Trump: la visione geopolitica del nuovo esecutivo.
di Melissa de Teffè dagli Stati Uniti – giornalista con Master in Diplomazia presso l’ISPI, esperta di politica statunitense, accreditata per START InSight presso il Dipartimento di Stato.
È trascorso un mese e sei giorni dall’inaugurazione della nuova presidenza statunitense, e oggi 26 febbraio, si è potuto riunire nella sua completezza il governo o meglio l’esecutivo al completo, che significa che i candidati ministeriali scelti da Trump sono stati tutti approvati dal Senato, ad eccezione di Musk che è stato scelto come consulente esterno a termine.
Conclusasi la riunione, la stampa sia nazionale che internazionale è stata invitata per una breve sessione di domande e risposte.
Il primo a essere sollecitato è stato Musk visto il polverone che la mail inviata ai dipendenti federali sembra aver causato shock in ogni dove, persino in Italia. (Vorrei precisare che Musk non era seduto al tavolo dei “ministri”, non essendo ministro/segretario). Anche qui pare che il problema sia lo stesso se non peggio. Sembra infatti che dalla pandemia di Covid in poi, con la scusa del lavoro da remoto, molti abbiano un doppio stipendio, quello federale e quello di un secondo lavoro. La richiesta, quindi, non è solo di verificare di cosa si occupa l’impiegato chiedendo appunto quali compiti abbia, ad esempio, espletato nell’ultima settimana, ma anche capire se esiste, se lavori a quel posto e se meriti per talento e capacità, di poter occupare quella posizione.
Il leitmotiv come ho già detto in precedenti articoli è sempre lo stesso, “come risanare l’economia americana” non solo per arginare un’inflazione che non può essere debellata in tempi brevi, partendo dall’estinzione del debito pubblico che ad oggi ammonta a 34 mila miliardi, ma anche tagliando qualsiasi costo superfluo, iniziando da pensioni a pensionati inesistenti, impiegati con doppio lavoro o finti ecc., snellendo la macchina burocratica. Abbiamo infatti saputo da Musk che il parco elettronico, con i suoi computer e server, è vetusto. Molte agenzie non sono interconnesse, e ha portato come esempio le inefficienze nella gestione dei documenti federali. Ha menzionato che prima che un dipendente federale possa andare in pensione, i suoi documenti cartacei vengono elaborati più di 60 metri sottoterra in una vecchia miniera di calcare in Pennsylvania, un processo che spesso richiede mesi. Ha anche chiaramente ammesso che ci sono stati sbagli come la cancellazione dei fondi per debellare l’ebola, ma che una volta scoperto i fondi sono stati subito ripristinati. D’altra parte, tutti possono sbagliare. È risultato evidente che nulla viene eseguito senza la supervisione della Casa Bianca, e che esiste una collaborazione stretta con tutti i rappresentanti del gabinetto, visto che i tagli sono trasversali a tutte le agenzie.
Interessante invece la nuova proposta della “the Trump gold card”. Il programma è pensato per consentire alle aziende americane di reclutare studenti stranieri presenti negli Stati Uniti e che magari si sono laureati non solo con il massimo dei voti ama anche da università prestigiose, ma che non possono rimanere a causa della legge EB5 sull’immigrazione. Lutnik, che presiede il Dipartimento per il Commercio con l’aiuto di Kristie Noem, Segretario per la Sicurezza Nazionale, è a capo di questa iniziativa che secondo lui permetterebbe alle aziende americane di assumere attraverso la “gold card” studenti stranieri appetibili per il mercato del lavoro, garantendo loro di restare e venir regolarmente assunti. La gold card, che costa 5 milioni di dollari, non solo aiuterà le aziende a reclutare talenti di livello, ma quei soldi verrebbero devoluti per coprire il debito nazionale.
Trump prevede che la gold card sarà utilizzata da aziende come Apple, che proprio l’altro ieri, ha annunciato l’assunzione di migliaia di persone grazie agli incentivi fiscali “trumpiani” e quindi, dice Trump, anche loro vorranno investire nell’assunzione di laureati più appetibili, senza dover ricorrere ad altri paesi, lunghe trafile burocratiche, oltre a costi legali salati. La gold card viene descritta come una sorta di “green card-plus”, che offre anche un percorso per ottenere la cittadinanza. Trump è certo che il programma dovrebbe generare entrate sostanziali attirando individui altamente produttivi.
Un altro punto interessante toccato in conferenza stampa, è stato l’Afghanistan. Più forse come una scusa, visto che si stava parlando di risparmio, Trump ha fatto in modo di raccontare che ad oggi l’Afghanistan riceve aiuti finanziari dall’America. E qui si è aperta la voragine.
