Un arsenale nucleare per l’Italia: quanto costerebbe?
di Andrea Molle e Claudio Bertolotti.
Quanto costerebbe all’Italia dotarsi di un proprio arsenale nucleare?
L’idea che l’Italia possa dotarsi di un’arma nucleare è un tema complesso, con implicazioni economiche, politiche e strategiche. In uno scenario ipotetico, Roma potrebbe scegliere tra due modelli: una triade nucleare completa, come quella di Stati Uniti, Russia e Cina, oppure una forza nucleare più limitata, simile alla “Force de Frappe” francese. Ma quanto costerebbe ciascuna opzione?
Una deterrenza nucleare basata su tre componenti – missili balistici terrestri, sottomarini nucleari con missili balistici e bombardieri strategici – richiederebbe enormi investimenti in ricerca, produzione e infrastrutture. Per la componente terrestre, lo sviluppo dei missili balistici intercontinentali potrebbe costare tra i 10 e i 20 miliardi di euro, mentre la loro produzione richiederebbe un investimento di circa 50-100 milioni per ogni missile. Le infrastrutture, tra cui silos e basi mobili, avrebbero un costo aggiuntivo tra i 5 e i 10 miliardi, mentre la manutenzione e gli aggiornamenti per un periodo di trent’anni potrebbero richiedere tra i 30 e i 50 miliardi. Nel complesso, questa componente costerebbe tra i 50 e gli 80 miliardi di euro. Questo senza contare il problema politico di dove allestire le basi di lancio.
La componente sottomarina prevedrebbe la costruzione di quattro o meglio sei sottomarini nucleari con missili balistici, con un costo stimato tra i 3 e i 5 miliardi per unità. Sappiamo che la Marina sta già considerando lo sviluppo di unità a propulsione nucleare, ma lo sviluppo e la produzione dei missili SLBM comporterebbe una spesa tra i 5 e i 10 miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione richiederebbero un ulteriore investimento tra i 15 e i 20 miliardi. Complessivamente, questa parte del programma costerebbe tra i 50 e i 70 miliardi di euro.
Per la componente aerea, lo sviluppo di un nuovo bombardiere stealth richiederebbe un investimento tra i 20 e i 40 miliardi di euro, mentre l’acquisto di bombardieri esistenti costerebbe tra 1 e 2 miliardi per unità. Le infrastrutture e gli aggiornamenti aggiungerebbero altri 5-10 miliardi. Il costo totale di questa componente sarebbe tra i 30 e i 50 miliardi di euro.
Infine, lo sviluppo e la produzione delle testate nucleari richiederebbe tra i 10 e i 20 miliardi di euro. La costruzione di impianti per l’arricchimento dell’uranio e la produzione di plutonio costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre la creazione di sistemi di comando, controllo e comunicazione necessiterebbe di ulteriori 15-20 miliardi. Il costo totale di questa parte del programma sarebbe compreso tra i 35 e i 55 miliardi di euro.
Nel complesso, il costo stimato per una triade nucleare completa si aggirerebbe tra i 165 e i 255 miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 20 e i 30 anni.
Un modello più realistico per l’Italia potrebbe essere quello della Francia, che basa la sua deterrenza nucleare su sottomarini con missili balistici e una componente aerea con missili da crociera lanciabili da caccia. La costruzione di quattro sottomarini nucleari lanciamissili avrebbe un costo di circa 3-5 miliardi per unità. Lo sviluppo dei missili balistici per sottomarini richiederebbe tra i 5 e i 10 miliardi, mentre le infrastrutture e la manutenzione costerebbero tra i 10 e i 15 miliardi. Nel complesso, questa componente costerebbe tra i 40 e i 60 miliardi di euro.
Per la componente aerea, l’Italia potrebbe affidarsi agli F-35, già in dotazione e capaci di trasportare missili da crociera con testate nucleari. Lo sviluppo di tali missili comporterebbe una spesa tra i 5 e i 10 miliardi, portando il costo totale della componente aerea tra i 10 e i 20 miliardi di euro.
Infine, lo sviluppo e la produzione delle testate nucleari costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi, mentre la costruzione di impianti per l’arricchimento e la produzione di plutonio avrebbe un costo di circa 10 miliardi. I sistemi di comando e controllo aggiungerebbero un ulteriore investimento di circa 10 miliardi. Il costo totale di questa parte del programma sarebbe compreso tra i 30 e i 35 miliardi di euro.
Nel complesso, il costo stimato per una forza nucleare ridotta si aggirerebbe tra gli 80 e i 115 miliardi di euro, con un periodo di realizzazione tra i 15 e i 20 anni.
