Ucraina, Afghanistan: facciamo il punto – RADIO 24
L’analisi del Direttore Claudio Bertolotti a Radio 24 – Nessun luogo è Lontano, ospite di Giampaolo Musumeci (puntata del 7 settembre 2022)
Ieri l’Aiea ha pubblicato il rapporto sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Dal documento si evince che nonostante i diversi danni alla struttura, i livelli di radiazione nella zona sono “rimasti normali”. Ciononostante l’agenzia è “gravemente preoccupata per la situazione”. Ne abbiamo parlato con Marco Sumini, professore di Fisica dei reattori nucleari all’Università di Bologna.
A poco più di un anno dalla presa del potere da parte dei talebani, torniamo a Kabul con voci esclusive per raccontare ancora un paese che sembra essere nuovamente dimenticato dalla maggior parte dei media e dell’opinione pubblica. Il racconto con Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight, e con le voci raccolte da Morteza Pajhwok, giornalista a Kabul.
Possibile intesa sul Nucleare con cappello ONU come accordo sul grano? Di necessità virtù? E forse prodromo a un ulteriore tassello di pace? Cioè singoli dossier molto verticali sui quali si trova accordo (grano, nucleare, ecc) e che magari sommati alla lunga portano verso la pace
Ecco, questo è certamente un fatto di importanza rilevante. Il Segretario generale dell’Onu António Guterres, di fatto ha ribadito in forma edulcorata e accettabile per i russi, quanto già aveva auspicato all’inizio di agosto, e lo ha fatto definendo una precisa priorità, ossia che: “Le forze russe e ucraine debbano impegnarsi a non intraprendere alcuna operazione militare verso o dal sito della centrale. Come secondo passo, dovrebbe essere garantito un accordo su un perimetro smilitarizzato“. Il fatto interessante è che come nel primo passo auspicato non sia fatto esplicito riferimento all’abbandono dell’area da parte delle forze russe che, sì, non potrebbero usare l’area per intraprendere attività offensive ma potrebbero collocarvi, o mantenervi, all’interno assetti importanti per le attività di comando, controllo e comunicazione. Il che sarebbe un grande vantaggio per la Russia, non per l’Ucraina, ma che tranquillizzerebbe le opinioni pubbliche occidentali e dunque le cancellerie europee. E forse sarebbe l’unica opzione accettabile dalla Russia che in questo momento continua a mantenere, come ha fatto per tutta la guerra, il vantaggio tattico pur a fronte di grandi perdite, umane e materiali. Può essere un tassello verso un possibile negoziato, a piccolissimi passi.
Un suo personale bilancio su questo primo anno di governo talebano in Afghanistan
A un anno dalla presa del potere da parte dei talebani, l’Afghanistan è un paese fallito, in preda a una crisi alimentare ed agricola senza precedenti e con un governo incapace di rispondere alle più elementari necessità del suo popolo, dalla salute alla sicurezza, e che, nonostante la crisi economica e sociale, impone un’economia di guerra e una sempre più severa restrizione dei diritti individuali, a partire dalle donne, sempre più a margine della vita sociale. Però va detto che l’Afghanistan è oggi un paese sostanzialmente più sicuro di quanto non lo fosse un anno fa. Una sicurezza che si traduce in numeri di vittime civili e militari che si sono ridotti a una minima frazione di quelli registrati durante la guerra dei vent’anni. Ma non per questo l’Afghanistan è divenuto un posto migliore in cui vivere, anzi… è divenuto un incubatore di realtà jihadiste, nuove e vecchie, che hanno la possibilità di collaborare o anche di combattersi a vicenda. Dunque parliamo di una sicurezza relativa e di breve durata. E le premesse non aprono ad alcuna prospettiva di miglioramento nel breve periodo; al contrario, aumenta la presenza, l’attivismo, la capacità organizzativa e operativa dei gruppi jihadisti che in questo paese hanno ritrovato una base sicura per colpire all’interno dei confini afghani (dove si impone la competizione tra i talebani al governo e il gruppo terrorista “Stato islamico Khorasan”), nei paesi della regione (i talebani pakistani, il movimento islamico dell’Uzbekistan, i jihadisti uiguri che guardano alla Cina come obiettivo da colpire) ma anche più lontano, in Occidente, in Africa e nel Sud-Est asiatico. Una situazione dinamica che ci consegna un paese più pericoloso e fertile per il jihadismo internazionale di quanto non lo fosse prima dell’intervento statunitense contro al-Qa’ida, responsabile degli attacchi agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001 e ospitata dai talebani afghani.
