretto a Checkpoint RAINews24

Negoziati intra-afghani, a che punto siamo?

Procedono a rilento con i tempi imposti dai talebani e accettati da Stati Uniti e governo afghano. I primi intenzionati a disimpegnarsi dalla guerra più lunga, i secondi molto preoccupati e forse anche rassegnati a un futuro estremamente incerto che sarà caratterizzato da un crescente potere dei talebani.
Il governo afghano ha concesso tutto ciò che i talebani hanno chiesto: tempi del negoziato, rilascio dei prigionieri, riduzione delle operazioni militari. E lo ha fatto su richiesta e pressione statunitense. Ma ha ottenuto ben poco, anzi, Oggi il dialogo negoziale ci sta portando verso una possibile soluzione che vedrà i talebani accedere alle forme di potere formale, imporre una rinuncia di sostanza di quelli che sono i diritti ad oggi previsti dalla costituzione afghana e, in particolare, lo stesso ordinamento democratico del paese sarà ridimensionato. E questo accadrà non perché gli Stati Uniti se ne andranno, perché lo faranno così come aveva pianificato Obama e poi Trump ha in parte realizzato, ma perché quella afghana è una guerra che non poteva più essere vinta e che le forze di sicurezza afghane non potranno mai affrontare con successo.
Di fatto il tavolo negoziale, formalizzato a febbraio dello scorso anno, avviato a settembre porterà progressivamente verso uno Stato che sarà sempre più simile all’Emirato islamico così come lo immaginano i talebani, e con un’economia saldamente ancorata al traffico di oppiacei di cui l’Afghanistan è il maggior produttore globale.

Negoziati USA-talebani, ritiro usa, e che cosa vuol dire per amministrazione biden “rivedere” accordo

In base ai negoziati di Doha di un anno fa, gli Stati Uniti hanno chiesto due cose ai talebani in cambio del ritiro delle forze militari dall’Afghanistan: ridurre dell’80% i loro attacchi. Non lo hanno fatto. Poi hanno chiesto di tagliare i legami con al-Qa’ida. E i talebani non solo non lo hanno fatto ma hanno consolidato le relazioni con i qaedisti operativi nell’area a sud dell’Afghanistan.
Ci saremmo potuti aspettare un mancato ritiro delle truppe di Washington, ma così non è stato, anche perché l’allora presidente Donald Trump voleva dichiarare chiusa la partita afghana. Ora, il ritiro parziale delle truppe statunitensi è una mina che l’amministrazione Trump ha lasciato al suo successore, e la scadenza fissata al 1° maggio per il ritiro delle restanti 2500 truppe è la più grande sfida per Biden.
Sebbene non sia chiaro se Biden ritirerà tutte le truppe statunitensi entro la data concordata la nuova amministrazione ha dichiarato di voler sostenere la “diplomazia” con i talebani, esortando il gruppo a ridurre la violenza, a partecipare “in buona fede” ai negoziati e a tagliare i legami con al-Qa’ida – cosa che però non avverrà, con buona pace di chi ancora crede alle garanzie dei talebani.
E allora, il presidente Biden potrebbe essere costretto a prendere una decisione impopolare: l’invio di ulteriori truppe in Afghanistan allo scopo di impedirne la conquista totale da parte talebana.

Ruolo cina in afghanistan: indiscrezione cnn e interessi economici

La Cina, dopo due decenni dall’abbattimento del regime talebano, senza essere coinvolta nella lunga guerra, è riuscita a proporsi come valida alternativa, implementando il proprio ruolo di «sponsor della stabilità» in Afghanistan, ruolo che crescerà sempre più a mano a mano che le truppe occidentali diminuiranno. Sebbene non direttamente sul campo di battaglia, la Cina è entrata, sul piano politico, economico e diplomatico, a pieno titolo tra gli attori del nuovo grande gioco afghano. E i grandi interessi economici legati all’estrazione di minerali rari dal sottosuolo afghano rappresentano una garanzia in questo senso.
La notizia riportata dalla CNN in merito alla possibile presenza della Cina dietro ad alcuni gruppi di opposizione armata va valutata con cautela e, se confermata, potrebbe essere letta come una probabile reazione cinese alla politica dell’amministrazione Trump certamente non benevola nei confronti della Cina, in particolare per quanto riguarda il l’espansione economica e commerciale di Pechino attraverso le numerose vie della seta che si stanno estendendo a livello globale.