L’Italia, come firmataria del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) e membro della NATO, non ha avuto bisogno fino ad ora di un arsenale nucleare nazionale grazie alla protezione dell’ombrello nucleare statunitense. Tuttavia, in un contesto geopolitico in rapido mutamento, il dibattito su un’eventuale autonomia strategica non è da escludere. Se si optasse per una triade nucleare completa, il costo sarebbe esorbitante e difficilmente sostenibile. Un modello alla francese, più agile e meno oneroso, potrebbe essere una scelta più realistica, ma comunque con un prezzo elevato, sia in termini economici che diplomatici. Alla luce di questi numeri, è evidente che la questione non è solo “possiamo permettercelo?”, ma anche “ne vale davvero la pena?”.
Quale confronto con lo stato dell’arte di Stati Uniti, Russia e Francia in termini di dissuasione?
L’ipotesi di una “capacità nucleare” italiana si scontra inevitabilmente con il confronto con le citate grandi potenze nucleari globali – Stati Uniti, Russia e Francia – le cui dottrine strategiche sono il risultato di decenni di sviluppo, test e consolidamento. Come abbiamo detto, l’Italia, pur non possedendo armi nucleari proprie, beneficia del citato ombrello nucleare e della dissuasione estesa garantita dagli Stati Uniti. Tuttavia, immaginare uno scenario in cui l’Italia si doti di una capacità nucleare autonoma solleva interrogativi strategici, tecnologici e politici di grande rilevanza.
Le capacità nucleari di Stati Uniti e Russia si basano su una strategia di dissuasione strategica, ma con alcune differenze dottrinali. Entrambi i Paesi adottano il principio della destruction mutuelle assurée (MAD), ovvero la distruzione reciproca assicurata, ma lo declinano in modi diversi.
Negli Stati Uniti, la strategia nucleare si fonda su un modello di dissuasione flessibile, concepito per rispondere a minacce su diversi livelli. Questo approccio si articola sulla cosiddetta “triade nucleare”, che include missili balistici intercontinentali (ICBM), sottomarini nucleari lanciamissili (SSBN) e bombardieri strategici in grado di trasportare armi nucleari. La dottrina americana prevede anche una dissuasione estesa, fornendo protezione nucleare agli alleati, inclusa l’Italia. Inoltre, l’introduzione di testate a bassa potenza rende più credibile la deterrenza contro attori regionali, mentre la capacità di attacco preventivo, sebbene non dichiarata esplicitamente, rimane un’opzione praticabile nel quadro della sicurezza nazionale.
La Russia, invece, adotta un modello più aggressivo, noto come “Escalate to De-Escalate”, in cui il ricorso limitato alle armi nucleari potrebbe essere impiegato per porre fine a un conflitto prima che esso si intensifichi. La strategia russa si avvale anch’essa di una triade nucleare, con una particolare enfasi sugli ICBM mobili e su nuove armi ipersoniche e strategiche, sviluppate per mantenere un vantaggio rispetto agli Stati Uniti. La dottrina russa prevede esplicitamente l’uso nucleare in risposta a una minaccia esistenziale, rendendo il confine tra guerra convenzionale e guerra nucleare più sfumato rispetto alla posizione statunitense.
Anche la Francia, con la sua Force de Frappe, si è dotata di un arsenale nucleare autonomo, incentrato su una componente sottomarina e su una flotta di caccia-bombardieri capaci di colpire obiettivi strategici con missili a testata nucleare. La Francia ha sempre rifiutato di integrare completamente il suo deterrente nucleare nella NATO, mantenendo un principio di autonomia decisionale in materia di impiego delle sue forze strategiche. Questo modello potrebbe rappresentare il riferimento più realistico per un’ipotetica capacità nucleare italiana, in quanto orientato alla difesa nazionale piuttosto che a una proiezione di forza su scala globale.
L’Italia, nel contesto della NATO, ha una dottrina di sicurezza che esclude lo sviluppo di un proprio arsenale nucleare, affidandosi piuttosto alla protezione statunitense e alle dinamiche della dissuasione collettiva. L’acquisizione di una capacità nucleare autonoma implicherebbe non solo enormi investimenti economici, ma anche un cambiamento radicale nella politica estera e di sicurezza del Paese, con inevitabili ripercussioni sulle relazioni con gli altri membri dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea.
A differenza degli Stati Uniti e della Russia, che operano sotto una logica di deterrenza su scala globale, e della Francia, che ha scelto un deterrente nazionale indipendente, l’Italia dovrebbe valutare attentamente se una strategia di dissuasione nucleare autonoma sarebbe coerente con i suoi interessi strategici. L’attuale assetto garantisce comunque un livello di sicurezza elevato, senza i costi e le implicazioni geopolitiche di un programma nucleare indipendente. In un contesto internazionale in continua evoluzione, il confronto con i modelli esistenti dimostra che la dissuasione non è solo una questione di tecnologia e arsenali, ma anche di strategia politica e di posizionamento nel sistema internazionale.