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Ucraina: il paradosso dei prigionieri dell’Azovstal (Adnkronos).

Bertolotti (Ispi): “La Russia potrebbe ‘mediare’ per liberare i prigionieri Azovstal”

Tratto dall’articolo originale di Cristiano Camera per ADNKRONOS.

L’analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, interpellato da ADNKRONOS, rileva il possibile paradosso, in sede di negoziati futuri, con Mosca che potrebbe trattare la scarcerazione dei militari detenuti nel Donetsk in cambio di concessioni.

La domanda vera sul lungo assedio dell’Azovstal e sulla sua resa, sulla caduta dell’ultimo baluardo della difesa di Mariupol, è cosa ne sarà dei militari che fino all’altro ieri erano asserragliati nell’ex acciaieria ucraina. Di cosa ne farà la Russia, se saranno più utili da vivi che da morti e se saranno sottoposti a un processo regolare e la loro detenzione rispetterà il diritto internazionale dei prigionieri di guerra oppure no, tutto questo dipenderà anche da un ragionamento di opportunità. Lo sostiene parlando con l’Adnkronos Claudio Bertolotti, analista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) e direttore di START InSight, secondo cui “il fatto che i prigionieri non siano detenuti in Russia, ma in due villaggi della Repubblica Popolare del Donetsk, potrebbe permettere a Mosca di non entrare direttamente nella questione, lasciando all’autoproclamata repubblica l’onere dell’eventuale gestione della sanzione o della pena. E’ una scelta di opportunità che la Russia potrebbe mettere sul tavolo negoziale proponendosi come intermediario facilitatore per la loro liberazione. Una situazione che potremmo definire paradossale e che sembra essere creata ‘ad hoc’ per escludere la Russia da ovvie conseguenze sul piano del diritto internazionale. Ma sappiamo che in guerra si coglie ogni opportunità, in questo caso quella di ottenere su un futuro tavolo negoziale una qualche concessione” (ADNKRONOS).

“Secondo il diritto internazionale – ricorda Bertolotti – i prigionieri di guerra non devono essere sottoposti a maltrattamenti e torture e dovrebbero essere posti sotto il controllo e interfacciarsi con il comitato internazionale della Croce Rossa. Questa è una responsabilità che le autorità che detengono i prigionieri di guerra devono rispettare, secondo la convenzione di Ginevra. Qui però sorge il vero problema, dato che la Russia non ha formalizzato lo stato di guerra con l’Ucraina, insistendo invece sempre sull’operazione militare speciale. Questo risolve i problemi di Mosca in termini di gestione politica interna del dossier Ucraina ma non sul piano del diritto internazionale, secondo cui la salvaguardia e la tutela della vita dei prigionieri spetta all’autorità di governo che detiene quelle persone”. Una responsabilità che, come detto, la Russia potrebbe delegare al Donetsk, salvo poi proporsi come mediatrice per una successiva liberazione dei prigionieri in cambio di concessioni al tavolo delle trattative. “Se però è vero che qui non si tratta formalmente di prigionieri di guerra – rileva l’analista- in quanto non c’è uno stato di guerra formale, siamo comunque di fronte a uno stato di guerra sostanziale. Tuttavia queste persone, pur non rientrando nella categoria di prigionieri di guerra, godono dei loro stessi diritti” (ADNKRONOS).

“Un altro aspetto importante – fa notare il ricercatore dell’Ispi – è che la Russia ha parlato spesso di ‘terroristi’ facendo riferimento ai combattenti di Mariupol e in particolare ai componenti del Battaglione Azov, che raccoglie al suo interno anche soggetti ideologicamente schierati su posizioni neonaziste. E la narrativa della guerra russa, dell’operazione speciale in Ucraina, ha insistito moltissimo sulla questione neonazista, sulla liberazione dal nazismo delle popolazioni dell’Ucraina. Questo non avrebbe in ogni caso nessuna conseguenza rispetto ai diritti di un trattamento equo e giusto. La Russia avrebbe comunque il dovere di tutelare le persone poste sotto la sua giurisdizione o tutela (ADNKRONOS).

Un altro scenario vedrebbe i prigionieri dell’Azovstal utilizzati come oggetto di scambio con i russi in mano ucraina, dando così un segnale positivo alle famiglie dei prigionieri russi e, di conseguenza, ottenere il favore dell’opinione pubblica russa.

Guardando al futuro, – sostiene Bertolotti – questi prigionieri serviranno alla Russia più vivi che morti, non fosse altro che per comminare ad alcuni di loro, i prigionieri più esposti in termini di responsabilità militare oppure da un punto di vista mediatico, pene esemplari. Lo stesso discorso vale anche per l’autorità della Repubblica Popolare del Donetsk, che ha le stesse responsabilità di chiunque detenga dei prigionieri” (ADNKRONOS).




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