USA

Trump: Good deal or no deal.

di Melissa de Teffè, dagli Stati Uniti – giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, la sera del 27 febbraio la diplomazia americana insieme al team ucraino aveva delineato un piano per il rientro delle spese militari americane, concordando la creazione di un fondo congiunto USA/Ucraina per lo sfruttamento delle terre minerarie, in cui l’Ucraina avrebbe contribuito con il 50% dei suoi minerali estratti, e i ricavi sarebbero stati utilizzati dagli Stati Uniti per investire in altri progetti nel paese.

L’accordo avrebbe dovuto essere firmato il 28 a Washington. Tutto questo non è avvenuto.

L’invito di Trump a Zelensky, prima dell’incontro con Putin che avrebbe dovuto aver luogo la settimana prossima, rifletteva sicuramente un mea culpa americana per aver convinto gli ucraini a rimanere in guerra dando la certezza di una vittoria a futuro, e dall’altro per iniziare a buttare giù le basi di quanto già concordato al telefono con Putin qualche giorno fa.  Questa è la prima amministrazione statunitense che parla seriamente di cessazione delle ostilità. Già in campagna elettorale, Trump aveva dichiarato di voler concludere questa guerra, non solo per i costi esorbitanti, (e come già raccontato l’America ha bisogno di rientrare delle spese), ma anche perché da business man, Trump è giustamente rimasto inorridito dalla quantità di morti mai realmente dichiarati, da ambo le parti e, infine, teme che questa guerra si trasformi in una terza guerra mondiale. I punti negoziali sono sicuramente molti, come ad esempio la richiesta di Zelensky di truppe americane in territorio ucraino, cosa che non avverrà, in quanto Trump ha sempre detto che, secondo lui, la presenza di businessmen americani in Ucraina è già di per sè un deterrente sufficiente. Poi c’è la richiesta di Putin di sostituire Zelensky con nuove elezioni cancellando lo stato di guerra. Putin ha sempre detto che non avrebbe mai trattato con Zelensky al potere. Questa concessione, per presidenti come Putin e Trump è facile. Noi diremmo, morto un papa se ne fa un altro che possa non solo riflettere il volere della popolazione ucraina, ma con cui, si possa proseguire.

Ma oggi in pochi minuti, neanche una manciata, le aspettative di tutto il mondo di vedere un passo concreto verso la cessazione delle ostilità sono sfumate. Le battute e risposte volate oggi nell’ufficio ovale ci raccontano un’altra storia. Zelensky non si è lost in translation, ma ha usato un tono molto duro confrontandosi con il Presidente Trump, in casa sua e davanti a tutta la stampa. Errore diplomatico imperdonabile. Il primo sbaglio è stato quello di Zelensky nel fare “La” domanda, forse più importante dell’incontro davanti al mondo e non a porte chiuse: “di che tipo di diplomazia state parlando?” sottintendendo che se nessuno è riuscito a fermare Putin dal 2014 al 2024 – cosa vi dice che voi ci riuscirete? E qui, JD Vance è corso ai ripari, dichiarando che questa domanda, seppur giusta ma piccata, era una mancanza di rispetto nei contenuti sottintesi, aggiungiamo, di fronte al mondo. I panni si lavano sempre a porte chiuse, soprattutto se le carte da giocarsi sono poche. Se Zelensky voleva portarsi a casa il mondo, che dicesse poi, come per altro avvenuto: “Ha ragione lui”, chi lo dice non ha alcune potere fattuale. Poi c’è stato il rincaro, con la seconda frase, che ha chiuso la strada per Damasco, quando Zelenski ha minacciato il Presidente dicendo: “Qualsiasi paese sente le conseguenze di una guerra, e voi che avete un oceano non ne sentite le conseguenze, ma le sentirete”. Quel ma le senterite, è stata la sberla che ha chiuso i battenti americani, perché non poteva che essere interpretata come una minaccia chiara.  Se Zelensky aveva tutte le ragioni di chiedere come e perché gli americani questa volta fossero certi di riuscire ad ottenere la pace, la minaccia del ne sentirete le conseguenze ha toccato l’orgoglio anglosassone. Persino il senatore Graham, (R-South Carolina) presente come osservatore, alla fine dell’incontro, ha dichiarato alla stampa che il comportamento di Zelensky era stato vergognoso, suggerendo al presidente ucraino o di cambiare atteggiamento o dare le dimissioni se si vuole raggiungere un accordo.

Riassumendo: Donald Trump ha avanzato una richiesta di 500 miliardi di dollari, un importo ben superiore a quanto gli Stati Uniti hanno finora fornito all’Ucraina, dando molto poco in cambio, oltre alla tecnologia per l’estrazione mineraria. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky,ha tentato di mantenere un atteggiamento diplomatico e non c’è riuscito. Sperava che l’accordo minerario potesse includere una “garanzia di sicurezza” come anche suggerito dagli europei, ma non si è concretizzata.

Se guardiamo, e dobbiamo, il pregresso diplomatico politico di Obama prima e Biden dopo, l’Ucraina sarebbe entrata prima nella Nato e poi nell’Unione. Europa tutta accondiscendente. Un sogno impossibile in qualsiasi libro di testo di geopolitica basica. E seppur l’economia russa sia in difficoltà e impiegherebbe diversi anni prima di conquistare l’Ucraina, il sogno EU/USA/Ucraina avrebbe visto Putin mantenere il controllo su alcune porzioni dell’Ucraina orientale, (Donbass e Crimea) mentre l’Ucraina occidentale con l’ingresso nell’Alleanza Atlantica si sarebbe garantita la protezione militare secondo l’Articolo 5, che prevede in caso di invasione, una risposta da parte della NATO.