Trump critica il ritiro dall’Afghanistan: “disastroso e mal gestito”
Senza pietà, e con la sua solita calma imperturbabile, il presidente ha descritto il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan come un disastro completo, criticandone la gestione da parte dell’amministrazione Biden. Ha sottolineato come l’operazione sia stata mal pianificata, evidenziando l’abbandono di enormi quantità di equipaggiamento militare, tra cui 70.000 veicoli, aerei, elicotteri e armi, che ora, nelle mani dei talebani, vengono anche venduti a mercenari.
“Abbiamo lasciato 70.000 veicoli, tra cui carri armati, Humvees e veicoli blindati. Abbiamo lasciato elicotteri, aerei e armi. E ora, i talebani usano il nostro equipaggiamento contro di noi”, ha dichiarato. Paragonando la situazione a una persona che acquista un’auto, ma lascia le chiavi dentro e il motore acceso, Trump ha affermato che “è esattamente quello che è successo: l’equipaggiamento era lì, disponibile, e ora è nelle mani del nemico.”
Il presidente ha anche criticato l’abbandono della base aerea di Bagram, che ritiene strategicamente vitale per gli Stati Uniti, soprattutto per monitorare la Cina, dato che si trova a un’ora di distanza da dove il paese asiatico produce i suoi missili nucleari. “Abbiamo dato via Bagram. E sapete chi la sta occupando ora? La Cina”. Trump ha aggiunto che sotto la sua amministrazione, gli Stati Uniti avrebbero mantenuto Bagram, non per l’Afghanistan, ma per motivi di sicurezza nazionale legati alla Cina. – “Diamo miliardi di dollari all’Afghanistan e lasciamo dietro tutto quell’equipaggiamento, cosa che non sarebbe dovuta accadere”, ha dichiarato. A suo avviso, i talebani ora stanno vendendo l’equipaggiamento militare lasciato, rendendo l’Afghanistan uno dei maggiori venditori di equipaggiamento militare al mondo. “Stanno vendendo 777.000 fucili, 70.000 veicoli blindati”, ha aggiunto Trump, facendo un parallelo con un parcheggio di auto usate, dove 70.000 veicoli sarebbero un numero impressionante.
Il presidente ha infine espresso la sua convinzione che gli Stati Uniti debbano recuperare l’equipaggiamento lasciato, poiché considera che l’America abbia il diritto di riprenderselo. “Penso che dovremmo riaverlo”, ha concluso, riflettendo sulla gravità della situazione e suggerendo che questo episodio rappresenta una lezione da imparare per il futuro.
La geopolitica sul lato asiatico
Ma sappiamo di una storia parallela a questa che però verrà affrontata domani quando il Primo Ministro inglese metterà piede nell’ufficio ovale. Fra i vari argomenti che saranno affrontati ci sarà quello concernente la cessione delle isole Chagos al governo delle isole Mauritius nell’oceano Indiano, un tempo francesi, e donate dalla Francia agli inglesi nel 1814. Starmer, avrebbe deciso di cedere le Isole Chagos, dove peraltro c’è un importante base militare americana costruita insieme agli inglesi. Le Mauritius hanno da tempo rivendicato la sovranità sulle isole Chagos, un arcipelago nell’Oceano Indiano. Sollecitata dal Primo Ministro mauriziano, nel 2019, la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha emesso un parere consultivo che ha riconosciuto la sovranità delle Mauritius sulle isole Chagos e ha chiesto la fine del colonialismo britannico nella regione.
Le Mauritius, guidate dal primo ministro Jugnauth, hanno inoltre demandato oltre alla restituzione delle isole, un risarcimento di 18 miliardi di sterline per la base militare Diego Garcia. Jugnauth, ha anche minacciato il Primo Ministro inglese, affermando che, visto i loro legami con la Cina, questa si arrabbierebbe (chissà cosa vuol dire?) se non verranno soddisfatte le richieste. Il governo delle Mauritius ha un forte legame commerciale con la Cina, che ha sicuramente un grande interesse nel controllo della base militare.
Il primo ministro Starmer, durante l’incontro con il presidente Trump, cercherà di convincerlo ad accettare la cessione, sostenendo che è la cosa giusta da fare, in quanto la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un parere consultivo favorevole delle Mauritius. Starmer teme che se non avvenisse la cessione la Cina potrebbe reagire negativamente. Non possiamo fare altro che augurare buona fortuna a Starmer che troverà certamente un negoziatore veterano e rinomato oltre che imprevedibile.