Dopo la presa del potere dei Talebani, in molti temevano una ondata di profughi afghani cercare rifugio in Europa. Così non è stato; come mai?
L’unica certezza per poter espatriare dall’Afghanistan è quella irregolare, o illegale, dal momento che i talebani hanno vietato l’espatrio se non per motivi particolari, con esclusione delle donne che non possono lasciare il paese se non accompagnate da un uomo. Una situazione in cui aumentano dunque i pericoli di un viaggio che non garantisce certezze ma che ha costi molto elevati in pochi possono permettersi. Due le rotte migratorie principali: l’Iran e il Pakistan, dove da ottobre a gennaio il numero di attraversamenti sarebbe quadruplicato rispetto ai dati dell’anno precedenti. E parliamo di cifre che si attestano a 4/5000 persone al giorno. Il fatto che non arrivino profughi afghani in Europa non significa che non ci siano afghani che vogliano raggiungerla, bensì è conseguenza della determinazione dell’Unione europea a contenere i migranti nella regione. Unione europea che lo scorso autunno ha promesso oltre 1 miliardo di dollari in aiuti umanitari per l’Afghanistan e i paesi vicini che ospitano gli afghani che sono fuggiti.
L’Afghanistan dei Talebani continua ad essere isolato dal punto di vista diplomatico; la situazione è destinata a rimanere la stessa?
L’isolamento diplomatico è solamente una questione di prospettiva. Se guardiamo con lo sguardo da occidente sì, l’Afghanistan è isolato sul piano formale, anche se su quello sostanziale non mancano gli indizi che suggeriscono un dialogo costante con gli Stati Uniti – dialogo che ha avuto un momento di tensione con l’uccisione del capo di al-Qa’ida, ayman al-Zawairi, proprio nel centro di Kabul, con questo confermando il solido legame con la frangia talebana più estremista, quella del gruppo Haqqani il cui leader è oggi il potente ministro degli interni. Ma di isolamento non possiamo proprio parlare se guardiamo da una prospettiva orientale e mediorientale. Palista, Uzbekistan, Qatar, Arabia Saudita sono paesi che hanno avviato rapporti sempre più intensi con l’Emirato talebano, in particolare in tema di scambi commerciali e supporto. Ma oltre a questi paesi di medio e piccolo peso se uniscono die pesi massimi: la Cina e la Russia. La prima interessata a tutelare i propri investimenti fatti in Afghanistan nel settore estrattivo minerario, la seconda, Mosca, che ospita i talebani a tutti gli eventi di natura commerciale che organizza. Dunque attenzione a parlare di isolamento, perché questo in realtà è sempre meno concreto ed efficace.
La guerra in Ucraina ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle cancellerie internazionali; l’Afghanistan è destinato a scivolare sempre più al margine dello scacchiere internazionale?
Purtroppo sì. Quella afghana è una guerra che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha perso. E le sconfitte devono essere dimenticate, chiuse negli archivi della storia e lontane dall’opinione pubblica. Si guarda oltre, alle priorità immediate: ora è la guerra in Ucraina che focalizza la nostra attenzione, ma un giorno tornerà l’Afghanistan, insieme al sahel, all’Africa sub sahariana ad attirare la nostra attenzione su conflitti che sono già in corso ma che sono fuori dall’attenzione massmediatica e politica.