Dall’altra parte, nella realtà di oggi, Putin chiede il pieno riconoscimento dei territori occupati, l’acquisizione di nuove terre, la smilitarizzazione dell’Ucraina, la rimozione di Zelensky, la revoca delle sanzioni e il riconoscimento dell’Ucraina orientale come parte integrante della Russia.

Ma cosa possiamo capire da quanto successo nell’Oval Office? Le parole dette descrivono con maggior chiarezza che il piano di Trump pare combaciare a quello di Putin. I motivi possono essere svariati. Per Trump questa è una relazione “speciale”, come ama raccontarci; oppure è necessario per l’America che la Russia, diventi l’alleato ideale come arma di contrattazione contro la Cina; oppure ancora, che il desiderio egocentrico trumpiano, non dimentichiamone l’età, desideri più di qualsiasi altra cosa, il farsi ricordare dai posteri come il Presidente negoziatore, e il “grande pacificatore”, frase ripetuta pure oggi in conferenza stampa. Persino davanti al presidente francese Macron, Trump, si è dimostrato orgoglioso d’avere un enorme esperienza come negoziatore.

Sorge comunque un dubbio. I russi sono sempre stati molto scaltri. Non dimentichiamoci di come Stalin raggirò sia Churchill che Roosvelt. Possiamo perciò ipotizzare che Putin potrebbe aver circuito Trump facendolo tornare al tavolo delle trattative: gli Stati Uniti, ad oggi, sono ancora il principale attore internazionale.  Dichiara Trump dopo una lunga conversazione telefonica con Putin: “Mi fido”; suscitando così altre frustrazioni a Zelensky. Concludendo le terre minerarie sono cruciali come moneta di scambio, ma purtroppo la gran parte di questa ricchezza è nelle zone occupate dai russi.

Inizialmente, la soluzione proposta, era che l’Ucraina rimanesse neutrale, senza armi (peraltro quelle nucleari le aveva già consegnate alla Russia nel 1994 con il Memorandum di Budapest), fuori dalla Nato e non un membro dell’UE. Uno Stato cuscinetto* tra UE e Russia.

(Sappiamo bene che gli stati cuscinetto sono una realtà geopolitica che esiste da secoli, creati per la loro posizione strategica tra due o più potenze rivali, con lo scopo di prevenire conflitti diretti. Questi paesi hanno svolto un ruolo cruciale nel definire gli equilibri mondiali, fungendo da zone di separazione tra interessi contrapposti. In Europa, uno degli esempi più emblematici è la Svizzera, che ha svolto un ruolo di neutralità tra grandi potenze come Francia, Germania, Italia e Austria sin dal 1815, quando il Congresso di Vienna sancì la sua posizione di zona di separazione. La sua politica di neutralità ha permesso alla Svizzera di evitare coinvolgimenti diretti nei conflitti mondiali, rendendola un punto di riferimento per la diplomazia internazionale. Altri esempi europei includono il Belgio, che nel XIX secolo e all’inizio del XX secolo fu una zona di separazione tra la Francia e la Germania, sebbene non riuscisse a evitare invasioni da entrambe le potenze. La Polonia, infine, ha svolto il ruolo di stato cuscinetto tra la Germania e la Russia, subendo l’invasione simultanea di entrambe le potenze durante la Seconda Guerra Mondiale.

In Asia, l’Afghanistan ha ricoperto una funzione simile durante il conflitto tra l’Impero britannico e l’Impero russo nel XIX secolo, noto come il “Grande Gioco”. La sua posizione strategica lo ha reso un terreno di scontro tra le due potenze imperiali. In Sud America, l’Uruguay ha avuto una funzione analoga nel XIX secolo, fungendo da zona di separazione tra l’Argentina e il Brasile, che si contendevano il controllo delle terre sudamericane. Nonostante la sua limitata forza militare, l’Uruguay riuscì a mantenere la sua indipendenza grazie a una diplomazia abile, sostenuta dalle potenze europee.)

Oggi invece abbiamo assistito a un cambio di strategia politica in diplomazia che per gli Stati Uniti degli ultimi due secoli sarà la terza.

  1. La prima con la dottrina Monroe, proclamata dal presidente degli Stati Uniti James Monroe il 2 dicembre 1823, nel suo discorso sullo stato dell’Unione,  affermava che qualsiasi intervento europeo nelle questioni politiche o territoriali dell’America Latina sarebbe stato considerato un atto ostile verso gli Stati Uniti, stabilendo così che l’emisfero occidentale era sotto l’influenza degli Stati Uniti e che le potenze europee non avrebbero dovuto interferire nelle sue vicende, e similmente gli Stati Uniti non avrebbero interferito negli affari interni delle potenze europee, mantenendo una politica di neutralità in Europa.
  2. Questa fu aggiornata con la politica di Theodore Roosevelt detta la “Big Stick Diplomacy”.  Il termine deriva dal famoso detto di Roosevelt: “Parla con gentilezza e porta con te un grosso bastone” (“Speak softly and carry a big stick”), che rifletteva la sua convinzione che la potenza militare degli Stati Uniti dovesse essere usata come strumento di dissuasione e influenza nelle relazioni internazionali. Il concetto si basa su un approccio diplomatico assertivo, ma non necessariamente bellicoso. Roosevelt credeva che fosse fondamentale che gli Stati Uniti mantenessero una forza militare robusta per garantire la loro posizione di potenza mondiale per proteggere i propri interessi, soprattutto nel continente americano e nei Caraibi. La “gentilezza” si riferiva alla diplomazia e alle trattative pacifiche, mentre il “grande bastone” rappresentava la minaccia implicita di un intervento militare se necessario.
  3. La diplomazia oggi di Trump la potremmo chiamare quella del “Good deal or no Deal”. Più avanti ne capiremo meglio i contenuti.



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